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Autore: Aru_chan98    18/07/2023    0 recensioni
La storia di quattro nazioni e del rapporto col loro istinto da nazione, sulla cornice della storia mondiale
Raccolta di Song-fic su Epic - The musical
Genere: Song-fic, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Have you forgotten the lessons I taught you?
Athena!
Have you forgotten to turn off your heart, this is not you
I see you changing from how I've designed you
Have you forgotten your purpose?

Let me remind you
 

“Greet the world with open arms…” mormorò Inghilterra, togliendosi una corona di fiori che alcuni bambini avevano fatto per lui il pomeriggio precedente. Ne osservò la cura con cui era fatta e poteva percepire l’affetto di quelle persone. Forse, era arrivato il momento di aprirsi al mondo. Non era più il 300 dopotutto.

[Hai dimenticato cosa ti ho insegnato, Albione?]. Il sangue di Inghilterra gli si gelò nelle vene. Conosceva quella “voce” fin troppo bene.

[Aprire le braccia al mondo? Sei impazzito? Tu non sei così. Ti sei dimenticato di tutte le battaglie che hai dovuto affrontare?]

“Of course I didn’t!”

[Credo di si invece. Impero Romano non ti ha insegnato queste cose inutili. Non ti ho guidato per tutti questi secoli perché tu giocassi agli amichetti con gli altri. Una colonia è una colonia, Albione. Non lasciare che t’influenzi. Non è così che diventerai un impero in grado di sottomettere il mondo. Lascia che ti ricordi il tuo passato e tutto quello che hai passato]. A quelle parole, la vita passata d’Inghilterra gli sembrò passargli davanti agli occhi, mentre la testa gli faceva male e il suo cuore si faceva sempre più pesante. Non voleva ricordare. Quel lato della sua vita era troppo doloroso per lui, non voleva che Tredici Colonie la conoscesse. Non voleva che la sua luce venisse macchiata dalle ombre del suo passato. Ma l’istinto di nazione di Inghilterra fu più forte di lui, costringendolo a quel viaggio nei ricordi.  
 
 
 

 
Goddess of wisdom
Master of war
My life has one mission
Create the greatest warrior

I had a challenge, a test of skill
A magic boar only the best could kill
One day a boy came for the thrill
A boy whose mind rivaled the boar's own will

Let's go!
 

La freccia della piccola nazione andò a segno, colpendo un cervo al fianco.

“Bel colpo, Albione!” gioirono le fate, uscendo da dietro le foglie degli alberi. Subito dopo di loro, un bambino uscì dalle fronde. I suoi abiti erano logori, i suoi capelli biondi erano arruffati e pieni di foglie e rametti di arbusti, le sue mani piene di ferite e cicatrici. Viveva da solo, nel folto delle foreste, lontano dai suoi popoli, che non si prendevano cura di lui. Gli avevano insegnato a cacciare e quali piante erano velenose ma, alla prima aggressione da parte dei fratelli maggiori di quella piccola nazione, lo avevano esiliato. Solo le fate e le altre creature magiche che abitavano quelle terre osavano tenergli compagnia nelle sue lunghe giornate solitarie.

“Evviva, avremo da mangiare per giorni adesso” gioì Albione, recuperando e pulendo la sua freccia. Non sempre riusciva a procurarsi una preda come quella, dovendo convivere in quei boschi con animali feroci, altre popolazioni barbariche e stando attento a non imbattersi nei suoi fratelli. Ogni volta che li incrociava, le altre nazioni lo aggredivano, lanciandogli frecce e maledizioni. Spesso lo costringevano ad abbandonare le sue provviste o piazzavano trappole per catturarlo, per poi lasciarlo da solo a liberarsi. Albione era sempre stato un bambino sveglio e risoluto ma la necessità di sopravvivere aveva acuito quelle sue qualità. Aveva inventato strategie per non cadere in trappola, metodi per nascondere le sue provviste, tecniche per sopravvivere e per nascondersi.

Albione passò il resto della giornata a scuoiare e pulire il cervo, trasformando il palco in punte di frecce e in un nuovo coltello per sostituire quello che aveva spezzato il giorno prima. Era allo stremo delle forze per averlo dovuto trascinare fino al suo nascondiglio ma l’odore di quella carne che cuoceva dopo giorni passati a mangiare bacche, funghi e frutta secca era sufficiente a farlo sentire ripagato. Mentre aspettava che la carne fosse pronta, tagliò il resto dell’animale in strisce per ottenere della carne secca.

“Cosa ne farai della pelle, Albione?” chiese una delle fate.

“Una coperta!”

“No, sicuramente delle nuove calzature”

“Dei vestiti”. Le fate andarono avanti a speculare, senza che Albione dicesse nulla. Gli piaceva sentire il lieve vociare di quelle creaturine, lo faceva sentire meno solo. Il bambino ci pensò un po' su, prima di rispondere alla domanda della fata.

“Penso ne farò un regalo per Dylan, per ringraziarlo di aver rotto quasi tutte le mie frecce e avermi rubato tutte le scarpe che avevo faticosamente fatto”. Il tono di Albione era sarcastico, così come il sorriso che aveva in volto ma le fate protestarono comunque, non capendo se la piccola nazione fosse seria o meno. Molte volte, in passato, aveva provato a creare un legame coi propri fratelli, venendo maltrattato ogni volta.

“Sei sicuro di quello che fai? Perché ringraziarlo?”

“Non preoccupatevi, so quello che faccio” sorrise loro Albione, mettendo a tacere le loro proteste. Le fate rimasero comunque preoccupate per le intenzioni di Albione, che nel mentre aveva cominciato a maneggiare sia le ossa che la pelliccia del cervo. Avevano un brutto presentimento sulla faccenda.   
 
 
 

 
Maybe one day he'll follow me
And w
е'll make a greater tomorrow, thеn they'll see
I know he'll change the world
'Cause he is a warrior of the mind
Maybe one day I'll reach him
And we can build his skills as I teach him
If there's a problem, he'll have the answer
He is a warrior of the mind
 

Nel folto della foresta, nel territorio battuto dai barbari dell’ovest, Albione aveva posizionato la sua trappola. Aveva utilizzato la pelle e le ossa del cervo, insieme a rami e pezzi di pietra, per costruire un fantoccio che assomigliasse a un cervo giovane e ferito, che sembrasse dormire o mezzo morto. Intorno a quell’esca aveva scavato una buca e coperta di foglie, legni, erba, muschio e fango, abbastanza profonda da intrappolare qualsiasi cosa ci fosse caduta dentro. Albione si era nascosto nelle vicinanze, in attesa della comparsa del fratello. Aveva pensato a un piano: attirarlo nella trappola e, una volta nella buca, rubare tutte le sue provviste e armi. Forse, se fosse stato fortunato, gli avrebbe sottratto anche del formaggio. Dovendo stare sempre nascosto e non potendo stabilirsi da nessuna parte, Albione raramente poteva assaggiare latticini o cibi preparati col latte ma cercava sempre di rubarne quando ne aveva l’occasione. Era l’unica cosa che gli ricordava la sua vecchia casa in mezzo alla sua gente.

I piedi nudi gli facevano male per il freddo di quell’inizio inverno e non sentiva le dita delle mani ma rimase nascosto per ore nonostante tutto, stando attento a non fare il minimo rumore. Alla fine, la sua attesa fu ricompensata. Tra le fronde mezze spoglie degli arbusti, vide i capelli biondi del fratello. Albione strinse forte il pugno sul suo coltello, sull’attenti in caso fosse successo qualcosa. Cymru sembrava da solo. Teneva una freccia incoccata sulla corda dell’arco ma sembrava fin troppo rilassato. Albione notò che portava al collo la ghianda incisa che le fate gli avevano regalato e che Cymru gli aveva rubato qualche mese prima. Ricordava ancora la paura che aveva provato quando lui e i loro altri fratelli erano piombati nella sua tana, svegliandolo a suon di pugni per poi lasciarlo solo, ferito e disarmato. A quel ricordo, le nocche di Albione si fecero bianche per quanto teneva stretto il coltello. Moriva dalla voglia di fargliela pagare. Quando fu abbastanza vicino, Albione imitò il verso di un cervo ferito, cercando di attirare l’attenzione di Cymru. Il ragazzo alzò l’arco, subito sull’attenti, in cerca dell’animale che aveva prodotto quel rumore. Albione non poté sopprimere un sorriso quando il fratello tirò una freccia al suo fantoccio per poi avvicinarsi e cadere in trappola. Una sfilza d’insulti cominciò a provenire dal fondo della buca, seguiti da richieste d’aiuto.

“Come ci si sente ad essere quelli in trappola, Dylan?” domandò Albione, uscendo dal suo nascondiglio. L’espressione di Cymru passò dalla sorpresa alla rabbia.

“Sei stato tu, eh, piccolo stronzetto?! Tirami fuori da qui, oppure-“

“Oppure cosa fai, Dyl? Mi tiri una freccia? Mi prendi a pugni? Pensa a tirarti fuori da solo” rispose Albione con scherno, facendo riferimento all’arco del fratello, che si era spezzato nella caduta. Ignorò la stringa d’insulti e maledizioni che seguì, più interessato a capire dove Cymru potesse aver posato le sue bisacce. Sapeva che il fratello tendeva a posare le proprie cose a pochi passi da dove cacciava, in modo di poterle trasportare più facilmente.

“Lui forse no, mai io sì”. Quella voce raggelò Albione, un brivido di paura lungo la sua schiena. Alle sue spalle era comparso il maggiore e il peggiore dei suoi fratelli, Caledonia. La piccola nazione si girò di scatto, rischiando di cadere anche lui nella fossa che aveva scavato. Caledonia sorrideva davanti a lui ma non c’era gioia in quegli occhi verdi, solo sadismo.

“Che succede Arthur? Il gatto ti ha mangiato la lingua?” andò avanti, divertito dalla palese paura del fratellino, i cui incubi erano popolati da quel fratello dai capelli rossi. Albione era stato così preso dal pensiero di farla pagare a Cymru e, eventualmente, barattare il suo salvataggio dal buco per la sua preziosa collana che non aveva controllato bene i dintorni. Non si era minimamente accorto che Caledonia aveva accompagnato Cymru quel giorno. Era un’occasione più unica che rara, essendo Caledonia il peggior bullo di tutta la loro terra.

“Alla buon’ora, Alistor” disse Cymru, rallegrato da quel cambio d’eventi. Normalmente non si sarebbe mai permesso di parlare in quel modo al fratello maggiore ma Albione era presente, così Cymru sapeva che Caledonia se la sarebbe presa col minore nonostante tutto.

“Tu sta zitto e pensa a tirarti fuori” lo zittì Caledonia, freddo. Non aveva mai aiutato i suoi fratelli in tutta la sua vita e non intendeva iniziare in quel momento. Per lui, chiunque non fosse forte come lui era nient’altro che spazzatura. Il cuore di Albione batteva all’impazzata mentre cercava di pensare a come scappare da quella brutta situazione. Si era messo in trappola con le sue stesse mani.

“S-sparisci, Alistor. Questa è una c-cosa tra me e Dylan” Albione sentì le proprie orecchie arrossire per l’imbarazzo di non riuscire ad esprimersi con voce ferma e autoritaria. Caledonia smise di sorridere prima di colpirlo in faccia col dorso della mano.

“Non osare mai più parlarmi così, moccioso” i suoi occhi verdi erano diventati di ghiaccio. Albione si portò una mano alla guancia, cominciando a tremare come una foglia. Stava tentando di trattenere le lacrime con tutte le sue forze, non volendo far trasparire quando fosse terrorizzato in quel momento. Tirò un’occhiata assassina a Caledonia, in un vano tentativo di nascondere i suoi sentimenti sotto un velo di coraggio e sfida.

“A quanto pare il nostro fratellino è nella fase della ribellione” cominciò Caledonia, con un tono giocoso ma che fece raggelare anche Cymru, che nel frattempo tentava faticosamente di uscire dalla buca. Caledonia afferrò Albione per i capelli, a cui scappò un verso di dolore.

“Visto che la mamma non c’è più, tocca a me insegnarti le buone maniere. Ficcatele bene in mente, pidocchio”. Quelle parole segnarono l’inizio di uno dei peggiori pestaggi che Albione aveva subito. Caledonia non c’era andato piano, nonostante lui fosse quasi un uomo e Albione solo un bambino e Cymru si era unito non appena era riuscito ad uscire da quella fossa. Albione cercava di proteggersi con le sue piccole braccia come poteva, il dolore insopportabile. Ci mancò poco svenisse. Gli sembrò che i fratelli stessero andando avanti per ore. Quando i due si calmarono, Albione respirava a fatica: era sicuro di avere qualcosa di rotto ma il dolore sembrava uguale in tutto il suo corpo.

“Che ne facciamo del verme adesso?” chiese Dylan, riprendendo fiato. Lo sguardo di Caledonia non gli piaceva.

“Voleva derubarti, quindi occhio per occhio” Albione cerco di dire che non aveva niente con sé ma la sua voce era ridotta a un rantolo che raggiunse a malapena le orecchie di Caledonia.

“Bugiardo” fu l’unica cosa che disse, prima di levargli i vestiti. “Questi saranno ottimi stracci per pulire la casa”. Non contento, Caledonia afferrò Albione per i capelli, trascinandolo verso il tronco di un albero.

“Che vuoi fare?” Cymru si tappò la bocca subito, spaventato all’idea di sperimentare l’ira di Caledonia. Il rosso gli rivolse solo un sorriso complice, per poi legare Albione all’albero in modo che non potesse muoversi.

“Bene, Artie. Visto che ti credi tanto furbo, liberati da solo. Non è la stessa cosa che hai detto al povero Dylan? Ah, già, io devo sparire, me lo hai pure chiesto. Visto che è una questione fra voi due, magari Dylan se la sente di perdonarti e liberarti” disse con tono giocoso Caledonia, usando le stesse parole di Albione per prenderlo in giro. Nonostante Cymru fosse furioso con il fratellino per la trappola, pensava che Caledonia stesse esagerando, così fece cautamente un passo avanti, con l’intenzione di slegarlo. Albione gli sputò in faccia, determinazione e rabbia incisi nei suoi occhi di smeraldo. Cymru si pulì con disgusto, ogni sentimento di compassione svanito dal suo animo.

“Andiamo Alistor. Scommetto che la merdina ha un nuovo nascondiglio. Prendiamo ogni cosa abbia” Caledonia rise prima di seguire il fratello nella foresta. Albione venne lasciato da solo, impossibilitato a muoversi e a ripararsi dal freddo che provava.     
 
 
 

 
Show yourself
I know you're watching me
Show yourself
I can see you

How can you see through my spell?
Haha! I was lying and you fell for my bluff
Hahahaha

Well done, enlighten me, what's your name?
You first and maybe I'll do the same
Nice try, but two can play this game
Nah, don't be modest
I know you're a goddess
So let's be honest
You are Athena! (Athena!)
Badass in the arena (arena)
Unmatched, witty, and queen of (and queen of)
The best strategies we've seen

If you're looking for a mentor, I'll make sure your time's well spent
Sounds like a plan
Goddess and man
Bestest of friends

We'll see where it ends
Okay
 

Albione provò a liberarsi per tutto il giorno e per tutta la notte che seguirono. Il dolore era aumentato a causa del freddo della notte ma non importava. Il bambino non voleva scomparire in quel modo, non per mano dei suoi fratelli. Passarono altri due giorni il cui unico risultato che ottenne fu di ferirsi polsi e caviglie ancora di più. Respirare era doloroso, muoversi era doloroso ma tutto quel dolore non fece che aumentare il suo odio per i fratelli. “Aspetta che ti metta le mani addosso, Alistor.” pensava a tutti i modi in cui avrebbe torturato il fratello non appena sarebbe stato forte abbastanza. Era il suo unico conforto in quei giorni di dolore.

“Albione!”

“Oddio, Albione, cos’è successo?”

“Qualcuno faccia qualcosa, Albione sanguina!”. Il quarto giorno arrivarono le fate, che erano andate a cercarlo non vedendolo tornare dopo tanto tempo. Albione provò a rivolgergli un sorriso, nel tentativo di rassicurarle almeno un po', ma non ci riuscì: anche solo quel gesto gli provocava dolore. Si sentiva debole per la fame e la sete ma la presenza di quelle creaturine lo faceva sentire meno spaventato. Almeno, se fosse scomparso lo avrebbe fatto in compagnia dei suoi unici amici. Lo sguardo gli si annebbiò: era tra amici se non altro. Albione perse conoscenza, facendo allarmare le fate, che cominciarono a volargli intorno nel tentativo di svegliarlo, di allentare le corde o di passargli un po' di nettare dei fiori ma erano troppo piccole e leggere per riuscirci.

“Albione… Albione…” piangevano, non sapendo cosa fare. Era la prima volta che lo vedevano ridotto così male.

“I conigli! Forse possono aiutarci!” esclamò una di loro, dopo essersi posata sulla testa di Albione, nel tentativo di svegliarlo. I conigli erano stati gli unici animali a non scappare dalla piccola nazione ma anche gli unici che lo seguivano sempre e, qualche volta, lo guidavano a un cespuglio di bacche, un rivolo d’acqua. Quello strano rapporto che i conigli avevano con Albione era sufficiente perché le fate lo avessero soprannominato “il paladino dei conigli”. Lo stesso bambino preferiva restare a digiuno piuttosto che mangiarne uno. Le fate cominciarono a discutere su chi dovesse andare e chi restare.

“Basta ragazze, c’è la vita di Albione in gioco!” le rimproverò la fata più anziana tra loro. Le fate smisero di bisticciare, per poi dividersi, chi in cerca degli animaletti chi a vegliare su Albione, che respirava così piano che le fate temevano potesse morire.
Albione riprese i sensi mentre i piccoli roditori avevano cominciato a rosicchiare le corde.

“Dragon… Sylph…” ne chiamò alcuni, debolmente. La voce di Albione sembrò motivare ulteriormente gli animali, che si sforzarono di spezzare le corde il più velocemente possibile, riuscendoci.

“Grazie…” disse Albione, accarezzando la testa marroncina di Sylph. I conigli gli si erano assiepati intorno, così come le fate, come a incoraggiarlo ad alzarsi. Albione ci provò ma cadde, facendolo infuriare. Non voleva essere così debole. Dragon gli tirò leggermente i capelli, grugnendo e saltellando più avanti, come a volersi fare seguire. Quel coniglio non lo guardava con apprensione e compassione come tutti gli altri esserini intorno a lui, cosa che fece appello a tutta la determinazione di Albione a restare vivo. Piano piano, il bambino si trascinò fino a un ruscello, in cui gli unici spettatori dei suoi sforzi erano dei pesci che nuotavano pigramente nelle sue acque.

“Forza, Albione, un ultimo sforzo” lo incitavano le fate. Albione era a un passo dall’acqua quando crollò a terra, sopraffatto dalla fatica, dalla fame e dal dolore. Stava per perdere nuovamente conoscenza quando sentì una voce, quasi eterea e sconosciuta.

[Alzati. Non puoi morire qui]. Albione sentì quella specie di voce risuonargli nella testa ancora e ancora. Si alzò, come se quella voce gli avesse dato l’impulso di farlo, riuscendo a trascinarsi al fiume e a bere. Vide i pesci ed ebbe l’istinto di prenderne uno a mani nude, la fame sorda.

[Prendili, piccola nazione]

“Non so come si fa!” esclamò Albione, frustrato da quell’ordine ripetuto. Le fate lo guardarono con sguardi confusi, non capendo di cosa stesse parlando.

[Ci puoi arrivare, little one. Pensaci bene. You’ve got a sharp mind]. Albione rimase ad osservare i pesci nuotare, prima di tentare di prenderne uno. I primi tentativi andarono male, quindi decise di rifletterci bene sopra. Notò il modo in cui quei pesci nuotavano, la direzione, il moto, e gli venne in mente un’idea. Un pezzo della riva del fiume si chiudeva in una specie di sacca che i pesci evitavano ma dove l’acqua era più bassa. Albione lanciò della terra in modo da intorbidire le acque, per poi gettare un sasso per spingere i pesci dentro quel punto. Fu lesto, così come gli diceva quella “voce” e alla fine riuscì a prendere un pesce. Lo teneva fermamente per la coda, mentre il pesce si dimenava per tornare in acqua. Le fate svolazzarono gioiose intorno a lui, festeggiando la prima preda pescata da Albione, che si sentiva orgoglioso di sé. Con l’aiuto delle fate e dei conigli, accese un piccolo fuoco. Finì per bruciare il pesce ma non gli importava, qualsiasi cosa sarebbe stata deliziosa dopo tutti quei giorni di digiuno. Il calore di quel fuoco gli ridava un po' di speranza. Grazie alle fate, era riuscito a medicare le sue ferite, anche se respirare gli faceva comunque male.

Raggomitolato su un mucchio di foglie morte e muschio, rifletteva su come fargliela pagare ai suoi fratelli. Immaginava di smembrare Caledonia nel modo più cruento possibile. Perso nei suoi pensieri, gli ritornò in mente lo strano dialogo che aveva avuto al fiume con quella voce eterea. Nessuno sembrava averla sentita a parte lui.

“Chi diavolo era?” pensò. Conosceva ogni entità fatata che viveva in quelle terre ma quella voce restava un mistero. Si chiese se non fosse qualche umano nei paraggi ma se così fosse stato le fate se ne sarebbero accorte. Non poteva essere nemmeno un’altra nazione, in quelle terre c’erano solo i suoi fratelli. La curiosità era molto forte così decise di fare un tentativo per vedere se quella voce si sarebbe palesata ancora.

“Ehy, mi stai osservando? Da quando?” disse piano, cercando di non svegliare né le fate né i conigli, che stavano dormendo accoccolati a lui. Silenzio. Albione riprovò ma ancora una volta a rispondergli fu solo il vento tra le fronde degli alberi. Si chiese se non fosse stata una sua impressione ma non si sentiva convinto. Girandosi verso il fuoco gli venne in mente un’idea: aveva sentito quella voce mentre era mezzo morto e se…? Con quel pensiero avvicinò la mano sinistra alle fiamme.

[Fermo!]. Albione si fermò di colpo non appena sentì nuovamente quella voce sconosciuta. Un sorriso compiaciuto gli comparve sul volto, mentre ritraeva la mano.

“Eh, stavo scherzando. Ma vedo che finalmente hai parlato ancora”. Ci fu silenzio ma Albione aveva capito che qualsiasi cosa fosse, stava parlando direttamente nella sua testa. “Che sia uno degli Dei o un fantasma?” si chiese Albione.

“È inutile che resti in silenzio, ormai lo so che ci sei” aggiunse il bambino, non accontentandosi del silenzio che aveva ricevuto. Insistette un po' di più e finalmente quell’entità si decise a uscire completamente allo scoperto.

[Non sono un dio, child e nemmeno un fantasma]

“Cosa sei allora?” Albione era sorpreso che quell’entità avesse risposto ai suoi pensieri.

[Sono te ma allo stesso tempo non lo sono. Vedo le tue azioni e sento i pericoli alla tua vita, piccola nazione. Posso sentire la tua ambizione]. Albione restò in silenzio, confuso.

“Come una specie d’istinto da nazione?”

[Se vuoi pensarla così, little one]

“Quindi anche quel bastardo di Alistor viene consigliato da un’entità come te?” il tono di Albione era rabbioso.

[Probabilmente. Posso percepire e vedere i miei simili ed è grazie a me se anche tu ne sei capace, nonostante tu non possa vederli. Non sono tutti sono uguali o come me. L’entità dietro tuo fratello è molto più grande di me e dei tuoi altri fratelli. Io esisto con lo scopo di garantire la tua crescita e la tua sopravvivenza a scapito di tutto]. Albione strinse i pugni con rabbia: concluse che sicuramente suo fratello seguiva un istinto simile e per questo lo aveva preso sempre di mira. Ma insieme a quella rabbia venne anche una realizzazione. “Se Alistor se la prende con me così tanto, significa che sono una minaccia alla sua sopravvivenza”

[Proprio così]

“Perché proprio io? Sono il più debole dei miei fratelli, nemmeno la mia gente mi vuole. Come posso essere un pericolo per una nazione come Alistor?”. Appena disse quelle parole, il ricordo di quando aveva sputato addosso a Cymru insieme a quello di essersi trascinato fino al fiume e altri in cui aveva resistito nonostante le difficoltà gli tornò in mente. Albione si lasciò scappare un’espressione di dolore, sentendo la testa pulsare. Tutti quei momenti però avevano un filo conduttore.

“Perché sono determinato a vivere…?”

[Perché ambisci a conquistare tutta questa terra. Perché sei disposto a tutto pur di diventare il più forte di tutti]. Quelle parole scossero Albione. Si era sempre considerato una nazione estremamente resiliente ma non pensava che quella sua caratteristica potesse portarlo non solo a sopravvivere ma anche a schiacciare i suoi fratelli.

“Cosa devo fare?”

[Hmm?]

“Cosa vuoi che faccia per diventare forte?” chiese Albione, determinato.

[Non funziona così, child. Al momento sei immaturo, un granello di sabbia. Dimostrami che puoi essere una perla e io ti aiuterò a ottenere ciò che vuoi]

“Il mio nome è Albione” disse il bambino, determinazione incisa nei suoi occhi di smeraldo. Cominciò a pensare a come impressionare quell’entità ma i suoi pensieri si persero nel sonno, che arrivò in fretta.
 

Il mattino seguente si svegliò di soprassalto. Aveva avuto un incubo in cui Caledonia lo pugnalava a morte. Albione si chiese se non fosse un presagio di cosa avrebbe potuto succedergli un giorno ma quei pensieri vennero subito accantonati dalla sorpresa: si ritrovava in un letto di paglia coperto di pellicce, all’interno di quella che sembrava una capanna. Aveva indosso abiti di lana e le sue ferite erano state fasciate. La prima cosa che fece fu controllare di non essere stato legato, poi ispezionò la capanna. Cercò qualcosa da usare come arma in caso di bisogno, non trovando nulla se non un paio di sassi.

“Finalmente ti sei svegliato” Albione si girò di scatto, appoggiando le spalle alla tela della capanna. Davanti a lui c’erano un paio di uomini accompagnati da una donna anziana. Era stata lei a parlare. Albione poteva capire in che lingua stessero parlando ma non era certo di riuscire a rispondere: erano trascorse decadi dall’ultima volta che aveva usato quell’alfabeto, abituato ormai a quello delle fate e alle lingue parlate dai suoi fratelli.

“Non avere paura, non vogliamo farti del male”

“Schiavo?”

“Come?”

“Schiavo?” chiese di nuovo Albione, indicando sé stesso. Non ricordava come formare completamente la frase, quindi cercò di farsi capire come meglio poteva. Non sapeva se il suo accento era buono ma l’anziana doveva aver capito comunque perché disse qualcosa ai due uomini che erano con lei, per poi avvicinarsi lentamente al bambino, le mani alzare per intendere che non aveva cattive intenzioni.

“Parli la nostra lingua, piccolo?” chiese la donna, dolcemente. Albione arrossì per l’imbarazzo ma dovette ammettere che non la parlava bene. Non sapere cosa dicevano lo metteva in una posizione di svantaggio e non gli piaceva per niente.

“Druido” disse lentamente la donna, indicando sé stessa. “Capo clan” “Prossimo druido” disse, indicando prima un uomo, dall’aria severa, e poi l’altro, più giovane del primo. Albione non abbassò comunque la guardia, né la pietra che teneva stretta in mano dietro la sua schiena.

“Dove sono?” chiese Albione, che pregava di non essere caduto nelle mani dei suoi fratelli. “Caledonia? Cymru? Albione?” chiese, non capendo bene la risposta precedente del druido. Il suo cuore si alleggerì un po' quando il capo clan rispose pronunciando il suo nome. Almeno sapeva di essere nel suo stesso territorio.

“Non avere paura, nostra terra” disse lentamente il druido, tendendogli una mano. Aspettò pazientemente che Albione si avvicinasse a lei, ma non prese la sua mano. Non si fidava completamente di loro ma credeva che sarebbe stato in grado di cavarsela se le cose fossero andate storte.           
 
 
 

 
Maybe one day they'll follow me and we'll
Make a greater tomorrow, then they'll see
I know we'll change the world
'Cause we are the warriors of the mind
Maybe one day we'll reach them
And we can build their skills as we teach them
If there's a problem, we'll have the answer
We are the warriors of the mind
 

Il clan che aveva trovato Albione non era come se l’aspettava. Era diverso da quello che lo aveva cresciuto e poi abbandonato. A loro non importava che lui fosse una nazione, che i suoi fratelli gli dessero la caccia o che parlasse con le fate, quelle persone lo avevano accolto come uno di loro. Il druido gli aveva pazientemente insegnato la loro lingua e Albione aveva insegnato loro i vari metodi di sopravvivenza e caccia che aveva elaborato nelle sue decadi di solitudine. Rimase con loro per anni, sentendosi infine parte di una comunità. Sarebbe stato il lieto fine perfetto, passare i secoli a vivere in una società che lo considerava uno di loro per poi conquistare quelle terre un pezzo alla volta, ma così non fu.

Nemmeno 100 anni dopo il suo arrivo in quel clan si trovò faccia a faccia con un invasore che non aveva mai visto prima. Aveva conosciuto Gallia, con cui intratteneva rapporti commerciali e aveva combattuto contro le popolazioni vichinghe dell’est ma questo nemico era diverso. Avevano armature in ferro e una bandiera con un’aquila sopra. Parlavano una lingua strana, che Albione aveva sentito usare qualche volta a Gallia. Latino l’aveva chiamata ma Albione non aveva alcun interesse ad usarla. Non gli serviva per sottomettere i suoi fratelli. Credeva che se ci fosse riuscito, avrebbe dimostrato al suo stesso istinto da nazione che aveva le carte in regola per espandersi e quegli estranei si erano messi tra lui e i suoi piani. Diede ordine ai guerrieri di nascondersi nella foresta, per tenere sott’occhio gli invasori ma, quando fu chiaro che volevano attraccare con le loro navi piene di soldati, Albione decise di passare al contrattacco. Non fu facile ma era chiaro che il nemico era venuto senza prepararsi adeguatamente. La nazione si stava pregustando la vittoria quando, un giorno di fine estate, in mezzo alla battaglia non intravide il generale capo di quella legione. Decise di attaccarlo, fiducioso di poter avere la meglio quando venne bloccato da un altro guerriero. Era un uomo sulla trentina, alto, dai capelli scuri e occhi d’ambra. Albione non seppe perché, ma c’era qualcosa in quella persona che gli metteva i brividi.

[Attento, Albione. L’entità di questa nazione è un gigante] l’istinto di Albione tornò a parlargli, in tempo perché schiavasse un colpo del suo gladio.

“Chi sei tu, che cerchi di sottomettere queste terre?” chiese Albione, nel mezzo di quel duello. L’altro non parve capire ma Albione non aveva intenzione di fermarsi per farsi capire meglio. Nonostante si sentisse oppresso dall’aura di ferocia che quell’uomo emanava, Albione riuscì a vincere quella battaglia, respingendo insieme alla sua gente quegli invasori.

“Hai fegato ragazzo, lo ammetto. Sottomettiti a me e io ti insegnerò ad essere una nazione” disse lo straniero, in gallico, una lingua che Albione aveva usato tante volte con Gallia. Evidentemente lo straniero aveva deciso di provare con altre lingue per capire se Albione lo comprendesse e ci era riuscito.

“Mai” rispose il bambino, con tono duro.

“Riflettici bene, l’Impero Romano non offre a tutti la sua guida. Sono certo cambierai idea quando ci rivedremo” cercò di persuaderlo Impero Romano, prima di portare via il suo generale dal campo di battaglia. Albione li inseguì ma li perse nei boschi. Doveva ammettere che chiunque fosse quella nazione aveva esperienza sul campo di battaglia. Dopo quello scontro però, non vide più quegli invasori ma non ebbe il tempo di gioire che il suo istinto tornò a farsi sentire.

[Pensi di accettare la sua proposta?]

“No, non credo lo farò. Non cederò le mie terre a nessuno” rispose Albione nella sua mente, mentre cuciva una coperta di pelle, qualche giorno dopo.

[Dovresti invece. Albione, Impero Romano ha alle sue spalle un’entità enorme, ancora più grande di chiunque tu abbia mai incontrato e combattuto. Sei stato bravo a respingerli ma non commettere un errore simile]. Albione non era comunque convinto. Alzò gli occhi ad osservare le persone che lavoravano nel villaggio, i bambini che giocavano. S’immaginò come sarebbe stato il suo villaggio se avesse accettato quella proposta e quel pensiero lo fece arrabbiare.

“Immagino che accettare sia l’unico modo che ho per dimostrare che sono degno della tua guida”

[Esattamente]

“Allora scordatelo. Non mi sottometterò mai. Troverò un altro modo”

[Non immagini con chi hai a che fare, Albione. Non stiamo parlando di Caledonia ma di un impero. Sei sicuro di quello che fai?]

“Si. Se vuole prendermi sotto la sua ala come allievo, allora sia, ma non starò a farmi sottomettere come Gallia. Sarà come dico io”. Ad Albione parve che quell’entità
avesse riso, ma non c’era emozione in quella risata lieve.

[Ben detto, Albione].
 

E Albione mantenne quel proposito, guidato dal suo istinto che aveva accettato di aiutarlo. Al ritorno di Impero Romano, aveva guidato Albione in modo da resistere contro di lui, riuscendo a fargli stringere un patto di commercio invece che una sottomissione. Albione venne preso sotto l’ala di Impero Romano, che riconobbe in lui la stoffa di un grande impero, ancora più grande di tutte le sue altre provincie. Tra Iberia, Gallia e i suoi stessi nipoti, Albione era il migliore dei suoi studenti, determinato, forte e intelligente. Impero Romano era certo avrebbe fatto grandi cose e così fu. Alla sua dissoluzione, Albione si trovò a dover affrontare le popolazioni vichinghe ancora una volta ma riuscì a difendersi. Sotto il suo re, Alfred il Grande, non solo la sua influenza crebbe ma anche la sua cultura, passando da un bambino che cacciava da solo nei boschi a una delle nazioni più forti del continente, arrivando finalmente a sottomettere i suoi stessi fratelli. Non aveva mai provato una soddisfazione così grande come quando riuscì a far firmare a tutti i suoi fratelli un documento in cui accettavano di sottomettersi a lui. Per l’occasione aveva istituito un mese di festa, dove Albione aveva dato l’ordine di imprigionare i tre fratelli nelle segrete e dargli il minimo indispensabile per sopravvivere. Ormai non aveva più paura di loro, nemmeno di Caledonia, che ora aveva preso il nome di Scozia. In quanto a sé stesso, era orgoglioso di sentirsi chiamare Regno di Gran Britannia dalle altre nazioni. Era orgoglioso di sfoggiare la sua supremazia con Spagna e Francia, con cui aveva un rapporto traballante, fatto di alleanze e tradimenti. Il suo istinto, che col tempo aveva cominciato a vedere, lo conduceva nelle battaglie, gli consigliava quali trattati approvare e, infine, gli suggerì di partire per mare, alla ricerca di nuove terre con cui formare un impero ancora più grande di quello di Roma, un impero degno del suo successore.
 
 
 

 
I still intend to make sure you don't fall behind
Don't forget that you're a warrior of a very special kind
You are a warrior of the mind
Don't disappoint me
 

Il ritorno al presente fu brusco per Inghilterra. Da quando aveva conosciuto Tredici Colonie aveva smesso di pensare al suo passato, così quei ricordi furono come una secchiata d’acqua gelida per lui.

[Ti sei ricordato ora, Albione? Odiami se vuoi ma non dimenticare che se sei qui, all’apice del mondo, se ti chiamano Impero Britannico, è perché mi hai sempre ascoltato. Non dimenticare che, come nazione, non puoi abbassare la guardia. Non dimenticare mai che quel ragazzo che hai davanti a te è una colonia non un tuo pari, così come tu eri una provincia di Roma. Roma si è mai fatto influenzare dai vostri pensieri?]

“No”

[Come pensi sia finito il suo impero? Perché aveva smesso di comportarsi in modo logico. Non commettere il suo stesso errore, Albione. Se vuoi essere il più potente a questo mondo, non dimenticare mai che una colonia serve solo per far prosperare la sua nazione. Vedi di non dimenticarlo un’altra volta]. L’espressione di Inghilterra si era fatta amara: avrebbe voluto ribattere, che Tredici Colonie era più che una semplice colonia, che era quanto di più vicino avesse a una famiglia ma sapeva che quella “voce” aveva ragione. Inghilterra era così perso in quella discussione che non si era accorto che Tredici Colonie gli si era avvicinato con un passerotto tra i capelli.

“Arthur?” si sentì chiamare, tornando presente quando sentì la mano di Tredici Colonie sulla sua spalla.

[Non deludermi, Albione] fu l’ultima cosa che l’istinto gli disse. Inghilterra sentiva il cuore pesante come un macigno.

“Si, sto bene. Andiamo a casa: devi esercitarti a tirare di spada” disse freddamente, avviandosi verso la casa che aveva costruito per le sue visite a Tredici Colonie. Il ragazzo all’inizio protestò ma poi lo seguì, un’espressione triste e preoccupata in volto.


Da quel giorno, Inghilterra non pensò altro che a rafforzare il suo potere come nazione, senza più sorridere veramente a Tredici Colonie ma sfruttandolo come Impero Romano aveva fatto con lui quando era bambino. Non si accorse nemmeno una volta che in quel modo, affidandosi completamente alle parole del suo istinto di nazione, non stava facendo altro che seguire le orme di quell’antico impero, così come i suoi errori.








Piccolo Angolo dell'Autore
Ciao a tutti!

Purtroppo questo mese sono extra in ritardo ma spero che la storia sia abbastanza buona da compensare. 
Adoro questa storia, gemella di White Heart e connessa a Battle for a Life (avete visto i collegamenti?) anche se mi è toccato riscrivere i pezzi man mano che andavo avanti con le canzoni. Questa è basata su "Warriors of the Mind" ( https://open.spotify.com/track/7gwo88n3Asm5Kg7UTdWeF5?si=cf115af43eeb448b ) di Jorge Hans-Rivera.

Al prossimo mese con la prossima storia! 

 
   
 
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