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Autore: Neamh Moonstar    25/07/2023    1 recensioni
Ci sono fanfic ispirate a canzoni, fanfic ispirate a frasi, citazioni, libri, film... E poi c'è questa che è ispirata ad un dipinto.
(Oppure: "Come 'Il Bacio' di Hayez diede a Neamh un'altra idea").
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Michele
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce della sera gettava ombre spettrali talmente lugubri da rendergli la camminata ancor meno gradita. Già avrebbe preferito essere ovunque tranne che lì, ci mancava solo l'ambiente orrendo a rendergli la missione un compito che chiamare gravoso era dire poco.

Era circondato da blandi muri di grossi mattoni marroncini, altro segno inequivocabile dello schifo che permeava quel secolo di morte e disperazione. Persino i castelli sembravano senza vita e senz'anima, esattamente come tutti gli umani che incrociava. Se la sarebbe dormita volentieri fino al secolo successivo, e invece si ritrovava a percorrere corridoi tutti uguali alla ricerca di un cortile, di una scalinata o di una maledettissima uscita. Aveva fatto quel che doveva, ora voleva solo filarsela il più in fretta possibile, tornare a casa e tuffarsi nelle morbide lenzuola del suo letto fino a che un altro compito non lo avesse costretto ad alzarsi; anche perché stava iniziando a sentire una costante e non ben giustificata ansia.


Oltrepassò un arco che - non seppe chi ringraziare per ciò - portava proprio all'androne di quel castello monocolore. Stringendosi nella mantella color bordeaux, Crowley si gettò un'occhiata veloce alle spalle, dirigendosi verso la base di una scala; da lì avrebbe capito come muoversi senza che nessuno lo incrociasse e iniziasse a chiedersi-

    «Che ci fai qui?»

La sua corsa venne stroncata sul nascere, e per poco non sputò un'imprecazione. Maledetti umani impiccioni, possibile che non sappiano farsi i fatti propri?

Cercò di mettere su l'espressione più disinvolta del suo repertorio, calandosi giusto un pelo il cappello sulla fronte. Si voltò verso la voce femminile che lo aveva richiamato e ricacciò in gola un verso di sorpresa.

La figurina apparsa dalla penombra era tante cose, ma di certo non era umana. Aveva le braccia incrociate e il corpo avvolto in un delizioso abito azzurro e dorato che costringeva un po' quello che normalmente sarebbe stato un fisico piacevolmente morbido. I capelli chiari e ondulati le ricadevano dolcemente sulle spalle, fuggendo da quella che sarebbe dovuta essere un'acconciatura. Lo fissava con un'espressione di rimprovero che il rosso avrebbe potuto ridipingere a memoria tante erano le volte che l'aveva vista. Il volto pallido, gli occhi azzurri, le sopracciglia di una tonalità più scura rispetto ai riccioli, il naso con la punta leggermente rivolta all'insù... Tutte caratteristiche che il demone avrebbe riconosciuto da un miglio lontano.

    Con un sorrisetto e una nonchalance tirati fuori da chissà dove, Crowley si tolse il cappello e fece un volutamente esagerato inchino. «Aziraphale, che piacere rivederti» salutò, soffiandosi via una ciocca di capelli dalla faccia. Non aveva nemmeno avuto il tempo di risistemarseli, tanto che allo specchio gli erano parsi un ammasso rossastro di paglia. Quasi si sentì in difetto davanti alla semplice ma efficace eleganza dell'angelo. «Bel vestito, ti dona» commentò infatti, intanto che si ricomponeva.

    L'altra arrossì appena, iniziando a giocherellare con la stoffa della gonna. «È carino, non è vero? Mi sono presa la libertà di farmelo cuci-» si bloccò, mise il broncio e poggiò le mani sui fianchi. «Non cercare di distrarmi, ti ho fatto una domanda.»

    Il rosso alzò gli occhi al cielo, divertito. «Cosa vuoi che ci faccia qui, angelo? Il mio lavoro». Masticò un rassegnato: "Come al solito", sperando segretamente che Aziraphale cogliesse la sua frustrazione e gli migliorasse la serata.

    «E quale malefatta ti è stata assegnata, stavolta?» Chiese quest'ultima con il tono di chi già sospetta le peggio risposte. «Perchè far iniziare una rissa nella sala dei ricevimenti mi pare un pochino esagerato, persino per te.»

    «Ehi, lo sai che mi piace rovinare la giornata ai ricconi spocchiosi. E comunque, non mi aspettavo certo che avrebbero reagito così a un paio di pettegolezzi ben assestati». Strizzò un occhio, godendo appieno dell'espressione dura ma rassegnata che gli arrivò in risposta.

Effettivamente, tutto ciò che gli era stato chiesto di fare era stato creare scompiglio - fin qui nulla di nuovo, anzi: era lo stesso maledettissimo compito da praticamente sempre. Ma, come al solito, l'umanità sapeva rendere i suoi scherzetti un'esagerazione dietro l'altra (ancora non aveva ben capito come accidenti ci riuscisse).

    Sulla fronte di Aziraphale si crearono più ondine di frustrazione. «Si dà il caso che io stia cercando di tenerli buoni quei "ricconi spocchiosi", come li chiami tu.»

    «E perché mai? Si meriterebbero di bruciare all'Inferno, e lo pensi anche tu.»

    Sul volto dell'angelo passò una veloce crepa di preoccupazione: un cambiamento così repentino da essere invisibile a tutti tranne che a Crowley. «Perchè questo benedetto castello è presidiato da angeli che non mi tolgono gli occhi di dosso neanche per un secondo» confessò. «Se sbaglio qualcosa, stai sicuro che la prossima volta che mi rivedrai sarà tra una decina di secoli.»

Il rosso aggrottò le sopracciglia: ecco spiegato perché quel posto gli puzzava parecchio. La sua voglia di fuggire altro non era che il mero istinto di sopravvivenza - pur sempre mescolato dalla sua poca voglia di affrontare il quattordicesimo secolo.

    «Non ne avevo idea» mormorò, ora - a detta del suo inconscio, stupidamente - affranto dalla pressione che sapeva gravare sul suo angelo.

Probabilmente, ai piani alti avevano adocchiato qualche umano di loro interesse, qualcuno che avrebbero fatto volentieri entrare nella non poi così lunga lista degli ammessi al Paradiso; qualcuno che aveva dimora in quello stesso castello. Ciò avrebbe spiegato perché l'Inferno avesse deciso di buttarlo quasi letteralmente giù dal letto, così come avrebbe spiegato la presenza della sua improbabile "collega".

    Aziraphale si fece ricadere le braccia sui fianchi, esasperata. «Ovvio che non ne avevi idea! Hai deciso di sparire e hai smesso di rispondere alle mie lettere. Ti ho scritto per avvertirti, ma eccoti qui a fare disastri. Rischi di farti ammazzare, lo sai questo, vero?»

Quelle parole aleggiarono nell'androne, quasi echeggiando tra le mura spesse.

Allora era quello il motivo di tanto malumore; una certezza che fece rivoltare l'aura oscura di Crowley come un calzino - in modo fin troppo positivo.

Per un attimo non seppe cosa dire. Incespicò un po' di volte, cercando di non farsi uscire cose inopportune dalla boccaccia. Maledisse la pila di buste che aveva malamente buttato sulla scrivania prima di raggomitolarsi a riccio tra le coperte, così come maledisse più e più volte sé stesso per aver ignorato proprio Aziraphale tra tutti. Maledisse persino il pizzicore che aveva preso a ballargli sulle guance, cercando di non immaginare che razza di pesce lesso doveva sembrare in un momento del genere.

    Si fece scudo di una smorfietta intenerita e di un fare forzatamente ironico. «Non ti sarai preoccupata per me.» 

Si stupì quando in risposta non gli arrivò neanche una punta di indignazione. Già si aspettava un sussulto, magari una mano sul petto alla "nobile donzella" maniera.

    Invece, si ritrovò davanti ad un sospiro mesto e uno sguardo ceruleo che pareva volergli scrutare l'aura. «Ma certo che mi preoccupo... sarai contento di saperlo.»

Forse, "contento" non era la parola giusta. Sicuramente, fu allora che Crowley scoprì cosa intendevano gli umani con: "farfalle nello stomaco". Era una sensazione alquanto fastidiosa, anche perché aveva portato le punte delle sue orecchie all'ebollizione.

Si sentiva un totale stupido, soprattutto perché - di nuovo - si trovò ad incespicare.

    «Non dire queste cose» mormorò infine, la voce strozzata e il tono molto poco convinto. Diede una veloce occhiata alle scale, ora ancor più convinto di voler fuggire da lì e andare ad affondare il suo imbarazzo in un intero boccale di qualsiasi cosa avesse in cantina.

    Aziraphale annuì, iniziando a torturarsi le dita. «Lo so, hai ragione. Qualcuno potrebbe sentirmi.»

Aveva spostato lo sguardo verso terra, sicuramente indecisa sul da farsi. Avrebbero semplicemente potuto separarsi lì, senza nemmeno un "arrivederci", eppure nessuno dei due lo fece.

Crowley rimase immobile lì, alla base delle scale, occhi fissi su quella creatura che rimaneva sempre sé stessa, sempre uguale, persino quando prendeva forme diverse. E dire che quello che cambiava spesso era lui, mentre Aziraphale era la costante, il punto fisso che aspettava sempre che il primo passo fosse fatto per venirgli - o venirle, in questo caso - incontro.

Non stavolta.

Stavolta l'angelo si avvicinò lentamente, piantandosi a pochi metri dal demone. Aveva ancora le mani in grembo, le dita che si abbracciavano a vicenda, e lo sguardo che viaggiava dall'alto verso il basso, facendo sentire Crowley sotto esame - ancor peggio di quando al piano di sotto leggevano e rileggevano i rapporti che consegnava.

    Alla fine di quella strana ispezione, Aziraphale fece una piccola smorfia. «Non dirmi che è una delle tue» disse, indicando la piuma nera appuntata sul cappello del rosso.

    Questi la fissò stralunato. «Tu te ne vai in giro in gonnella e io dovrei preoccuparmi di cosa mi metto in testa?»

    Uno sbuffo. «Pensavo ti piacesse la mia "gonnella".»

    «Certo che mi piace!»

Non tutti i demoni hanno demoni interiori, ma quello di Crowley si era appena sbattuto una mano in faccia. Come al solito, era impossibile prevedere quale pensiero quella linguaccia biforcuta avrebbe fatto rotolare fuori.

    Decise di recuperare in extremis. «È che non ci sono abituato, ecco tutto.»

    Il trucco parve funzionare. Aziraphale fece spallucce: «È solo per questo mese, non preoccuparti» affermò. «A quanto pare c'era bisogno di una buona dose di influenza femminile. Tornando a noi,  so che non ci crederai, ma anche per me è un piacere rivederti... Alle volte.»

Oh, quell'espressione. Quel labbruccio, quel nasino all'insù, quelle sopracciglia che si inarcavano verso l'alto ogni volta che voleva qualcosa e stava a Crowley capire cosa.

    «Hai bisogno di una pausa, vero?»

    «Tu no?»

    «Ah, allora il cattivo umore sulla mia faccia è palese.»

    «A Roma come adesso, sì. Decisamente.»

Si sorrisero. Già, Roma: bei tempi quelli. Chissà perché si erano visti molto più spesso in quel periodo. Era chiaro che avevano bisogno di uno di quei pomeriggi: una stanza da soli per parlare, leccornie infinite davanti e piccoli - ma anche grandi - momenti di debolezza in cui si facevano anche troppo vicini - e davano la colpa al vino.

    «Facciamo così, allora» propose Crowley, «stanotte usciamo da questo postaccio e andiamo nella taverna più lontana che troviamo. Vengo a prenderti io.»

    Aziraphale non dovette nemmeno pensarci su: era chiaro che non aspettava altro. «Va bene. Sai dove trovarmi?»

    «Io so sempre dove trovarti.»

Erano così vicini adesso, un po' come quando passeggiavano e le loro spalle si toccavano, o come quando si sfioravano le dita l'un l'altro, cercando un contatto che non poteva esserci. Ancora pochi centimetri e le punte dei loro nasi avrebbero potuto toccarsi.

Era come stare in punta di piedi sull'orlo di un precipizio, sporgendosi di tanto in tanto per vedere quanto era profondo il baratro.

Avrebbero potuto allontanarsi e separarsi lì, stavolta con un deciso "arrivederci". Ma nessuno dei due si mosse: aspettavano entrambi qualcosa che solo poche volte avevano avuto il coraggio di sperimentare.


Il silenzio fu brutalmente rotto dal rumore di alcuni passi silenziosi e indagatori che Crowley sentì giungere alle spalle, esattamente dietro agli archi che aveva superato per arrivare fin lì.

Alla fine qualcuno lo aveva trovato e aveva deciso di seguirlo; ancora pochi istanti e sarebbe dovuto sparire. Se lo aspettava, ma il tempismo di quell'evento era così crudele da sembrare parte della sua condanna.

Ora o mai più.

Si protese verso Aziraphale, una gamba già sul primo scalino. Le mise una mano sulla guancia e permette le labbra sulle sue così velocemente da non darle nemmeno il tempo di reagire come avrebbe voluto.

Sentì solo un braccio cercare di avvolgerlo, intanto che si godeva il tocco di quella pelle calda, candida e morbida sulla sua. Quel corpo stupendo, ora un po' più basso e contenuto del solito, seguì il suo perché si incastrassero e completassero alla perfezione.

Fu come le prime volte, premuti per pochi secondi dietro i muretti o agli angoli bui delle strade. Stavolta, però, non fu colpa del vino, ma solo delle loro emozioni.


Si staccò quasi dolorosamente, rincuorato solo dall'idea che si sarebbero rivisti in poche ore.

Si sfilò la piuma dal cappello e la premette contro il petto dell'angelo, sapendo che avrebbe capito. Dopodiché salì le scale, mano pronta sul pugnale che si portava dietro - ma che non usava mai se non per fare un po' più paura agli umani sconsiderati.

Non sapeva nemmeno da dove uscire, ma un modo avrebbe trovato.

Riusciva sempre a sparire al momento giusto.


--


Aziraphale aveva solo intravisto un'ombra dirigersi verso l'androne, ma non aveva fatto in tempo a reagire.

Avrebbe voluto ricambiare quel bacio improvviso come si doveva, ma anche sentire la pressione dei loro nasi l'uno contro l'altro, le loro labbra che si incontravano, le loro auree che vibravano... Era abbastanza, soprattutto perché erano fin troppo sobri per quelle cose.


Sospirò, stringendosi la piuma al petto. Sì, era decisamente di Crowley - e no, non aveva nessuna intenzione di sapere come fosse caduta.

Si mise composta e non si stupì nemmeno così tanto nello scoprire che l'ombra altri non era che Michael.

L'arcangelo si era offerto di fare la ronda al castello di tanto in tanto. Girava stoico e minaccioso, alla ricerca di qualsiasi possibile minaccia, demonica e non.

Aziraphale si disse che non era poi così bravo nel suo lavoro, dato che il suo demone era giusto riuscito a svignarsela. Nonostante ciò, quando si ritrovò il suo superiore davanti - spada sguainata, armato di tutto punto - sentì un brivido di terrore.

    «Allora avevo ragione» disse questi, guardandosi attorno. «È stato quel demone. Scommetto che è passato da qui.»

    Il principato annuì, mettendo su il più soddisfatto dei sorrisi. «Ovviamente sì, ma me ne sono già occupata» mentì, tenendo la piuma tra le dita. «Sapete com'è: prima lancia il sasso e poi fugge.»

    Michael la squadrò da capo a piedi, molto poco convinto. Gli ci volle un po' per girare i tacchi. «Facciamo in modo che non ritorni, allora. Vediamo di non far capitare altri incidenti.»

Aziraphale acconsentì e attese che si fosse allontanato abbastanza. Tirò un sospiro di sollievo, iniziando già a pensare ad una storia ben tessuta che giustificasse ciò che aveva appena detto. Gabriel amava i dettagli, e certamente avrebbe voluto saperli.

Ora come ora, però, aveva altre cose a cui pensare. Si attorcigliò una ciocca di capelli attorno al dito, pensando a come avrebbe potuto sistemarseli adesso che erano così lunghi. Crowley era sempre bravo ad acconciare i suoi: qualcosa doveva pur aver imparato in secoli di cambi continui in cui quelle ciocche di fuoco gli si presentavano davanti sempre diverse, sempre bellissime.


Così si diresse verso la sua stanza con le farfalle nello stomaco e un leggero rossore sulle guance, chiedendosi se l'ebbrezza della serata che stavano per vivere li avrebbe portati a baciarsi di nuovo.


--


"Il Bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV", meglio noto come "Il Bacio", è un dipinto a olio su tela (112×88 cm) del pittore italiano Francesco Hayez, realizzato nel 1859 e conservato alla Pinacoteca di Brera. Venne commissionato privatamente dal conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto.

Nel dipinto, la scena è ambientata in un vago interno medievale. Proprio in quest'ambientazione si sta consumando un appassionato quanto sensuale bacio tra due giovani amanti, in un clima di romantica sospensione. Il bacio è molto sensuale, ma non molto tranquillo. L'uomo, infatti, poggia la gamba sinistra sul primo gradino della scalinata, lasciando emergere l'elsa di un pugnale dal mantello: quest'instabilità fisica manifesta un certo nervosismo, come se il bacio fosse mosso da un'imminente dipartita, trasformando questo romantico gesto in uno straziante commiato. I toni melodrammatici sono esasperati dalla presenza di una figura in penombra dietro il varco archiacuto.

(Wikipedia)

   
 
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