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Autore: Louis Agreste    01/08/2023    0 recensioni
La mattina di Adrien non è stata una delle migliori e teme che nulla, nel corso della giornata, potrà cambiare le carte in tavola. A sua insaputa, Marinette stava aspettando proprio questo.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- A Ring-in’ Bell -
 
Adrien, quel giorno, si era svegliato male, con l’idea che il resto della giornata sarebbe andata peggiorando. Credette di averne ricevuto la conferma, nel momento in cui, nel bel mezzo della preparazione di un ordine, al fianco di Tom, aveva ricevuto un messaggio da parte di Marinette. Letto questo, aveva sgranato gli occhi e aperto la bocca per tirare fuori la scusa meno credibile della storia. Subito dopo si era catapultato fuori dalla boulangerie e, una volta raggiunto un punto abbastanza nascosto, sperava di non aver insospettito troppo il signor Dupain.
 
«Ma non era giorno di riposo oggi?!» Piagnucolò Plagg, una volta sbucato dalla tasca dei pantaloni del portatore, con un rivolo di saliva poco sotto la bocca. «La tua bella era uscita con le amiche, tu avevi da lavorare con i suoceri, e io potevo continuare la mia pausa indeterminata…»
«Tom e Sabine non sono miei suoceri. Non… ancora, almeno.» Era arrossito e aveva distolto lo sguardo.
 
«Da quel che so, i vostri coetanei li considerano già tali… in quest’epoca, almeno
«Ahhh, non abbiamo tempo per parlare dei dettagli, adesso. Marinette ha bisogno di me, dobbiamo andare. Plagg, trasformami!»
«Io volevo solo finire il mio pisolinooo!-»
 
Nonostante la lamentela del kwami, Chat Noir comparve da quel piccolo angolo dietro la boulangerie. Raggiunse i tetti della città e recuperò il proprio bastone per aprire la chat con Ladybug, dove quest’ultima gli aveva appena mandato la posizione. Non era solita contattarlo in vesti civili per avvertirlo di raggiungerla da supereroe, ma sapeva che, se arrivava a farlo, c’era un motivo importante dietro o una situazione critica.
Continuò a saltare tra i tetti finché non raggiunse la destinazione: il loro posto, con davanti la Tour Eiffel. Rimase sull’attenti, vicino alle sagome dei comignoli, per osservare i dintorni e capire dove Ladybug si trovasse. Fece vagare lo sguardo per un po’ e poi riconobbe la figura in rosso, di spalle, ancora occupata ad osservare il proprio yo-yo. Sgattaiolò fuori dal suo appostamento improvvisato e la affiancò, senza fare rumore.
 
«Avevi bisogno di me, Ladybug?» Era arrivato, come altre volte, al suo fianco di soppiatto. Stranamente, in quel caso, lei non aveva emesso un verso e non era neanche sobbalzata. Al non ricevere risposta, Chat Noir fece per aprire bocca e interrogarla di nuovo, ma si ritrovò con una scatola rettangolare - di medie dimensioni - tra le zampe. «Ehm… Cosa…?» Non aveva la solita fantasia rossa a pois neri tipica dei suoi lucky charm, ma nemmeno stampato sopra alcun tipo di marchio o simbolo. A giudicare dal peso, comunque leggero, non poteva essere vuota, ma era definitivamente la scatola più anonima che avesse mai visto.
 
«Tenermela ti disturba?» Chat Noir, a vedere il sorriso appena tirato, aveva sbattuto le palpebre un paio di volte dalla confusione.
 
«… No, ma-… Che cosa…?»
«C’entra il motivo per il quale ti ho chiamato.»
«Ah, ehm… E quindi cosa dovrebbe contenere? Un regalo super-iper-top-secret?» Aveva cominciato ad osservarla con l’occhio critico di un gioielliere. Arrivò ad accorgersi di una sottospecie di apertura su quella che doveva essere la faccia in alto, ma non fece in tempo a sfiorarla con gli artigli.
 
«A dire il vero, no.»
«… E allora perché me l’hai data? E perché mi hai contattato d’urgenza?»
«Avevo da… chiederti una cosa, abbastanza importante.»
«Talmente importante da non poter aspettare questa sera?» Chinata la testa e sollevate entrambe le sopracciglia, ricevette come risposta diversi cenni d’assenso. «E quanto sarebbe importante…? Qualche branca di moda ti ha contattata e non stavi nella pelle di dirmelo?»
«… No.»
«Allora hai ricordato quella vecchia ricetta di cui tuo padre mi parla spesso, nella speranza di insegnarmela, un giorno?»
«No…»
«… E allora perché?» Si sentiva più che confuso in quel momento. Anche sforzandosi, non riusciva a ricordarsi nemmeno un momento in cui, Marinette, aveva voluto trattare un discorso serio con indosso le maschere. Lei, dopotutto, era sempre la prima a ricordargli che le loro identità - non più così segrete - andavano custodite per un motivo.
 
«Perché… è qualcosa su cui ho riflettuto molto, ma… nonostante tutto, mi sembrava sempre di tralasciare un dettaglio.»
«… E questa cosa, hai intenzione di dirmela, o di tenermi all’oscuro?»
«No no, voglio dirtela, però… non è così facile come sembra.» Aveva spostato più e più volte lo sguardo attorno a loro e si era anche messa a girare intorno, come se non riuscisse proprio a stare ferma. Dopo diversi secondi di silenzio aveva preso un respiro profondo ed era riuscita a tirare su la testa, per tornare a guardarlo negli occhi. Lui sbatté le palpebre un paio di volte e poi le rivolse il solito sorriso tranquillo, che non ci mise nulla ad aiutarla a rilassarsi.
 
«… Sono tutt'orecchi, Milady.» 
 
Ladybug, dischiusa la bocca, ricambiò il sorriso. Prese in mano il proprio yo-yo e lo aprì, confondendolo ancora una volta.
 
«Hai… catturato un’akuma?»
«No, tranquillo Micetto.» Infilò la mano all’interno e, poco dopo, ne tirò fuori quello che, sul momento, gli sembrò essere il suo vecchio campanello. Erano passati anni, crescendo aveva preferito non tenerlo più al collo e l’aveva sostituito con una targhetta, ma non se ne era mai dimenticato. Dopotutto, era con quello indosso che aveva davvero trovato la sua casa.
 
«Mi hai… rifatto il campanello? Volevi chiedermi di rimetterlo, per caso?»
«Perché ti stai facendo così tante ipotesi? Sembri più nervoso di me.»
«… Perché non è da te chiamarmi all’improvviso. E non riesco proprio a capire perché tu l’abbia fatto.» Più Ladybug lo teneva sulle spine, più il cervello di Chat Noir stampava, una dietro l’altra, motivazioni possibili per quell’incontro improvviso. Allo stesso tempo, ne scartava diverse a primo acchito, perché conosceva fin troppo la sua Lady, e quelle erano più delle assurdità che possibilità.
 
«Te l’ho detto perché» gli ricordò, una volta legato nuovamente lo yo-yo alla vita, per poter stringere il campanello con entrambe le mani. «Dovevo chiederti una cosa importante.»
«E allora puoi non tenermi sulle spine e-?...»
 
Non aveva fatto in tempo a chiudere gli occhi e fare finta di lamentarsi al pari di un bambino, che li aveva riaperti, e l’aveva vista inginocchiarsi di fronte a lui. La differenza di altezza tra loro era aumentata nel corso degli anni, ma avrebbe tanto voluto non essersi tempestivamente paralizzato sul posto, per crollare sulle ginocchia e fiondarsi tra le sue braccia. Gli occhi avevano appena cominciato a pizzicargli, ma lui era certo che, di lì a qualche secondo, sarebbe letteralmente scoppiato a piangere.
 
«Come ti ho detto, è qualcosa a cui ho continuato a pensare per… un po’ di mesi. Ero lì che rimuginavo e rimuginavo, nel tentativo di preparare qualcosa di “perfetto”, come al solito… Pensare ad ogni possibile imprevisto, trovare il posto giusto, oppure… riflettere sulle esatte parole da dire.» Sembrava nuovamente sul punto di migrare da un punto cardinale all’altro, ma riuscì sorprendentemente a incrociare lo sguardo sgranato di Chat Noir. Le scappò una risatina alla vista e poi continuò: «Poi, però… dopo un po’, mi sono resa conto che non c’era bisogno di niente del genere. La cosa a cui tenevo di più, oltre a renderti felice, era coglierti di sorpresa. Farlo nel giorno in cui ci siamo conosciuti mi sembrava banale e così… non l’ho fatto. Ho deciso che non l’avrei fatto, fino a che non sarebbe arrivato il momento giusto.» Le lacrime avevano già cominciato a rigare il volto di Chat Noir e quest’ultimo aveva dischiuso la bocca, nel tentativo di dire una qualsiasi parola, ma uscivano a fatica dei versi sconnessi. «… Sarò sempre grata a Chat Noir, per tutto quello che ha fatto per me, ma… gli sono grata anche perché ha aiutato te, a ritrovarti.»
 
Con il viso ormai paragonabile a una diga in frantumi, e sul punto di crollare sulle ginocchia, Chat Noir vide Ladybug aprire quella perfetta riproduzione del suo campanello. Non riuscì, però, a vedere l’anello, per via della vista totalmente appannata.
 
«Vorresti… sposarmi, Adri-?» Quando aveva fatto per chiamarlo per nome, a lui era caduta dalle mani la scatola anonima. Si era fiondato su di lei per abbracciarla stretta, trattenendosi comunque per non farla sbilanciare.
 
«… S-Sì…» Singhiozzò, stringendola ancora più forte. «Sì, sì… Sì.»
«Uno non bastava, Gattino?» Lui negò diverse volte contro i suoi capelli, prima di allontanarsi un minimo per tirare su il naso.
 
«Ma-… Ma allora co-cos’era la…?» Si girò e puntò gli occhi sulla scatola. Ladybug, dopo averla avvicinata a sé con la mano sinistra, spostò leggermente quel bordo di cui lui si era accorto prima, e ne tirò fuori un fazzoletto, che gli porse.
 
«Ti conosco, Gattino…» Sussurrò, rimanendo poi a guardarlo soffiarsi il naso e asciugarsi malamente le lacrime.
 
«Non-... credevo l’avresti fatto…» Tirò ancora un paio di volte su col naso e lei lasciò un bacio sulla sua fronte, dopo avergli spostato i capelli.
 
«Tu avevi in piano di farlo?»
«… Forse… Da tipo cinque anni.»
«Chat Noir!» L’aveva ripreso, ma non aveva perso il sorriso. Temette addirittura di sciogliersi sul posto quando lui alzò le spalle e puntò lo sguardo altrove per un attimo. «E per cinque anni non l’hai fatto?»
«Stavo pianificando…» Si trattava di una scusa banale, ma era la pura verità. «… Su 365 giorni, nessuno mi sembrava il giorno perfetto.»
«Non esiste il giorno perfetto, Micetto. Mi fa strano esserci arrivata prima di te.»
«… Io sentivo che sarebbe arrivato, prima o poi.» Tornò a guardarla in quel momento e poté finalmente vedere l’anello: non era fatto di metallo ed era di un verde brillante, con venature più scure sparse.
 
«Che c’è?... Non ti piace?»
«No no no no!» Aveva rischiato di dare di matto: non voleva assolutamente rovinare quel momento così bello tra loro. «Sono solo rimasto sorpreso… Non è un anello come un altro.»
«L’ho fatto apposta.»
«Ah, capisco… Aspetta, che?» Sgranati gli occhi e spostata l’attenzione dall’anello al volto di lei, si era accorto del tenue colore rosa che aveva preso le sue guance. «Lo-... Lo hai fatto tu?»
«Con un po’ di aiuto, ma… sì.»
«… Perché?»
«Volevo che fosse speciale, unico e irripetibile. Come te.» Ricevette un bacio sulla guancia, ma le scappò una risata al sentirlo trattenere un singhiozzo.
 
Chat Noir tornò a farsi mentalmente altre domande, date le scoperte appena fatte, ma rimase in silenzio. Si tirò indietro abbastanza da poterle porgere la mano e lei gli infilò attentamente l’anello all’anulare sinistro. Inaspettatamente, le venature più scure cominciarono a muoversi e il colore, da verde smeraldo, cambiò in nero pece.
 
«… Ma!» Aveva spalancato la bocca ed era rimasto in silenzio diversi secondi prima di riuscire a pronunciare anche una singola parola. «Come…? Come hai?»
«Volevo che fosse speciale, te l’ho detto.»
«… Dimmi che anche il tuo è così, ti prego.»
«Sì, ma non ce l’ho con me…»
«È rosso il tuo, vero?» Sorrise al vederla alzare gli occhi e negare con la testa. «Sei… Sei così...»
«Cosa?»
 
Lo aveva interrogato per curiosità, ma, al ritrovarsi nuovamente stritolata tra le sue braccia, tornò a ridere, mentre lui le riempiva il viso di baci.
 
«Ti amo, Insettina
«Anche io ti amo, Gattino.» Si ritrovarono a guardarsi negli occhi e si scambiarono un altro bacio a stampo.
 
«Mi è piaciuta la sorpresa… L’ho amata.»
«Mh, ne sono contenta. Davvero tanto.»
«Puoi, però, promettermi che è l’ultima di cui sono all’oscuro?» Aveva smesso di guardarla per un attimo e ricevette un breve bacio tra i ciuffi biondi.
 
«Se è questo quello che vuoi, d’accordo.»
«… Non hai chiamato nessuno dei giornali o… della tv, vero?»
«No. Era un momento nostro, Chat Noir. Perché mai avrei dovuto farlo?» Spostato leggermente indietro un orecchio, l’osservò dirigere ancora una volta lo sguardo altrove e alzare le spalle. «Quando comunicheremo cosa, lo deciderai tu. Va bene, per te?»
«Sì.»
 
Il silenzio arrivò tra loro senza appesantire la situazione. Ladybug cambiò posizione, per sedersi senza che le venissero altri crampi alle gambe. Chat Noir tornò subito ad abbracciarla stretto e lei accettò il gesto senza ripensamenti.
 
«… Qualcosa non va, Gattino
«Sì… Cioè, no. Insomma, io-...» Sospirò contro il suo petto e chiuse gli occhi, rilassandosi solo quando sentì le dita guantate di lei passargli tra i capelli.
 
Alzò lo sguardo e osservò la città, passando poi al cielo. Non appariva più così nuvoloso come quella mattina, le nubi sembravano aver mollato la presa per concedere al cielo un attimo di respiro. La brezza leggera, che accarezzava i loro visi e si divertiva a smuovere appena i loro capelli, allargò il suo sorriso e accompagnò il riflesso che le attraversò gli occhi azzurri.
 
«… Mi sembra tutto troppo bello, per essere vero.» Data finalmente voce a quel peso, Chat Noir trovò la forza di allontanarsi un minimo per tornare a guardarla negli occhi. La trovò ancora interessata a ciò che la loro città aveva da offrire e lui si concesse un attimo, per perdersi nei riflessi delle sue iridi.
 
Ladybug si ricordò di sbattere le palpebre dopo diversi secondi. Le scappò una lieve risata non appena si accorse della faccia da pesce lesso con la quale aveva beccato il partner a guardarla.
 
«Ehi. Anche tu ti eri incantata…» Aveva aggrottato la fronte e una delle due orecchie si era abbassata. A completare il quadro, furono le sue guance gonfiate a mo’ di scoiattolo per mantenere la maschera da offeso.
 
«Andiamo, Micetto… Non sto mica ridendo di te.» Gli prese il viso con entrambe le mani, per avvicinarlo al proprio, e gli stampò un bacio sulla punta del naso, che ebbe l’effetto sperato: gli tornò il sorriso in un lampo.
 
«Lo so, lo so… Però te l’ho detto, mi… sembra tutto troppo bello, per essere vero.» Questa volta, entrambe le sue orecchie si abbassarono e Ladybug storse la bocca al vederlo fare lo stesso e abbassare gli occhi.
 
Si aggrappò al suo polso sinistro, in modo quasi disperato. A lei non servì fare forza, per far scorrere il proprio avambraccio contro il suo palmo e poter stringere la sua mano nella propria. Gli sfiorò la fronte con il pollice sinistro e incrociò i suoi occhi lucidi. Allontanò la mano destra dal suo viso e chiuse tutte le dita, tranne l’indice. Lo avvicinò alla sua fronte e lo fece scorrere fino alla punta del naso, gli sfiorò una narice con il pollice e, infine, gli chiuse entrambe le narici con le dita. Attese qualche secondo e poté rilassarsi, al vedere il sorriso tornare a incorniciargli le labbra.
 
«Nessuna illusione. Nessun sogno. Ti ho davvero chiesto di sposarmi, Gattino.» Lo vide arrossire e alzare gli occhi, forse nella speranza di non scoppiare a piangere di nuovo.
 
«Posso sceglierlo io il giorno?»
«Sì.»
«… Però lo organizziamo insieme.»
«Sì, figurati se ti lascio fare tutto da solo…»
«Dobbiamo dirlo ai tuoi.»
«Dobbiamo dirlo a tante persone…»
«Sì, ma ai tuoi per primi. Non voglio che Tom ci rimanga male.»
«Ehehe, va bene, Gattino…»
«Io lo devo dire a Nathalie, a mia zia… a Felix e a Kagami.»
«Sì sì, a tante persone, lo so… Una per volta, lo faremo con tutti.» Lo strinse nuovamente a sé e lo sentì sospirare. «Ce la faremo, Micetto. Noi due…»
«… Contro il mondo» completò, con un sorriso ben nascosto.
 
   
 
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