Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    04/08/2023    1 recensioni
Un gioco divertente si trasforma in una serie di emozioni che toccano a fondo il cuore di Seiji.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Sage Date
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fanfic scritta per il gruppo “Fondi di caffè – Il tuo scrittoio multifandom”.
Iniziativa: Il caffè del weekend
Prompt: “Se fosse…”.
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Personaggi: Shuu Rei Fuan, Seiji Date, Shin Mori
Genere: fluff, slice of life, sentimentale, introspettivo
Rating: verde
Note: la storia può considerarsi ambientata in un punto tra le due stagioni dell’anime, quindi quasi agli inizi della loro conoscenza. Nei miei intenti ci sono riferimenti al multishipping e alla fivesome, ma può essere letta anche come nakamaship

 
LA LUCE CHE CI AVVOLGE


 
Seiji non era abituato alle risate, all’allegria senza inibizioni, data dalla sola gioia di trovarsi insieme a persone che si era imparato ad amare.
Era consapevole che, quel modo di rapportarsi in gruppo, per motivi diversi, non era stato facile per Touma e neanche per Ryo, benché per il loro leader comunicare fosse un poco più facile.
Shu e Shin, tuttavia, erano un’altra cosa: si erano plasmati subito l’uno sull’altro e anche sui nakama che erano stati dati loro in sorte.
Shin soprattutto, si adattava a ciascuno di loro, acqua fluida che prende la forma di ogni contenitore in cui la si costringe ad entrare.
Per Seiji era un mistero quella sua capacità di comprendere, istante dopo istante, i bisogni di ciascuno, indovinare se servisse una parola o una presenza silenziosa ed empatica. Shin sapeva sopportare, con tolleranza e pazienza, le loro intemperanze, i nervosismi e portare la pace solo sorridendo.
Shu era di certo più invadente, ma Seiji non riusciva più a negare a se stesso che gli metteva allegria.
Era rumoroso, chiacchierone, tanto da risultare insopportabile…
Eppure, Seiji si rendeva sempre più conto che, dopo aver fatto sbollire il nervosismo, finiva per perdonargli tutto e, alla resa dei conti, si scopriva a sentirsi meglio.
Preferiva che Shu ci fosse…
Preferiva che tutti loro ci fossero…
Per questo, benché le risate di Shu e Shin lo avessero strappato bruscamente alla sua meditazione, dopo un primo momento in cui un velo di seccatura gli aveva adombrato le sopracciglia, si ritrovò subito dopo a sorridere e a scuotere il capo, con una condiscendenza che stupì persino egli stesso.
A sconvolgerlo maggiormente fu il bisogno che sentì di alzarsi, non per fuggire il più lontano possibile da quegli infantili disturbatori, ma per mettersi a camminare seguendo il suono delle loro voci.
Fu così che abbandonò le verdi distese che circondavano la casa di Nasty e si ritrovò all’interno, proprio nel momento in cui un nuovo scoppio di risa ancor più potente lo fece sobbalzare.
“Ma cosa sarà che li diverte tanto?” borbottò.
Poi corrugò la fronte, mentre in lui si formava una nuova domanda:
“Perché sono tanto curioso di scoprirlo?”.
I suoi occhi caddero sulla porta socchiusa della cucina: era facile indovinare che proprio quello fosse il rifugio di quelle due macchiette irrefrenabili.
Shin sembrava trovarsi particolarmente a proprio agio in cucina, amava aiutare Nasty quando preparava il cibo per loro e, era ormai palese a tutti, anche alla stessa Nasty, il ragazzino di Hagi era molto più talentuoso di lei, che preferiva infilare velocemente nel forno qualche pasto surgelato e nutrirli a pizze e panini.
Dal canto suo, Shu lo si vedeva spesso trotterellare dietro a Shin, come un cucciolo dietro alla mano che lo nutre: quell’immagine mentale strappò a Seiji un ghignetto.
Davvero, sotto tanti aspetti faticava a riconoscersi.
Le risate si spensero in una domanda posta dalla voce ancora divertita di Shu:
“E Ryo? Se fosse un animale?”.
“Dai, questa è facile” rispose Shin. “È scontata!”.
“Un felino, è vero… ma quale? Gatto, tigre, leone…”.
“Mmmhhh, lui probabilmente si sente una tigre, ma…” Shin tacque per qualche istante, poi riprese, in una via di mezzo tra parole compiute e risolini dispettosi: “Meglio non dirglielo, ma per me è poco più che un micetto”.
“Se ti sentisse” gli fece eco Shu.
Seiji, a ormai un passo dalla porta, si portò una mano alla bocca: c’era mancato poco, stava per scoppiare a ridere lui stesso, l’immagine di Ryo micetto arruffato gli si era piantata in testa e, da quel momento, sarebbe stato molto difficile cacciarla via.
“Tocca all’animaletto Touma”.
A questo nuovo intervento di Shin avrebbe voluto rispondere Seiji, ma ovviamente non poteva uscire allo scoperto e fu quindi Shu a rendersi il suo portavoce:
“Touma è il nostro panda!”.
“Bravo Shu” sussurrò Seiji tra sé. “Anche questa era facile”.
Appoggiò la schiena contro la frazione di muro accanto alla porta e, dalla bocca, la mano salì a scompigliare il ciuffo: in che assurdità lo stavano trascinando?
Non riusciva a smettere di sorridere.
“E Seiji?”.
Shin tornò all’attacco: le orecchie del biondo samurai si tesero.
“Lui è un drago!” esclamò convinto Shu. “Il drago con un occhio solo!”.
Le labbra di Seiji si arricciarono in una smorfia: troppo serio e troppo scontato.
Cosa voleva dire quel disappunto? Che avrebbe preferito accomunassero anche lui a qualcosa di buffo? A un animaletto adorabile e… coccoloso… come avrebbero detto i suoi nakama?
Non sia mai!
Eppure…
“Un drago versione chibi, però”.
Seiji sbatté le palpebre, mentre l’immagine mentale evocata da Shin si materializzava in lui.
“Così non farebbe decisamente più paura”.
Seiji si imbronciò:
“Così a Shu farei paura?”.
“Ma Seiji non fa mai paura”.
Per una volta, il tono di Shin era privo di sfumature ironiche, era un tono più basso, vellutato come una carezza.
“Dici?”.
“Seiji è gentile, solo che non lo sa… noi però lo sappiamo, non è vero?”.
Le membra del guerriero di Korin furono scosse da un tremito, si portò il pugno alle labbra per soffocare un colpetto di tosse, uno strano calore salì alle guance.
“Sì, hai ragione”.
A Seiji sfuggì un sospiro: davvero lo pensava anche Shu?
I loro toni non erano più divertiti e, in qualche modo, quella conversazione che aveva preso una piega tanto seria, stava cominciando a metterlo a disagio: era troppo incentrata su di lui.
Allungò il capo, per dare una sbirciatina all’interno: la fessura gli permetteva di poter osservare in parte la scena senza essere visto.
Poté scorgere la schiena di Shu, le braccia incrociate sul tavolo e, di fronte, Shin, l’espressione sognante, le guance affondate nelle mani.
E fu con quell’espressione che sospirò e asserì:
“Seiji è la perfezione, è così bello, ed è anche dolce…”.
Seiji sussultò, si morse il labbro:
“No, Shin” pensò. “Stai parlando di te stesso…”.
Il calore sul viso aumentò, così come l’imbarazzo, ma anche quella sensazione di abbraccio nel cuore e quella bizzarra punturina agli angoli degli occhi…
“Non mi metterò mica a piangere, adesso”.
La mano tornò davanti alla bocca, mentre Shu richiamava il nakama al gioco.
“Dai, continuiamo. Se fossimo dei colori?!”. Poi si interruppe e poggiò la guancia sulle mani intrecciate. “No, troppo facile, scontato. Azzurro, arancione, rosso, blu e v…”.
“Seiji non ha un colore” lo interruppe Shin.
“Come non ho un colore?” borbottò Seiji dal suo angolino nascosto.
“Come non ha un colore?” gli fece eco Shu.
Il viso di Shin scivolò via dalle mani, che si incrociarono sul tavolo, il mento ad appoggiarsi su esse ed assunse una posizione speculare a quella di Kongo: l’espressione sognante era sempre lì e Seiji, da quell’espressione, non riusciva a distogliere gli occhi.
“Lui è la luce. Accoglie tutti i colori, li assorbe…”. Shin parlava con tono assorto, come a se stesso, ma le sue parole e il suo tono rapivano sia l’ascoltatore di cui era consapevole, sia quello nascosto, l’oggetto diretto di quella descrizione. “Ci accoglie, ci avvolge e ci protegge… questo è Seiji”.
Dopo qualche istante di silenzio, Shu si lasciò andare ad un’esclamazione di stupore:
“Ahhh, così mi fai piangere”.
C’era qualcun altro che, invece, suo malgrado, si trovò a piangere davvero e che, anzi, dovette premere forte la mano sulle labbra per evitare che un singhiozzo, che non si aspettava neanche lui stesso, rivelasse la sua presenza.
 
   
 
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