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Autore: Tubo Belmont    11/08/2023    13 recensioni
[Anime/manga inventati]
Un mondo distrutto dall'Ultima Guerra, l'ultimo conflitto perso dall'umanità contro esseri divini generati dagli incubi stessi.
Ed un solitario viaggiatore che, camminando tra le rovine di un'antica metropoli, raggiunge un lago ghiacciato costellato da cadaveri congelati.
Genere: Azione, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Nevicava.
Nevicava sui lampioni piegati verso la strada dall’asfalto crepato.
Nevicava sui veicoli vuoti e sui frammenti delle vetrate sfasciate.
Nevicava sugli scheletri degli enormi grattacieli.
Nevicava sui desolati resti di una Civiltà perduta.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=IdjJLApL14o]
 
Il Vagante scostò la cappa rosso scuro che ricopriva il suo corpo, lasciando che uno di quei fiocchi pallidi s’adagiasse come cenere sul dito del guanto. Osservò come quel minuscolo granello si sciogliesse a contatto con la stoffa nera e crespa, per poi sollevare lo sguardo, celato da una pallida lastra ovale, verso il cielo sopra la sua testa, che altro non era se non una cappa di sinistra e vorticante oscurità che emulava un tempestoso cielo notturno.
Una delle distorsioni volute dai nuovi Signori del Mondo.
Erano sempre meno i luoghi in cui, dopo l’Ultima Guerra, alzando lo sguardo si poteva scorgere una parvenza di volta celeste, senza che questa fosse distorta da fumi tossici oppure aberranti illusioni.
Abbassò il collo, sistemandosi il cappuccio color del sangue sopra la maschera bianca e ritirando il braccio sotto allo spesso mantello, riprendendo il cammino.
Gli spessi stivali neri che facevano scricchiolare il morbido tappeto nevoso.
Si destreggiò per mezz’ora tra le rovine, in strade ora strette, ora larghe, ora interamente soffocate dal bianco, ora semplicemente gelide e desolate, con stalattiti che scendevano da antichi semafori in disuso, insegne al neon spente, segnali stradali, dai finestrini delle macchine o dalle finestre vuote e nere dei grattacieli.
Fu un bagliore improvviso, che intravide in mezzo al cielo, nascosto dalle macerie di due palazzi crollati l’uno sull’altro, a fargli allungare il passo.
Camminò più velocemente, col mantello che svolazzava alle sue spalle.
E poi, quando si trovò di fronte alla sua destinazione, si fermò.
Alle sue spalle lasciava i resti di quella che, un tempo, doveva essere una fiorente metropoli.
Davanti a lui, si apriva come il portale su di un’altra dimensione.
Un immenso e lucido lago gelato, che si estendeva per chilometri e chilometri in un infinito cerchio, orlato dai resti di palazzi infilzati, come prede di caccia, da colossali e pallidi spuntoni di ghiaccio.
La superficie immacolata rifletteva la luce variopinta e caleidoscopica di un’immensa aurora boreale, incastrata in mezzo al cielo di miasmi.
E ad ostruire quell’illusione di colori variopinti, al limitare più estremo del lago gelato, proprio di fronte al Vagante, s’innalzava la facciata di un’immensa struttura. Un bizzarro incrocio tra una cattedrale ed un castello, composta da più e più serie di colossali speroni gelidi che puntavano verso l’alto come inquietanti guglie, realizzate da un architetto in preda ai deliri di una febbre mortale. Partendo dal centro, decorato da un immenso rosone, la struttura si faceva sempre più bassa, fino quasi a scomparire, componendo la forma arcuata di un gigantesco e distorto diadema.
Il tutto, ricoperto di un colorito scarlatto che ricordava il più prezioso di rubini.
Ma il Vagante sapeva che, sotto il ghiaccio di quel castello, non scorreva il semplice colore rosso.
Senza distogliere lo sguardo dall’immensa struttura, alzò il braccio in avanti.
Aprì la mano guantata, tendendo ben bene le dita.
Ed un intenso e sibilante grumo di oscurità si generò al centro della mano spalancata, allungandosi verso i lati per un paio di metri. Strinse le dita, come volesse afferrare il fumo.
E, quello stesso, diventò solido.
Trasformandosi in una lunga asta, armata di un doppio spuntone alle estremità.
Nera come la pece e lucida come l’ossidiana.
Il Vagante fece rotare il Pungiglione verso il lato destro del proprio corpo.
Il movimento dell’arma scatenò rumorosi e spettrali spostamenti d’aria.
Quando l’arma smise di roteare, posizionandosi orizzontalmente rispetto alla base di ghiaccio, le due estremità appuntite s’accesero d’energia scarlatta, avvolte da fiamme rosse che scendevano verso il basso come minuscole colate di lava.
Gettò un altro sguardo verso il rosone della struttura.
Riprese ad avanzare. Posando gli occhi celati su quelli che dovevano essere stati la ‘malta’ utilizzata per mantenere salda la struttura del castello.
A centinaia di migliaia, ad estendersi fin dove l’occhio nemmeno riusciva a giungere, vide i corpi di coloro che avevano osato affrontare il Dio di quel luogo. Congelati sotto la lastra, riconobbe i soldati della Crociata d’Acciaio, con gli spessi esoscheletri borchiati e le maschere antigas che li rendevano più simili a demoni, che a uomini, le armi di distruzione imprigionate tra le dita scheletriche, o immobili a fluttuare in mezzo alle gelide e statiche acque. Riconobbe i membri della Resistenza, uomini e donne dalle età più disparate, imprigionati in espressioni di puro terrore e dolore sui volti lividi e sciupati, simili più a quello di uno scheletro che a quello di un uomo. Qua e là, intravide anche qualche Cacciatore, stritolato dal mantello e con la maschera antigas mezza distrutta, a tendere le mani verso l’alto in cerca di una salvezza che non sarebbe mai arrivata. Non riuscì a capire a quale Ordine appartenessero.
Corpi menomati, devastati, con ossa e organi interni visibili.
Senza più una goccia di sangue in corpo.
Tutti sepolti in una gelida tomba a cielo aperto.
Gli ultimi baluardi di un’umanità finalmente unita, contro un nemico troppo potente per essere sconfitto.
Continuò la sua marcia.
Salvo poi interrompere nuovamente la sua camminata, a causa di uno scricchiolio.
Che non proveniva da sotto la suola degli scarponi.
Voltò la testa e da sotto la maschera osservò una mano coperta da un guanto lacero emergere dall’acqua congelata, accompagnata dallo spettrale infrangersi del ghiaccio in una ragnatela di crepe.
Alla prima se ne aggiunsero altre dieci.
Alle prime dieci altre cento.
E ciò che riposava in eterno, congelato per sempre nel gelido abisso, riemerse nel suo tetro e cadaverico splendore. Il ‘sistema d’allarme’ del castello di ghiaccio che si stagliava all’orizzonte.
Un esercito di burattini, privi di volontà e qualsiasi raziocino.
Emersero i membri della Crociata, con le loro terrificanti armature demoniache e le enormi armi da fuoco fuse alle braccia come clave. Dai vetrini circolari delle maschere s’intravedevano bagliori rosso fuoco, che si lasciavano dietro una scia dello stesso colore ogni volta che la testa si muoveva.
Emersero i Ribelli, con le divise e le corazze logore e devastate, i volti scheletrici e bluastri imprigionati in un muto lamento. Dalle bocche uscivano sospiri affannati e condensa gelida, mentre avanzavano mogiamente con le armi – chi ancora ne possedeva una – in pugno. Infondo agli occhi infossati, brillavano tetri e minuscoli bagliori sanguigni.
Emersero i Cacciatori avvolti nei loro mantelli laceri, simili a gotici fantasmi. Le mani guantate di nero ancora ben strette attorno alle loro lunghe spade, alle loro katane o ai loro machete. L’argento vivo delle armi rifletteva la luce caleidoscopica dell’aurora boreale.
Circondato su ogni lato da quei mostri, privo di qualsiasi via di fuga, il Vagante non poté far altro che mettersi in guardia, facendo roteare l’arma per poi bloccarla sotto la propria ascella, piegando appena le ginocchia e tendendo un braccio in avanti, la mano dalle dita ben tese.
Era già successo.
Sapeva che non sarebbe stato facile.
Ma ancora, qualche volta… lo sperava davvero.
 
[…]
 
Con un rumore cigolante, il portone di ghiaccio intarsiato di arabeschi e rilievi, che raffiguravano atroci scene di violenza e tortura, si aprì verso l’interno con un baritonale cigolio. Le migliaia di candele dalle azzurrine fiammelle spettrali, accese sopra ai candelabri sfarzosi e ricoperti di brina che spuntavano da pareti, colonne e pavimento, danzarono febbrilmente a causa dell’improvvisa folata di vento.
Il Vagante arrancò in avanti, con il corpo martoriato e sfondato in più punti da lame di baionette e di spade, come un puntaspilli, lasciandosi dietro una scia di sangue scarlatto sull’immacolato pavimento che pareva quasi marmoreo, man mano che avanzava.
Il cappuccio era calato dietro la schiena, permettendo ai fluenti e lunghi capelli d’ebano di discendere a loro volta. Sollevò la testa, respirando debolmente. La maschera bianca presentava un foro, da cui si diramava una piccola ragnatela di crepe. Da dentro al foro, un iride color del sangue circondava una pupilla verde scuro, contratta come quella di un felino. A sua volta, l’occhio era circondato da una pelle grigiastra, fredda, non troppo dissimile da quella dei cadaveri rianimati uccisi fino ad ora.
Con un lamento, si portò la mano libera alla spalla, afferrando il manico metallico di un tomahawk e, digrignando i denti, ne liberò la lama dalla ferita, che zampillò altro sangue sul pavimento immacolato. Gettò l’arma in avanti, puntando lo sguardo affilato dell’unico occhio sulla ‘padrona di casa’.
In quell’enorme stanza circolare, sostenuta quarantasei enormi e spessi pilastri, composti da lunghe braccia di ghiaccio che partivano dal basso fino a raggiungere il soffitto da cui pendeva un immenso ed opulento lampadario, sorreggendolo con le candide mani prive di unghie, in mezzo a gelide sculture di uomini e donne intenti in una statica danza, s’ergeva una larga scalinata.
Esattamente come tutto il resto, anch’essa era plasmata nel gelo. I larghi gradini decorati da minuscole stalattiti che come aghi guardavano verso il basso, erano affiancati da enormi cavalieri in armatura inginocchiati, coi mantelli blu forati e stracciati in più punti che sventolavano appena alla lieve brezza. Gli elmi, ricoperti da corna affusolate che partivano verso l’alto, erano appoggiati con la fronte sulle else degli enormi spadoni dalla lama nera e seghettata.
Al culmine della scalinata, s’estendeva la base di un altro enorme e larghissimo pilastro di ghiaccio, da cui spuntava, svettando verso il soffitto, un colossale trono formato da spesse stalagmiti imbevute nel sangue. E su quel trono sedeva una figura femminile: umanoide, benché le sue dimensioni non ricordassero nulla di umano, indossante uno sfarzosissimo abito vittoriano, nero come piume di corvo, con la larghissima gonna intarsiata da orripilanti decorazioni che parevano fatte di marmo bianco: serpenti, ragni, ratti e altre terrificanti creature che s’attorcigliavano sulle miniature di donne, uomini e bambini, intenti a piangere o a gridare di terrore; il corsetto era tenuto assieme da una strana formazione che ricordava una colonna vertebrale e, sulla scollatura, esattamente al centro del solco dei seni prosperosi, stava un grosso teschio bianco. Il volto della creatura era coperto da una maschera di spesso ghiaccio, blu come un lapislazzulo, che ne celava i lineamenti e gli occhi, estendendosi verso l’alto collegandosi ad un larghissimo copricapo a forma di parallelepipedo coricato su se stesso, da cui partivano spuntoni ricurvi che ricordavano le punte di una strana ed aberrante corona.
La bocca non si vedeva.
Con una mano coperta da un candido guanto, sul cui dorso brillava il ricamo rosso di una scolopendra attorcigliata su se stessa, reggeva un voluminoso ventaglio orlato da merletti vermigli, scuro come la pece che indossava, aperto davanti al ‘viso’.
Il Vagante, piegato in avanti a causa del peso delle armi che adornavano la sua schiena, mosse altri deboli passi, stringendo con vigore il Pungiglione nella mano destra. E l’essere seduto sul trono scostò di poco l’oggetto che aveva in mano, rivelando la parte inferiore di viso scorticato e rossastro, nel quale si apriva una linea retta irta di denti appuntiti come quelli di un Piranha.
I canini, tuttavia, erano molto più lunghi e spessi.
Come quelli di una serpe.
La Contessa emise un sospiro sinistro.
Una spettrale patina candida fuoriuscì da quella bocca priva di labbra.
L’intruso mosse un altro passo.
E qualcosa d’enorme precipitò a pochi metri di distanza davanti a lui, crepando il suolo immacolato e sollevando un fitto polverone bianco.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=xR-LEnRjAIQ]
 
Il Vagante sollevò l’occhio incandescente.
Quando la polvere si fu riadagiata al suolo, di fronte a sé ritrovò uno dei giganteschi cavalieri che stavano di guardia allo scalone, immenso nei suoi tre metri d’altezza. L’armatura colossale, che riconobbe appartenere ad un membro d’alto rango della Crociata, presentava spuntoni ricurvi su spalliere e ginocchiere. L’elmo era stato deformato dal potere della Contessa, forse come ulteriore e finale umiliazione. Adesso, quello ricordava il teschio deforme di una creatura aliena, il quanto più lontano dall’umano possibile, con troppi fori circolari che dovevano essere bulbi oculari vuoti, da cui scendeva uno strano rivoletto scuro.
Sotto agli ‘occhi’, una piccola boccuccia circolare di denti rettangolari e neri, serrati tra loro.
Il mantello blu svolazzava di lato, specchiato con l’enorme spadone tenuto sollevato con una mano. La lama seghettata, crepata in più punti, era tanto lunga da superare almeno di un metro l’intruso in altezza.
Restarono a fissarsi per qualche minuto.
Poi seguitarono altre esplosioni alle spalle del colosso, che si fermarono solo dopo che anche gli altri nove colossi furono atterrati dietro al loro compare.
Osservò la scena, poi chiuse l’occhio e sospirò.
A quanto pareva, i burattini che aveva sterminato fino ad ora non erano ancora abbastanza.
Strinse l’asta del Pungiglione, mentre il nemico stringeva l’elsa dello spadone, alzando l’arma verso l’alto.
E, benché provato da tutte le ferite che deturpavano il suo corpo, il più piccolo rispose a quel fendente discendente con prontezza di riflessi e rapidità. Le fiamme della sua arma tracciarono un arco scarlatto verso il lato destro e una delle due punte dell’arma bloccò la lama del cavaliere in un esplosione di scintille infuocate. Un cerchio di polvere s’estese attorno ai due combattenti.
E gli altri guardiani incalzarono a loro volta.
Tuttavia, poco prima che le loro colossali spade potessero raggiungere l’obbiettivo, il Vagante aveva già liberato la propria arma da quella dell’avversario per poi, con un secondo movimento ad arco, conficcare la punta del Pungiglione poco sotto al collo della creatura. Infilzò fin quando lo sperone incandescente non fu sparito dentro al colosso, spuntando dall’altra parte del suo corpo. Piantò lo stivale contro all’armatura del nemico, dando una poderosa spinta e liberando la propria arma reggendola a bimane. Tracciò un altro arco rosso fuoco a mezz’aria, distruggendo tutto il fianco sinistro del nemico come fosse fatto di materiale friabile. L’essere, che dopo il primo affondo aveva già abbandonato l’arma al suolo, lasciò andare le braccia lungo i fianchi e, ciò che rimaneva del suo corpo corazzato, crollò su se stesso come un castello di sabbia nera, sollevando una spessa coltre di polvere scura.
L’intruso roteò la propria arma, per poi voltarsi di scatto poco prima che gli altri nemici lo raggiungessero, lanciarla verso l’alto e riafferrarla al volo con una mano, piegando il braccio dietro la schiena.
La scagliò in avanti come fosse stata un giavellotto, perforando il cavaliere più lontano perfettamente al centro della corazza sul petto, che si riempì di venature profonde. Il Pungiglione passò da parte a parte e, come per un bizzarro gioco di prestigio, il Vagante apparve subito al fianco della propria arma in una piccola detonazione di fumo oscuro. Ancora alle spalle del cavaliere, afferrò l’asta e menò un fendente dall’alto verso il basso, dividendo obliquamente il corpo del nemico.
Quello crollò come il primo, sbriciolandosi subito dopo.
Meno due.
Dopo aver piegato le gambe per ottimizzare la potenza del suo fendente, si rimise eretto, voltandosi verso i cavalieri che, dopo aver piantato gli spadoni esattamente nel punto dove era scomparso, erano subito ripartiti all’attacco.
Il Vagante scattò a sua volta, piegando il proprio corpo quasi fino a raso terra, correndo come un forsennato mentre, alcune delle armi piantate nel suo corpo, perdevano la presa e si liberavano da sole, facendo zampillare qualche goccia di sangue. Incontrò il terzo cavaliere, di cui schivò un fendente ascendente che si piantò a pochi centimetri dal suo fianco, eseguendo poi una rapida giravolta ed infilzandolo al fianco, facendolo crollare in ginocchio. Come colpo di grazia, lo decapitò sul posto.
Riprese a correre in avanti, bloccando il fendente incrociato di due altri nemici con la punta del Pungiglione, scaturendo una pioggia di scintille rosse che illuminarono l’area circostante. Liberò l’arma, e subito riprese ad incalzare gli avversari con ferocia, facendo brillare di luce sanguigna le già scarlatte pareti del palazzo di ghiaccio.
L’intruso notò, mentre si scambiava fendenti sempre più feroci con i nemici, un terzo cavaliere in avvicinamento, alle spalle dei primi. Affilò lo sguardo, per poi menare un fendente ascendente che sollevò le spade dei due colossi, accompagnato da un salto della morte all’indietro che fece svolazzare il suo mantello come uno stendardo.
Atterrato al suolo, scagliò il Pungiglione in avanti, facendolo passare proprio in mezzo ai primi energumeni e facendolo conficcare il mezzo alla fronte del terzo cavaliere. Apparve in una nuvola di fumo al fianco dell’arma, come poco prima, l’afferrò e, come se le sue braccia e gambe fossero tentacoli, agguantò la testa e il collo del guardiano, spingendo da dietro la punta dall’arma sempre più in dentro all’elmo deforme. Quando i primi due si accorsero di dove si trovasse il loro avversario, ormai era troppo tardi: il Vagante, appeso alla schiena del colosso avvolto dalle fiamme rosse come un grosso parassita, strinse la parte del pungiglione che spuntava dalla fronte come una specie di manubrio, controllando i movimenti confusi e violenti del cavaliere come se quest’ultimo fosse stato un bizzarro destriero. Lo spadone incontrò le armi gemelle, travolgendole con una serie di vendenti violentissimi che, in poco tempo, le mandarono in mille pezzi. Dopo aver decapitato uno dei cavalieri, ed aver infilzato ciò che rimaneva della spada del suo ‘veicolo’ in mezzo alla fronte dell’altro, l’intruso si arrampicò sulla schiena dell’ultimo rimasto e, dopo un balzo dalle spalle di quest’ultimo, atterrò sull’altro estremo del Pungiglione, spingendolo con violenza verso il basso e separando con un viscerale strappo la testa del suo alleato non consensuale.
L’arma nera si conficcò con la punta al suolo, mentre la testa mozzata scivolava lungo tutta la sua lunghezza, sgretolandosi del tutto poco prima di raggiungere il suolo.
Il Vagante sospirò esausto, raccogliendo l’arma da terra e facendola roteare sopra la testa.
Per poi piantarla verso destra per parare un doppio fendente.
Nemmeno il tempo di rivolgere uno sguardo infuocato verso i due generali redivivi che, subito, un altro nemico si presentò al fianco sinistro.
Emise un grugnito, per poi afferrare l’elsa di una grossa katana piantata sulla spalla, liberarla con seguente spruzzo di sangue e utilizzarla per bloccare un secondo fendente incrociato. Qualche fiamma che avvolgeva una delle punte del Pungiglione passò sulle sue spalle, scendendo come una serpe fino all’altra mano e avvolgendo l’elsa della katana scheggiata, ancora sporca di sangue.
Per poi esplodere intorno alla lama in un intenso focolare vermiglio, che fece allontanare il cavalieri come preso alla sprovvista. Subito, il Vagante diede un poderoso spintone con l’altra arma, allontanando gli altri nemici, quindi roteò su se stesso e si mise in guardia incrociando entrambe le armi infuocate, facendo passare la Pungiglione sul taglio seghettato della spada creando un fastidioso rumore di sfregamento, che fece brillare un cerchio di luce intorno ai suoi piedi a causa delle scintille.
Dopo pochi secondi di stallo, i quattro cavalieri ripartirono all’attacco, e il loro obbiettivo fu ben pronto a riceverli con tutta la grinta e la furia di cui disponeva. Fendenti di lame nere s’abbatterono con ferocia sulle sue armi, che danzarono tra le fiamme, l’argento e l’ossidiana, deviando, parando e neutralizzando ogni singolo attacco in un’esplosione di scintille, mentre il suo corpo danzava a sua volta in una coreografia confusa e senza senso, mirata solo a schivare ed intercettare ogni singolo pericolo.
Lo scontro durò per pochi minuti, fin quando, dopo un triplice attacco dall’alto, ogni singolo cavaliere si ritrovò con la propria arma spinta in aria a causa di un poderoso fendente dal basso di katana, che centrò in pieno le punte di ogni singolo spadone.
La lama della spada si ricoprì di crepe, ma poco importò al suo nuovo proprietario, che piegatosi appena in avanti eseguì un lungo ma rapido girotondo, penetrando e dividendo a metà ogni cavaliere con il Pungiglione in un’esplosione di fiamme e frammenti d’armatura nera, tracciando un cerchio di fuoco rosso intorno al proprio corpo.
Tornò eretto, visionando con l’occhio scoperto i corpi dei nemici che si sgretolavano e crollavano al suolo.
Quindi si voltò verso l’ultimo membro della guardia personale della Contessa, l’ultimo baluardo di difesa che lo separava dal suo effettivo obbiettivo.
In piedi, con lo spadone saldo tra le mani, pronto a riceverlo.
Menò un doppio fendente a vuoto, di Pungiglione e katana crepata, per poi piegarsi in avanti e prendere a correre con mantello e capelli che danzavano spasmodicamente alle sue spalle.
Il cavaliere lo imitò.
In poco tempo, i due rivali furono l’uno a pochi centimetri dall’altro, con il più grande che aveva già quasi concluso il proprio terribile attacco dall’alto.
In risposta, l’intruso afferrò l’asta della propria arma e la scagliò verso l’alto, svanendo e riapparendo sopra al nemico poco prima che questo penetrasse il suo teschio con la lama della spada. Quindi precipitò verso il basso come un meteorite, puntando la lama della katana distrutta come una specie di ghigliottina, raggiungendo il colosso poco dopo che questo ebbe sollevato del tutto la testa. Penetrò nella corazza come burro, attraversando tutto il corpo fino a raggiungere il suolo, dove si spezzò in mille pezzi argentati.
Le fiamme abbandonarono i resti dell’arma, ma non subito le due estremità dell’ultimo cavaliere, che si divise per lungo in due perfette parti uguali, che caddero all’unisono di lato in un tonfo sordo, per poi sbriciolarsi come foglietti di carta nelle fiamme di un falò.
Ricoperto da profondi fori sanguinosi, causati da tutte le armi che, man mano durante lo scontro, avevano abbandonato il suo corpo, il Vagante scagliò di lato l’inutile elsa della katana ormai inutilizzabile.
Poi roteò il proprio corpo verso destra, dove lo attendeva l’immensa struttura della scalinata che lo avrebbe portato alla Contessa.
Si trovava a pochissimi passi dal primo gelido gradino.
Puntò l’occhio visibile su di lei.
Quella, che non aveva mosso un dito per tutta la durata dello scontro, continuò a rimanere immobile.
Per tutta risposta, il Vagante affilò lo sguardo.
Sollevando lentamente il Pungiglione e puntandolo esattamente verso di lei, senza fiatare.
Dal canto suo, la creatura allontanò il ventaglio dalla bocca ed emise un ulteriore e raschiante sospiro.
Quindi, menò un fendente orizzontale a vuoto con lo stesso.
E l’intruso partì all’attacco, piegato in avanti con l’arma puntata all’indietro, superando ogni singolo gradino con estrema rapidità.
E le prime rappresaglie non si fecero attendere.
Le stalattiti si staccarono dal soffitto, innumerevoli, piovendo verso il basso come frecce. Quelle che il Vagante non riuscì ad intercettare, schivandole o annientandole roteando il Pungiglione, si conficcarono nella sua carne, creando nuovi fori sanguinanti.
Ma non si fermò, continuando a correre strappandosi di dosso gli arpioni che lo avevano infilzato.
Continuando a salire, non si accorse del grumo di scarlatto che si stava formando al centro delle varie sculture danzanti, che da trasparenti si trasformarono in costruzioni formate da sangue solidificato. Avvertì la loro minaccia solo quando, un numeroso esercito di quelle creature, rianimate come burattini e con gli occhi brillanti come fanali, presero a scalare i lati della scalinata come formiche. Molte di quelle creature balzarono su di lui, si aggrapparono al suo mantello ed alla sua schiena, tentando di rallentarlo infilzando i denti di ghiaccio acuminati e le unghie sotto la sua pelle.
Ma il Vagante non si fermò.
Distrusse tutti i golem che tentavano di fermarlo, roteando poi il Pungiglione per annientare gli altri che osavano avvicinarsi, balzando su quelli che avevano provato ad afferrarlo con scarsi risultati.
Arrivato a metà strada, con ancora gli spuntoni di ghiaccio che piovevano dall’alto e i golem di sangue che tentavano di ghermirlo, la Contessa schioccò le dita muovendo svogliatamente il braccio sinistro.
Il lampadario di staccò dal soffitto.
L’intruso, nuovamente avvolto dalle braccia delle gelide formiche, ebbe giusto pochi secondi per alzare lo sguardo verso l’alto.
La struttura del lampadario si schiantò sulla scala, distruggendo gradini e golem e sollevando una brillante pioggia di schegge trasparenti e un candido polverone.
Polverone dalla quale partì come un siluro l’arma infuocata del Vagante.
Spedita con estrema velocità verso la fronte della Contessa.
Quella, con la stessa noncuranza di prima, si limitò ad alzarsi dal trono, sollevando il ventaglio e puntandolo in avanti. Il Pungiglione si bloccò a mezz’aria, a pochissimi millimetri dal ventaglio, bloccato nell’esatto centro dell’asta da almeno una trentina di gelidi indici, appartenuti alle mani delle braccia-pilastro che, come bizzarri serpenti, si erano attivate per bloccare l’arma che avrebbe ferito la loro tetra Signora.
In un attimo, ricoperto di sangue e con ancora più ferite rispetto a prima, il Vagante apparve al fianco della sua arma, eseguendo una rotazione del proprio corpo per liberarla dalle dita nemiche, che s’infransero contro la pressione e la potenza con cui venne impugnata ed estratta.
A pochissimi centimetri dalla sua avversaria, l’intruso sollevò l’arma, con una scia scarlatta che seguiva l’occhio rosso, pronto a menare un terribile fendente.
A quell’altra, bastò ancor meno di prima per difendersi.
Puntò il dito della mano sinistra contro di lui.
Ed un foro, abbastanza grande da permettere ad un lupo di passare in mezzo, esplose in una tempesta di gocce scarlatte sullo stomaco del Vagante. Quello sgranò gli occhi ed emise uno strozzato lamento, mentre la cornea si riempiva di venature rosse e il sangue imbrattava il piedistallo che reggeva il trono della Contessa. Spinto da un’invisibile e portentosa onda d’urto, che distrusse braccia, stalattiti e i pochi golem ancora in piedi, il suo corpo venne scagliato dall’altra parte dell’enorme stanzone, per poi andare a schiantarsi sulla parete che si trovava in mezzo all’immenso portone decorato ed al rosone.
Scivolò verso il basso, lasciando una lunga traccia di sangue sul muro e sulle ante.
Quando raggiunse il suolo, crollò in avanti, supino.
Sotto il suo corpo immobile, s’allargò una pozzanghera rossa.
 
Sulle labbra scorticate della Contessa, invece, s’allargò un mostruoso ghigno, mentre si voltava e tornava a prendere posto sul suo trono di ghiaccio, riaprendo il ventaglio e riportandolo davanti al viso.
Mentre guardava il cadavere di quell’insetto che aveva osato varcare le mura del suo santuario, dovette ammettere a se stessa che quel bastardo si era rivelato decisamente più pericoloso e tenace degli altri Cacciatori che avevano camminato sul lago gelato.
Il riuscire a sopravvivere e, non solo, a sterminare il suo esercito di marionette è un’impresa che era convinta un semplice e schifoso essere umano, per quanto pregno di una minima parte del potere di Genesis, non sarebbe mai stato in grado di portare a termine.
Il Padre aveva avvisato gli altri Frammenti, come lei, di una nuova minaccia incombente.
Quattro dei suoi fratelli erano completamente scomparsi dal collegamento neurale che li univa agli altri innumerevoli Frammenti di Genesis, dopo un singolo e disturbante stridio.
Per poi lasciare spazio solo al silenzio.
Deboli ed inutili larve, che non meritavano il potere del loro creatore.
Farsi eliminare da un Cacciatore, per quanto potente, significava semplicemente che non fossero degni di essere dei.
Gli dei non sanguinano.
Non stridono.
Non temono.
Non muoiono.
Indegni ed inutili, i suoi fratelli, a differenza sua.
Certo, aveva perso una grandissima quantità di giocattoli a causa di quella formica, ma si sarebbe rifatta.
Quei parassiti erano troppo tenaci.
O troppo stupidi.
Sicuramente un’altra armata avrebbe calpestato quelle gelide terre per prendere la sua testa.
E si sarebbe rifornita.
E mentre gongolava e si perdeva in questi pensieri, la Contessa continuò a guardare il cadavere del suo ultimo ospite.
Vide il sangue che tornava indietro, svanendo sotto il suo corpo.
Vide le fiamme della sua bizzarra arma che si riaccendevano.
E vide il suo corpo che, su braccia malferme, si rialzava dal pavimento.
Smise di sorridere.
Il parassita si era rialzato in piedi, piegato lievemente in avanti e sciupato.
Ma era vivo.
Era ancora vivo, ma un buco di mezzo metro deformava il suo corpo.
Come poteva essere…?
E mentre queste domande si facevano sempre più insistenti e pressanti, l’ormai inutilizzabile cappa rossa scivolò lungo il fisico asciutto dell’intruso, completamente nudo fatta eccezione per un paio di pantaloni neri, ricoperto da strani e lunghi solchi lievemente arcuati che ricordavano antiche cicatrici. Osservò mentre l’enorme foro al centro del suo corpo si richiudeva da solo, avvolto da lievi linguette di oscurità.
Poi, finalmente, la maschera d’avorio cadde a terra a sua volta, finendo in mille pezzi.
Usando l’arma come appiglio, che infilzò a terra, l’insetto alzò lo sguardo stanco su di lei, rivelando un volto giovane, quasi fanciullesco, dal naso e dalle labbra sottili, ma con due spessissime borse sotto agli occhi. Occhi che trasudavano stanchezza, ma anche una strana ed inquietantissima determinazione.
La Contessa sibilò, stritolando il ventaglio nella mano, fino a romperlo.
Questo, quando notò i canini sporgenti.
Quello strano stallo, però, cambiò subito.
Il corpo del giovane Cacciatore venne improvvisamente ricoperto da spesse vene sotto pelle, e quello strinse le fauci assumendo un’espressione di puro furore, mentre sclera bianca e pupille verdi s’immergevano nel più totale rosso delle iridi. Aprì le braccia ai lati del corpo, come un santo, e snudò le zanne in un urlo che, lentamente, si trasformò in un terrificante ruggito.
La bocca si estese in modo esponenziale e la dentatura diventò, lentamente, sempre più affilata e gigantesca, candida come zanne di elefante. Al tempo stesso, le cicatrici sul suo corpo si aprirono a loro volta, rivelando la loro vera natura di bocche irte di denti aguzzi che, in poco tempo, presero a gridare come il loro proprietario.
E la Contessa cominciò ad aver paura.
Ladro, pensò. Usurpatore. Come osava quel microbo ad utilizzare il potere di un Dio?
Rimase paralizzata dal terrore mentre tutto il sangue del suo castello, che con cura aveva selezionato per mantenere salde ed indistruttibili le fondamenta, convergeva sul piccolo mostro che aveva davanti, assorbito da ogni bocca come un delizioso succo.
Ove il sangue svaniva, sulle mura, sul rosone, sul portone, s’estendevano grosse ragnatele di crepe.
Andò avanti per ancora parecchi minuti, finché il ragazzo non fu ‘sazio’, chiudendo ogni singolo orifizio ed inginocchiandosi a terra, senza mollare la presa dall’arma.
Respirò affannosamente, con gli occhi sgranati ora tornati esattamente come prima.
Al ché, la Contessa finalmente si rese conto di dove aveva già visto quell’abbigliamento.
Si sollevò di scatto ed emise un terrificante stridio di disperazione e rabbia, puntandolo con il dito guantato mentre, attorno a lei, ciò che aveva costruito crollava su se stesso.
 
Dal gelido marmo, emersero cinque gigantesche teste plasmate dal ghiaccio. Uno strano incrocio tra un coccodrillo ed un lupo, con sei enormi occhi infossati ed una lunga bocca irta di denti aguzzi che altro non erano che stalattiti e stalagmiti.
Il Vagante, col volto che adesso era diventato una maschera di tenebra, alzò gli occhi sulla Contessa, di scatto.
Un miasma di oscurità esplose da dietro la sua schiena, distruggendo i gelidi incubi che avevano tentato di ghermirlo. E la Contessa rimase nuovamente paralizzata dall’orrore, mentre lo guardava rialzarsi da terra avvolto dalle tenebre.
Tenebre dove nuotavano giganteschi teschi, scheletriche braccia, mostruose bocche irte di denti aguzzi, brillanti occhi di calamaro e tentacoli danzanti.
Tenebre che si aprirono, come immense ali di farfalla, rivelando il corpo del giovane Cacciatore che, nuovamente, era tornato a guardare come il più terribile dei carnefici la ‘divinità’ che aveva davanti.
Come aveva fatto poco prima, puntò il Pungiglione in avanti, senza mostrare nessuna particolare emozione.
Poi menò un fendente a vuoto, socchiudendo gli occhi iniettati di sangue.
La Contessa sibilò, furiosa, mentre il pilastro dove stava s’incrinava e rompeva.
Rivelando, sul ghiaccio direttamente sotto alla gonna, un’ immenso e nerissimo occhio umano, dalla cornea solcata da venature rosse come il sangue.
Mentre anche il pavimento si rompeva, il Vagante abbassò lo sguardo, guardando come la maggior parte delle crepe si stesse concentrando esattamente sotto di lui. piegò le gambe e si pose il Pungiglione sotto l’ascella, per poi dare una poderosa spinta e sbattere portentosamente le oscure ali, librandosi in volo appena in tempo per evitare le dita di mani e braccia nere come la pece, che partivano da una base rossa come il fuoco scoperta dopo che il pavimento si fu rotto.
Gli artigli sfiorarono i suoi stivali, e il suo corpo bloccò il volo esattamente davanti al rosone del castello.
Alzò gli occhi in avanti, per poi sgranarli.
Digrignò i denti e si portò il Pungiglione davanti al corpo, venendo colpito in pieno dal fendente incrociato di due immensi arti neri come la pece, che lo spinsero con estrema potenza contro al rosone, distruggendone le vetrate scarlatte e scagliandolo in mezzo alla notte fasulla, sotto a quei fiocchi di neve fasulli, per metri e metri di distanza sopra al lago ghiacciato, dove atterrò scompostamente e rotolò dolorosamente con l’oscurità alle sue spalle che si sfaldava e riformava in continuazione. Afferrò l’asta del Pungiglione con vigore, infilzandolo al suolo e strisciandolo in esso creando un profondo e candido solco bianco, in mezzo al gelido lago ormai devastato e deturpato dalla sua primissima battaglia.
Finalmente, la sua corsa si fermò.
Tra un respiro e l’altro, il Vagante tornò a puntare lo sguardo verso l’alto.
Sullo sfondo dell’aurora boreale, vide il castello di ghiaccio e sangue crollare su se stesso, e dalle sue candide e brillanti macerie emergere una creatura di proporzioni titaniche. Un’immensa e terrificante scolopendra, dall’esoscheletro rosso come il sangue e con ogni singola ed immensa zampa sostituita da un lungo braccio umano, nero come l’ossidiana. L’immenso corpo s’attorcigliava su se stesso, fino ad arrivare ad una testa nera che ricordava quasi l’elmo di un’armatura medioevale, deturpata da un inquietante e furioso occhio umano ricoperto di venature rosse e da una larga e dentata bocca. La Contessa si trovava esattamente sopra quella testa, a stridere e ringhiare come un’ossessa. La gonna era fusa con la corazza nera, come se avesse messo su inquietanti e marce radici. Le sue braccia erano state sostituite da immense e sproporzionate protuberanze a forma di spuntone, arcuato verso il basso.
Davanti a lui, si presentava un delirio vivente.
Un incubo recondito, impossibile da immaginare anche per la più malata mente umana.
Però… davanti a lui non vedeva divinità, il Vagante.
Vedeva solo un mostro.
E i mostri possono sanguinare.
I mostri possono morire.
Liberò il Pungiglione dal ghiaccio, piegò le gambe e, dopo una poderosissima spinta, scattò in avanti, col gelido vento che gli solcava il corpo e i lunghi capelli neri, mischiati con le proprie nere ali e con gli incubi che sguazzavano al loro interno.
Ali che presero a battere vigorosamente, fino a sollevarlo da terra.
La Contessa gridò furiosa e così ruggì il mostro da cui si formava, mentre una cresta d’immensi spuntoni di ghiaccio si formava innanzi a lei, partendo verso il nemico con violenza. Il Vagante chiuse le ali attorno a sé, eseguendo un violento avvitamento in avanti e distruggendo la cresta di ghiaccio, passandoci in mezzo come un’immensa trivella. Una volta fuori da quell’improvvisa catena montuosa, riaprì le ali e puntò gli occhi verso il nemico.
Appena in tempo per vedere una cinquina di enormi spuntoni di ghiaccio fluttuanti alle spalle della Contessa, grandi come navi da crociera, pronti per essere scagliati contro di lui. I primi due li evitò con grazia, eseguendo un giro della morte portandosi sopra di loro.
Quelli andarono a sfracellarsi alle sue spalle, provocando un grandissimo frastuono.
Il terzo lo intercettò con il Pungiglione e, ponendolo davanti a sé, lo divise perfettamente a metà.
Gli ultimi due proiettili, tuttavia, s’incrociarono di fronte a lui, pronti per schiacciarlo.
E il ragazzo si limitò a scagliare la propria arma in avanti, che superò i due iceberg volanti continuando a fluttuare per qualche metro a sospesa per aria.
Il suo proprietario riapparve poco dopo al suo fianco, in un miasma di tenebre, afferrandolo, mentre alle loro spalle il ghiaccio esplodeva.
Disperata, la Contessa emise un altro brutale stridio, mentre la mostruosa scolopendra sotto di lei s’irrigidiva appena e spalancava le enormi fauci. Una sfera di energia oscura prese a concentrarsi al centro della bocca della creatura, diventando sempre più grande e sfrigolante.
Fino a quando, con un rumore baritonale e possente, quella sfera non partì in avanti sotto forma di potentissimo raggio d’energia, che sfiorò di pochissimo il bersaglio, andando a schiantarsi sulle rovine della città oltre il lago, esplodendo in un enorme fungo di polvere e fulmini di pece. Partirono altri raggi dalle fauci del mostro. Il terzo centrò anche il Vagante di striscio, ed egli strinse i denti per far fronte al dolore mentre il suo braccio volava verso la sua destra. Ma le tenebre delle sue ali furono prontissime ad estendere i piccoli tentacoli, afferrando al volo l’arto perduto e ricucendolo al corpo del loro legittimo proprietario.
Ora, mancavano pochissimi metri tra lui e la sua avversaria.
Le tenebre avvolsero tutto il suo corpo, trasformandolo in una vera e propria ombra antropomorfa, con l’unico ed ultimo segno che lo distingueva dall’oscuro mare che erano quei due occhi rossi e assetati di sangue. A quel punto, il Frammento di Genesis, senza più alcuna via d’uscita, sfregò le due immense lame ricurve tra loro, generando una cascata di scintille che scese sui resti della sua ormai perduta dimora, e si lanciò verso l’ombra con un ultimo e terribile stridio. Le ali, invece, si espansero a dismisura, tramutandosi in immensi tentacoli d’ombra, avvolgendo il corpo della creatura in un gelido, oscuro ed impietoso abbraccio.
Prima ci fu il buio più estremo.
Poi il silenzio.
E poi, cinque bagliori rossi come il sangue attraversarono ad intermittenza quella notte artificiale e l’immenso corpo della scolopendra.  
Poi i bagliori si fecero dieci.
Poi quindici.
Ed infine, l’immenso bozzolo che aveva imprigionato la Contessa si strappò sulla parte più bassa, vomitando i resti mutilati della stessa sulle macerie del tempio perduto, dove si schiantarono fragorosamente.
La neve smise di scendere.
L’aurora boreale andò lentamente a sbiadirsi.
Sul lago gelato, tornò a regnare un silenzio abissale. 
 
Era bastato che strappasse un grosso lembo del vestito della Contessa, per poter recuperare qualcosa da mettersi indosso. Ovviamente, aveva preso tutto il tempo necessario per liberare la stoffa da quegli orribili rilievi, dato che non si addicevano per niente al suo stile.
E adesso, avvolto dalla cappa nera che prima era lo sfarzoso abito di una creatura dell’incubo che si credeva una divinità, si trovava piegato sulla sua ultima vittima, immobile e coricata di schiena, con la parte del corpo che andava dalla vita in giù completamente mancante, le budella e le interiora che fuoriuscivano e sporcavano i resti del santuario.
Le zanne del Vagante affondavano con ferocia nel collo dell’ex padrona di casa. I suoi occhi erano rossi e solcati da venature viola e le vene premevano da sotto la pelle. Qualche rivoletto di sangue fuoriusciva dalle ferite sul corpo della creatura, ma poco importava.
L’importante, era privare il Frammento di Genesis di tutto il sangue necessario per rimettersi in piedi.
Anche perché, se avesse continuato a succhiare, c’era la possibilità che non riuscisse più a smettere.
Si riprese però appena in tempo, prima di sprofondare nell’abisso in cui, per il bene dei pochi esseri umani ancora in vita, non sarebbe dovuto finire.
Si staccò dal collo della defunta Contessa con un rumoroso schiocco, un arco di gocce di sangue volò verso l’alto mentre piegava il collo all’indietro. Snudò le zanne, facendo uscire un’abnorme ed oblunga lingua biforcuta nera, con coi si ripulì il viso sporco di rosso. Come la ritrasse, la bocca tornò di dimensioni normali, e lo stesso fecero i denti, ad eccezione dei canini.
Si passò una mano guantata davanti al viso e riaprì gli occhi, tornati a loro volta normali.
Sospiri affaticati fuoriuscivano dalle labbra sottili.
Sollevò il collo e voltò lo sguardo.
E vide quello che forse, da più di un centinaio di anni, fu il primo raggio di Sole ad appoggiarsi su quel lago imprigionato nel tempo. I raggi aumentarono a dismisura, in una pioggia di brillanti lance, ed il Vagante non poté fare a meno di sollevare lo sguardo verso il cielo, rimanendo ammaliato.
Le oscure e tossiche nuvole del Frammento si erano squarciate come una gigantesca e vecchia trapunta, permettendo ad un’accecante, calda e dorata luce di fare capolino, illuminando ogni cosa e scaldando quel gelo infernale, come l’abbraccio di una madre.
Rimase con la bocca semichiusa a guardare il cielo dorato che si apriva. Tanto che non si rese conto del raggio che gli sfiorò la guancia. Sibilò infastidito, passandosi una mano sulla pelle bruciata e fumante. Si sarebbe rigenerata subito, ma faceva comunque un male cane.
Rapido, si coprì col cappuccio improvvisato, per poi digrignare i denti con stizza.
Combatteva per una razza che non lo avrebbe mai accettato come suo simile. Per permettere loro di rivedere un meraviglioso cielo che lui non avrebbe mai potuto guardare per più di pochi secondi.
Gli uomini in camice del progetto ‘Dampyr’ erano stati totalmente chiari, con il suo ruolo e il motivo per cui era venuto al mondo.
Esisti con l’unico e solo scopo di annientare Genesis e i suoi Frammenti.
Non dava loro colpa, tuttavia. Lo aveva visto nei loro occhi. Lo aveva percepito nella loro stanchezza.
Lui era l’ultima solida speranza che l’umanità aveva per riprendere il proprio posto nel mondo.
Se dovessi mai disubbidire, o fallire il tuo compito… verrai soppresso.
Ma era certo che l’uomo in camice non fosse minimamente convinto di quella frase.
Avevano creato un mostro in grado di uccidere coloro che, con uno schiocco di dita, avevano messo gli esseri umani in ginocchio. I dottori sapevano che quella creatura, per quanto non dissimile nell’aspetto che poteva avere il figlio di ognuno di loro, se avesse voluto avrebbe potuto sterminare anche l’ultimo baluardo dell’umanità.
E forse, nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo.
Ma non l’avrebbe fatto.
Lo avevano cresciuto, nutrito, preparato per un compito che non era al di fuori della sua portata e, anche se in un modo particolarmente freddo e forse privo di emozioni umane, amato.
E gli avevano fatto comprendere la gratitudine della vita.
La potenza e il significato di ogni singolo passo su quella terra, strappata dalle loro mani da terribili e mostruosi dittatori invincibili.
Ed era per questo che combatteva per loro, anche se era un mostro.
Ed era per questo che combatteva per un cielo che non avrebbe mai potuto vedere realmente.
Non perché doveva, ma perché voleva.
Perché, nonostante egli fosse alla stregua di un errore genetico volontario, gli era stato comunque concesso il dono della vita.
E non si sarebbe mai sdebitato abbastanza, con i suoi creatori.
Abbassò lo sguardo sul viso della Contessa, immobile e con la bocca bloccata in un muto grido. Pose una mano dietro la sua nuca e la sollevò da terra. Il resto della corona era andato distrutto, ma la maschera era ancora premuta sulla faccia. Alzò la mano e la chiuse a pugno.
Prendendo poi a colpire con violenza la maschera di spesso ghiaccio scuro.
Colpì. Colpì e colpì ancora, fino a quando non vide le prime crepe.
Abbassò il braccio e afferrò la maschera, cominciando a tirare con forza. Un pezzo ovale si strappò dalla formazione e il Vagante mollò la presa della sua vittima in malo modo. Prese a bimane l’ovale, lo osservò per qualche secondo, poi lo adagiò sul proprio viso, celandolo nuovamente al mondo.
E si alzò in piedi, lanciando un ultimo sguardo celato al suo orribile operato.
E si avviò verso orizzonti dove ancora l’oscurità regnava.
Dove i raggi che adesso superavano la sua figura oscura ancora non erano riusciti ad arrivare.

Non so esattamente da quanto tempo è che non pubblico più... ma son contento di esserci riuscito finalmente!
Che tipo, mi verrebbe da dire che sta storia ce l'ho pronta da un mese ma... sarei un bugiardo del cazzo. Questa storia, effettivamente, ce l'ho pronta da quasi 13 anni. Diciamo che tipo, non avendo idee per una shot che mi facesse sbloccare un po' sto blocco della miseria, mi sono dovuto ingeniare... ma poi non è servito a nulla, visto che in un folder di cui nemmeno conoscevo quasi l'esistenza ho ritrovato sta roba, scritta quando ero solo un moccioso del cazzo. Cioè sì, ovviamente l'ho modificata un po', ma giuro che l'idea era del me bambino!
Che BELLO sapere che già ero un edgelord allora, e la cosa non è cambiata affatto.
Quindi sì, ecco qua: una storia di 'vampiri' che non parla di vampiri, palesemente ispirata a Vampire Hunter D, un po' di Code Vei ed una lievissima spruzzatina di Hollow Knight che effettivamente mi son reso conto dopo avere il suo spazio.
Fusione curiosa.
Comunque sia, per quanto questa storia sia letteralmente la cosa più edgy ed imbarazzante che io abbia mai scritto, voglio dedicarla a tutti voi. Le vostre storie, così come i vostri commenti alle mie, sono letteralmente l'ossigeno che mi da la forza e la volontà di continuare a scrivere. Siete letteralmente l'Estus che mi dà l'ispirazione e l'adrenalina che ancora non mi ha fatto dire 'K, basta' e quindi... grazie, grazie veramente tanto. E vi voglio tantissimo bene a tutti quanti voi, che siete arrivati alla fine di questa storia ^^
In conclusione, grazie per essere passati, e spero di rivedervi prestissimo!

P.S. Se leggendo vi fosse venuto in mente 'Ma la Contessa assomiglia spaventosamente a quella di Blood Court' avreste estremamente ragione.
   
 
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