Libri > Good Omens
Ricorda la storia  |      
Autore: soldierarcs    19/08/2023    7 recensioni
Crowley dischiuse le labbra, attonito, ma lo stupore lasciò ben presto posto alla frustrazione «Lo stai facendo di nuovo.» ribatté, la voce abbassata in un ringhio esasperato. Non si mosse dal posto, ma tutto il suo corpo sembrava urlare di voler fuggire «Come puoi- Non posso.» ripeté e cercò di ignorare l’intoppo nelle parole. Chiuse con forza le labbra in un tentativo di ricomporsi «Oh non so neppure perché me ne stupisco. Sei sempre stato lento su certe cose.»
Aziraphale lo guardò, oltraggiato «Non credo sia il momento appropriato per insultare-»
«Non sto insultando.» ribatté.
Aziraphale inarcò un sopracciglio, lo scetticismo chiaro nell’espressione.
«Non lo sto facendo!» ripeté con veemenza. Poi distolse lo sguardo «Oh per l’amor di-» borbottò, e affossò entrambe le mani sui braccioli della poltrona.
_____
Crowley e Aziraphale parlano.
Ambientata dopo il finale della seconda stagione.
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
G O O D   O M E N S



 
 
BITTERSWEET HORIZONS

 
 


 
That first car was like wings on an angel (You flew away)
Before the whole wide world got too thin (From me then)
I swear goodwill kept up the engine
You were steerin’ my heart like a wheel in your hands (Turn back, darling)
- Hozier




 
 
____________________________________



 
 
Era una bella giornata.[1]

C’erano spesso belle giornate a Berkeley Square, e quel pomeriggio tutto ad Aziraphale appariva magnifico. Il clacson delle auto, che prima era stato solo un continuo fastidio, adesso veniva ascoltato come una melodia nostalgica, arricchita da ciò che rimaneva dei ricordi di un buon tè accostato al vecchio odore di libri.

La piccola cittadina era in pieno fervore, entusiasta e indaffarata per l’arrivo dell’inverno. Il signor Lindsey, che Aziraphale aveva scorto pochi secondi dopo il suo arrivo, sembrava già affaccendato nelle decorazioni natalizie, seppur mancassero ancora mesi all’arrivo delle festività. Era piegato sopra una scala, inclinato verso uno dei lampioni accostati al bar di Nina. Tra le mani teneva un metro da sarta, con una parte pendente e mossa dal vento. Se la situazione era sotto controllo, stava facendo un lavoro eccellente per non farla apparire come tale.

«Signor Fell!» lo salutò, la voce affaticata dal tentativo di rimanere in equilibrio. Aziraphale sussultò, ma nascose la sorpresa dietro un sorrisino di cortesia. Era la quinta volta quell’anno che metteva piede sulla terra, e tra tutto ciò che avrebbe voluto ascoltare – come i dischi della sua collezione – i dubbi del suo ormai ex vicino non rientravano nella lista.

«Signor Lindsay» rispose, tenendo le dita incrociate poco sotto la pancia. Adesso riusciva a notare la scatola sistemata sul pianale, la stessa da cui il Signor Lindsay stava tirando fuori delle luminarie. Aziraphale si sollevò sulle punte dei piedi, dando un’occhiata al suo operato. Era ancora piuttosto sterile, come se avesse iniziato il lavoro da poco.

«Pensavo avremmo dovuto aspettare Natale prima di rivederla. Problemi in paradiso?» ammiccò lui, e Aziraphale sgranò per un momento gli occhi, dimenticandosi all’istante delle ghirlande che era riuscito a scorgere.

«Oh.» iniziò, torcendo le dita e lanciando un veloce sguardo alla sua libreria. Certo, modo di dire. «Oh no, certo che no.» il sorriso si fece più tirato, ma il suo ex vicino non parve notarlo. «Tutto sotto controllo.» continuò, allargando le mani davanti a sé per rafforzare il concetto. «Ho solo- sai, lasciato della roba, sì, in libreria. Dall’ultima volta. Che sciocco, non è vero?» esalò. L’occhiata che ricevette fu per lo più perplessa. Aziraphale si schiarì la voce e strinse le labbra, spingendo i bordi del gilet verso il basso per darsi un contegno.

«Ad ogni modo,» disse, cercando di cambiare argomento «Non le sembra di essere un tantino in anticipo con le decorazioni?»

Il Signor Lindsay arricciò il naso, pensieroso «Ho dovuto cambiare una delle lampadine.» spiegò, lo sguardo di chi non ne sembrava contento «Ci sarà finita addosso una palla. O un sasso. Stupidi bambini» il borbottio si perse nel chiacchiericcio della folla, ma Aziraphale riuscì ad afferrarlo dal labiale «Quindi eccomi qui. E mentre che ci sono mi libero un po' del lavoro natalizio.»

«Giusto…» mormorò, non riuscendo ad afferrarne appieno il senso. In quel modo stava solo aumentando il lavoro della giornata. Aziraphale scosse il capo e lasciò cadere la questione. Quei seimila anni gli avevano insegnato che gli umani potevano essere piuttosto imprevedibili. E anche squisitamente stupidi.

Era già pronto a sventolare la mano e salutare quando lo sentì continuare; «Sa, giovane simpatica, la sua assistente.» e la mano tornò sul fianco «Piuttosto peculiare. Guardava il mio telefono come il mio cane guarda il guinzaglio.» Aziraphale sbatté le palpebre, ma si astenne dal commentare.

Muriel era stata un grande aiuto negli ultimi anni. In particolare, quando Aziraphale aveva avuto modo di chiarire che avrebbe gradito se ogni singolo libro della sua libreria non avesse lasciato il negozio. Aveva perso alcune raccolte di poesie di Emily Brontë durante il primo anno della sua assenza, ma per sua fortuna Cime Tempestose era rimasto al sicuro tra gli scaffali. Aziraphale era riuscito a ottenerne una copia firmata al tempo, seppur con un piccolo aiuto da parte di Crowley.

Crowley.

Un nodo di emozioni gli si formò allo stomaco, e l’agitazione lasciò posto alla tristezza.

Non era passato neppure un decennio, ma il tempo era trascorso lento, scandito da giri interminabili di lancette. Se Aziraphale avesse dovuto quantificarlo, lo avrebbe descritto come decenni, con pochi attimi passati a vagare tra la folla nella speranza di cogliere uno sprazzo di giallo negli occhi degli sconosciuti che incrociava.

Inutile rimuginarci, lo sapeva, ma altrettanto inutile ignorarlo.

«Bene» mormorò, guardando da un lato all’altro della strada. Sorrise di nuovo, un sorriso sommesso che non raggiunse gli occhi «Credo sia il caso di andare a prendere- sa, la roba che ho dimenticato. Ottimizzare i tempi e tutto.».

Il signor Lindsay annuì, ma prima che potesse parlare Aziraphale si inoltrò con passo rapido tra la folla.

La campanella della libreria non suonò neppure quel pomeriggio.

 
 
____________________________________
 

 
 
Aziraphale sapeva quello che doveva fare, ma sapere e fare erano due concetti che alle volte non riuscivano a concordare. Non nella sua testa.

Prendiamo in esempio i biscotti. Nel corso degli anni alcuni dei desideri di Aziraphale potevano essere descritti come tentazioni materializzate in un piatto di biscotti invitanti, disposti in tutta la loro golosa magnificenza. Ma c’era un problema. Un enorme cartello posizionato proprio sopra il piatto, con scritto, in un rosso vibrante “NON TOCCARE”.

Sempre nel corso di quegli stessi anni – e con la consapevolezza dell’esistenza del suddetto cartello - Aziraphale aveva imparato a prenderne una alla volta, assaporandoli con grazia e, con sua vergogna, ben poca moderazione.

Ma andiamo oltre; buttiamo Crowley nel mix.

Crowley aveva dato il via all’insaziabilità di Aziraphale. L’angelo aveva trovato conforto nel credere che avesse avuto inizio dal cibo, frutto di una semplice quanto studiata tentazione. Eppure, nel profondo, sapeva essere nata da uno sguardo fugace al rosso di quei riccioli e allo scintillio dell’arte astrale riflessa negli occhi del suo ideatore. Sapeva essere nata da sé. E sapeva non essersi affievolita quando il giallo era divenuto parte di quell’intreccio.

E se tornassimo al piatto, potremmo vedere solo un biscotto all’interno, privo di cartello e circondato da un profondo senso di colpa.

Aziraphale allargò il petto, permettendo a più aria di entrare. Erano passati una decina di minuti da quando si era fermato davanti all’attico di Crowley. La Bentley non era parcheggiata all’esterno, ma Aziraphale si era detto di tentare in ogni caso.

Inutile dire che nessuno aveva risposto al suo bussare.

Aveva considerato l’idea di smaterializzarsi e ricomparire nell’appartamento, ma l’aveva esclusa nell’arco di pochi minuti. La Bentley stava spesso dove c’era Crowley, e Crowley stava spesso dove c’era la Bentley. Smaterializzarsi appariva più come un inutile mancanza di privacy. Sarebbe stato un qualcosa a cui avrebbe ricorso solo quando le opzioni sarebbero scarseggiate.

Sospirò, poi guardò la porta come se gli avesse mangiato l’ultima crêpe.

Aveva intravisto la Bentley le volte in cui era tornato. Non sempre e non così spesso come avrebbe desiderato, ma l’aveva vista. Aziraphale aveva soffocato il bisogno di avvicinarsi ad ogni visita, consolato dalla consapevolezza che Crowley fosse ancora in città. E aveva evitato la libreria ogni volta che l’auto era parcheggiata al lato opposto della strada. C’erano state poche possibilità che fosse con Muriel, ma non aveva voluto correre il rischio. E adesso che avrebbe voluto farlo, le possibilità apparivano dimezzate ad ogni passo che faceva.

Il corridoio venne ben presto immerso nell’oscurità, con solo qualche timido raggio di luna che filtrava dalle tende socchiuse. Il silenzio avvolgeva ogni angolo come un soffocante abbraccio, interrotto a momenti alterni dal ronzio di una lampadina non funzionante. Aziraphale non capiva se fosse d’aiuto alla sua agitazione o se la stesse solo peggiorando.

Emise un lungo sospiro e si dondolò sui talloni. Somigliava molto alla prima volta in paradiso, subito dopo aver accettato l’offerta di Metatron. Di solito era un essere paziente, ma qualcosa nel sentirsi dire di stare in una stanza semplice, vuota e bianca con nient’altro che i propri pensieri lo innervosiva più del necessario. E il corridoio non era da meno, nonostante fosse abbastanza sicuro che l’agitazione non lo avrebbe abbandonato una volta dentro l’appartamento.

Intrecciò le dita, tenendole distese davanti a sé. Entrare non sembrava più una cattiva idea. Era già nell’atrio. Una porta in più non avrebbe peggiorato qualcosa di già rotto. Aziraphale annuì tra sé e prese un respiro. Era per una causa giusta, dopotutto.

 
____________________________________


 
L’attico era sterile come lo ricordava. Crowley non aveva mai posseduto molti mobili, ad eccezione del letto e di alcuni tavoli o bauli decorativi che aveva conservato dall’età del barocco. Le pareti erano rivestite di un grigio ardesia, colorate da qualche spruzzata di nero nelle rientranze. Era vuoto, come le poltrone rosse opache sistemate ai lati del tappetto. I dettagli in oro le facevano apparire come dei troni, circondati dai quadri appesi alle pareti.

Solo i due calici di vino sistemati sul tavolino in vetro facevano pensare che il posto fosse abitato. Uno era vuoto, non ancora utilizzato, mentre l’altro pieno per metà. Aziraphale si avvicinò, afferrando la bottiglia sistemata al centro, ed evitò di pensare al perché ci fossero due calici. Prese quello pulito e ci versò un po' di vino.

Era al terzo bicchiere quando sentì la serratura scattare.

Si raddrizzò sulla poltrona e, non appena si rese conto che l'irrequietezza sembrava solo peggiorare, scattò in piedi. Non aiutò più di tanto. Stava ancora stringendo il calice tra le mani, le guance rosse per il vino e la gola chiusa per l’attesa quando Crowley si bloccò subito dopo l’uscio.

Guardarlo fu come prendere una boccata d’aria fresca – o liberare le ali su un piano terreno dopo non averlo fatto per anni, se vogliamo allontanarci dalle metafore umane.

Lo sguardo era oscurato dal nero dei soliti occhiali, ma Aziraphale riusciva ugualmente a notare la linea tesa delle spalle. C’era sorpresa nascosta dietro la rigidità delle labbra, le stesse che Aziraphale aveva sentito premere contro le proprie. Il fantasma di quella sensazione lo aveva perseguitato come un ricordo che danzava nella penombra della sua memoria.

Sentì le guance scaldarsi, ma si sentì rassicurato dal colorito che il vino gli aveva già donato. Non potevano diventare più rosse di quelle che già erano.

«Crowley.» disse e, alle sue orecchie, il nome suonò più come un sussurro. Aziraphale sapeva di non averlo davvero mormorato perché Crowley inarcò un sopracciglio, lanciando un’occhiata al bicchiere che ancora teneva tra le dita.

A sua discolpa, Aziraphale ebbe la cortesia di sembrare imbarazzato.

«È stato veloce.» disse Crowley quando l’angelo fu sul punto di aprire bocca. Aziraphale sbatté le palpebre, confuso. E cercò di non apparire ancora più disorientato quando Crowley fece il giro del tavolino e afferrò la bottiglia di vino. Era quasi vuota – seppur Aziraphale si trattenne dallo specificare che ne mancava già metà quando era arrivato.
 
Crowley ne versò un calice pieno e si buttò su una delle poltrone, tenendo la gamba stravaccata lungo il bracciolo. Poi sollevò il capo per guardarlo «La risposta è no.».

Non aveva tolto gli occhiali. Aziraphale nascose la delusione dietro uno sguardo corrucciato e velatamente frustrato.

«Crowley.» ripeté, questa volta in un monito affabile. Appoggiò anche l’altra mano sul calice, come una corda che faceva d’appiglio su una montagna rocciosa. Crowley lo fissò e non mosse un muscolo. Sembrava davvero una montagna invalicabile.

Bene. Se lo aspettava. Aveva avuto solo la vana speranza che potesse essere diverso. Aveva pregato che potesse essere diverso, ma non era una sorpresa che non lo fosse.

Picchiettò le dita sul vetro, poi prese un respiro e si fece coraggio. «Dammi solo il tempo di spiegare.»

«So perché sei qui.» lo interruppe. Aziraphale fu impreparato all’amarezza della voce. Avrebbe preferito ci fosse irritazione, o astio. Crowley invece sembrava solo rassegnato. «Essere arcangelo supremo non è tutto questo gran divertimento, uhm? Regole qui, regole lì. Angeli confusi sul loro lavoro. Arcangeli che non ascoltano.» nascose il sorriso placido dietro un sorso di vino «È tutto scritto, angelo. Essere accanto al trono non ti darà più potere di quanto ne aveva quel pomposo di Gabriel.»

«Ed ecco perché sono qui. Ho bisogno-»

«Oh, lo so

«No invece!» ribatté con veemenza, poi sussultò, stringendo la presa intorno al bicchiere. Prese un respiro, cercando di far sparire la frustrazione dalla fronte corrucciata. Non voleva essere così irruente.

Crowley non ne fu colpito. Sbuffò una risata e gli lanciò un’occhiata compiaciuta «Già così in meno di tre anni? Devono essere davvero in grossi casini là su.»

Aziraphale strinse le labbra e sviò lo sguardo. Solo per un momento. «Lo sono.» ammise, avvicinandosi per lasciare il calice sul tavolo. Riuscì a notare il vacillamento nel viso di Crowley. «Lo siamo.» si corresse, e poi si guardò imbarazzato le mani, piegate con cura di fronte a sé. Le parole uscirono con più facilità di quanto aveva immaginato. «Avevi ragione. Vogliono un altro Armageddon, e l’Onnipotente non parla.»

«Già, bella sorpresa.»

Aziraphale lo ignorò «Pensavo di poter cambiare le cose. Ho messo-» si torse le dita, le intrecciò e poi si decise a dargli un po' di tregua «Ho messo un piccolo box nella mia scrivania.» Crowley tossicchiò, allontanando il calice con un sussulto. Una goccia di vino scivolò sul labbro, ma il demone la asciugò con un veloce movimento della mano.

L’angelo lo guardò di sottecchi «E stava andando splendidamente!» certo, erano più lamentele che consigli, in particolare quelle di Michael per la sua scrivania, ma Crowley non aveva bisogno di esserne a conoscenza. «Ma ai piani alti non piace.»

«Tu sei i piani alti, Aziraphale.»

Aziraphale si trattenne dal roteare gli occhi «Bene. Ai miei colleghi non piace.» si corresse, e poi arricciò il naso, come se il pensiero si fosse appena materializzato nella sua testa «Hanno anche un orrido senso della moda.» allargò le braccia, per poi far scivolare le mani sulla lunga giacca griglia che indossava «Non mi piace nemmeno il grigio!»

«Sì.» mormorò Crowley, uno specchio della disapprovazione di Aziraphale. Fece scivolare gli occhi sul suo corpo, e un lampo di afflizione gli attraversò il viso. «Non ti dona per niente.»

Aziraphale si sgonfiò, incassando il capo tra le spalle. La dolcezza e il rimorso si riflettevano nelle pieghe dei suoi lineamenti, e un sospiro affranto si mescolò al desiderio di lenire il tormento nello sguardo di Crowley. Avrebbe voluto far scivolare gli occhiali da quel viso, così da scorgere di nuovo l’universo nel giallo delle iridi. Desiderava davvero arrivare sulla cima di quella montagna e vedere ciò che gli era stato celato.

«Non farlo» sussurrò Crowley, evitando gli occhi dell’angelo. Aziraphale sbatté le palpebre. «Non guardarmi in quel modo.»

«Come?» domandò, e solo in quel momento si accorse che, dal punto in cui si trovava, riusciva a scorgere le piante di Crowley.

Crowley sorrise amaramente e fece roteare il suo bicchiere di vino «Come se non mi avessi mai lasciato per il paradiso.»[2]

Gli occhi di Aziraphale si annebbiarono «Avevo torto.» ripeté, pur sapendo quanto fosse inutile. Provò a sorridere, ma la speranza si mescolò alla tristezza «Volevo che venissi con me. Avrei-» si fermò sotto lo sguardo inquisitore di Crowley, ma non si lasciò intimidire «Avrei reso il paradiso un posto degno della tua immaginazione.»

«Non ho bisogno di loro.»

«Lo so.»

Crowley inarcò un sopracciglio «Non sembrava che lo sapessi prima.»

«Pensavo di saperlo.» ammise, trovando il coraggio di avvicinarsi. Crowley se ne accorse e si affossò sulla poltrona, la gamba ancora stravaccata sul bracciolo. «Pensavo che avremmo potuto fare la differenza.»

Crowley rise, le parole macchiate da gocce stantie di veleno «Non crogiolarti in futili scuse. Sappiamo entrambi che c’è altro dietro.» bevve un lungo sorso di vino, poi lanciò il bicchiere di lato. Aziraphale trasalì, ma il vetro non raggiunse mai il pavimento.

«Avere la certezza di lavorare per il bene, è stato rassicurante?» domandò, e la maschera di compostezza, già traballante, iniziò a frantumarsi «Ricevere una pacca sulla spalla ogni volta che eseguivi i Suoi presunti ordini- O avere il conforto di prendere una strada dove la possibilità di fare del male è pari a zero?» scosse il capo, le labbra arricciate in una smorfia «Congratulazioni, angelo. Hai svolto un ottimo lavoro. Mi hai fatto del male. Ma dovrebbe andare bene perché sono le forze del paradiso a farlo, dico bene? Punti in più se a soffrire è un angelo caduto e già dannato!»

Aziraphale lo guardò, e sentì le crepe farsi strada nel suo cuore. «Non avrei mai voluto farti del male.» ammise, perché sapeva che era l’unica cosa che c’era da dire. Non stava cercando di giustificarsi, ma sentiva il bisogno di specificarlo. C’era stato il desiderio, nascosto tra i doveri, di cambiare le cose per permettere a Crowley di tornare a creare opere nell’universo. Era stato un desiderio macchiato da egoismo, perché Crowley aveva sempre amato le stelle. E Aziraphale aveva amato osservarlo mentre dava origine alle sue creazioni.

Questa volta fu Crowley a sgonfiarsi. Aveva lasciato cadere il viso sul palmo della mano, le spalle chiuse in un bozzolo protettivo. «Qual è il dannato punto comunque?» mormorò, ricordando vagamente le parole dette a Shax «Paradiso, inferno- Sono la stessa cosa, Aziraphale. È tutto un’illusione.»

«Non dovrebbero esserlo.» replicò con rammarico, ma non negò. Ed era lì che stava il problema. Aziraphale aveva cercato di cambiare le cose. Ci aveva creduto, ma negli ultimi anni era sceso a patti con varie consapevolezze, tra cui l’impossibilità di trasformare qualcosa che resisteva al cambiamento.

Si inginocchiò davanti alla poltrona, e quando Crowley alzò lo sguardo, gli sorrise. Era un piccolo sorriso pieno di tentennante dolcezza, uno spiraglio tra le rocce, sempre più vicino alla cima.

Crowley non si ribellò quando chiuse le dita ai lati degli occhiali e li fece scivolare con delicatezza dal viso.

«Eccoti qui.» mormorò, immergendosi in quella vista tanto agognata. C’erano lacrime non versate nel giallo delle iridi, e rughe esauste ai lati degli occhi. Aziraphale non distolse lo sguardo quando poggiò gli occhiali sul pavimento.

«Fermati.» disse Crowley, ma l’ordine suonò come una supplica. Aziraphale si bloccò, la mano sospesa a pochi passi dalla sua «Non essere così crudele, angelo. Non è nella tua natura.»

«Voler rimediare al torto che ti ho fatto lo definiresti crudele?»

Crowley distolse lo sguardo e strinse le labbra in una linea sottile. Quando parlò, non riuscì a nascondere il tremolio nella voce «Non ho la forza per farlo di nuovo.» ammise. Poi scosse il capo, seppur in modo impercettibile «Diamo altra speranza a questo inutile e imperdonabile demone. È questo quello che ti passa per la testa?»

Non lo stava guardando. Aziraphale sentì un peso nel petto nel constatare quanto disprezzo ci fosse nelle parole. Non aveva neppure la certezza che fosse diretto a lui.

«Vorrei che tu l’avessi. La speranza» replicò, e questa volta non si fermò dallo stringergli la mano. La pelle di Crowley era fredda, un forte contrasto con il calore che emanava l’angelo. Crowley fece per rispondere, ma Aziraphale parlò prima che potesse continuare «E non sei nessuna delle due cose, mio caro. Vedo così tanta luce in te.»

«Aziraphale.»

«Fammi finire.» un ammonimento. Crowley lo guardò, ma non disse nulla. «Credo di avere il diritto di pensare che certe scelte del paradiso non siano state le più- sagge». A questo si guadagnò uno sbuffo.

Aziraphale roteò gli occhi «Va bene.» gli concesse, l’affetto chiaro nel tono «Sono state piuttosto… scadenti. E ho pensato-» si fermò, le parole bloccate dietro la lingua «C’è stato un momento, secoli fa, dove ho iniziato a pensare che il paradiso avesse commesso un errore.»

Crowley aggrottò la fronte, ma la sorpresa venne ben presto nascosta dietro la confusione. Rabbrividì quando sentì il freddo dell’anello di Aziraphale sfiorargli la pelle. «E quando Metatron mi ha concesso la possibilità di riportarti al tuo pieno stato angelico, ho pensato-… Ho pensato che stesse cercando di rimediare

«Angelo, è abbastanza.»

«No, non lo è.» ribatté, sollevando le mani davanti al viso. Crowley sbatté le palpebre, aprì la bocca e la richiuse «Non lo sarà fino a quando non avrò chiarito. Abbi un attimo di pazienza.»

Lo guardò, e Aziraphale restituì lo sguardo. Si schiarì la voce e sollevò il mento. Crowley si era raddrizzato sulla poltrona, le gambe che circondavano la figura inginocchiata dell’angelo.

«Sai, puoi anche alzar-»

«Mi piacerebbe essere un noi.» lo interruppe Aziraphale. C’era sicurezza nei suoi occhi, adesso fissi in quelli del demone.

L’ultima volta che Aziraphale si era aperto in quel modo, Crowley si era rifugiato dal suo sguardo. E in quel momento non desiderava vederlo rivolto ad altro che a lui. Era pronto ad afferrarlo e tenerlo per il viso, se necessario «Ho bisogno di te.»

Crowley dischiuse le labbra, attonito, ma lo stupore lasciò ben presto posto alla frustrazione «Lo stai facendo di nuovo.» ribatté, la voce abbassata in un ringhio esasperato. Non si mosse dal posto, ma tutto il suo corpo sembrava urlare di voler fuggire «Come puoi- Non posso.» ripeté e cercò di ignorare l’intoppo nelle parole. Chiuse con forza le labbra in un tentativo di ricomporsi «Oh non so neppure perché me ne stupisco. Sei sempre stato lento su certe cose.»

Aziraphale lo guardò, oltraggiato «Non credo sia il momento appropriato per insultare-»

«Non sto insultando.» ribatté. Aziraphale inarcò un sopracciglio, lo scetticismo chiaro nell’espressione.

«Non lo sto facendo!» ripeté con veemenza. Poi distolse lo sguardo «Oh per l’amor di-» borbottò, e affossò entrambe le mani sui braccioli della poltrona. Aziraphale non lo fermò quando fece forza per alzarsi. Si allontanò fermandosi accanto al tavolino, la schiena rivolta all’angelo.

Aziraphale si alzò, ma non permise all’urgenza di prendere il sopravvento «Sono qui.» mormorò. Vide la linea delle spalle del demone farsi più tesa, ma non demorse «Crowley, sono qui. Non sto cercando di portarti in paradiso. Non sto-» chiuse per un momento gli occhi e prese un respiro. Quando parlò, c’era attenzione e gentilezza nelle parole «Parlami.»

«Già, perché l’ultima volta è andata così bene.» si fece beffa, ma per la gioia di Aziraphale si girò. I suoi occhi trasudavano insicurezza «Non è la speranza il problema.» ammise dopo attimi di silenzio «Demone di merda quale sono, ho sperato. Tu eri una parte di ciò che mi dava speranza quando Dio me l’ha strappata dalle mani. E non hai idea…» un breve tremore si fece strada nelle parole. Fu un istante fugace, ma quel lieve intoppo fu pregno di agonia «Non sono stato io a tradire Dio. È stata Lei a tradire me. Ho solo-» chiuse gli occhi, quasi serrandoli. Poi allargò il petto, prendendo un lungo respiro «Non è il punto.» si disse.

Aziraphale accennò un passo in avanti, ma Crowley gli fece cenno di fermarsi «Sto divagando. Dammi un minuto.» provò «Dov’ero? Ah, sì. Giusto. Speranza. Angelo, pensi davvero che io non abbia speranza? Sono un dannato ottimista.[3] Non sarei qui se non lo fossi!»

Aziraphale dischiuse le labbra. C’erano dei punti, negli angoli opposti della sua testa, che non riusciva ancora a collegare, come se stesse tenendo un libro tra le mani privo di pagine centrali. Sfruttò il momento per diminuire la distanza, e fu sollevato quando Crowley non fece nulla per evitarlo. «Allora per quale motivo stai scappando?»

«Perché non posso permettermi di perderla di nuovo!» scattò, ed eccola lì, la possibilità di sfogliarle. Adesso somigliavano a pagine incollate le une sulle altre, a cui si doveva prestare la massima attenzione per poterle staccare.

«Non posso.» ripeté, sgonfiandosi. Scosse il capo, e un silenzio carico di tensione li avvolse. Le parole avevano lasciato spazio a un'atmosfera di attesa in cui l'aria sembrò congelarsi.

Poi, Crowley esalò uno sbuffo amaro «Deve essere davvero misericordiosa» mormorò più a sé stesso che ad altri, la voce pregna di sarcasmo «Lei non è mai tornata facendomi credere di poter riavere l’amore che mi ha tolto.»

«Crowley-»

«Va via, angelo.» disse, lo sguardo di chi aveva detto troppo. Si avvicinò e, senza volerlo, lo sfiorò mentre si piegava per prendere gli occhiali «Non ti aiuterò. Non mi interessa.»

«Non ti credo.»

Crowley fece finta di non sentirlo, le dita chiuse intorno alle aste degli occhiali. Aziraphale lo afferrò per il polso prima che potesse indossarli.

«Stai mentendo.» puntualizzò, non riuscendo a nasconderne la foga.

Per quanto riguardava l'umanità, Aziraphale aveva sempre visto oltre le menzogne di Crowley, e Crowley lo sapeva bene. Quella volta non cercò neppure di pretendere il contrario.

«Mio caro ragazzo.» esalò, adagiando le dita sulla sua guancia. Lo sentì rabbrividire sotto la pelle e con delicatezza lo sospinse di lato, in modo che i loro occhi potessero incontrarsi «Non puoi scappare per l’eternità.»

«Posso sempre provare.» mormorò senza convinzione.

«E dove ti porterebbe?» Aziraphale gli rivolse un piccolo sorriso, gli occhi che tracciavano ogni curva del suo volto. In risposta, Crowley borbottò qualcosa tra i denti, ma nulla che potesse contraddirlo.

«Da nessuna parte, ho paura.» ci tenne a precisare l’angelo, guadagnandosi una lunga occhiata irritata. Ho afferrato il concetto, sembrava voler dire.

Aziraphale non ci diede peso. Invece, indugiò nei suoi occhi, e si ritrovò imbarazzato nell’ammettere di aver fatto altrettanto con la piega delle sue labbra. Il bacio era stato piuttosto sciatto, ma non era mai riuscito a scrollarsi di dosso il ricordo e le sensazioni che ne erano scaturite. Ogni dettaglio, ogni tocco irruento e confuso, sembravano ora danzare nei meandri della sua mente.

Ma non era il momento. Risollevò lo sguardo, spingendo i ricordi da parte.

«Un ultimo sforzo.» disse.

Crowley scosse impercettibilmente il capo, una smorfia pronta a fare capolino sulle labbra.

«L’ultimo-» ripeté, il tocco ferreo tanto quanto le parole, seppur ancora macchiate da profonda dolcezza «-e potremmo dire addio all’inferno e al paradiso.»

A questo Crowley si bloccò. E così fece il tempo intorno a loro. Aziraphale lo avrebbe descritto come un lento rallentare delle lancette, fino a quando il ticchettio sarebbe diventato inaudibile. Non capiva se fosse solo la sensazione, o se, senza rendersene conto, Crowley avesse effettivamente arrestato il tempo. L'unica cosa di cui era certo fu che tutto durò pochi secondi.

Crowley lo fissò con lo stesso stupore con cui un angelo ammirava la Terra la prima volta che vi metteva piede. Paura e sorpresa facevano da cornice a uno sguardo incerto, tentennante nel cadere in una possibile trappola.

«Anche il paradiso?» domandò, riluttante, e Aziraphale annuì.

«Anche il paradiso.» confermò «Solo io e te, dopo che tutto sarà finito.»

Crowley sbatté le palpebre, e Aziraphale approfittò del momento per far scivolare entrambe le mani sulle sue braccia. Cercò di essere delicato mentre avvolgeva le dita intorno ai polsi.

La presa di Crowley si strinse allo sguardo risoluto dell’angelo. Quando le parole infransero il silenzio, qualcosa in entrambi si ruppe, come un filo ormai logorato e che aspettava solo di essere liberato.

«Sono profondamente dispiaciuto.» ammise Aziraphale alla fine, parole che con molta probabilità avrebbe dovuto dire già dall’inizio «Per averti lasciato. Per non averlo compreso prima. Ma non abbandonerò la Terra e gli esseri che la abitano.»

«Certo che non lo farai.» mormorò Crowley.

«Quindi ecco la mia nuova proposta.» Aziraphale si raddrizzò, non riuscendo a nascondere la speranza nel timido sorriso che gli rivolse «Fermiamo l’Armageddon- di nuovo, insieme. Avevi ragione quando parlavi del gran finale. Angeli e demoni contro l’umanità.[4] Questa volta sarà realmente il grande botto. Noi dobbiamo solo-… evitare che accada.»

«E’ più facile a dirsi che a farsi.» replicò Crowley, ma l’assenza di negazione ne fece solo crescere l’aspettativa.

«Certamente.» fu d’accordo «Ma abbiamo un vantaggio.»

Crowley aggrottò la fronte, e Aziraphale lo fissò in attesa. Nessuno dei due disse una parola. Poi l’angelo sollevò gli occhi al cielo e, con tono quasi annoiato, specificò: «Sono a capo del paradiso.»

«Oh, sì, giusto.»

«Ed essendo a capo posso fare un po' di… casini. Di proposito. Come- come una spia!»

Aziraphale sapeva che era inutile specificare che li aveva già combinati, i casini. E forse era altrettanto superfluo chiarire che non erano stati tutti intenzionali; tuttavia, inconsciamente, era riuscito a guadagnare abbastanza tempo per elaborare un piano e cercare aiuto. E fu con quella consapevolezza che si fece più vicino, cercando di non abbattersi nel momento in cui sentì Crowley irrigidirsi sotto le sue mani.

«Possiamo farlo.» mormorò, incoraggiante.

Lo sguardo di Crowley vagò per la stanza e oltre le spalle dell’angelo. Teneva le labbra strette, il viso teso, come se avesse bisogno di un momento per riordinare i pensieri. Aziraphale non gliene fece una colpa.

«D’accordo.» disse alla fine. Questa volta fu Aziraphale a irrigidirsi, il fiato sospeso nonostante avesse già ricevuto la sua risposta.

«D’accordo?» esalò.

Crowley accennò una smorfia «Sì, angelo. D’accordo. Facciamolo. Andiamo in pasto ai lupi. Ribaltiamo il sistema. Spodestiamo il trono e salviamo l’umanità dall’ira dell’Agnello.[5] È abbastanza chiaro adesso?»

Aziraphale sorrise. La gioia e il sollievo si riflettevano nella luminosità dei suoi occhi.

«Ma-» continuò Crowley, e il sorriso vacillò «Questo non cancella nulla.»

«No.» mormorò, e annuì impercettibilmente «No, immagino di no.»

«Mi hai fatto male.»

«Lo so. Mi dispiace.»

«Sta zitto, Aziraphale. Fammi parlare.» a questo l’angelo si morse il labbro. Il rimorso, questa volta, ebbe la meglio sulla testardaggine.

«Inutile girarci intorno, sappiamo entrambi che ti perdonerò. Non ho neanche la forza per rimanere arrabbiato. Demone modello che sono, uhm?» esalò con sarcasmo «Ma ho bisogno di certezze.» a quello Aziraphale annuì «Promesse, angelo. Ho bisogno di-» la voce subì un intoppo, l’unica crepa in quella calma apparente. Crowley respirò pesantemente, e quando parlò, la voce uscì graffiata «Non posso guardarti andartene di nuovo.»

«Non lo farò.» Aziraphale avvolse le mani sulle sue, ignorando gli occhiali che pressavano contro la pelle «Lo prometto. Ho intenzione di riparare tutto ciò che ho rotto. Ho intenzione di rimanere.» inclinò la testa in avanti, il volto talmente vicino da sfiorare la fronte di Crowley con la propria «Solo noi due. Ti piacerebbe?»

E c’erano molte cose di cui avrebbero dovuto parlare. Anni di silenzi che avrebbero dovuto rompere e riportare a galla. Ma entrambi erano stanchi, e il mondo stava per finire.

Seimila anni, dopotutto, non potevano essere racchiusi nelle strette mura di qualche ora fuggente.

«Sì», mormorò Crowley, non curandosi più di nascondere la voce rotta «Sì. Mi piacerebbe.»



 
 
 
 
[1Citazione della prima frase del libro di Good Omens. Tratto dall’opera inglese:
“It was a nice day.
All the days had been nice.”
[2] La fanfiction è inizialmente nata per un post che ho visto su Twitter (adesso chiamato X, ma odio il nome quindi continuerò a riferirmi all’app come Twitter). Tutti i crediti vanno a @astrasdoctor che ha rotto il mio cuore in piccoli pezzi con questo breve dialogo.
[3] Questa è per lo più una citazione al libro dove è specificato che, in fin dei conti, Crowley è sempre stato un ottimista. E penso che sia un qualcosa di cui Crowley è a conoscenza, ma che non ha mai ammesso nel corso dei suoi 6000 anni.
[4] Riferimento al dialogo degli ultimi dieci minuti del sesto episodio della prima stagione di Good Omens.
[5] Riferimento al passo della Bibbia nell’Apocalisse 6,12-17 (Nuova Diodati).
 

 
 
 

Note:
Se qualcuno avesse detto alla me di qualche mese fa che sarei tornata a pubblicare su efp, probabilmente gli avrei riso in faccia. Efp è stato uno di quei siti che mi ha iniziata al mondo delle fanfiction, ma che ha anche racchiuso alcune delle mie storie più imbarazzanti. Tuttavia, dopo quel finale di stagione, non sono riuscita a contenermi. Sentivo il bisogno di scrivere qualcosa, e quale sito migliore per pubblicare se non questo? Inutile dire che ho creato un account nuovo e puro come un bambino appena messo al mondo (sì, le vecchie storie sono davvero così tanto imbarazzanti).
Per questa one-shot avrei voluto un finale un po’ più agrodolce. Alla fine, ne è venuto fuori un altro, anche se – presumo - non pienamente soddisfacente. Hanno ancora molto di cui parlare e da chiarire, ma sentivo come se questa storia dovesse concludersi con Crowley e con ciò che lui stava accettando. Potrei aver sbagliato, ma ormai è fatta.
Non sono certa di quanto il fandom italiano sia attivo, e di conseguenza di quante persone vedranno questa storia, ma per chi lo farà, grazie per aver letto fino a qui. È la prima volta che scrivo di questi personaggi, seppur io li conosca dal lontano 2019. Le loro voci non le sentivo mie. Credo fermamente di non essere riuscita a catturarle appieno, ma com’è che si suole dire? Accettiamo le nostre creazioni anche con i loro difetti (forse sono l’unica a dirlo).
Ho in mente altre storielle sui nostri Ineffable Husbands, magari anche più dolci (e qualcuna un po' più spinta, anche se in un modo tutto loro). Se vedo attività qui su efp, magari farò davvero un pensierino sul postarle, anziché ripiegare ai miei stentati tentativi di auto-traduzione.


 
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: soldierarcs