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Autore: Rumyantsev    22/08/2023    1 recensioni
Aziraphale riceve consigli sentimentali da una decenne, ma in qualche modo alla fine la spunta.
[Non tiene conto degli eventi della S2]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il regalo
(e come c’è arrivato)
 
 
Olive Wilson non era una bambina come le altre. Questo era stato detto a sua madre dalla maestra, quando Olive, dopo il primo mese alle elementari, sapeva già leggere e scrivere piuttosto correttamente intere frasi. Era una bambina speciale, una bambina sveglia, una bambina fastidiosa. Imparava così in fretta che si annoiava, e quando si annoiava si metteva a giocherellare con le penne e l’astuccio, a canticchiare tra sé, a fare qualche piccolo dispetto. Piccolo però, giurava, non era colpa sua se gli altri bambini non avevano il senso dell’umorismo! Le rane e gli insetti nascosti negli zainetti facevano ridere, così come spalmare i panini degli altri bambini di salsa piccante rubata da casa.

A casa, i suoi genitori, come i maestri a scuola, non sapevano cosa farle fare. La mamma era fuori fino a tardi per lavoro, il papà aveva finito le idee per tenerla impegnata ora che Olive aveva compiuto dieci anni. Lei aveva chiesto che le comprassero una console per giocare ai videogiochi, ma la mamma era contraria. Diceva che le avrebbe bruciato le sinapsi, qualsiasi cosa volesse dire. Anche l’accesso al computer fisso della casa per lei era limitato ad una sola ora al giorno. Poteva leggere, certo, ma i suoi le compravano solo libri per bambini che Olive terminava di leggere in un soffio e la lasciavano insoddisfatta. Poi una zia le aveva regalato una batteria per il compleanno e Olive aveva cominciato a suonare incessantemente, ossessivamente, rumorosamente. Tanto che il papà alla fine l’aveva buttata fuori da casa con qualche sterlina in tasca e la promessa di non allontanarsi troppo e tornare a ora di cena.

Allora Olive aveva cominciato le piccole esplorazioni del suo quartiere e di quelli vicini. Il suo primo posto preferito diventò una stradina chiusa alle auto, appena dietro Silver Street. Le piaceva prima di tutto perché non c’era quasi mai nessuno, se non i residenti, e in secondo luogo perché le facciate delle case erano di colori pastello tutti diversi. Qualcuna aveva delle edere rampicanti sui muri e sulle inferriate dei balconi che, a fine estate, fiorivano riempiendosi di allegri puntini gialli. La strada era così silenziosa, con le case che schermavano il rumore delle auto, che Olive riusciva ad udire il ronzio delle api impollinatrici. Tuttavia quel silenzio e quello scenario, per quanto belli, la annoiarono presto.

Si era dunque spinta più lontano ed era così che aveva scoperto il negozio di libri. Era stato un sabato pomeriggio dopo la scuola. Il cielo era coperto di nuvolette grigie che ogni tanto rilasciavano una pioggerellina sottile e stanca, appena in grado di inumidirle i capelli. Olive indossava l’impermeabile rosa e le galosce gialle a pois bianchi, come suo padre aveva insistito che facesse, e si trascinava più annoiata che mai sulla strada trafficata dov’erano i negozi. Era l’unica bambina sola. Quando arrivò alla libreria, più che il posto in sé l’attirò l’insegna su cui era scritto: A. Z. Fell and Co, libri antichi e inusuali. Libri inusuali, pensò, erano proprio ciò di cui aveva bisogno. Entrò.

Fuori non c’era che un vago lucore argentato, essendo il sole coperto e prossimo a tramontare, ma dentro al negozio la luce era dorata. Entrava dalle finestre in fasci obliqui nei quali danzava fittissimo il pulviscolo. Tutta la mobilia era di un legno massello scuro, sulle cui superfici c’erano libri su libri, legati in pelle, in cuoio, in pergamena. Erano impilati sulle sedie e sui tavoli, o in fila sui piani delle librerie. Il pavimento, anch’esso in legno scuro, segnato dal tempo e dalle scarpe che lo avevano calpestato negli anni, era in parte coperto da un grosso tappeto persiano sui toni del rosso, verde scuro e blu. Al centro della stanza, poi, troneggiava un colonnato circolare che reggeva un soppalco, al quale si giungeva attraverso una scala a chiocciola dal parapetto in legno intagliato. Olive riusciva a vedere la vetrata a cupola sul soppalco: anche la luce che entrava da lì sembrava appartenere a un altro tempo.

Olive sentì di essere entrata in un mondo magico, più che in una libreria. Quando poi da dietro a uno scaffale spuntò fuori il proprietario del negozio, pensò che fosse proprio un mago.

Era un uomo tutto bianco. Dai vestiti ai capelli. Quest’ultimi in particolare colpirono Olive. Lei aveva infatti conosciuto diversi vecchi, nella sua breve vita, a partire dai suoi nonni, e aveva imparato che quelli che la gente chiamava “capelli bianchi” erano in realtà grigi. Una incongruenza che non aveva mai davvero capito. Questo signore, invece, aveva i capelli davvero bianchi.

Era rimasta a bocca aperta, così distratta che quando il signore le parlò quasi non lo sentì.

«Cara, ma sei fradicia!», le disse lui, come se fosse un’assoluta tragedia. Olive non pensava affatto di essere fradicia, ma lasciò comunque che l’uomo la guidasse a sedere sulla poltrona bergère. «Ti prendo, ecco, tieni metti questo sui capelli», le disse, porgendole un asciugamani, bianco anche quello, che aveva tirato fuori, sembrava, da dietro alla poltrona. Olive lo prese e fece come le era stato detto, pur domandandosi che razza di posto fosse quello per tenerci un asciugamani.

«Che cosa significa A punto Zeta punto?», gli domandò frizionandosi i capelli biondi.

L’uomo non fu né confuso né sorpreso. «Non saprei», le confessò dopo averci pensato su per un po’, «In tanti anni non me l’ha mai chiesto nessuno».

Quella risposta a Olive piacque, sia perché era originale e sia perché la fece sentire speciale. «Dovresti inventare qualcosa, per il prossimo che te lo chiede», disse lei.

«Hai perfettamente ragione, cara, e penso proprio che mi farebbe comodo una mano, se mai tu dovessi avere dei suggerimenti», le sorrise e le fece un occhiolino.

«E perché c’è scritto and Co?», ribatté lei.

«Oh, quello immagino si riferisca al mio… socio».

Da quel giorno Olive aveva trascorso quasi ogni pomeriggio alla libreria, il suo nuovo posto preferito. Azi, come aveva battezzato il proprietario in attesa che egli si inventasse un nome più serio, le permetteva di prendere dagli scaffali qualsiasi libro Olive desiderasse leggere. I libri che non voleva farle prendere li aveva collocati sulla mensola più alta degli scaffali che si trovavano sul soppalco, convinto che lei non fosse in grado di arrivarci. Ovviamente Olive, quando lui era distratto, sgattaiolava lassù e, servendosi di uno sgabello, li prendeva e li sfogliava lo stesso.

Aveva conosciuto il socio di Azi. Si chiamava signor Anthony. Era uno strano personaggio che sembrava esattamente il negativo di Azi. Dove uno era bianco, l’altro era nero, dove uno era morbido, l’altro era spigoloso. Olive era particolarmente incuriosita dagli occhiali neri che il signor Anthony non si toglieva mai: pensava che sotto potesse nasconderci degli occhi da rettiliano, si divertiva a fare ipotesi. Ad ogni modo, il signor Anthony le piaceva molto. La prima volta che lo aveva visto lei stava leggendo l’Iliade, sdraiata di traverso sulla bergère, mentre Azi cercava di scacciare un cliente anziano, troppo intenzionato ad acquistare una preziosa copia dell’Historia Regum Britanniae per i suoi gusti. La campanella sulla porta aveva trillato ed era entrato quest’uomo dalla camminata ondeggiante e i capelli rossi come il vino.

Era stato subito chiaro per Olive, osservando come parlava con Azi, che i due si conoscessero bene.

«Oh, caro, sei tornato!», Azi chiamava caro chiunque stesse fermo davanti a lui abbastanza tempo da permetterglielo.

«Mmmh», aveva risposto l’altro con una scrollata di spalle, «Spero che tu non abbia toccato le mie piante».

«Perché hai un tatuaggio in faccia?», gli aveva chiesto Olive, intromettendosi, dopo aver notato un piccolo serpentello disegnato sotto l’orecchio del nuovo arrivato.

Il signor Anthony l’aveva squadrata da capo a piedi. «Tu perché non ce l’hai?», le aveva chiesto. Era una domanda giusta, le parve.

«Tu sei il socio?», aveva domandato. Il signor Anthony aveva guardato prima Azi e poi, vedendo che quest’ultimo annuiva, aveva risposto affermativamente. Azi l’aveva presentato come Anthony Crowley, lei si era presentata come Olive Wilson.

«Allora, signor Anthony, qual è la tua opinione riguardo al mettere le rane negli zaini degli altri bambini?».

Il signor Anthony non ci aveva pensato un secondo: «Esilarante. Assolutamente divertente», era stata la sua risposta. Nel frattempo, l’anziano signore era scappato via con il libro, lasciando qualche banconota incastrata tra due volumi su uno dei tavolini di Azi.

Olive decise che anche il signor Anthony, come Azi, era suo amico. Il signor Anthony, scoprì, viveva assieme ad Azi nell’appartamento comunicante con la libreria. Aveva una stanza che a Olive piaceva tantissimo. Aprivi la porta e ti ritrovavi in mezzo a una giungla. C’erano piante in vaso di tutte le dimensioni e forme, a terra, sugli scaffali, sulle mensole. La mamma di Olive non le avrebbe mai permesso di occupare una stanza della casa con sole piante.

Il signor Anthony le aveva insegnato il segreto perché crescessero rigogliose.

«La paura»
«La paura che muoiano?»
«La loro paura che tu le uccida».

Olive aveva preso l’abitudine di sfogliare gli erbari che trovava nella collezione di Azi. Se il signor Anthony la vedeva le suggeriva, indicandole da sopra la sua spalla, tutte le fragilità emotive di una data pianta: «Questa si spaventa con i rumori forti, a questa devi far vedere dei fogli di carta, con questa qua ci vuole la tortura, devi amputare qualche foglia a scopo dimostrativo» eccetera.

Olive era convinta che Azi e il signor Anthony fossero due stregoni, dal momento che quando c’erano loro accadevano sempre cose strane. Oggetti che apparivano e scomparivano, o cambiavano posto senza una logica, musica che partiva da sola dal grammofono vuoto o il tempo atmosferico che cambiava da fuori a dentro il negozio, per esempio. La cosa non la preoccupava nemmeno un po’, dal momento che entrambi la trattavano come nessun altro adulto faceva. Come se Olive fosse una bambina speciale, sì, sveglia, anche, ma non fastidiosa.

Non poteva sapere, né l’avrebbe mai saputo, che Azi era in realtà un angelo di nome Aziraphale e il signor Anthony un demone, il cui vero nome era semplicemente Crowley. Aveva indovinato la loro natura soprannaturale, e loro avevano capito la sua brillante.

Un’altra cosa di cui si era convinta, osservandoli, era che i due fossero innamorati. Lo aveva capito dal modo in cui il signor Anthony si piegava su Azi per sistemargli il colletto, da come gli portava dolci da mangiare e gli preparava il tè. Da come Azi si illuminava ogni volta che il signor Anthony entrava nella stanza, da come si metteva sempre vicinissimo a lui, quasi gli fosse attaccato con una molla strettissima. A volte, poi, e questa per Olive era stata la prova definitiva, Azi e il signor Anthony litigavano. Erano litigi come quelli che avevano la mamma e il papà di Olive. Si soffiavano addosso come due gatti arrabbiati, abbassando la voce perché lei non li sentisse – ma lei li sentiva eccome – e alla fine, seppur immusoniti per un po’, tornavano più vicini di prima. Eppure, non erano una coppia nel senso in cui lo erano la mamma e il papà. L’aveva scoperto parlando con loro: entrambi negavano indefessamente. Olive aveva passato diverso tempo a chiedersi se le sarebbe piaciuto oppure no se Azi e il signor Anthony fossero diventati una coppia, ed era giunta alla conclusione che sì, le sarebbe piaciuto, a condizione che non cambiassero atteggiamento verso di lei. Che Azi continuasse a parlare con lei e a permetterle di leggere ciò che voleva e che il signor Anthony non smettesse di insegnarle a minacciare le piante.

Il giorno che successe il fatto, Olive era appena arrivata al negozio. Azi stava rifacendo l’inventario perché gli era arrivata, quella mattina sul presto, una nuova quantità di libri da parte di una collezionista venezuelana con cui era in contatto da anni, che se ne era voluta disfare per via di un trasloco. Il tavolino intarsiato che di solito stava al centro del negozio era stato spostato per fare spazio agli scatoloni. In un angolo, sul fondo del negozio, due signore civettavano, cariche di buste di un precedente shopping, sfogliando qualche volume.

Olive aveva salutato Azi e si era andata a sedere al solito posto, tra la scrivania e il grammofono, di fronte alla finestra. Quel giorno c’era il sole sia fuori che dentro, sebbene dentro la luce fosse sempre di una nota più dorata. Olive aveva ripreso a leggere Tempi Difficili da dove l’aveva lasciato, cioè quando Gradgrind comunica a Louisa l’intenzione di Bounderby di sposarla, mentre in sottofondo non poteva fare a meno di sentire i discorsi delle signore.

«Si sposa tra una settimana e non aveva ancora pensato a cosa indossare di nuovo e di prestato!», diceva una.

«Be’ ma tua nipote non mi sembra molto attenta alle tradizioni!», rispondeva l’altra.

«Meno male che ci sono io», sospirava la prima agitando le buste che aveva in mano.

«Con tutti questi pacchetti mi sento un mulo da soma!», esclamava l’altra.

Immersa sempre più nella sua lettura, Olive si ridestò quando sentì Azi esclamare: «Be’, caspita, come ci è finito qui questo?». Olive alzò lo sguardo verso il punto in cui Azi stava fermo, davanti agli scatoloni dei nuovi libri, tenendo tra le mani il coperchio di una scatolina di cartone celeste. Olive gli si avvicinò. 

Nella scatola, appoggiata su una bambagia rosata, stava una striscetta di pizzo bianco finemente lavorato in motivi floreali, larga non più di una decina di centimetri, al centro della quale spiccava un fiocco di sottile nastro blu.

«Cos’è?», chiese Olive.

«Non saprei», le rispose Azi. Prese in mano l’oggetto che si rivelò essere di forma circolare.

«Sembra un colletto», ipotizzò Olive, e glielo prese di mano per infilarselo al collo. Era elastico e le passò dalla testolina senza problemi.

Nella mente dell’angelo Aziraphale si erano affacciati una serie di pensieri. In primo luogo, non si spiegava perché quella scatolina fosse finita tra i suoi libri, e pensò di chiedere a Crowley, una volta che fosse rincasato. Era stato infatti Crowley a ricevere il corriere, mentre Aziraphale si preparava un tè in cucina. Poi, quell’oggetto gli suscitava il ricordo di qualcosa che in realtà Aziraphale conosceva molto bene. Le aveva viste per la prima volta nell’800, in Vaticano: stringevano le calze sotto ai ginocchi di Carlo Magno. All’epoca, però, erano semplici strisce di cuoio marrone. Solo in seguito sarebbero nate quelle in tessuto semplice prima, e in seta imbottita con le molle di metallo, poi. Aziraphale stesso ne aveva indossate di decoratissime, finché non era stato inventato l’elastico e i calzini avevano cominciato a tenersi su da soli. Ma perché qualcuno avrebbe dovuto mettere una giarrettiera tra i suoi libri? Un oggetto che ormai non vedeva più da almeno un secolo. L’Ordine della Giarrettiera, di cui lui aveva fatto parte diverse volte nel corso della storia, ovviamente le usava ancora, ma dubitava che l’investitura avvenisse tramite l’invio di giarrettiere a domicilio. Perché poi re Carlo avrebbe dovuto insignirlo di un tale titolo, dal momento che Aziraphale aveva cessato i rapporti con la famiglia reale – tranne quell’occasione in cui aveva preso il tè con Elisabetta, ma era una storia complicata - nel momento in cui erano nati i paparazzi e i tabloid?

Olive si era sfilata la striscia di pizzo dal collo e lo guardava da sotto in su. «Dalla scatola mi sembra un regalo», gli disse.

«Ma chi mi farebbe un simile regalo?», chiese Azi.

«Il signor Anthony», rispose Olive, stringendosi nelle spalle. Non aveva mai visto che signor Anthony facesse un regalo a qualcuno, certo, ma non faticava a immaginare che ad Azi avrebbe potuto farne.

«Perché mai dovrebbe regalarmi una giarrettiera?», ponderò Aziraphale, ormai persuaso che l’oggetto misterioso fosse proprio quello.

«Perché ti vuole bene e vuole che tu abbia un bel colletto», ribatté lei. Non era forse quello il senso di ogni regalo, si chiese.

Aziraphale non sapeva se Crowley gli volesse bene oppure no. Lui certamente gli voleva più che bene, ma non ne avevano mai davvero parlato. Dubitava, comunque, che Crowley potesse scegliere un metodo tanto strano per comunicargli affetto. «Non saprei», rispose riprendendo la giarrettiera dalle mani di Olive. Se la rigirò tra le dita, osservandola. Crowley non ne avrebbe scelta una nera? Oppure poteva aver pensato ai gusti di Aziraphale, più che ai propri…

«Potresti chiederglielo», suggerì Olive, e se ne tornò al suo libro.

Aziraphale mise da parte la scatola per dedicarsi all’inventario. Nel frattempo, non poteva impedirsi di rimuginare sulla questione. Olive aveva piantato in lui un seme che già germogliava rigoglioso. Non poteva negare a se stesso che gli sarebbe piaciuto molto ricevere un regalo da Crowley, e fu alla luce di quel desiderio che l’ipotesi che potesse essere stato proprio lui il misterioso donatore cominciò ad acquistare forza nella fantasia di Aziraphale. Pensò che forse, come era accaduto tante altre volte, Crowley era a conoscenza di una tradizione umana che Aziraphale ignorava. Magari una giarrettiera, così come un mazzo di fiori di un certo tipo e colore, comunicava un messaggio particolare.

Olive, che nel frattempo era rimasta in silenzio nel suo angolo, intervenne nuovamente: «Azi, io so cos’è!», esclamò come se avesse avuto un’epifania, «Lo aveva mia cugina: se lo mettono le spose il giorno del matrimonio!».

Quell’affermazione e la breve, imprecisa, spiegazione che ne seguì incendiarono le gote di Aziraphale. Possibile che Crowley…? Riprendere l’inventario gli fu impossibile da quel momento. Quando il padre della bambina fu venuto a riprendersela e lui ebbe chiuso il negozio, prese la scatola con la giarrettiera e l’andò a nascondere in una delle stanze con i libri. Si sentiva preda di un vortice di emozioni inafferrabili.

Quando sentì che Crowley entrava dalla porta principale – non poteva essere altri che lui, a quell’ora – Aziraphale quasi gli corse incontro.

Crowley, che aveva appena fatto un passo nella libreria e si stava togliendo gli occhiali, liberando gli occhi che erano da rettile e non rettiliani, come pensava Olive, si trovò dinanzi l’angelo e gli parve da subito stranamente concitato.

«Crowley, caro, sei stato a tu ritirare i miei pacchi questa mattina?», gli domandò.

Crowley alzò un sopracciglio. «Chi altri sennò?», rispose.

«E per caso ti è capitato di notare qualcosa di strano?».

Crowley cominciò ad allarmarsi. Il suo sguardo si posò sugli scatoloni ancora intatti. Aziraphale non si risparmiava mai quando c’era da inventariare nuovi libri antichi, a meno che ad impedirglielo non fosse qualcosa di davvero, davvero grave. Grave al livello dell’Apocalisse. «Che sta succedendo?», s’incupì, in attesa di una brutta notizia.

Di contro, Aziraphale gli sembrò stupirsi, ma si riscosse subito. «Niente, caro, davvero niente!», si affettò a chiarire, intuendo l’allarme nella voce dell’altro. Per quanto Crowley si sforzasse di dissimulare, Aziraphale lo leggeva sempre come un vecchio tomo familiare. «Mi chiedevo se avessi visto un pacchetto extra… o se ce l’avessi messo tu», l’ultima parte la pronunciò come un soffio, veloce e sottile.

«No», rispose Crowley, ignaro, mentre le speranze di Aziraphale si sgonfiavano, «Te l’avrà mandato la venditrice come regalo». Crowley dava per scontato che questo pacchetto in più di cui Aziraphale parlava contenesse un altro libro.

Aziraphale lasciò perdere il discorso, sconfitto, e si ritirò a rimuginare mestamente sul perché la collezionista venezuelana avesse voluto fargli avere una giarrettiera. A meno che Crowley non gli avesse mentito, pensò, e il pensiero lo fece illuminare. Era un demone, se n’era forse dimenticato?!

Il giorno dopo Olive, entrando nella libreria, trovò Azi in un angolo che cospirava a bassa voce con Nina, la barista del caffè dirimpetto. Nina non aveva molta pazienza con i bambini, per questo Olive non ci aveva mai davvero avuto a che fare, ma quando veniva a trovare Azi e c’era anche Olive, si premurava sempre di portarle un dolcetto. Siccome la conversazione che stavano avendo le sembrava interessante, si avvicinò quatta quatta a loro e, riparata dai loro sguardi da uno scaffale, origliò.

«Be’ è vero, si usa ai matrimoni, lo sposo lo sfila dalla gamba della sposa con i denti», diceva Nina.

«O Cielo!», squittì Azi. Se Olive avesse potuto vederlo in faccia, lo avrebbe trovato scarlatto sino alla punta dei capelli. «Ma lui non vorrà…».

«Signor Fell, se avesse voluto farle una proposta di matrimonio le avrebbe regalato un anello, non quella», ragionò Nina.

«Ma allora che significato ha?»      

«Credo», Nina esitò, guardandosi attorno per vedere se qualcuno ascoltava, senza notare la testolina bionda di Olive dietro allo scaffale, «Mi sembra una cosa sessuale», disse a voce più bassa. Olive fece una smorfia schifata, ma era troppo incantata dall’idea di scoprire un segreto degli adulti per smettere di ascoltare.

«Come?!», esclamò Azi, la cui voce era schizzata sopra di un’ottava.

«Ci pensi: se lui desidera fare sesso con lei ma si vergogna a chiederlo, potrebbe averle lasciato questo indizio sperando che lei cogliesse senza bisogno di spiegare. Ecco perché ha negato di aver messo lui lì il pacco». In tutta onestà Nina non era convinta di quella teoria. Soprattutto non credeva che Crowley avesse messo una giarrettiera tra i libri di Fell, ma capiva che Fell se n’era convinto perché voleva profondissimamente e intensamente che l’altro l’avesse fatto, e non credeva fosse un male assecondarlo se il risultato era che quei due finissero assieme, finalmente. Da mesi ormai si era avveduta di come Crowley fissava Fell, seguendo i suoi movimenti come un satellite col suo pianeta, e di come Fell guardasse a Crowley come si guarda un’opera d’arte in un museo.

«Come avrei potuto capirlo da una giarrettiera?», si lamentò Azi.

Nina si strinse nelle spalle.

Olive sorrise segretamente tra sé, un po’ disgustata ma curiosa di sapere come sarebbe andata a finire.

Crowley si trovava alla guida della sua Bentley. Era andato fuori città per incontrare una vecchia conoscenza demoniaca che gli doveva delle informazioni. Dopo che lui e Aziraphale avevano sventato l’Apocalisse, non c’erano creature né Sopra né Sotto che fossero autorizzate a parlare con loro, ma Crowley sapeva bene su cosa fare leva per spingerli ad incontrarlo comunque. Non che gli importasse cosa accadeva in quei maledetti posti pieni di idioti e ottusi, ma pensava di dover essere informato perché se fosse scoppiato un altro disastro lui, Crowley, doveva essere pronto. Chi altri poteva tenere al sicuro Aziraphale? Anche se lo faceva impazzire, anche se viziava le sue piante e non metteva mai in ordine la sua roba in giro per casa, quell’angelo lui… Evitò di pensarci, tanto non poteva farci nulla.

Arrivò a Londra che era sera. I negozi stavano chiudendo, restavano solo i neon delle insegne e i lampioni a gettare sulla strada le loro luci colorate. C’erano in giro gruppi di ragazzi schiamazzanti che andavano ad ubriacarsi nei pub. Crowley sfrecciava tra la folla e tra le auto in attesa ai semafori senza curarsi di alcuna legge della strada. Arrivato al negozio di libri antichi, smontò e lasciò che l’auto andasse a parcheggiarsi da sola dove più le piaceva: essa infatti non gradiva restare in quella strada, era troppo trafficata e non ci riposava bene.

Dentro, Aziraphale non c’era. Era una cosa insolita, ma qualche volta era capitato che fosse stato invitato a cena da qualche vicino – di solito, dalla sua affittuaria Maggie. In quelle occasioni aveva lasciato un biglietto per Crowley attaccato sulla porta che conduceva nell’appartamento, sul fondo del negozio. Quella volta non c’era nulla. Crowley allora entrò e si mise a cercare Aziraphale. Non c’era né nelle stanze dei libri, né nella stanza delle piante.

Quando si era trasferito lì, Aziraphale aveva deciso che Crowley doveva avere per sé una stanza da letto. Aziraphale solitamente non dormiva, ma sapeva che Crowley si concedeva pisolini a volte lunghi anche un paio di secoli, perciò aveva liberato una stanza dai suoi libri e aveva lasciato a Crowley carta bianca su come arredarla. Crowley l’aveva innanzitutto ingrandita con un miracolo, e ora da sola sarebbe potuta essere essa stessa un appartamento. La aveva lastricata di un marmo grigio blu che dava l’impressione di essere in un ambiente sottomarino, ma anche in un tempio moderno. Ci aveva messo la statua di pietra che teneva nel suo precedente appartamento, con l’angelo e il demone intrecciati in una feroce lotta corpo a corpo, i suoi mobili barocchi con inserti in marmo rosso laddove tradizionalmente c’era il legno, la sua poltrona à la Reine. E ovviamente, il letto, anche quello barocco, con baldacchino indorato e tendaggi vinaccia, proprio in mezzo alla stanza. Se Aziraphale non avesse insistito perché non dormisse con le piante in camera – a nulla era servito ricordargli che Crowley, come lui, non respirava -, ci avrebbe messo pure quelle.

In quella stanza Aziraphale non entrava mai, non ne aveva motivo, perciò quando Crowley arrivò a girare la maniglia per entrarci, già non pensava più di trovarlo in casa. Quello che trovò per poco non lo fece cascare per terra.

Aziraphale, nelle ore in cui la Bentley di Crowley imprimeva scie di fuoco sull’asfalto, alla volta di Londra, si era preparato con estrema cura. Il luogo designato era sicuramente la camera da letto di Crowley, per i motivi di cui si è detto sopra: dal momento che lì Aziraphale non c’era mai stato, avrebbe accresciuto l’effetto sorpresa. Per l’abbigliamento, oltre alla giarrettiera, fu indeciso fino all’ultimo. Studiò i panciotti che aveva: bianco avorio, bianco latte, bianco antico… Non avrebbero sposato bene il colore bianco puro del pizzo della giarrettiera, perciò rinunciò presto a metterli del tutto. Sulle mutande invece, restò ad architettare parecchio. Non aveva mai abbandonato le comode brache ottocentesche, ma per quel che doveva fare quella sera erano decisamente inadatte. Alla fine, con mestizia, fece un piccolo miracolo del quale sperava che nessun angelo sarebbe mai venuto a chiedergli conto. Aveva anche provato a chiedere al grammofono un po’ di musica. «Qualcosa di eccitante», ed era partito un rondò, «Più esplicito», ed era partita Like a virgin, «Meno esplicito», era tornato il rondò. Aveva rinunciato alla musica. Si era dunque vestito come aveva deciso e si era recato in camera di Crowley per attenderlo, cercando di calmare il rossore e le mani tremolanti di emozione.

Lì Crowley lo aveva trovato: sdraiato sul suo letto, tutto nudo eccetto che per gli slip bianchi che gli coprivano i genitali, sebbene non ne nascondessero affatto la forma, e la giarrettiera a cingergli una coscia rosea.

Crowley rimase pietrificato, boccheggiante, sotto lo sguardo carico di aspettativa dell’angelo.

«Sei… Stai aspettando qualcuno?», riuscì ad articolare infine, dopo un lunghissimo minuto. La voce gli era uscita fuori come il rantolo di un moribondo.

Aziraphale aggrottò le sopracciglia: «Cosa vuol dire sto aspettando qualcuno?!».

Crowley rimpianse di essersi tolto gli occhiali e averli lasciati da qualche parte nel negozio. Se solo li avesse avuti avrebbe potuto mascherare quanto stava guardando, visto che di guardare da un’altra parte non gli riusciva. «Voglio dire…», tentò, «Di solito non vai a letto... Soprattutto nel mio letto... Soprattutto vestito così...», sarebbe stato più corretto dire svestito, probabilmente, ma Crowley non riusciva a pensare ad altro che non fosse quella carne così morbida…

Aziraphale si tirò su a sedere, con un sopracciglio alzato: «Crowley, caro, stai davvero cercando di avere una conversazione in questo momento?».

«Cosa preferiresti che facessi?», chiese, perché, pensò, se me lo chiedi adesso potrei anche inginocchiarmi e leccare il pavimento.

«Non saprei… Forse…», Aziraphale si mosse in modo da accavallare la gamba con la giarrettiera sull’altra, per metterla ben in evidenza, «Venire qui e goderti il regalo che mi hai fatto». Dentro sentiva il cuore fare cento battiti al secondo e un nodo in gola, ma si sforzò di sembrare seducente. Crowley, dal canto suo, non pensò neanche per un attimo che non lo fosse.

«Godere…», Crowley non poté fare a meno di ripeterlo a bassa voce, trasognato, finché un pensiero non gli fulminò l’unico neurone rimasto vivo dopo questo attacco dell’angelo. «Quale regalo?», chiese.

Aziraphale si congelò nell’atto di allungarsi sul letto per mostrare meglio la mercanzia. Capì solo allora che errore aveva commesso. «Oh cielo, questo davvero non era un tuo regalo, vero?», si coprì i capezzoli con un braccio e tirò su le gambe per nascondersi un po’, «Sono mortificato», gemette, passandosi la mano libera tra i capelli in un gesto disperato. Non sapeva come potersi scusare, dopo un’impresa del genere!

«Angelo, quale regalo?», insisté Crowley.

«La giarrettiera», spiegò Aziraphale, con una vocina piena di vergogna, «L’ho trovata sugli scatoloni che hai ritirato dal corriere e ho creduto che tu… Dapprima la piccola Olive ha parlato di matrimonio e poi… poi Nina… Oh sono mortificato, vorrei che la terra m’inghiottisse. Caro, spero potrai perdonare questa mia presunzione, quest’assoluta scortesia-».

«Angelo», Crowley aveva sollevato una mano per fermare il suo flusso di coscienza. Qualche ingranaggio del suo cervello stava riprendendo a girare, ora che non vedeva più certe parti del corpo di Aziraphale. «Pensavi che te l’avessi regalata io e hai fatto… Questo?», indagò, cercando di inquadrare la situazione.

Aziraphale, pur sentendosi sempre più umiliato, annuì: «Credevo fosse quello che volevi».

«Che io volevo?», Crowley incrociò le braccia, «E tu cosa volevi invece?».

«Io…», Aziraphale esitò, «Ero io a volerlo, così tanto che ho confuso il mio desiderio con il tuo», ammise, facendosi piccolo e distogliendo lo sguardo. Nel suo campo visivo capitò la statua dell’angelo e del demone.

Crowley gonfiò il petto come un passero, colmo di una euforia incontenibile. L’angelo, Aziraphale, pensò, voleva lui. Ci mancò poco che dispiegasse le ali e prendesse il volo nella stanza. «Non ti avrei mai regalato una cosa del genere, Aziraphale. Pensavo di correre troppo per te», disse. Aziraphale tornò a guardarlo. «Ma mi sembra che tu abbia abbattuto il muro del suono», concluse. La sua bocca si inarcò in un sorriso un po’ storto ma sincero, che confuse Aziraphale.

«Allora, non sei arrabbiato con me, caro?», domandò.

«Arrabbiato? Non direi», rispose Crowley, «Ma se me lo chiedessi non ti rifiuterei una sculacciata». Come quelle parole ebbero lasciato le labbra di Crowley, arrossirono entrambi.

«Caro non restare lì impalato. Vieni qui a togliermi questa», disse Aziraphale, il primo a riprendersi, mostrando la coscia cinta dalla giarrettiera.

Crowley si sfilò la giacca e prese a sbottonarsi il panciotto a velocità da record. «Preferirei che tu la tenessi», dichiarò.

Aziraphale gli rivolse uno sguardo furbo da sotto alle ciglia. «Mmmh», accarezzò il pizzo con un dito, «Ma potresti sfilarla… con i denti». E Crowley non se lo fece ripetere due volte: si tuffò su di lui come un pesce nel mare.

Il lettore a questo punto si chiederà: se non è stato Crowley a regalare la giarrettiera ad Aziraphale, allora chi è stato?

Ecco, se il giorno in cui la scatola è stata ritrovata Aziraphale non fosse stato così impegnato ad organizzare l’inventario, si sarebbero accorto che una delle due signore presenti in quel momento nel negozio aveva appoggiato le sue buste dello shopping per terra. Se avesse alzato lo sguardo su di lei avrebbe visto che, nel riprenderle in mano prima di uscire, la scatolina della giarrettiera era scivolata fuori da una di esse senza che la proprietaria o la sua compagna lo notassero.

Aziraphale non l’aveva visto, ma la piccola Olive sì, con la coda dell’occhio. Curiosa, era andata in punta di piedi ad aprire il pacco per vedere cosa fosse, attenta a non farsi scoprire da Azi, che sicuramente non le avrebbe permesso di spiare. Una volta aperto, aveva capito quasi subito cosa contenesse e, prima di richiudere la scatola, aveva già ordito un piano. Aveva posizionato la scatola sugli scatoloni, aveva fatto finta di non sapere niente, aveva dato ad Azi l’idea che fosse un regalo del signor Anthony, gli aveva parlato di matrimonio… Certo, l’intervento di Nina non l’aveva previsto, né si immaginava che esito pratico aveva avuto, ma alla fine, constatò quando, tornando al negozio, trovò Azi e il signor Anthony che si tenevano per mano, l’effetto sortito era proprio quello che lei voleva.

Quando, la mattina dopo gli ultimi eventi narrati, la signora delle buste tornò al negozio e bussò, le venne a rispondere un Crowley tronfio, scompigliato, in vestaglia nera di velluto, con il collo la mascella tumefatti di succhiotti. Lei gli chiese della scatola e Crowley, con un miracolo, fece comparire dentro ad un cassetto della scrivania una giarrettiera nuova.

Quella originale giaceva da qualche parte sul suo letto, nel groviglio delle lenzuola disfatte, sgualcita, là dove il suo angelo era ancora beatamente addormentato.
   
 
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