Hybrid thoughts
Torre di Carta
45. Sangue
Holger è lento, è fottutamente lento.
Ma va bene così.
Dopotutto, è il suo tatuatore di fiducia proprio per quello.
Melon ha trovato un'altra chiazza nell'interno coscia, quella mattina.
(Un altro sfregio, un altro deturpamento, un'altra incrostazione che deve assolutamente rimuovere).
Così si è recato da Holger per cancellarla e sostituirla con l'ennesima foglia di melone: ha perso il conto già da tempo e non sa quante ormai tappezzano il suo corpo slanciato.
Il sangue cola a fiotti, potrebbe morire dissanguato da un momento all'altro, ma a lui non importa; Holger è un fottuto bradipo e porca troia, quella lentezza maniacale lo fa impazzire al punto tale da sentirsi maledettamente vivo.
E nella viscosità del sangue, Melon nuota e ride come un pazzo.
E respira.
50. Euforia
Non riesce a frenarsi, è più forte di lui.
Sta ridendo e impazzendo nello stesso istante, gode come non ha mai fatto in vita propria e uno strano tipo di euforia si impossessa del suo corpo, sconquassandolo da capo a piedi.
Holger non si accorge di un cazzo, come sempre, e tra altre sei ore partirà il suo monologo a scoppio ritardato, tutte le risposte che da fottuto bradipo quale è non può dargli nell'immediato.
(«Melon, vedi di stare fermo, altrimenti rischio di sbagliare»).
(«Melon, non ridere così forte, o spaventerai gli altri clienti»).
(«Mi piace parlare con te, Melon, anche se sei fin troppo esagitato»).
E continua a ridere, a sentirsi vivo nel dolore.
Un altro pezzo di maman sta sparendo piano piano.
47. Lingua
Hanno finito.
Holger di sventrarlo con l'ago pregno di inchiostro e Melon di ridere come un dannato.
È steso sul lettino, la gamba martoriata e priva di sensibilità, la lingua di fuori come se avesse corso una maratona — e in un certo senso è proprio così.
Sposta lo sguardo sul pavimento e si perde ad ammirare il lago vermiglio che lo ricopre.
Vorrebbe passarci la lingua sopra e assaggiarsi, cercare disperatamente un sapore che non conosce, qualcosa che non sia il monotono gusto della sabbia.
Poi però ricorda che nelle sue vene scorre anche il sangue di maman e sarebbe come affondare i canini nella sua carne maledetta.
Meglio di no, allora: sarebbe come ucciderla una seconda volta e la prima gli è bastata.
Per ora.
Torre di Carta
45. Sangue
Holger è lento, è fottutamente lento.
Ma va bene così.
Dopotutto, è il suo tatuatore di fiducia proprio per quello.
Melon ha trovato un'altra chiazza nell'interno coscia, quella mattina.
(Un altro sfregio, un altro deturpamento, un'altra incrostazione che deve assolutamente rimuovere).
Così si è recato da Holger per cancellarla e sostituirla con l'ennesima foglia di melone: ha perso il conto già da tempo e non sa quante ormai tappezzano il suo corpo slanciato.
Il sangue cola a fiotti, potrebbe morire dissanguato da un momento all'altro, ma a lui non importa; Holger è un fottuto bradipo e porca troia, quella lentezza maniacale lo fa impazzire al punto tale da sentirsi maledettamente vivo.
E nella viscosità del sangue, Melon nuota e ride come un pazzo.
E respira.
50. Euforia
Non riesce a frenarsi, è più forte di lui.
Sta ridendo e impazzendo nello stesso istante, gode come non ha mai fatto in vita propria e uno strano tipo di euforia si impossessa del suo corpo, sconquassandolo da capo a piedi.
Holger non si accorge di un cazzo, come sempre, e tra altre sei ore partirà il suo monologo a scoppio ritardato, tutte le risposte che da fottuto bradipo quale è non può dargli nell'immediato.
(«Melon, vedi di stare fermo, altrimenti rischio di sbagliare»).
(«Melon, non ridere così forte, o spaventerai gli altri clienti»).
(«Mi piace parlare con te, Melon, anche se sei fin troppo esagitato»).
E continua a ridere, a sentirsi vivo nel dolore.
Un altro pezzo di maman sta sparendo piano piano.
47. Lingua
Hanno finito.
Holger di sventrarlo con l'ago pregno di inchiostro e Melon di ridere come un dannato.
È steso sul lettino, la gamba martoriata e priva di sensibilità, la lingua di fuori come se avesse corso una maratona — e in un certo senso è proprio così.
Sposta lo sguardo sul pavimento e si perde ad ammirare il lago vermiglio che lo ricopre.
Vorrebbe passarci la lingua sopra e assaggiarsi, cercare disperatamente un sapore che non conosce, qualcosa che non sia il monotono gusto della sabbia.
Poi però ricorda che nelle sue vene scorre anche il sangue di maman e sarebbe come affondare i canini nella sua carne maledetta.
Meglio di no, allora: sarebbe come ucciderla una seconda volta e la prima gli è bastata.
Per ora.