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Autore: Florence    04/09/2023    7 recensioni
Recita un antico proverbio cinese: "Se l'amore vuoi trovare, cinque salti hai da fare".
Ecco... Più o meno... Imparare ad amarsi è la cosa più difficile per Ranma e Akane. Troppe implicazioni, troppi pettegolezzi, troppa pressione, troppa timidezza e troppo imbarazzo solo a pensarlo.
Perché se le cose non sono immediate, ai nostri cari bambini con le fette di prosciutto sugli occhi non piacciono! Quindi, preparatevi a tanto fluff tanta dolcezza, tante situazioni nell'ennesima rivisitazione di come fu che l'Uomo col Codino e la Donna col Destro D'acciaio finirono per capitolare...
Buona lettura!
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia prima fanfic relativa alle avventure di Ranma & Co, scaturita dalla necessità quasi fisica di scriverne anch’io che ho provato nel leggere tantissime fanfic qua su EFP.

Devo ringraziare autrici e autori come TigerEyes, Giorgi_b, moira78, Kuno84, Subutai Khan, ma anche tantissimi altri, per avermi regalato bellissimi momenti di svago e emozioni fortissime con le loro parole, la fantasia e le trame travolgenti che hanno ideato. Ho passato una bella estate a leggere praticamente tutte le loro storie su Ranma e mi sembra doveroso un ringraziamento sincero.

Ma più di tutti devo ringraziare Giorgi_b e TigerEyes, perché mi sono fatta coraggio, le ho contattate personalmente per congratularmi con loro e ho trovato due persone d’oro, altruiste, competenti, disponibili, deliziose che mi hanno aiutata nella revisione e correzione di questa mia prima o-s ranmesca. Senza i loro consigli, questa storia sarebbe stata molto, molto più brutta di così, ma soprattutto sono rimasta senza parole di ringraziamento per il modo gentile e caloroso con cui mi hanno davvero sostenuta e accolta. Grazie, grazie infinite ragazze!

Infine ci tengo a precisare che la parte finale di questa storia è stata ispirata alla fanfic “Dire, fare, baciare, lettera, testamento” di Giorgi_b. Eccezionale ragazza, eccezionale!

Mi è stato consigliato di specificare che la mia conoscenza di Ranma ½ può attualmente dirsi limitata all’anime: probabilmente alcuni atteggiamenti dei personaggi in questa storia non saranno del tutto fedeli all’originale del manga, ma più simili a quelli delle loro controparti semoventi. Perdonatemi quindi se, in qualche passaggio, vi potranno apparire lievemente OOC!

 


 

Cinque piccole cose

 
 
La prima cosa che impararono ad amare furono gli abbracci.
La sensazione di pienezza tra le mani, quando al posto del vuoto c'era il corpo dell'altro, il senso di gravità che provavano, il piacere di sentire materia viva stretta a sé, l'obnubilamento dei sensi per un profumo pari a droga.
 

Era il solo contatto fisico che si concedessero, necessario per sfuggire da tutte le situazioni ingarbugliate in cui si cacciavano, sufficiente per ricordarsi di appartenere tacitamente l'un l'altra, oltre l'imposizione esplicita delle rispettive famiglie. 
In quegli attimi sospesi tra tempo e vento, l'imbarazzo di stare così vicini spariva e intanto affioravano alla pelle sensazioni ancestrali, quasi il ricordo tattile di un antico contatto con qualcuno che li avesse protetti e coccolati in un tempo ormai svanito. 
 
Quando era stata l'ultima volta che Ranma si era sentito avvolto dalla sicurezza di un abbraccio senza dover dimostrare di meritarselo, di essere 'abbastanza'?
Forse… no, non gli veniva in mente un momento cosciente del suo passato in cui si fosse sentito amato e basta. Forse prima di essere strappato dall'amore della mamma? Ma se neanche si ricordava di sua madre, prima di averla rivista con una katana in mano e la testa farcita di ridicoli giuramenti omicidi… 
Allora forse era stato prima che fosse scolorito piano piano il ricordo stesso di una famiglia e fosse iniziata la sua vita raminga, con l'unico scopo di migliorarsi nelle arti marziali?
Quando aveva Akane vicino a sé, dopo i fatti di Yusenkyu e il gran pasticcio che aveva combinato a causa di quel matrimonio farsa andato a monte, Ranma aveva iniziato a chiedersi se gli fosse mai bastato come scopo della vita diventare il più bravo nella lotta. La soddisfazione che provava dopo una vittoria era davvero confrontabile con quell'emozione nuova che provava mentre la teneva tra le braccia? 
Eppure, da quando era entrato nella sua vita, l’afferrare Akane e scappare via tenendola ben salda a sé era sempre stato un gesto normale per lui. Non aveva mai provato imbarazzo o una qualunque sensazione lontanamente paragonabile a quell’ingarbugliamento che, invece, dopo aver creduto davvero di perderla per sempre e poi averla delusa, aveva iniziato a bussare inatteso dentro di lui, dandogli una scossa sconosciuta che partiva dalla nuca e si fermava lì, in mezzo al petto e gli bloccava il respiro.
 
E lei?
Tutto l'impegno che ci metteva ogni giorno per dimostrare di essere la più forte, la più meritevole di ereditare la palestra, la più onesta, la più completa tra le sue sorelle, tutta la voglia di indipendenza e libertà erano davvero per Akane lo scopo della vita?
Come poteva ancora esserne così convinta, quando preferiva mostrarsi fragile e bisognosa di un aiuto da parte di Ranma, quando sceglieva di lasciarsi prendere tra le sue braccia e portar via dai problemi invece di affrontarli a testa bassa e pugni serrati, solo per sentirsi in cambio stretta nel suo abbraccio volante che le faceva andare il cuore a mille e poi calmarsi, come in un’overdose di endorfine?
Entrambi avevano iniziato a pregare per un qualsiasi inconveniente che fornisse la scusa per fare un inchino e sparire dalla scena come due illusionisti e intanto stare così vicini da mischiare i loro sospiri nell'aria sopra Nerima.
 
Quegli attimi in fuga insieme erano come una bolla in cui rifugiarsi, ma sembrava che fossero sempre più brevi, non bastavano più. Eppure il tempo degli inseguimenti, della fuga tra i tetti, non era mai diminuito, soprattutto dopo il loro matrimonio mancato.
 
 
All'inizio era stato un lento abituarsi di nuovo a quei salti in volo e agli inseguimenti folli. Akane si aggrappava forte al petto di Ranma e vinceva il capogiro nell'abbandono tra un battito e l'altro di quel cuore che pompava sicuro. Lui la teneva salda e attraverso la stoffa sentiva i suoi muscoli e le curve rilassarsi o scattare, come in una danza che seguiva i suoi movimenti.
 
In quei momenti, lui affondava con le mani sotto le braccia e le ginocchia di Akane e ne percepiva il calore; i capelli mossi dal vento lo solleticavano e il profumo di pulito gli riempiva le narici. 
Aveva iniziato a metterci più attenzione e, piano piano, in mezzo ai sentori dei saponi di casa, aveva imparato a riconoscere l'odore della pelle di Akane come qualcosa di familiare in cui ritrovarsi ogni volta e ogni volta sorprendersi per l'euforia che gli infondeva. Sentiva il suo respiro sul collo e sbandava, perché aveva capito che era quello a fargli provare un brivido di sorpresa che rotolava lungo la schiena, mentre i suoi occhi castani e luccicanti lo fissavano raccontandogli una storia che nemmeno conoscevano.
 
Lei, tra un balzo e una corsa, ormai rassegnata a tenersi stretti almeno quei momenti, strusciava il viso sulla casacca cinese e inspirava di nascosto l'odore della sua pelle che si nascondeva dietro una spruzzata di acqua di colonia da due soldi e aveva capito che era quello il profumo della libertà. Sapeva di legno di sandalo e boschi di montagna, di un falò sulla spiaggia e dell'eco del mare. Un po' alla volta aveva iniziato a sentire qualcosa rosicchiarla tra petto e stomaco e il respiro farsi più corto, quando si trovava stretta a lui. Come nel momento in cui aveva scorto la meraviglia negli occhi di Ranma, vestito elegante davanti a lei, una piccola sposa ingenua, rassegnata, eppure con il cuore colmo di speranza.
 
Poi, una sera, raggiunto il tetto di casa alla fine di una corsa spericolata, Ranma non l'aveva messa immediatamente giù, come di solito avveniva, e aveva affondato il viso tra i suoi capelli.
̶̶  Mi fa impazzire…  ̶  Aveva mormorato tra sé e sé, in un soffio roco e bollente.
̶  Sì… Eh eh! Quella… quella cinese è davvero odiosa, fa andare in bestia anche me!  ̶  Aveva prontamente confermato Akane, mentre il cuore prendeva a battere il ritmo dell'incertezza. 
 
Era quello che intendevi, Ranma, è così?
 
̶  No, è il tuo… lascia perdere…  ̶  Aveva borbottato lui e l'aveva messa giù, privandosi di quel contatto, di quel profumo che gli stava facendo perdere il senso della terra sotto di sé. 
Di nuovo aveva vinto l'imbarazzo sul coraggio di confessare le sue emozioni. Di nuovo ad aver perso era stato lui e aveva sperimentato il vuoto in un déjà-vu di ricordi addormentati.
 
Lei aveva barcollato, come se d'un tratto avesse perso il senso dell'equilibrio e si era aggrappata alla sua maglia, sentendo sotto la stoffa liscia la forma del suo corpo, il nuovo centro di gravità da cui era attratta in modo inconscio.
Lui aveva stretta in un abbraccio senza pensarci, senza impedire che accadesse, senza essere respinto. Aveva già perso tutto, non voleva perdere anche quell'unica sensazione di completezza a cui stava iniziando ad aggrapparsi con le unghie e con i denti. 
C'era soltanto attrazione come di due corpi fatti di magnetite, due fluidi che non riuscivano a dividersi dopo essersi mischiati e avevano capito che era quella la cosa che amavano.
 
Adesso mi tira un pugno… Ma finché fosse rimasto fermo così, a Ranma non importava.
 
Adesso mi trafigge con una delle sue battute antipatiche… Ma ancora lui non l'aveva fatto e, finché avesse potuto, Akane si sarebbe rifugiata in quell'abbraccio, colmata dell'odore della pelle di Ranma, cullata dal suo cuore che pompava forte e lento.
 
Le loro guance erano calde e rosse, gli occhi si erano aperti nel realizzare il tempo che scorreva come rotoli di stoffa fruscianti senza che nessuno, nemmeno loro due, osassero interrompersi. Era qualcosa che entrava nelle loro ossa come minerali preziosi e le rendeva più forti, mentre i loro cuori fingevano di non accorgersi di nulla. 
Era così che avrebbero desiderato si fosse conclusa la terribile giornata del loro matrimonio ed era stato così che, senza ammetterlo, entrambi avevano sposato l'idea di essere fatti della stessa carne.
 
Il giorno dopo, tornando da scuola, Akane lo aveva osservato a un passo da sé. Faceva male non poter stare ancora tra le sue braccia come la sera prima, ma Ranma camminava a testa china, troppo silenzioso fin dal mattino. Chi era lei per azzardarsi a ricordargli quello che era successo tra loro e farlo precipitare nell'imbarazzo? 
Eppure sentiva un richiamo che la trascinava sempre più verso di lui, in cerca di un punto di fuga su cui acquietarsi.
 
̶  Ah!  ̶  Aveva strillato allora, come se la parte più istintiva di sé avesse guidato la sua voce, e si era portata una mano alla caviglia. 
Ma cosa sto facendo? Non mi sono fatta nulla!
 
̶  Ti fa molto male?  ̶  Aveva domandato Ranma, d'un tratto vivo, mentre un sorriso furtivo e ambiguo gli stendeva le labbra.
̶  N… no… forse è stata solo…  ̶  Lo aveva guardato pungendolo in mezzo all'anima. Quegli occhi color castagna non erano stati bravi a tacere una muta implorazione, a nascondere una piccola menzogna.
̶  Ti fa molto male.  ̶  Aveva deciso lui, raccogliendo quella nuova sfida.
Aveva sorriso, distogliendo lo sguardo da lei, quindi aveva inspirato il coraggio e l'aveva presa tra le sue braccia. Aveva iniziato a camminare adagio verso casa, rinforzato da quel leggero fardello, sentendo il calore sotto il suo braccio e sotto le ginocchia, solleticato dal respiro sul suo collo.
̶  Mi fa molto male.  ̶  Aveva rilanciato lei e aveva premuto l'orecchio sul tamburo che batteva veloce, odorando di nuovo il mare e il fuoco e il bosco e il legno di sandalo.  ̶  Non c'è fretta…  ̶  Aveva aggiunto e, con la coda dell'occhio, lui aveva amato quel peso che trasportava.
Le guance calde e rosse, gli occhi che scorrevano angoli di tempo e se ne appropriavano, vincendo una vergogna che avrebbe dovuto essere spontanea e invece, stranamente, si era tramutata in forza dentro di loro: questo entrò nelle loro anime come gocce di una cura che non sapevano di aver avuto da sempre così vicina. 


 
***
 

La seconda cosa che impararono ad amare fu la parola.

 
̶  Sei solo un baka! Se non vuoi mangiare quello che ho preparato è solo peggio per te! Resterai a digiuno!
 
̶  Tu vuoi avvelenarmi! Quelle polpette disgustose sono un attentato alla mia vita!
 
̶  Maleducato, prendi questo allora!
 
̶  Ahia, non sei per niente carina!
 
̶  Scimmia senza cervello!
 
̶  Maschiaccio, violenta, antipatica!
 
Ma poi faceva male.
 
Lasciava un solco profondo pronto a sanguinare per un'offesa in più, un crepaccio tra loro che si apriva e poi era un tormento temere di non riuscire a colmarlo. Le offese che si erano scambiati per anni ormai erano un veleno più subdolo del cibo che lei provava e riprovava a cucinare. Erano stanchi.
 
Allora un cazzotto diventava un colpetto, una spinta una carezza, perché il contatto di cui non potevano più fare a meno vinceva sulla bile che si riversavano a parole, senza pietà, solo per camuffare un imbarazzo che non provavano più stando vicini.
 
Erano arrivati a un compromesso tra quello che desideravano l'uno dall'altra e quello che riuscivano ad ammettere a parole. 
Certo, Ranma aveva iniziato a desiderare più del cibo stesso gli attimi in cui si trovava da solo con Akane e lei, senza dire nulla, gli si avvicinava fino a sfiorargli un braccio e poi lo guardava con quegli occhioni: ecco, era il permesso per cingerle una spalla e poi tirarla a sé e dopo circondarla anche con l'altro braccio. Lei chiudeva gli occhi, affondava con il viso sulla sua maglia, faceva risalire le mani dai suoi fianchi fino alla vita e lo stringeva. Alle volte una mano piccola si muoveva lenta come una carezza sulla sua schiena grande, altre volte lui gli passava il palmo sulla fronte e le scostava la frangia, sul viso serio un sorriso neonato, che non si apriva di più per tenere la bocca serrata e le parole confinate ai suoi pensieri.
Era un brutto maschiaccio dalla vita larga, quella cosina meravigliosa che teneva schiacciata contro di sé? Ma davvero? 
E perché lei non osava più insinuare che quella mano grande che si muoveva sulla sua schiena stava scivolando un po' troppo giù, proprio come un maniaco del suo calibro avrebbe fatto? 
Stavano zitti, perché non conoscevano un modo gentile per ammettere quanto si fossero sempre sbagliati. 
Ma dopo averle detto per l'ennesima volta che la sua cucina era micidiale e poi averla vista corrucciata davanti a sé, senza il coraggio di tornare a toccarsi, come poteva legarsi ancora la lingua?
 
̶  Sei più carina, quando stai buona tra le mie braccia.
Finalmente Ranma aveva messo a parole, senza pensarci su, quello che con le azioni gli veniva ormai spontaneo e aveva sentito il peso di ogni singola lettera pronunciata curvare un po' la trama del loro più intimo orizzonte degli eventi. 
Non era stato complicato, in fondo. 
Akane era trasalita, come se le avessero strusciato un cubetto di ghiaccio sulla pelle bollente per scoprire che era l'unica cosa che placasse quella smania indefinita e le desse la scossa per rispondergli, seguendo il flusso dei suoi palpiti.
̶  E tu sei molto accogliente, mi sento al sicuro qua.  ̶  Con la mano gli aveva percorso il braccio, sentendo le scintille al tocco con i muscoli gonfi. 
Era una richiesta di essere ancora abbracciata e lui non voleva più dire di no, ma non solo coi taciti fatti: era arrivato il momento di far sentire quella timida voce che da un po' di tempo gli sussurrava all'orecchio di provare almeno ad andare d'accordo con lei.
 
̶  F… forse potrei voler assaggiare le tue polpette, prima o poi…
 
Il primo boccone era già andato giù e non faceva poi così paura.
 
̶  E… io… io potrei impegnarmi di più per non farti disgustare…
 
Il secondo boccone non era stato così difficile da inghiottire, anche per lei.
 
̶  Se le fai tu, al limite potrei morire tra atroci dolori, ma non mi disgusterei… scherzavo poco fa…
 
Il terzo boccone di quel cibo dell'anima era scivolato come burro fuso tra le fibre delle loro coscienze.
 
̶  E mentre ti contorcerai a terra dal dolore, io ti stringerò la mano e ti starò vicina…
 
Il quarto boccone gli aveva aperto un orizzonte vasto e inesplorato, dove i contrasti avrebbero potuto sciogliersi in parole sincere senza più paura di osare.
E allora lui era stato bene, perché sapeva che poteva essere sincero e aveva azzardato un "e se".
 
̶  Quando… uhm… quando saremo… sposati, vorrei… vorrei tenerti così ogni sera e… guardare… insieme le stelle e la luna, anche quando non ci sarà...
Perché l'avrebbe sposata, prima o poi, adesso lo sapeva. Sotto la pelle avvampata del viso lo sapeva, tra uno sbattere di ciglia e l'altro lo sapeva che era quello il destino che voleva, ma non capiva come accettare per primo che fosse davvero così. Gli sembrava impossibile che stesse andando davvero in quella direzione, eppure si sentiva trascinato come in un mulinello di acque fresche dal quale non voleva uscire.
̶  Quando saremo… sposati, vorrei che nessun'altra venisse a reclamarti, perché saprà che… che solo io potrò stare così con te, ogni sera...
Ranma era soltanto suo e finalmente Akane aveva avuto il coraggio di ammetterlo. 
Ranma era suo.
̶  Quando saremo sposati, la mattina vorrei… vorrei svegliarmi per primo per… per sentire il tuo respiro vicino a… a me e per guardare i tuoi occhi… bellissimi che si aprono su un nuovo giorno…
Quegli occhi che lo guardavano forti e increduli, liquidi e scintillanti come non li aveva mai visti.
̶  Quando saremo sposati, la… notte vorrei osservarti dormire, perché saresti indifeso e il tuo… il tuo abbraccio… sarebbe molle e caldo, come una coperta accogliente...
Ci si sarebbe persa in quell'abbraccio, si sarebbe sentita protetta da tutte le incertezze della sua vita.
̶  Quando saremo sposati, vorrei che non ci fosse nessuno a disturbarci da mattina a sera, vorrei che… CHE DIAVOLO VUOI, BRUTTA RAGAZZA VIOLENTA!
 
̶  MANIACO, NON PERMETTERTI DI ALLUNGARE LE MANI!
 
̶  SU DI TE? MA CHI VUOLE FARLO? SOLO UN PAZZO FURIOSO POTREBBE VOLERTI TOCCARE! MASCHIO MANCATO!
 
E passato il pericolo che Nabiki o il padre di lei o quello di lui o chiunque li vedesse, si erano scambiati un'occhiata. Colpevole, dolorosa, ardente.
 
̶  Quando saremo spostati, vorrei non dovermi preoccupare che gli altri possano pensare male se ti stringo a me.
Perché era un'attrazione ineluttabile, difficile dire dove avesse messo radici, probabilmente negli animi di due bambini che desideravano soltanto quiete e un rifugio sicuro e accogliente, senza nient'altro da dire.
̶  Quando saremo sposati, vorrei non dover nascondere più quanto sto bene insieme a te.

 
***

 
La terza cosa che impararono ad amare fu a dimenticarsi degli altri.
 
Allenarsi li teneva lontani, era troppo radicato in loro il senso della competizione e la voglia di vincere, su chiunque. Erano due combattenti e faceva male colpirsi, schivare, affondare solo per rubare un abbraccio contorto sul pavimento del dojo che durava meno del tempo di un respiro.
Ma la notte era troppo corta per riposare e in più celarsi agli occhi degli altri sul tetto, cullandosi in un contatto dolceamaro che non aveva ancora un nome. Avevano bisogno di tempo per dormire e perdersi in quei loro sogni indistinti in cui si ritrovavano sempre insieme, ma al risveglio sentivano la mancanza di un contatto reale. 
Il tragitto in solitaria verso casa dopo la scuola era troppo breve per accontentarsi di tenersi la mano per quei pochi minuti lontani da tutti.
Erano entrambi increduli per quella necessità che non occorreva esprimere a parole, perché erano i loro corpi ad attrarsi e bearsi della reciproca presenza, il pensiero quasi non li sfiorava nemmeno.
Era come sedersi dopo una lunga camminata e slacciarsi gli scarponi, come bere acqua fresca dopo una corsa. Lo facevano e basta e sapevano che entrambi stavano bene. 
Si scambiavano frasi che facevano esultare i loro animi, senza che il cuore se ne accorgesse, infatti restava calmo, come di notte durante quei bei sogni che al risveglio dimenticavano.
Ma il tempo del contatto era breve e gli scambi di frasi gentili interrotto di continuo da orecchie che avrebbero fatto terra bruciata della possibilità di apprezzarsi senza imposizioni esterne.
Volevano più tempo da soli e non occorreva pianificarlo accordandosi tra loro.
 
̶  Voglio imparare a nuotare  ̶ , aveva dichiarato Akane una sera a cena. Ranma si era sentito illuminato dall'idea del secolo.
̶  Ti insegnerò io!  ̶  Ecco la scusa perfetta per rimanere da soli.
 
Poi si era maledetto, per la sua maledizione.
 
̶  Appena entrerò in acqua, non sarò più io, forse ho sbagliato a proporre di aiutarti  ̶ , le aveva confessato in un lamento. 
Giocava con i suoi capelli, la testa di lei sulle sue gambe incrociate. Sopra di loro quattro stelle sbiadite e un morso di luna annacquata.
̶  Sarai sempre tu, uomo o donna per me non fa differenza. Sei tu e basta  ̶  e lui aveva ripensato al giorno in cui era corso dietro una botte, lasciandola in abito da sposa sola e in lacrime e avrebbe pagato con la sua stessa forza per poter tornare indietro e cambiare il corso degli eventi.
 
 
In piscina non c'era nessuno che li conoscesse e il "Galleggi meno di un sasso" diventava "Lasciati andare, ci sono io"; il "Non mi toccare con le tue luride manacce" mutava in "Stammi vicino, tienimi".
Poco importava se i progressi andavano a rilento, anzi meglio, perché quando lei pensava di affogare, si attaccava al collo della ragazza dai capelli rossi ed era come se ci fossero muscoli e pelle nuda al posto del suo seno coperto da un bikini azzurro. E l'acqua della piscina diventava olio bollente, il cuore accelerava un po' e si palesava. 
 
Ehi, ci sono anch'io, oltre l'attrazione dei vostri corpi! Prova a indovinare cosa sto cercando di dirti?
Il cervello elaborava i segnali e c'era più consapevolezza nelle parole gentili.
 
Ehi, ti ha detto che vuole tu le stia vicino, anche se hai un corpo da donna: non gliene importa nulla della tua maledizione, falla finita con tutti i tentativi di annullarla!
 
E allora a Ranma era venuta un'idea.
̶  Per quanto ti sposti in linea retta, ci basta una vasca molto piccola. Domani ti porto alle terme.
E lì, cullati dalle acque calde, erano stati in pienezza loro stessi, senza maledizioni e senza imbarazzo e Akane aveva finalmente sentito davvero i muscoli e la pelle nuda attaccati al suo seno e si erano amati col cuore e la testa, mentre i loro corpi galleggiavano lenti, sfiorandosi, osservandosi, tenendosi per mano, rimanendo immobili pelle a pelle abbracciati a guardare il tramonto che tingeva di sangue l'acqua bollente. 
 
̶  Mi piace stare con te così  ̶ , aveva detto Akane, galleggiando a pancia in su, i capelli che si aprivano come un velo da sposa a pelo d'acqua.
Ranma le aveva sorriso, l'aveva fatta emergere e adagiare con la schiena contro il suo petto.
̶  Anche a me… Anche a me piace stare così, senza spiegazioni, senza interruzioni, senza vergogna.
 
E lei aveva compreso e le aveva ferito il cuore.
 
 
Pochi giorni dopo, mentre Kasumi preparava la cena, Akane aveva iniziato a parlarle dei suoi progressi nel nuoto, senza specificare se fossero stati raggiunti in piscina o in altre acque che lei ormai preferiva. Era tanta l'emozione che la illuminava in quel periodo che aveva sentito la necessità di confidarne una piccola parte almeno a lei, che l'amava come una madre e la comprendeva come solo una sorella poteva fare. Si era accertata che fossero sole, per non incappare in una battuta insinuante che tutti gli altri di casa avrebbero potuto rivolgerle. Non era stato sufficiente. 
Tempestiva come le verifiche dello shiken jigoku a scuola, Nabiki aveva mirato e colpito con una delle sue solite uscite al sapor di limone acerbo, facendole andare di traverso l'ultimo boccone del teriyaki di pollo che stava gustando.
 
̶  Allora sorellina, come vanno le tue lezioni di nuoto? Sei riuscita a non affogare? Certo che 'tu' e 'nuotare' siete due parole agli antipodi! Verrò a fare un video dei tuoi fallimenti!
Ranma aveva drizzato le antenne. Come si permetteva quella serpe di offendere Akane senza sapere quanto lei stesse mettendoci tutta se stessa in quell'impresa?
 
̶  Nabiki, non essere sempre così aggressiva…  ̶  L'aveva redarguita suo padre.
̶  E dai papà: lo sappiamo tutti che è una Mission Impossible per lei! Ci sono cose che proprio sfuggono alle possibilità di Akane, per quanto ci provi, sii obiettivo! Tipo andare d'accordo con Ranma, cucinare qualcosa di decente e nuotare, appunto. È geneticamente negata!
 
Ranma aveva stritolato una lattina vuota nel pugno.
̶  Si sta impegnando, ci sta riuscendo, ha già imparato un po' a nuotare. Akane è brava, smetti di prenderla in giro!  ̶  Aveva ringhiato.
 
Così era avvenuta una magia. 
Akane aveva sfiorato un pensiero stupendo, poteva sciogliere il guinzaglio dell'imbarazzo dalla sua lingua.
̶  Ranma è un ottimo maestro, è paziente, sempre pronto ad aiutarmi, ho vinto la mia paura grazie a lui! Capisce quando ho bisogno che mi sostenga e mi incoraggia a osare sempre di più. Mi sento al sicuro con lui. E per tua informazione, noi due andiamo molto d'accordo!
 
̶  Perché ti tiene a galla con le sue tette?
 
Nabiki non si smentiva mai. Un nuvolone nero aveva offuscato l'immagine così dolce che aveva appena riempito i pensieri di Akane.
 
̶  Smetti di prenderlo in giro! Lui è perfetto in ogni sua forma e non ti permetto di scherzarci su!
 
L'aura di Ranma si era incendiata come una fiammella risuscitata da un soffio di ossigeno. Akane l'aveva percepita per un istante ed era stata colta dalla vertigine.
̶  Akane è la mia allieva più brava, e rimarrà la migliore, perché non ne voglio altre che non siano lei, né ora né mai.
 
In questo modo era caduto un silenzio dove ciascuno gongolava a modo suo, ma non aveva il coraggio di fare battute. Ranma aveva lasciato sul tavolo la lattina, aveva preso la mano di Akane nella sua e aveva intrecciato le loro dita. Allora il velo era calato.
̶  Ci stiamo impegnando per… per andare d'accordo… ma voi dovete smetterla di osservarci e insinuare e rovinare il nostro tempo. Non abbiamo bisogno delle vostre interferenze. Lasciateci in pace e fate… fate fare a noi…
Le mani si erano strette un po' di più e i visi dei due ragazzi erano andati a fuoco.
 
̶  Oh, finalmente!  ̶  Si era lasciata scappare Kasumi e tutti avevano sorriso, senza domandare altro.
 

 
***
 
La quarta cosa che impararono ad amare fu il sapore delle loro labbra.

 
Da quel momento a casa non c'era più stato bisogno di nascondersi quando volevano soltanto stare vicini o parlare il linguaggio che faceva fiorire i loro cuori. 
Erano consapevoli che i loro parenti friggevano di curiosità e li avrebbero spiati in ogni luogo si fossero nascosti, ma il discorso di Ranma doveva aver sortito l'effetto voluto e nessuno, neanche Nabiki, aveva osato dire una parola di troppo o azzardare gesti che li avrebbero fatti imbarazzare. 
Sembrava impossibile, eppure avevano ottenuto finalmente il loro rispetto.
 
Nonostante ciò, non erano mancati i bisticci tra loro, ma di quelli innocui, che facevano parte di loro come amici, come fidanzati, come un qualcosa che ancora non erano riusciti a capire come si chiamasse e quindi continuavano a studiarsi, esplorando quel che avevano conquistato e testando ogni giorno nuovi limiti.
 
Avevano tre luoghi del cuore dove non c'era bisogno di fissare per trovarsi.
Il tetto della loro casa, che ogni notte li ospitava per i racconti della giornata e per trovare ristoro prima del sonno; la vasca più a nord del sito termale, dove per la prima volta la pelle aveva preso fuoco a entrambi; la terrazza sul tetto della scuola, in quei cinque minuti dopo l'inizio della pausa pranzo, quando ancora i loro compagni erano in coda per comprare un panino.
Si sedevano vicini appoggiati al muro e Akane metteva la testa sulla spalla di Ranma, le mani intrecciate che disegnavano futuri incerti sulla pelle.
Ai primi rumori dal vano scale, iniziavano la loro messinscena e ridevano dandosi degli imbecilli per aver creduto a tutte quelle cose cattive che ancora riuscivano a dirsi.
̶  Ma chi la vuole una ragazza violenta e senza sex appeal?
̶  Ma chi vuole un cavernicolo come te? Vai dalle tue fidanzate carine invece che rompere le scatole a me!
̶  Ah, loro sono molto meglio di te, certamente! Maschio mancato!
̶  Sei ancora qui? Sparisci se non vuoi che ti faccia volare giù dalla terrazza!
̶  Sgraziata!
̶  Maleducato!
̶  Fianchi larghi!
 
̶  Scherzo della natura!
 
Era accaduto che una volta, per sbaglio, senza pensarlo davvero, lei gli aveva detto proprio così e si era morsa la lingua nell'attimo in cui aveva udito il suono della sua stessa voce.
Lui era stato lì lì per risponderle qualcosa a tono, ma si era fermato, aveva chinato il capo ed era andato via nel caos di tutti gli studenti che arrivavano per pranzare.
Akane avrebbe voluto corrergli dietro e spiegare che non voleva dire quelle parole, ma non lo aveva fatto, sia perché avrebbe dovuto giustificarsi con gli amici che già l'avevano raggiunta, sia perché in fondo ancora non riusciva a pensare di mostrare al mondo fuori di casa quella tregua idillica che era sbocciata magicamente tra loro.
Aveva trascorso le ore successive di lezione voltandosi continuamente a guardarlo e mai aveva incrociato il suo sguardo. Ormai Ranma doveva sapere che per lei non contava nulla la sua maledizione, glielo aveva detto a chiare parole, lo aveva disegnato sulla sua pelle! Eppure lui, quel giorno, era stato sfuggente. 
Dannazione…
 
Tornando a casa, Ranma non l'aveva presa per mano, non si era sottratto all'agguato di Shampoo al solito incrocio e non aveva fatto nulla per evitare lo scroscio d'acqua che la solita vecchina gli aveva lanciato.
Era rientrato in casa e si era chiuso in camera sua senza neanche bagnarsi con l'acqua calda. Si era soltanto disteso sul tatami con un braccio sugli occhi e l'altro sul seno, come a impedire al cuore di smettere di battere, al tempo di tornare indietro, al disagio di corroderlo, come in passato.
Akane aveva bussato alla sua porta e non aveva avuto risposta, allora aveva sentito il pavimento del corridoio di casa tremare e sbriciolarsi sotto i suoi piedi, era rimasta sospesa nel vuoto come una particella d'un tratto orfana di un centro di gravità.
̶  Che vuoi?  ̶  Le aveva domandato scocciata la rossa, andando ad aprirle, un minuto o forse un anno dopo. Vedendo i suoi occhi mortificati e arrabbiati, Akane aveva sentito le parole di scuse che gli doveva morire in gola.
Aveva chinato il capo e a passo lento era scesa fino al bagno, si era appoggiata alla porta e lasciata scivolare fino a terra.
Ranma o Ranko non aveva mai fatto differenza per lei, lo aveva ripetuto da tempo immemore, ma era davvero così?
Voleva che fosse l'abbraccio di Ranma a stringerla forte, voleva il suo odore di mare e vento e boschi e legno di sandalo, voleva posare l'orecchio sul suo petto e ascoltare il suono calmo del suo cuore. Voleva la sua voce profonda a consolarla, voleva quelle mani grandi sulla sua schiena, voleva quel punto perfetto di blu, che gli occhi di Ranko non possedevano.
Perché lo aveva biasimato se aveva preferito una botte piena d'acqua a lei? Perché si era sempre mostrata offesa, tutte le volte che lui l'aveva ignorata per tentare una folle corsa a qualsiasi costo e tornare alle sorgenti di Yusen, dove tutto il suo mondo gli era franato addosso? Perché non lo aveva mai capito davvero, prima di quel momento?
Era stato come se le loro ossa avessero trovato l'incanto nello stare vicini, le loro parole si fossero finalmente accordate come due strumenti che un tempo dissonavano e poi avevano suonato insieme una sinfonia, i loro cuori avessero gioito nell'essere finalmente liberi da pregiudizi, ma ancora mancasse qualcosa.
L'unità di corpo, testa e cuore, quella non l'avevano ancora conquistata e lei non avrebbe più potuto prenderlo in giro: con Ranko non sarebbe stato lo stesso.
Si era alzata e guardata allo specchio. Era sempre lei, ma con uno squarcio sulla coscienza, il peso della consapevolezza che non sarebbe stata in grado di mentire a lungo, non con lui.
 
̶  Posso entrare?  ̶  Ancora la rossa.
Akane aveva indossato un sorriso e le aveva aperto la porta. Non lo avrebbe fatto se fosse stato lui, perché in quel caso avrebbe sentito le scintille in ogni centimetro della sua pelle e quegli occhi blu avrebbero scavato dentro la sua insicurezza.
L'aveva guardata spogliarsi, lasciando scivolare a terra la casacca rossa e i pantaloni e non aveva provato imbarazzo quando le si era avvicinata col seno nudo. Non sarebbe stato lo stesso se si fosse trattato di lui.
Ma non si era aspettata che Ranko le sbottonasse con lentezza la camicetta della divisa, né che le facesse cadere a terra la gonna, lasciandola in biancheria intima. Solo allora aveva sentito un brivido rotolare lungo la schiena. Le mani che l'avevano sfiorata erano piccole, ma tremavano come se fossero state quelle di lui. 
L'aveva presa per mano e l'aveva fatta entrare con sé nella vasca dell'acqua calda, senza lasciarla nel momento in cui si era completamente immerso.
Lei era andata giù per osservare con gli occhi aperti sotto l'acqua la meraviglia della trasformazione, aveva sentito la stretta sulla sua piccola mano farsi più avvolgente.
Erano emersi grondanti, alzandosi in piedi nella vasca uno davanti all'altra. Al posto del seno prosperoso c'erano due spalle larghe e un petto grande guizzante di muscoli, i capelli da rossi erano tornati del loro colore, il blu era di nuovo il suo blu.
Ranma aveva allungato una mano verso il suo viso e le aveva portato indietro i capelli bagnati, indugiando sulla nuca, l'aveva tirata verso di sé e stretta in un abbraccio.
̶  Akane io… Mi dispiace…  ̶  Lei sentiva il torace vibrare sotto al suo viso per la voce bassa e roca.  ̶  Vorrei tanto non doverti più costringere a vedermi in quello stato, vorrei essere quello che ti meriti accanto, non uno scherzo della natura. Ma se non torno in Cina e non mi bagno in quella sorgente, non potrò mai sentirmi completo insieme a te.
Non dirlo!
̶  Non potrò mai essere un vero fidanzato per te o un marito, in futuro. Non posso offrirti quello che vorresti. Io non ti merito.
E allora lei si era spinta con le punte dei piedi e gli aveva dimostrato con i fatti quanto tutto, il corpo, il cuore, la testa, lo volessero accanto a sé. Aveva sfiorato le sue labbra e si era fermata, perché anche lui doveva esserne convinto, ma il brivido che stava provando l'aveva magnetizzata e ne avrebbe voluto di più e ancora, fino a dimenticare il suo stesso nome.
Il blu si era specchiato per un attimo nel colore di una castagna bagnata di luce e lui aveva capito in quel momento che Akane, sì, lo accettava in ogni sua forma, come gli aveva detto e ripetuto, ma che era così che lo voleva davvero. Anche Ranma voleva che accadesse così: un uomo che si perdeva negli occhi della sua donna.
Aveva premuto le labbra su quelle di Akane e lei le aveva sentite tremare, ruvide e morbide allo stesso tempo, e aveva creduto di morire.
Erano stati così impacciati, mentre la consapevolezza di ciò che stava avvenendo, per un attimo, li aveva visti tornare vergognosi e insicuri! 
Ma piano piano l'immobilità aveva lasciato il posto al lento movimento. Avevano premuto e lasciato andare e solleticato e strusciato e poi morso perché si sarebbero mangiati l'un l'altra pur di diventare una cosa sola: corpi, menti, cuori che battevano furiosi e rallentavano e poi ancora al galoppo e dopo quieti come il silenzio e di nuovo imperiosi come la tempesta.
Di più, di più!
Le labbra avevano ceduto spazio al sapore e la voglia di provare quel sapore le aveva fatte schiudere, mentre le braccia si erano intrecciate dietro al collo, le mani a palmi aperti sulla schiena e dietro la nuca erano diventate possessive. Non sapevano come si facesse, ma le loro lingue avevano scoperto insieme in quel tempo sospeso il piacere di accarezzarsi, di esplorare la forma dei denti, di leccare le labbra già gonfie per quella inattesa battaglia che entrambi volevano perdere e poi ricominciare di nuovo.
Chi poteva immaginare che baciarsi avrebbe avuto quel gusto indescrivibile e appagante! Erano ebbri, accaldati, affamati, increduli eppure mai si erano sentiti più convinti di quel che stessero facendo.
 
Qualcuno aveva bussato alla porta del bagno.
̶  È occupato!  ̶  Lo avevano detto insieme e poi avevano riso sulle bocche ancora vicine per tornare a mangiarsele l'un l'altra.
Era così bella, Akane! Era così perfetto, Ranma!
Avevano scoperto il sapore dei baci e avevano immediatamente saputo che non ne avrebbero potuto più fare a meno, che gli altri li scoprissero o no. E lo avevano amato.
 
̶  Se per te è importante annullare la maledizione, allora io ti aiuterò e lo faremo insieme.
Il sorriso più bello, quello con le guance in fiamme e le labbra rosse.
̶  È importante per te, è importante per il nostro futuro. Io te lo devo, adesso ne sono davvero convinto  ̶  e l'aveva cullata nell'acqua che stava tornando tiepida. 
̶  Usciamo, è meglio  ̶ , aveva osservato preoccupato e l'aveva preceduta tenendola per mano, guardandola sollevarsi grondante dalla vasca come se stesse assistendo alla nascita di un miracolo.
 
Quello era stato il primo dei loro baci, gli altri, più o meno rubati, erano rimasti orfani di parole che non fossero già state udite, erano continuati in segreto, perché mostrarsi agli altri, prima di fare un ultimo passo tra loro, era troppo difficile da accettare, era un tabù ancora farcito di timore e vigliaccheria. I pettegolezzi del mondo su di loro erano una minaccia contro cui non avevano perfezionato armi e non sarebbe bastato chiedere che gli altri si dimenticassero di loro, come avevano fatto con le loro famiglie. 
 
Ma baciarsi era diventato subito più necessario dell'aria e quindi si erano accontentati di baci rubati mentre studiavano insieme e lui si fermava a guardarla, poi le spostava con la punta delle dita una ciocca dietro l'orecchio e si avvicinava piano. 
 
Gli piaceva baciarla sotto al collo, vicino all'orecchio e da lì lasciare una scia di solletico fino alle sue labbra mentre lei si sforzava di continuare a parlare la matematica e intanto ridacchiava.
 
Le piaceva baciarlo di notte sul tetto, quando lui si stendeva con la testa sulle sue ginocchia ed era alla sua totale mercé. Lui stava fermo a occhi chiusi gustando ogni tocco dalla fronte in giù, fino a trattenerla dalla nuca e mangiarle la bocca con la sua.
 
Ma i baci rubati più emozionanti di tutti erano due: quelli sul pavimento del dojo, talmente fulminei da non essere chiaramente visti da chi li stesse osservando, e quelli sulla terrazza della scuola, quando chiunque li avrebbe potuti scoprire, per questo il brivido del rischio si sommava a quello della pelle e del loro intero essere.
Avevano scoperto i baci e credevano che non ci fosse niente di più bello.
 

 
***
 
La quinta cosa che impararono ad amare fu amarsi oltre ogni impedimento.

 
C'era stato un breve periodo in cui avevano dovuto rinunciare ad abbracci, sussurri, sorrisi e baci ed era stato quando, come in preda a una tempesta ormonale, Ranma era rimasto vittima per giorni e giorni del fuoco incrociato delle sue 'fidanzate carine'.
Di solito lui e Akane recitavano una parte che veniva loro spontanea, pur cercando di tenere a distanza le insistenze delle altre pretendenti.
Ma, una volta, Shampoo si era appostata un incrocio più in là del solito e li aveva quasi beccati mano nella mano tornando da scuola. La gelosia l'aveva accecata e aveva travolto Akane con la sua bicicletta, buttandola malamente a terra.
Quella volta Ranma aveva visto rosso. Si era chinato ad aiutare Akane e le aveva detto con tono che non ammetteva repliche "Va' a casa, aspettami lì".
 
Lei aveva ubbidito senza proteste, meravigliandosi di come le fosse venuto naturale fidarsi di Ranma, ma via via che si allontanava da lui, era stata turbata da uno strano presentimento. Lo aveva atteso rannicchiata in camera sua, iniziando a immaginare cosa stesse accadendo là fuori. 
Si aspettava il chiarimento definitivo, ma aveva presto capito che Ranma non era riuscito a risolvere un bel nulla con la cinese.
Stava rimuginando sul fatto che le cose fossero cambiate e non lei non fosse più disposta ad accettare ancora quel tipo di intromissioni, quando aveva sentito grattare allo stipite della sua finestra.
 ̶  Oh, no…  ̶  Aveva sospirato e aperto al suo fidanzato in versione femminile e bagnato come un pulcino. Lui aveva fatto un balzo, si era messo a quattro zampe e si era scrollato di dosso l'acqua. Poi si era stiracchiato stendendo le braccia, si era leccato il dorso di una mano e l’aveva passata dietro un orecchio. Quindi aveva guardato Akane, con la testa piegata da un lato.
 ̶  Meow!  ̶  Il suo didietro aveva iniziato a ondeggiare felice.
E adesso? Se nemmeno il diventare femmina l’aveva strappato all’effetto della gattizzazione, non rimaneva che un modo… Akane aveva sorriso, realizzando che finalmente non si sentiva più in tremendo imbarazzo all'idea di svegliare "la principessa vittima dell'incantesimo" con un bacio e, senza nemmeno stare troppo a pensarci, si era mossa per prendere il bollitore ancora pieno che si era portata in camera per il tè e farlo tornare maschio, quando un'idea l'aveva solleticata.
Aveva messo giù il bollitore e tamburellato sul letto la mano. Ranko l'aveva raggiunta e si era accucciata sulle sue gambe, facendo le fusa. 
Akane aveva guardato le iridi tagliate da due fessure e si era resa conto che stava iniziando a confondere quel blu con quello degli occhi di Ranma. 
 ̶  Ma che ci faccio io con te…  ̶  Aveva bisbigliato, sfiorando il viso della ragazza con una carezza. Si era avvicinata piano, aveva indugiato un istante perdendosi in quello sguardo limpido e ignaro. Poi l'aveva baciata sulle labbra e un brivido ormai familiare e nuovo allo stesso tempo era rotolato lungo la sua schiena.
̶  A… Akane…  ̶  Era rimasta stravolta la rossa, sbattendo più volte le palpebre e diventando del colore dei suoi capelli.  ̶  Mi… mi dispiace… non occorreva…sono una ragazza adesso…  ̶  In risposta lei l'aveva agguantata dalle spalle e baciata di nuovo, e poi ancora, e poi facendole aprire le labbra e succhiandole la lingua, non sentendo differenza tra maschio e femmina, solo bolle che scoppiavano nella sua pancia e sangue crepitare a fior di pelle.
Ranma era arrossito, aveva balbettato qualcosa e poi era corso in bagno sconvolto. 
Era quello che accadeva nel corpo di una femmina? Provava quelle sensazioni, Akane, quando lui la baciava? 
Tanto lui di solito si sentiva pieno, sul punto di scoppiare, solido e con una tensione che scendeva sempre più giù per risalire bramosa di esser placata, tanto da donna si era sentita liquefare in ogni dove, uno sfrigolio come di un cavo elettrico scoperto in mezzo alle gambe e poi un fluido caldo che accarezzava quello che di solito odiava di sé. 
Si era spogliato e poi buttato sotto la doccia fredda, no, ci voleva calda, kamisama!, non aveva capito più niente e Akane l'aveva trovato grondante, con le mani poggiate al lavandino e la testa incassata tra le spalle, ansimante.
̶  Che sensazione travolgente che ho provato  ̶ , aveva confessato, lasciandosi abbracciare da dietro. Sentiva su di sé le mani piccole e i seni schiacciati contro la sua schiena, aveva percepito il cuore di lei battere furioso.
̶  È quello che provo sempre io…
Quella voce bassa e sensuale, quel tremito che gli entrava nelle ossa e poi il calore morbido e inatteso delle sue labbra in mezzo alle scapole. 
 
Cosa mi stai facendo, Akane?
 
̶  Sarei curiosa di fare a cambio, per una volta, e sentire quello che provi tu…
̶  Meglio di no, credimi! 
Si era voltato di scatto mettendo le mani avanti e Akane aveva fatto scorrere il suo sguardo dall'alto in basso sugli occhi liquidi e spalancati, il volto imbarazzato, il collo tutto rosso, il petto che si alzava e abbassava e più giù… Lui si era rannicchiato come se avesse preso un cazzotto nello stomaco, ormai vittima dell'imbarazzo più puro. Lei aveva riso ed era stato come il trillo di cento campanelli di cristallo.
Oh, lo sapeva bene cosa provava Ranma, le volte che gli rubava un bacio stesi sul pavimento del dojo e sentiva ogni sua parte del corpo fatta della stessa materia indistruttibile dei suoi muscoli! Ogni. Sua. Parte.
 
Ma il problema da risolvere era un altro.
̶  Che ti fa fatto quella dannata cinese?  ̶  
Lui aveva abbassato lo sguardo.
 ̶  Ha provato a baciarmi…
Akane aveva stretto i pugni.
 ̶  Ma non gliel'ho permesso. Lei non può. Nessun’altra al di fuori di te può  ̶  e Akane gli aveva sorriso.
Doveva aver piovuto, per trasformarlo in Ranko, ma lei non se n'era neanche resa conto, mentre si torturava nell'attesa del suo ritorno. Il resto ci aveva messo poco a immaginarlo e cancellarlo con un altro bacio strappato a quella bocca socchiusa così invitante, quelle labbra ancora gonfie, nonostante la magia.
 
Il giorno dopo ci aveva provato Ukyo. 
Lei era diversa e in un modo tutto suo teneva molto anche ad Akane, quindi non aveva colpito fisicamente la rivale come Shampoo, ma aveva fatto qualcosa di più subdolo.
Era andata a trovarlo a casa, entrando nel dojo mentre lui si allenava con Akane. 
Un kata, un pugno, un affondo, un bacio, un salto, un abbraccio, una schienata, un colpo, un altro bacio fingendo di trattenerlo a terra fino al KO
Ukyo non aveva fatto finta di non vedere, no, lei aveva visto eccome ed era scoppiata in lacrime, aggrappandosi al collo di Ranma, battendogli il petto per quel 'tradimento'. 
Akane si era messa in un angolo a braccia conserte e aveva osservato.
La scena era consueta. Ranma che cercava di negare, perché sapeva resistere ai colpi più atroci, ma non alle lacrime di una ragazza, lei che si strusciava su di lui, fino a prendergli il viso tra le mani.
Solo qualche settimana prima Akane non si sarebbe tirata indietro davanti a un tale affronto. Lo avrebbe iniziato a offendere, mistificando le sue reazioni, accusandolo di essere soltanto un maniaco. 
In quel momento, vedendo gli occhi di Ukyo luccicare per una stolta convinzione, aveva provato pena per lei. Era una ragazza sola, che non aveva idea di cosa significasse… 
 
Ma cosa sta facendo quella disgraziata!?
 
̶  Ranchan caro, vedrai che differenza c'è tra una vera donna e quella racchia violenta e senza sex appeal!
Senza nemmeno dargli il tempo di contraddirla, Ukyo aveva baciato Ranma sulle labbra. 
Un bacio lungo, a cui lui non si era opposto.
Akane aveva provato l'impulso di spaccargli la faccia, proprio come un tempo, poi aveva scorto l'orrore negli occhi sbarrati di lui e aveva capito cosa fare. 
Ormai loro due erano in totale sintonia, non occorrevano gesti o parole. Non più.
Aveva preso un secchio d'acqua e gliel'aveva rovesciato addosso.
Ukyo aveva sgranato gli occhi, si era staccata dalla bocca carnosa della rossa che aveva preso il posto del suo presunto fidanzato e si era portata sconvolta le mani alle labbra, allontanandosi scottata.
̶  Provi ribrezzo?  ̶  Le aveva chiesto Akane e due occhi di vetro avevano risposto al posto della povera Ucchan.  ̶  Vedi, la differenza tra me e te è che io non provo ribrezzo  ̶  aveva continuato Akane e aveva baciato Ranko stringendosi al suo seno, l'aveva morsa, succhiato la lingua, si era lasciata andare a una passione che non immaginava nemmeno di possedere, non con la parte femminile del suo Ranma.
Poi si era staccata e, ansimando, ma ferrea nel suo proposito, aveva estratto dal cilindro un bollitore e gliel'aveva versato in testa.
̶  Wow…  ̶  Ranma aveva scrollato la testa, incredulo per lo choc che di nuovo aveva provato in quel corpicino di donna, in estasi per quello che era successo. Akane gli aveva fatto un cenno con il capo, adesso stava a lui. Allora il ragazzo aveva guardato con gli occhi più seri del mondo la sua amica d'infanzia.
̶  Mi dispiace, Ukyo, avresti dovuto capirlo da tempo. Per me sei una vera amica, ma lei...  ̶  Aveva stretto Akane tra le sue braccia per continuare quel che avevano iniziato, per sentire la pressione del desiderio dove poco prima aveva provato la voluttà di sciogliersi tutta.
 
Ukyo era corsa via in lacrime.
 
Fuori una.
 
Con Kodachi e Tatewaki Kuno avevano deciso di mettere in atto un 'prendi due-paghi uno': la scenetta con Ukyo era stata memorabile e l'avevano riproposta davanti ai due fratelli, quando, puntuali, erano piombati entrambi a casa loro, dopo aver sentito delle 'voci inammissibili' su Ranma e Akane. La delusione, la presa di coscienza dell'identità della ragazza col codino, la repulsione che avevano provato entrambi e il litigio tra loro che ne era derivato li avevano fatti scappare a gambe levate.
 
Fuori tre.
 
Il punto è che quella cosa di baciarsi davanti agli altri aveva accresciuto un desiderio che non avevano ancora capito di provare. Avevano iniziato ad arrivare a scuola senza lasciarsi le mani, parlottando vicini vicini e ridacchiando complici e i mormorii erano diventati proclami: al liceo tutti ormai avevano chiara la loro situazione, forse più di loro stessi. 
Ma Shampoo non andava a scuola, per questo di nuovo li aveva fermati sulla strada di casa e li aveva trovati che camminavano sorridendo abbracciati.
̶  Cosa significa questo?  ̶  Aveva sibilato preparando le sue armi.
Ranma aveva preso un profondo respiro.
̶  Shampoo… Significa che non proverai mai più a fare del male ad Akane, che non cercherai più di conquistarmi e che la smetterai di chiamarmi 'futuro marito', perché se mai diventerò un marito, sarà solo di Akane.
Aveva tirato a sé la sua unica vera fidanzata, fino a farla sbattere sul suo petto in un gesto estremamente possessivo che l'aveva fatta sussultare. 
̶  Sono i baci di Akane che voglio, non i tuoi. Tu non potrai mai darmi quello che mi dà lei.
E, per essere sicuro che Shampoo avesse capito, aveva baciato Akane davanti a lei, un bacio lento, dolce, ma urgente.
̶  Che sortilegio gli hai fatto, brutta strega? Lui ama me!  ̶  Aveva urlato la cinese con le lacrime agli occhi.
Con calma, Ranma aveva lasciato sfumare quel bacio e aveva guardato Shampoo con la fermezza dipinta sul volto.
̶  No, io non ti amo, Shampoo, ficcatelo in testa una volta per tutte. Non ho mai provato niente per te. Non ti amo e non ti sposerò mai: io sono innamorato di Akane, solo di lei.
Era andato via trascinando Akane per mano, mentre lei non capiva più niente, se stesse camminando sull'asfalto o su una nuvola.
Il cuore in quel momento batteva rapido e febbrile, le labbra pulsavano e sentiva un calore nuovo pervaderla dalla testa alla punta dei piedi.
 
A casa, senza lasciarla nemmeno per un istante, le aveva fatto posare la cartella all'ingresso e l'aveva presa tra le braccia. Tre balzi e avevano raggiunto il loro tetto e in quei tre balzi lei aveva sentito battere forte il cuore sotto il suo orecchio. Lui l'aveva messa giù e chinato lo sguardo in basso, rimanendo immobile con i pugni serrati lungo il corpo.
 
̶  È vero?  ̶  Era certa che se non glielo avesse chiesto lei, lui non avrebbe aperto bocca.  ̶  È vero quello che hai detto a Shampoo?
E lui aveva stretto i denti, tremava come una foglia e sapeva che lei ne era cosciente. 
Era tutto come la mattina in cui, vestita da sposa, gli aveva chiesto la conferma di quel che lui aveva urlato a Jusenkyo. Non poteva deluderla di nuovo. Non voleva più sbagliare, ma era così difficile trovare le parole adatte.
̶  Akane…
 
Lo sta facendo di nuovo… Io non… non… Ma perché gliel’ho chiesto, dannazione!?
 
̶  Non dirlo se non vuoi, non è necessario…
 
Le aveva ripreso la mano. Ranma voleva dirlo, invece, voleva dirlo con tutto se stesso, finalmente. Sapeva di essere arrossito e non gliene importava niente.
̶  Akane, da quando non abbiamo più litigato per un nonnulla, da quando ho scoperto che… tenerti stretta a me mi fa star bene, da quando non mi sono più vergognato di mostrarlo ai nostri familiari, da quando ci siamo… baciati per la prima volta io…  ̶  Aveva preso un grande respiro, aveva sorriso perdendosi in quegli occhi trepidanti eppur spaventati.  ̶  Io mi sento diventare di burro e d'acciaio quando sto con te, mi gira la testa, mi batte forte il cuore e sento che è proprio questo uragano di emozioni che mi fa sentire vivo. Non posso più contenere quello che mi brucia e mi scioglie dentro. È vero, è tutto vero: non voglio sentire altre labbra sulle mie, non voglio stringere altre mani che non siano le tue, non voglio più dover nascondere la gioia che provo solo pensando a te, alla tua pelle, alla tua bocca sulla mia, ai tuoi occhi che scintillano come stelle. Mi sono… mi sono innamorato di te, Akane, forse ti amo da sempre e non l'avevo capito, ma ora è l'unica cosa di cui sono certo nella mia vita caotica. Tu sei il mio centro di gravità, la mia boa nella bufera, il letto caldo nelle sere d'inverno e il ghiaccio sulla pelle accaldata. Ti amo per ogni piccolo particolare che hai, per ogni difetto, per ogni meraviglia che sveli. Ti amo e basta e voglio vivere tutta la mia vita insieme a te.
 
Mentre parlava aveva mosso le mani a disegnare le idee in aria e poi aveva preso le sue e le aveva strette dolcemente, portandosele vicino al cuore. Dopo aveva chiuso gli occhi per un attimo, come se, aprendoli, quel momento si sarebbe dissolto nello spazio e nel tempo. 
Ce l'aveva fatta. Finalmente ce l'aveva fatta a dirle quanto tenesse a lei.
Poi aveva espirato tutta l'aria che aveva nei polmoni e le aveva sorriso e gli occhi brillanti di Akane si erano specchiati nel blu più pacifico che potesse esserci.
 
Non si era mai sentito più stanco, euforico, trepidante, impaurito, agitato, felice, terrorizzato, disfatto, speranzoso, forte, annientato, folle, eccitato, attonito, scoraggiato, debole, ottimista. Vivo. Finalmente si era sentito vivo e aveva preso quella vita avuta in dono per le redini. L'avrebbe condotta dove sapeva che voleva arrivare. 
Da lei. Con lei.
 
̶  Akane, non… non piangere!
Aveva sentito il suo cuore farsi piccolo piccolo e poi esplodere per quello che, solo allora che lo aveva messo a parole, gli appariva così vero. L'aveva stretta al petto e baciata sulla testa, cercando di fare suoi i sussulti che la scuotevano, perché l'avrebbe amata e protetta da ogni cosa, anche dal suo stesso amore.
Un palmo premuto sul suo petto e lei si era allontanata un poco. Aveva strusciato i dorsi delle mani sul viso per cancellare le lacrime e gli aveva regalato il sorriso più bello, un'alba dopo una notte di guerra, il vagito di una nuova creatura venuta al mondo. L'aria che lui aveva trattenuto e poi spirato, sospeso su quel granello di incertezza grande quanto una lacrima.
 
Essere sincera e aprire il suo cuore era stato più facile per lei, che aveva il cuore così grande da traboccare.
̶  Ti amo anch'io, Ranma, ti amo in tutte le tue forme e da tanto tempo, forse ti ho amato dalla prima volta che mi hai offesa, o da quando una ragazzina coi capelli rossi ha accettato la mia amicizia. Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti…
Ma lui l'aveva baciata e quei 'ti amo' che parevano non finire più erano diventati fuoco e ghiaccio, testa e cuore, orgoglio e desidero. Tenerezza e passione travolgente.

 
Era stato così che avevano scoperto quelle cinque piccole cose che li avevano resi felici. In modi inattesi, in momenti che fluttuavano da sempre in mezzo a loro e aspettavano soltanto che una speranza si facesse coraggio, un ricordo divenisse presente, due metà diventassero un intero. Erano state cinque impronte marcate sui loro animi in tempesta pronti a continuare insieme quell'avventura che si chiamava vita.
 
Tutto il resto sarebbe venuto da sé.


 
***
 

̶  Me lo racconti di nuovo, papà?
Occhietti castani curiosi e furbi, proprio come quelli di sua madre.
̶  Che vuoi sapere ancora?
̶  Di come hai conquistato la mamma!
Ecco la furia accecante e splendida che arrivava, evocata come una dea.
̶  Di come la mamma ha conquistato tuo padre, volevi dire!
̶  Dai mamma! Quella cosa di 'dire-fare-baciare-lettera e testamento'…
̶  Dire… fare…? Non capisco.
̶  Avete detto parole gentili, avete fatto le coccole, vi siete baciati, avete annunciato agli altri che volevate stare insieme davvero (che conta come 'lettera', no?) E poi… Cos'era 'testamento', papà?
 
Un sorriso sbarazzino, come quando era iniziato tutto. Uno sguardo adulto, che mai aveva perso il fuoco dentro. Akane lo amava, lo amava, lo amava come allora, più di allora, in un modo che poteva fare male da quanto era travolgente.
̶  Diciamo eredità, più che testamento, figliolo…
Uno sguardo d'intesa con lei, che era il suo centro di gravità e la sostanza stessa del suo tempo.
̶  Eredità? E che mi lasci in eredità, papà?
 
̶  Tutto l'amore che c'è.


 
   
 
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