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Autore: sesshy94    15/09/2009    6 recensioni
Un caso a Las Vegas...un incontro poco piacevole. Il passato torna a tormentare Reid, che ha cercato in tutti i modi di dimenticare.
Eccomi di nuovo qui!!!! Non poteva mancare un breve FF sulla coppia più bella di questo mondo!!! Anche qui vi prego datemi qualche parere!!!! Bacione sesshy
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un nuovo caso a Las Vegas

Un nuovo caso a Las Vegas. La squadra era arrivata. La polizia locale era già sul posto ad interrogare un testimone.

Morgan e Reid scesero dalla macchina. A loro il compito di interrogare il testimone di nuovo. Lo individuarono subito e si avviarono. Ma a metà Reid si bloccò. Fissò a lungo il ragazzo davanti a lui.  E questi restituì l’occhiata.

Poi, dopo interminabili minuti, scoppiò a ridere.

“Quasi non ci credevo. Dove hai messo i tuoi inseparabili occhiali? E soprattutto, che diavolo ci fai qui? Ahahahahahaha, fammi indovinare sei la mascotte della squadra? Che altro ruolo potresti avere?” il ragazzo aveva impresso ella voce una certa nota di…malvagità.

“Thomas Carrow.” Sibilò Reid fra i denti. Immagini improvvise gli balenarono in mente. Una moltitudine di ragazzi, di tutte le età, lo guardavano e ridevano. E lui, li legato e nudo…costretto a subire quell’umiliazione. E poi, Carrow, con in mano una macchinetta fotografica gli aveva scattato alcune fotografie.

“Queste ci serviranno, ragazzi.” Aveva detto malignamente agli altri.

Quando poi si erano stufati dello spettacolo se ne erano andati. Ma Carrow era rimasto. Lo guardava. Scosse a testa.

“Cosa hai pensato, quando ti ho detto di Alexandra? Non avrai pensato che…ahahah…sul serio genio, hai pensato che si volesse mettere con te?” aveva detto, lanciandogli un’occhiata…cattiva. E scoppiando in una risata crudele. E poi se ne era andato. Lasciandolo lì.

Ed ora che lo guardava nuovamente negli occhi, vedeva la stessa luce crudele che gli aveva visto quella maledetta notte.

Reid si morse il labbro. E sentì montargli dentro una rabbia quasi disumana.

Morgan voltava lo sguardo dall’uno all’altro. Conosceva abbastanza bene Reid da sapere che, in quel momento, era furioso.

Quasi senza pensarci si mise in mezzo hai due, interrompendo quel legame che si era venuto a legare tramite gli sguardi. Interrompendo anche il flusso di ricordi che aveva investito Reid.

“Ahahahahahahaha, vedo che hai trovato chi ti difende eh? Lo sai che ho ancora le foto...sai a cosa mi riferisco.” continuò imperterrito l’altro.

Morgan stava per rispondergli per le rime, ma Reid fu molto più veloce. Con una manata spinse da parte Morgan, e in pochi passi annullò totalmente la distanza fra lui e Carrow. Con il braccio sinistro lo spinse contro il muro e lo tenne fermo. Il destro scattò a cercare la pistola.

Per un solo attimo pensò a cosa stava facendo. Per un solo attimo la razionalità ebbe il sopravvento sulla rabbia. Ma poi vide di nuovo quegli occhi. E la razionalità andò a farsi fottere.

Estrasse la pistola. Sogghignò quando vide negli occhi di Carrow insinuarsi il terrore.

“Ma guarda. Scommetto che avevo la stessa espressione quella notte. Piacevole?” sibilò. Non gli importava un’accidenti che tutta la sua squadra lo stavano guardando. Che guardassero pure. Voleva solo umiliarlo, come avevano fatto con lui.

“Allora? Ti ho chiesto se è piacevole.” Continuò.

Carrow era terrorizzato. Scosse la testa.

“Sei…patetico. Il grande Thomas Carrow, il più bello della scuola, il più…figo, quello che si è portato a letto mezza scuola, che si vede puntare addosso una pistola da Spencer Reid il genietto. Mi dispiace solo di una cosa…” quello non era lui. Ma non gli importava. Aveva la sua vendetta.

Carrow riuscì a trovare il coraggio di chiedere: “ Cosa?”

Reid sogghignò.

“Di non avere una macchinetta fotografica. Sai che risate, mandare le tue foto con questa faccia ai tuoi amici.” Continuò.

“Purtroppo, per me, sei un testimone. Sei fortunato. Non ti ucciderò, almeno non oggi.” Lentamente, molto lentamente lo lasciò andare. Rimise la pistola al suo posto. Poi, senza dire una parola, andò da Hotch.

Che, senza dire una parola, gli indicò la macchina. Sempre in silenzio, Reid vi entrò. Mi se in moto,e se ne andò.

Dentro la macchina lasciò correre i pensieri. E anche l’acceleratore. Aprì i finestrino e lasciò che l’aria gli sferzasse il viso.

Una vita passata a dimenticare, un solo secondo per ricordare. Strinse la presa sul volante. Lui non voleva ricordare, dannazione!

Girò bruscamente. E inchiodò. Era arrivato. Ma in quelle condizioni non sarebbe riuscito a parlare con la madre. Anche perché, non ne aveva voglia.

Rimase li chiuso, per diversi minuti. Improvvisamente sentì un improvviso desiderio di prendere a pugni qualcosa, o qualcuno.

Dato che non aveva nulla su cui sfogarsi, ben presto questa voglia si trasformò in voglia di correre.

Questo lo poteva fare. Mollò l’inseparabile tracolla hai piedi del sedile, e in fretta e furia scese dalla macchina e la chiuse.

E ben presto si ritrovo a correre. Correre per quelle vie così dannatamente familiari. Correva come un pazzo, correva lasciandosi alle spalle una parte del passato. Del suo passato.

Non un solo pensiero gli attraverso la mente. Non una sola cosa lo fece fermare.

Se non, ad un certo punto, la totale mancanza di fiato e la milza che rischiava di scoppiargli insieme hai polmoni e al cuore.

Non capiva nemmeno dove era. Sapeva soltanto che le gambe non lo reggevano più. Crollò per terra.

“Sono su un prato.” Pensò. Intorno a se sentiva il profumo dell’erba. E sopra vedeva il cielo, azzurrissimo.

“Sembra che tu abbia rubato du pezzetti di cielo quando c’è bel tempo  e te li sia messi al posto degli occhi.” Era solita dirgli sua madre.

Sorrise. Sua madre.

“E se fossi impazzito?” un altro fugace pensiero. Si ricordò di quando aveva parlato di questo a Garcia.

“La schizofrenia si trasmette geneticamente.” Il sorriso divenne più ampio. Dimenticare, era solo quello che voleva. E se per dimenticare doveva impazzire, accoglieva la pazzia come un’amica. Anzi meglio, come una sorella.

Non seppe per quanto tempo rimase sdraiato su quel prato. Ci rimase anche se il fiato era tornato regolare e non sentiva più dolori.

Aveva la testa vuota. Si sentiva leggero. Lui il Dottor. Spencer Reid, non aveva pensieri. Si era sentito così solo in un’altra occasione. E cioè quando Tobias Hankle gli iniettava quello stupefacente nelle vene.

Se possibile il sorriso, che non aveva mai abbandonato le sue labbra, divenne ancora più ampio.

Bel modo di dimenticare. Cancellare tutto. Come spingere un tasto. Tac, in un attimo i ricordi che hanno lacerato il tuo cuore, la tua anima per anni, spariti.

Dimenticare.

Dimenticare.

Dimenticare.

Continuò a ripeterselo.

Dimenticare.

Dimenticare.

Ripetere quella parola lo stava facendo scivolare in uno stato di trance. Di lì al sonno il passo era piccolo, quasi insignificante. E nel sonno…chi è che soffre? Si, ecco cosa voleva. Voleva solo dormire…e dimenticare.

Ma un suono insopportabile ruppe quello stato di dormiveglia in cui era cascato.

Svogliatamente s tirò su, era piuttosto piacevole l’erba come letto.

Prese il cellulare.

“Morgan.” Lesse sul display. Si guardò intorno. Non aveva voglia di rispondere. Nessuna. Dove diavolo era? Sul prato di una scuola. Si guardò intorno.

“High School of Las Vegas.” Lesse sul cartello. Perché quel nome gli era familiare?

Fortunatamente il cellulare aveva smesso di chiamare. Ma poi, dopo che gli aveva concesso qualche minuto di tregua, ricominciò.

Spazientito Reid guardò nuovamente il display. Ancora Morgan. Non voleva rispondere, poi però gli balenò in mente una cosa.

Morgan si era sempre sinceramente preoccupato per lui. Rispose.

“Reid, perché non hai risposto prima?” la voce preoccupata di Morgan lo fece sentire quasi…bene.

Si sentì nuovamente bambino. Ed ormai era chiaro, stava, o già era, impazzito.

“Scusa.” Sussurrò soltanto.

“Non fa niente. Dove sei piuttosto?”

Reid si guardò intorno.

“Io…non…lo so. Non…” ma poi di nuovo, prepotenti, i ricordi si impossessarono di lui. Si rivide più piccolo, in quello stesso prato seduto isolato da tutti. Studiava, ma non riusciva a farlo bene. Tutti i ragazzi che passavano lo additavano e ridevano.

“REID!” l’urlo di Morgan dentro il suo orecchio lo riportò al presente.

“Scusa. Io sono davanti alla mia vecchia scuola. E me ne sto andando. Torno alla macchina.” Disse.

“Allora ti aspetto.”

“Come? Ma non sai neanche dove l’ho lasciata!”

Dall’altra parte del telefono Morgan scoppiò a ridere. Non una risata cattiva. Anzi.

“Reid a volte sei…senza offesa…scontato. Sono davanti alla clinica dove è ricoverata tua madre. Muoviti, ti sto aspettando.”

Anche Reid sorrideva.

“Io non sono affatto scontato, sei tu che mi capisci fin troppo bene.” Da dove gli era uscita quella frase? L’aveva veramente detta? A quanto pareva si perché anche Morgan era rimasto abbastanza spiazzato.

“Oh, uhm…senti tu lavora al caso. Io sto bene…ci vediamo domani. Oh stasera. Insomma, quando finite.” Era riuscito a dire una frase sensata.

“Come vuoi. Se…se hai bisogno non esitare a chiamarmi.”

“Ok.”

Dall’altra parte Morgan attaccò. Lo stesso fece Reid. Mise il cellulare in tasca. Si strofinò il viso con entrambe le mani e poi se le passò fra i capelli.

“Calmati.” Si disse.

Senza pensare prese una direzione. Sapeva talmente a memoria quelle strade che neanche doveva pensare a cosa faceva. Lo faceva automaticamente.

Dopo aver fatto pochi passi, il suo cellulare squillò di nuovo. Era un messaggio…di Morgan ovviamente.

“Non pensare troppo, trovati qualcosa da fare che ti occupi la mente. Altrimenti ricorderai. E in questo momento è proprio quello che non devi fare.” Reid lesse e rilesse il messaggio diverse volte.

Poi scoppiò a ridere. Una risata liberatoria.

“Trovati qualcosa da fare. A Las Vegas? Grazie tante, amico.” pensò. Si fermò di colpo. Era uscito distrutto da quella che gli sembrava una folle corsa. In realtà era piuttosto vicino alla macchina.

“Fantastica resistenza, Spencer.” Oh fantastico. Stava parlando con se stesso. Alzò le spalle. E guardò davanti a sé.

Ma si due chiacchiere con sua madre. E così entrò.

                                                                                           ****

Le due chiacchiere con sua madre si erano in realtà rivelate poi un intero pomeriggio con lei. Bè d’altronde erano quasi due mesi che non la vedeva. Tra il fatto che uno lo aveva passato in ospedale, per via dell’antrace, e i vari casi, non era più riuscito a vederla.

Quel giorno era stato fortunato. Sua madre era in uno dei, ormai rari, periodi “buoni” e aveva potuto parlare e, addirittura, giocare.

Poi aveva ricevuto la telefonata di Morgan. Che era stato quasi lapidario.

“Caso, chiuso.” Gli aveva detto. No, non quasi, era stato lapidario. Ed ora Reid si stava apprestando a raggiungerli a Quantico.

Ovviamente non avendo preso l’aereo gli aspettavano diverse ore di macchina. Ma a lui piaceva viaggiare soprattutto se guidava lui.

Con un sorriso sulle labbra uscì dalla clinica. Sempre con il sorriso salì in macchina.

                                                                                        ***

Fermò la macchina sotto casa sua. E cercò le chiavi.

“Cavoli!” gridò nell’abitacolo. Le aveva scordate. E, tanto per concludere in bellezza quella giornata di merda perché altro non era, era scoppiato un temporale assurdo.

“Fantastico. E ora?” pensò.

E poi gli venne in mente…che casa di Morgan no era poi così istante dalla sua. Ci sarebbe arrivato zuppo, perché non aveva nessuna voglia di andarci in macchina. Perché il rischio era di non riuscire a parcheggiare e trovare un posto lontano.

Sospirò. Alternative? Si passare la notte in macchina.

In due nano secondi fu fuori. Assicuratosi che la macchina fosse chiusa, cominciò a correre. Ma pioveva talmente forte che, per quanto morgan abitasse vicino, arrivò sullo stipite della porta, bagnato zuppo come un pulcino.

Suonò il campanello. E intanto cominciava anche a congelare.

“Muoviti Morgan.” Sussurrò alla porta. Sentì armeggiare con la serratura.

E finalmente l’uomo gli aprì.

“Reid, che ci fai li fuori! Entra o congelerai.” Disse stupito.

“Troppo tardi, sono già congelato.” Gli rispose il ragazzo.

Morgan sorrise.

“Vieni, fatti una doccia calda. Il bagno e in fondo a sinistra. Ti porto dei vestiti asciutti.”Disse  sbrigativo.

“Grazie.”

Con qualche difficoltà Reid riuscì a sbrogliarsi gli abiti di dosso. E s’infilò sotto l’acqua. Aprì il getto e lasciò che l’acqua gli scivolasse addosso.

Poco dopo entrò Morgan.

“Ti lascio i vestiti qui.”

Qualche minuto dopo Reid uscì dalla doccia. Si sentiva decisamente meglio. S’infilò i vestiti che Morgan gli aveva dato. E uscì. Andò nel piccolo salotto.

“Meglio?” gli sorrise Morgan.

“Meglio.” Rispose lui. Si sedettero l‘uno d fronte all’altro. Reid guardava per terra, torturandosi le mani. Neanche si era accorto che Morgan si era alzato e che era ritornato reggendo due tazze di tè fumante. Ne mise una tra le mani del più giovane.

“Oh, grazie.” Si riscosse Reid.

Rimasero ancora un po’ in silenzio.

“Credo che…delle spiegazioni…ricordo il caso di Adam, quel ragazzo vittima di bullismo a scuola…” Rei cominciò a parlare posando a tazza sul tavolino di fronte a lui.

Morgan annuì, lo ricordava bene.

“Ricordi…quello che ti raccontai…” altro assenso da parte di Morgan.

“Quel…quel…ragazzo…Thomas Carrow, fu lui a venirmi a dire di Alexandra. E mentre…gli altri ridevano…lui mi ha…scattato delle foto…e…quando tutti gli altri se ne sono andati, mi…mi ha detto…mi ha chiesto se veramente avevo pensato che Alexandra volesse diventare la mia ragazza. E poi se né andato. Lasciandomi lì.” Concluse il racconto Reid. Si sentiva più leggero. Molto più leggero.

Ma, non meglio. Anzi.

“Sai, ripensando ora ala reazione che ho avuto…sembravo folle vero?” chiese. Morgan scosse la testa.

“Già, lo ero. È solo che…rivederlo, sentire di nuovo quella voce, rivedere i suoi occhi con la stessa luce…cattiva. Dopo quella notte, ogni volta prima che mi addormentassi, la sua voce mi perseguitava. La sua voce e i suoi occhi. E quando oggi ci siamo rincontrati, io…” guardò negli occhi Morgan.

“…volevo veramente ucciderlo. Tutto…tutto questo è assurdo. Io non riesco a capire.” Preoccupazione, tristezza, ancora una qualche traccia di rabbia.

Reid non capiva, o meglio, non si capiva.

Morgan sorrise dolcemente.

“Sai il nostro lavoro ci permette di capire ciò che pensa una persona. Cosa la spinge ad agire in quel modo. Ma quando si tratta di noi stessi…non riusciamo mai a capirci. È per questo che siamo in due. Reid ora ascoltami. Quello che ti è successo è impossibile da dimenticare. E spesso il dolore non diminuisce con il tempo. La maggior parte delle volte riusciamo solo a  convivere con esso. Rivedendo Carrow tutta la rabbia accumulata dopo quel giorno è esplosa. Ed è normale che tu abbia voluto ucciderlo. Che tu lo abbia voluto con tutto te stesso non significa che tu lo avresti fatto.”

Una luce si accese negli occhi di Reid. Morgan aveva ragione. Volere non significa potere. Sorrise. Era bastata una semplice frase per  far scivolare via tutte le sue preoccupazioni.

Anche Morgan sorrise.

“Non ho il dono di poter far dimenticare le cose. Ma so come diminuire il peso di alcuni ricordi.”

Reid lo guardò speranzoso. Lo stava prendendo in giro? M poi s ricordò chi aveva davanti.

“Come?” chiese.

“Semplicemente dividendoli in due.” Detto questo si alzò e gli andò di fronte. Gli afferrò le mani.

“Se vuoi, sono sempre disposto ad ascoltarti. Qualunque cosa tu voglia dirmi.”

Quel semplice gesto, il tono d voce usato bastò al giovane. Dentro di lui si sciolse un nodo.

“Grazie.” Sussurrò cercando di imprimere tutta la gratitudine possibile nella voce.

Si fissarono a lungo, poi Reid si alzò.

“Ha smesso di piovere. Posso provare a tornare a casa. E a forzare la serratura.”

Ma non appena mosse qualche passo, gli girò la testa e perse l’equilibrio. Finendo tra le braccia di Morgan.

In un attimo si ritrovò circondato dalle braccia muscolose dell’altro. Non cercò di divincolarsi. Era piuttosto piacevole. Fra le braccia di Morgan si sentiva…al sicuro.

Senza pensare, strinse la maglietta dell’altro fra le dita e affondò il viso nell’incavo della spalla. Rimasero abbracciati a lungo.

“Non credo che tornerai a casa. Non con la febbre che ti ritrovi.” Sussurrò Morgan vicinissimo al suo orecchio.

Questa vicinanza provocò un brivido lungo la schiena di Reid.

Morgan si staccò da lui, ma solo per potergli prendere il viso fra le mani. Avvicinò il loro volti.

“Quello che voglio, è poterti stare vicino. Sempre.” Gli sussurrò a fior di labbra, prima di baciarlo delicatamente.

Un bacio delicato e dolce.

Reid era in tilt. Non capiva più nulla. Solo che, gli piaceva. Era importante sapere altro? No.

Nonostante nessuno dei due volesse interrompere il contatto la mancanza d’aria li fece dividere.

Entrambi sorridevano, ma Reid non riusciva a tenere gli occhi aperti per più di tre secondi.

“Dai vieni, andiamo a letto, non riesci a stare sveglio.” Lo prese in giro Morgan. Il giovane si lasciò guidare nella camera da letto di Morgan. S’infilarono a letto e pochi secondi dopo già dormiva. Morgan lo guardò a lungo. Poi lo abbracciò e finalmente si addormentò anche lui.

                                                          **** Tre giorni dopo****

 

“Ehi Reid, è arrivato un pacco postale. Credo sia per te.” Grida Morgan con un pacco in mano.

Lo molla sul tavolo di fronte a Reid.

“Per me?” si acciglia il ragazzo. Comincia ad aprire il pacco e quando tira fuori il contenuto lancia un grido e getta via ciò che ha tirato fuori.

“Ehi che succede?” chiede Morgan entrando, e notando la faccia di Reid.

“Ancora?” sussurra il ragazzo.  Morgan prende la lettera dentro il pacco e legge.

“Sai Reid, credo che tu debba leggerla.” Ma il ragazzo scuote la testa.

“Fidati di me. Leggila.” Insiste Morgan.

Con mani tremanti Reid prende la lettera.

“Ciao Reid. Riconosci questa macchinetta? Dentro ci sono quelle fottutissime foto.  A te decidere cosa farne. Le avevo salvate sul computer ma le ho cancellate, te lo giuro. So che questo è niente, ma spero che accetterai le mie scuse. Anche se inutili.

Thomas Carrow.”

Reid prende la macchinetta fotografica fra le mani. La accende. Su display compare la foto di un ragazzo. Ma Reid neanche le guarda.. Fa scorrere il pulsante fino all’opzione “Cancella.”

Sorride a Morgan, che restituisce il sorriso incoraggiandolo a continuare.

“Cancellare tutte le foto presenti nella memoria?”

Clic.

Si.

 

 

 

 

 

Angolo autrice.

Rieccomi qui! Questa volta con una piccola Reid/Morgan. Eheheh amo lo yaoi e sti due sono bellissimi insieme!!!!

Ehm ehm….ok detto ciò mi scuso! Vi prego non linciatemi. E se fa schifo ditemelo. Allora da cosa è nata questa storia?  Dal fatto che l’altro giorno mi stavo riguardando la puntata di CM “Memoria da elefante.” Ed è uscito ciò. Una semplice domanda. La prima parte…è esagerata?

Insomma ditemi se fa schifo o se vi piace. Grazie! A presto la seconda parte ovviamente tutta dedicata a Morgan! Bacini sesshy

  
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