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Autore: Old Fashioned    05/09/2023    11 recensioni
Siria, 2016. I mercenari della Wagner hanno il compito di liberare Palmira dalle forze dell'Isis. Uno di essi, alla vigilia del congedo, scopre che la Compagnia sarà utilizzata come carne da cannone dall'Esercito regolare russo, che la manderà al macello sotto i missili delle forze del Califfato e arriverà praticamente a cose fatte, prendendosi però tutto il merito dell'operazione.
il mercenario non ha intenzione di lasciar massacrare i suoi compagni e farà di tutto per salvarli, anche rinunciando al tanto desiderato congedo in Patria.
Prima classificata al contest “Emozioni incrociate” indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adunata all'inferno
ADUNATA ALL’INFERNO




L’hotel Le Meridien, un tempo il migliore di Latakia, era piuttosto male in arnese, ma ai legionari russi non importava. Il bar funzionava, nel senso che c’erano vodka, tranquillità e una gradevole vista sul mare, e questo era più che sufficiente.
Avevano portato un paio di tavolini sulla spianata fra le due piscine, una vuota e una piena per metà di un’acqua verdastra e vagamente schiumosa, e incuranti del vento gelido che spirava dal mare agitato facevano un brindisi dopo l’altro.
Alla Compagnia!” esclamò Orel alzando il bicchiere pieno. Tutti gli altri lo imitarono. “Alla Compagnia!” ripeterono in coro e bevvero.
Fu versata altra vodka, poi Nemets, che sedeva accanto a lui, proclamò: “Al comandante Wagner!” La procedura si ripeté.
Poi toccò a Pitbull, che siccome era il più giovane del gruppo veniva irrispettosamente chiamato Shchenka, cioè cucciolo. Questi ci pensò su qualche secondo, poi per non sbagliare alzò il bicchiere e disse: “Alla Russia!”
Sì! Alla Russia, alla Russia!” fecero eco tutti.
Non si erano ancora esaurite le acclamazioni per la Patria che il successivo legionario si levò addirittura in piedi e con solennità disse: “Alla Siberia!”
Ecco un brindisi che non ci saremmo mai aspettati,” lo canzonò Orel. Gli altri risero.
Il primo, due metri, occhi di ghiaccio, si incupì e ringhiò: “Cos’avete contro la Siberia?”
Ma niente, Sibiriak, niente. Ci piace un sacco, soprattutto se ci permette di bere della vodka. Ora siediti, però.” Poi, a voce più alta: “Alla Siberia!”
E tutti, in coro: “Alla Siberia!”
Il successivo fece girare una nuova bottiglia, dal momento che la prima era già vuota, poi propose: “Ai salassi!”
Calò il silenzio. “Ai salassi, Professor?” fece eco Pitbull perplesso.
Certo! Sono un medico, brindo alla cura più antica del mondo.”
Ma non erano le puttane?” chiese Orel.
Quello è il mestiere più antico del mondo.”
Nemets versò a tutti un altro bicchierino di vodka e disse: “Credevo che fosse il nostro, il mestiere più antico del mondo.”
Siamo anche noi delle puttane, in un certo senso,” rispose disinvolto Professor, “solo che invece di scopare a pagamento combattiamo a pagamento.”
Alle puttane!” esclamò allora Pitbull. E tutti, in coro: “Alle puttane!”
E allora anche a noi!” propose Professor.
A noi!”
Orel stava per riprendere il corretto giro dei brindisi quando Nemets disse: “Senti, ma allora te ne vuoi andare per davvero?”
La bottiglia rimase a mezz’aria.
L’altro emise un sospiro. “Ne abbiamo già parlato.”
Allora è vero?” intervenne torvo Sibiriak.
Cazzo, certo che è vero!” sbottò Orel. “Lo sapete benissimo, è inutile che facciate quelle espressioni tristi. Sono già andato da Prigovor a chiedere la liquidazione e ho firmato tutte le carte.”
Quindi te ne vai?” chiese Pitbull.
Un nuovo sospiro. “Ragazzi…”
La vodka fece un altro giro, i bicchierini vennero vuotati tristemente, senza l’accompagnamento di un brindisi.
Ragazzi, non mi rendete le cose molto facili,” protestò Orel, di fronte allo sguardo di muta riprovazione dei compagni. “Eppure lo sapete: Natasha si vuole sposare, ci tiene, e poi suo padre mi ha già trovato un buon lavoro.”
Sibiriak lo fissò gelido. “Ce l’ho anch’io la donna, a casa, ma per me non c’è donna che tenga, di fronte ai miei compagni.”
E dai, ragazzi…”
Brindiamo ai borghesi!” propose allora Nemets, riempiendo i bicchieri fino all’orlo, “Alle fidanzate appiccicose, alla spesa al sabato mattina e ai mocciosi urlanti!”
Una volta che si fu esaurito il giro di bevute, tirò fuori un pacchettino realizzato con la carta protettiva che avvolgeva i missili anticarro. Lo fece scivolare verso Orel. “Per te, brutto bastardo.”
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Cos’è?”
Da parte di tutti.”
Sì, ma cos’è?”
Un pacco-bomba, no?” Nemets riempì i bicchieri per l’ennesima volta. “Alla fiducia tra legionari!”
Tutti bevvero fra grandi risate.
Infine Orel si decise a strappare la carta giallastra. Ne emerse una maglietta nera che sul davanti aveva il ritratto di un uomo con un basco militare. L’immagine era divisa in due: la parte superiore era un volto dagli occhi chiari, la parte inferiore un teschio insanguinato. C’era una scritta.
Cosa vuol dire?”
È in inglese,” lo informò Professor.
Poniamo che io non sappia l’inglese,” fu la piccata replica.
Vuol dire: i mercenari non muoiono, vanno solo a fare l’adunata all’inferno.”
Orel la fissò immobile per qualche secondo. “Non dovevate…” cominciò, ma la commozione lo obbligò a fermarsi.
Così ti ricorderai di noi,” disse Pitbull. Afferrò la bottiglia e versò di nuovo la vodka a tutti. “All’amicizia sincera!” esclamò.
Bevvero con la massima solennità.
L’altro era sempre più commosso, oltre ad essere sempre più ubriaco. Si accasciò sulla spalla di Nemets e disse: “Fratellino, ti ricordi quando eravamo nello spetsnaz?”
Certo che mi ricordo.”
Non ti dimenticherai di me, vero? Voglio dire: io torno a casa, ma poi ci ritroveremo.”
Sì, sì.”
Ci tengo, sai? Sappi… sappiate che se vi succede qualcosa io torno indietro, Natasha o non Natasha!”
Tranquillo,” gli assicurò Professor, “il peggio che ci può succedere è che i dukhi[1] ci sparino addosso.”
Parlo sul serio!” protestò Orel, ancora sulla spalla di Nemets. “Voi siete i miei fratelli. Se vi succede qualcosa, io pianto tutto e corro qui!”

§

La colonna di Kamaz si lasciò alle spalle i sobborghi di Latakia diretta a sud-est. Man mano che procedeva, le strade si facevano più dissestate e i dintorni più aridi. A un certo punto le piante scomparvero del tutto per lasciare il posto a morbide dune di sabbia color ocra che si perdevano all’orizzonte. Il cielo era una distesa di smalto turchese.
Seduti nel cassone del camion di testa, incastrati alla meglio fra armi ed equipaggiamenti, i legionari dormivano o lasciavano vagare lo sguardo all’esterno. Nemets si rivolse a Pitbull: “Ce l’hai la crema solare, Shchenka?”
Non ne ho bisogno,” rispose ruvido il giovanotto.
Guarda che con questo sole ti bruci.”
L’altro alzò le spalle con noncuranza. “Poi mi passa.”
Nemets non replicò. La Compagnia non era l’esercito: ognuno si gestiva come preferiva, l’importante era che fosse pronto a combattere quando era il momento di farlo.
Sibiriak attirò la sua attenzione: “Quanto manca?”
Circa centocinquanta chilometri,” intervenne Professor, sempre ben informato.
Ci sono centocinquanta chilometri di questo?”
Anche di più. Non per niente, Palmira è soprannominata la Regina del Deserto.”
Pensavo che si chiamasse così per le palme.”
L’altro scosse la testa. “No, niente palme.”
Solo i dukhi,” disse Nemets.
Si sa quanti sono?”
Parecchi. Prigovor dice che si sta preparando qualcosa di grosso.”
I Federali[2] ci saranno?”
Figurarsi,” intervenne Sibiriak sprezzante, “il lavoro sporco lo fanno fare tutto a noi, poi loro arrivano a cose fatte, per le interviste e le foto. È già molto se ci mandano dei sadiq[3], che poi è peggio che essere da soli.”
Mezzi soldati,” commentò sprezzante Pitbull.
I camion continuarono ad avanzare nel deserto, lasciandosi dietro una densa nuvola di polvere. La temperatura si era fatta torrida, nemmeno il vento che si insinuava sotto il telone riusciva a rinfrescare i legionari.
Sibiriak si mise a torso nudo, rivelando un complesso intrico di tatuaggi a tema religioso.

Quando arrivarono nei dintorni di Palmira il sole si stava avviando verso l’orizzonte. La sabbia aveva assunto una tonalità bruno-rossiccia calda e vellutata, che virava al viola nelle parti in ombra.
La Compagnia era attestata sulle basse alture che a ovest dominavano le rovine. C’erano trinceramenti protetti da sacchi di sabbia, postazioni di mitragliatrici pesanti Kord, lanciagranate AGS di grosso calibro e anche un paio di cannoni antiaerei Zenit, montati su autocarri Gaz. L’unico carro della sezione, un T-90 preso ai dukhi, era parcheggiato da una parte. Tolte le sentinelle, gli uomini erano a riposarsi dopo i turni della giornata, oppure approfittavano dell’aria leggermente più fresca per allenarsi in un poligono di fortuna.
I Kamaz si fermarono, Nemets saltò a terra e per prima cosa inforcò il binocolo per controllare la vallata. Le rovine sembravano disabitate, non c’era traccia dell’Isis.
Mentre era così impegnato gli si fece incontro Gaubitsa, un ex artigliere dell’Armata Rossa, che senza neanche salutarlo gli chiese: “Avete portato le munizioni?”
Un camion pieno.”
L’altro parve deluso. “Solo uno? È una miseria.”
Nemets abbassò il binocolo. “È quello che ci manda il Ministero della Difesa.”
Al solito: per noi solo le briciole. Domani si scatenerà un casino e mentre quelli là ci tireranno addosso l’inferno, noi dovremo stare a contare i colpi come se li pagassimo di tasca nostra.” Diede a sua volta uno sguardo alla vallata, brontolando cose inintelligibili, poi aggiunse: “Il capo ti vuole, a proposito.”

La tenda di Sud Bozhy, comandante della sezione, si trovava un po’ distaccata dalle altre. Nemets la raggiunse rapido e trovò l’ex GRU[4] in maniche di camicia, intento a studiare una mappa stesa sul tavolo.
Vieni avanti,” gli disse l’uomo senza nemmeno alzare la testa. “com’è andata a Latakia?”
Bene. Ho trovato quasi tutto quello che mi avevi detto.”
Anche il drone?”
Sì, l’ho preso in prestito dai Federali,” rispose Nemets con una risatina.
Ci sta,” apprezzò l’altro. “Del resto lavoriamo sempre al posto loro, mi sembra il minimo che almeno ci forniscano il materiale per farlo, anche se inconsapevolmente.” Poi, dopo una pausa: “Orel?”
Andato,” rispose Nemets. “A quest’ora sarà già sull’aereo.”
Mi spiace, era un buon elemento. Avete combattuto insieme, vero?”
Afghanistan, Cecenia e Donbass.”
Sud Bozhy annuì con una nota di nostalgia nell’espressione, poi abbandonò le rievocazioni in favore di argomenti operativi. “Gli ordini sono di riprendere Palmira,” rivelò. “Agiremo coordinandoci con i Federali e i sadiq.”
Che genere di sadiq?”
La voce del comandante si colorò di una nota ironica. “Un’unità d’élite: i Falchi del Deserto[5].”
Nemets non commentò, anche se era sicuro che al momento del dunque i siriani si sarebbero come al solito rivelati più un problema che una risorsa. “Sappiamo quanti dukhi ci sono?” si limitò a chiedere.
No, è per questo che ci serve un drone. Se ne stanno dall’altra parte della valle, nascosti sulle alture. Ieri una pattuglia di esploratori si è avvicinata troppo e abbiamo perso Molot.”
Posso andare io con un paio dei miei ragazzi.”
Negativo, tu devi…” si interruppe, alzò la testa in ascolto. “Cazzo, di nuovo?”
Nella calma della sera crepitavano raffiche di mitragliatrice. I due corsero fuori e videro che da dietro le dune, oltre la vallata, stavano arrivando a tutta velocità due pick-up che inalberavano le bandiere nere dello Stato islamico, equipaggiati con mitragliatrici pesanti e lanciagranate. I veicoli arrivarono al limite della distanza di tiro dalle postazioni, spararono altre raffiche, lanciarono ordigni incendiari e a frammentazione poi sterzarono bruscamente e si allontanarono inseguiti dai proiettili russi.
Sud Bozhy attraversò in un attimo la caligine che le esplosioni avevano creato e corse alle trincee. “C’è qualche ferito?” chiese per prima cosa.
Tutto a posto, comandante,” gli assicurò un legionario, talmente coperto di sabbia da renderlo irriconoscibile, “solo un po’ di casino in giro.”
Nemets si avvicinò. “Non ho capito il senso di questa bravata,” considerò, indicando con un cenno del capo il pick-up che stava attraversando a tutta velocità la valle.
Ogni tanto lo fanno. Credo che la considerino una specie di prova di coraggio o qualche stronzata del genere.”
Non è che vogliono vedere se abbiamo missili o cose del genere?
Sì, anche, ma più che altro cercano di impressionarci con il loro spezzo del pericolo, come e ce ne importasse qualcosa.”
Per quando è previsto l’attacco?”
Domattina all’alba. Faremo capire ai dukhi che non ci piace essere disturbati all’ora di cena.”
Secondo te hanno anche artiglieria pensante?”
Sud Bozhy alzò le spalle. “Al GRU non risulta. Sarà un lavoro sporco, ma non più sporco del solito.”

Nemets si congedò pensoso. Il fermento creato pick-up dei jihadisti si era già dissolto: i mercenari erano veterani di tutte le guerre che la Russia aveva combattuto negli ultimi vent’anni e una cosa del genere non li impressionava più di tanto. C’era qua e là qualcuno che imprecava sistemando gli smottamenti causati dalle granate, ma per il resto le conversazioni avevano ripreso il tono normale.
Il cielo era color cobalto, punteggiato qua e là delle prime stelle. A est sorgeva una falce di luna.
I fornelli da campo mandavano esili fili di fumo nell’aria immobile, da qualche parte echeggiava un canto lento e struggente.
Nella tenda Sibiriak stava già preparando il tè. Pitbull, il naso rosso e spellato, guardava un film sul cellulare.
Professor?” chiese Nemets dopo essersi guardato intorno.
Non c’è,” lo informò il siberiano mentre mesceva la bevanda in quattro bicchieri di latta, “un idiota si è sparato in un piede al poligono.”
Nemets prese un bicchiere, bevve con attenzione qualche sorso bollente e aromatico, poi disse: “Domani ci sarà da lavorare, vogliono riprendersi Palmira.”
Dio, la Vergine e tutti i Santi saranno dalla nostra parte,” replicò filosofico il siberiano.

§

Solo nella stanza d’albergo, Orel continuava a piegare e ripiegare i suoi vestiti per cercare di infilarli nello zaino, ma ogni volta che aveva finito di riempirlo scopriva di essersi dimenticato qualcosa e doveva tirare fuori tutto per ricominciare da capo.
Così non va,” borbottò dopo un po’. Contemplò critico il mucchio di panni sgualciti e alla fine con un’alzata di spalle uscì.
Mezz’ora dopo era sulla spianata del Le Meridien, seduto a un tavolino con Nikolaevič, un suo ex-commilitone dell’esercito regolare russo.
E così te ne torni a casa,” disse quest’ultimo, versando un bicchierino di vodka per entrambi.
Orel beve d’un fiato il proprio, “Già.”
Beh, un po’ ti invidio. Niente più ordini da eseguire, niente più comandanti teste di cazzo, potrai fare quello che vuoi.”
Eh, mica tanto,” scherzò l’altro. Si strinse nelle spalle. “Ci sarà Natasha a comandarmi.”
Oh, già. È vero che ti vuoi sposare.” Nikolaevič versò di nuovo da bere. “Se prendi moglie la libertà è finita, amico mio. Da quel punto di vista rimpiangerai la Compagnia.”
Nuovo giro di bevute.
Ho già dato le dimissioni,” disse Orel, con l’aria di voler esaurire con quell’informazione lo scomodo argomento.
Le dimissioni sono una formalità,” rispose l’altro. Riempì di nuovo i bicchieri.
Beh, io me ne torno a casa, d’accordo? Ho l’aereo domani, non vedo l’ora di mettermi in borghese e bere quanto mi pare.”
Ora stiamo bevendo, no?”
Altro giro di vodka.
Orel vuotò il bicchiere, poi replicò: “Ma in zona operativa non si può bere, lo sai anche tu. Io invece voglio bere quando mi pare.”
E i tuoi come l’hanno presa?”
Ah, non me ne parlare,” il legionario versò altra vodka per entrambi, “facevamo a gara a chi piangeva di più.”
Davvero?”
Altro giro di vodka.
Sì. Nemets mi ha fatto anche un regalo.” Orel si aprì la giacca mimetica e mostrò la maglietta che aveva ricevuto in dono.
Bella,” commentò Nikolaevič. “Cosa vuol dire la scritta?”
Solennemente l’altro recitò: “I mercenari non muoiono, vanno solo a fare l’adunata all’inferno.”
Mi piace. Merita una bevuta.”
Sono d’accordo.”
Altro giro di vodka.
Dopo tutto quell’alcol erano entrambi piuttosto ubriachi, anche per gli standard dei russi. A quel punto, Nikolaevič si piegò verso Orel e con voce impastata biascicò: “Mi dispiace. Sul serio, amico: non sai quanto mi dispiace.”
Per cosa?”
Forse te ne sei andato al momento giusto.”
Che stai dicendo?”
Ti risparmi un sacco di schifezze.”
Ma insomma! Vuoi deciderti a spiegarti meglio?”
Eh...”
Orel perse la pazienza e afferrò l’altro per il bavero. “Che stai dicendo?” ripeté scrollandolo.
Che la Wagner sta per diventare carne da cannone. Te lo dico in nome della nostra vecchia amicizia: i tuoi compagni faranno il lavoro sporco e si faranno massacrare dai dukhi. Le forze armate arriveranno a cose fatte, per prendersi tutto il merito.”
Non è una novità. Cosa c’è di diverso questa volta?”
I dukhi hanno i TOW[6].”
E come cazzo lo sapete che ce li hanno?”
Ce l’hanno detto i sadiq. Il loro mukhabarat[7] l’ha scoperto giorni fa.”
Cazzo! E voi Federali avete pensato bene di non dirci niente, vero?”
Nikolaevič farfugliò qualcosa di inintelligibile. Orel lo abbandonò sulla sedia con un gesto di rabbia e si allontanò a grandi passi.

Abbandonato il bar dell’albergo, furioso, Orel si diresse immediatamente al campus della facoltà di agraria, dove era acquartierata la Compagnia.
Andò alla ricerca di Prigovor.
Il comandante, che stava addestrando un gruppetto di Falchi del Deserto, al suo arrivo lasciò perdere i sadiq e gli si fece incontro. “Non dovevi partire?” lo apostrofò.
Non parto più.”
L’altro lo fissò interdetto. “Come, non parti più?”
Neanche per sogno! I musicisti[8] che sono andati a Palmira si trovano in pericolo. Se non interveniamo per salvare l’orchestra, questo concerto rischia di essere l’ultimo!”
Spiegati meglio.”
So da fonte sicura che i Federali hanno mandato a Palmira la Compagnia perché i dukhi hanno i TOW. Lasceranno che ci massacrino e poi arriveranno a cose fatte, tanto ufficialmente non esistiamo e anche se crepano duecento dei nostri non è un problema.”

§

All’alba le dune erano di un argento serico che ricordava il manto di un animale. L’orizzonte si stava tingendo di rosa e arancione, il cielo era un immenso specchio azzurro pallido e la luna un’esile falce che scompariva a ovest.
Quel che rimaneva delle rovine sorgeva da una vaga nebbia. Immerse nella foschia, le pietre chiare sembravano quasi fluttuare.
Nemets controllò la vallata con il binocolo, poi si voltò verso le postazioni: Professor stava impacchettando il suo materiale medico; Sibiriak, il fedele crocifisso già al collo, si stava infilando in cintura una Tokarev TT-33. Il siberiano si accorse che lo stava guardando e con un sorrisetto sinistro spiegò: “Per gli incontri ravvicinati.”
Poco lontano, Gaubitsa e un altro paio di legionari stavano preparando il drone. Tutti quelli che non avevano niente da fare seguivano l’allestimento tenendosi a debita distanza.
Alla fine l’apparecchio si alzò con un debole ronzio e scomparve verso la valle. Chino sul display, Gaubitsa seguiva con attenzione il suo percorso.
Sud Bozhy si avvicinò. “Vedi niente?” gli chiese.
I bastardi si sono nascosti bene, farò qualche giro per scovarli. Spero solo che non me lo abbattano.”
Sullo schermo comparvero dei pick-up, delle postazioni trincerate e qualcosa che era accuratamente coperto da un telo mimetico.
Che roba è?” chiese il comandante, subito interessato all’insolito reperto.
Non capisco, aspetta che mi abbasso.”
Il drone scese di quota, ma prima che riuscisse a mostrare immagini più chiare entrò nel display un tizio con un mitra imbracciato. Un attimo dopo lo schermo sfarfallò e si fece nero.
Cazzo,” imprecò Gaubitsa, l’ormai inutile valigetta dei comandi ancora in mano.
Non mi piace,” ringhiò Sud Bozhy. “Quella roba aveva un brutto aspetto.”
Del tipo?”
Hai visto come ci sono saltati addosso, appena abbiamo cominciato a ronzare lì intorno?”
Beh, capo, onestamente non ho mai visto nessuno che all’arrivo di un drone si mettesse in posa per farsi riprendere.”
In ogni caso non mi piace.”

A bordo del Tigr, Nemets controllò per l’ennesima volta che le armi fossero tutte in piena efficienza. “Gli ordini sono di attestarsi fra le rovine,” disse a Sibiriak, che era alla guida, “poi allestiremo delle postazioni di mortai pesanti.”
Un peccato,” osservò Professor. “Lo sai che la Sposa del Deserto ha duemila anni?”
Un po’ stagionata, come sposa,” ghignò Pitbull.
Zitto, Shchenka, cosa vuoi saperne tu di archeologia?”
Data la differenza d’età fra noi, ne so sicuramente meno di te!”
Beh, non è cosa di cui farsi un vanto,” replicò l’altro con sussiego, “la cultura è importante.”
Zitti, voi due!” ringhiò Sibiriak, “Disturbate le mie preghiere.”
Prega per i dukhi che farà fuori,” spiegò Nemets con una risatina.
Certo: chiedo a Dio, alla Vergine, a San Giorgio e a San Michele di mandarli in paradiso.”
Quello di Allah?”
Negativo, il paradiso è uno solo, quello del vero Dio. Se quegli stronzi in vita hanno seguito la fede sbagliata non sono problemi miei.”
Il blindato si mise in moto e cominciò a procedere verso la spianata delle rovine. Ai due lati di esso avanzavano tutti i veicoli della sezione: altri Tigr carichi di legionari, dei Kamaz e degli Ural con il materiale bellico e infine il T-90, che sollevava coi cingoli un’enorme colonna di polvere giallastra.
All’improvviso si udì un sibilo che ben presto divenne un basso ululato. Il Tigr di Gaubitsa scomparve in una palla di fuoco. Frammenti infuocati volarono in tutte le direzioni.
Cazzo!” esclamò Pitbull.
Ferma!” urlò subito dopo Professor, “Fammi scendere! Devo andare a vedere se c’è rimasto ancora qualcuno vivo!”
Ma non vedi che è saltato in aria tutto?” protestò Sibiriak.
Tu fammi scendere!”
Il blindato rallentò, il medico saltò giù ancora prima che il veicolo fosse completamente fermo, poi corse verso il relitto fumante.
Vagli dietro,” ordinò Nemets, “se no ce lo perdiamo.”
Che cazzo era?” chiese Pitbull.
Mi sembra ovvio: un missile anticarro.”
Un altro missile sollevò una fontana di terra e sabbia a pochi metri dal T-90, uno prese in pieno un Kamaz, riducendolo a un ammasso di lamiere fumanti.
Il carro armato rallentò, brandeggiò e spedì una granata verso le postazioni nemiche, poi dovette scartare per evitare di essere colpito.
Raccolsero Professor, che prevedibilmente non aveva trovato alcun superstite, poi Nemets urlò: “Copertura! Infiliamoci in mezzo alle pietre!”
Sibiriak condusse il Tigr dietro un cumulo di architravi poderosi e spezzoni di colonne rastremate.
Una volta che furono più o meno al riparo, Nemets inforcò il binocolo per farsi un’idea della situazione. “ I dukhi sono attestati fra le alture,” disse serio, “hanno missili TOW.”
Ecco cos’era quella roba sotto i teli mimetici,” brontolò Sibiriak, che poco prima aveva seguito le evoluzioni del drone.
Già. Sarà dura sloggiarli.”
Una raffica di mitragliatrice pesante lo costrinse ad abbandonare l’osservazione per mettersi al coperto. Tenendosi piegato raggiunse il resto della sezione. Sud Bozhy stava dando ordine di allestire le postazioni dei mortai, un paio di mitragliatrici Kord erano già operative.
Hanno i missili!” ripeté.
E quegli stronzi dei Federali ci avevano detto di no,” ringhiò il comandante. “Ora voglio vedere come ci muoviamo da qui.”
I dukhi ci hanno fatti avvicinare e adesso ci tengono sotto tiro.”
L’unica è usare i mortai,” disse Sud Bozhy. “Qui siamo in copertura, ma se usciamo dalle rovine ci fanno il culo a strisce.”
Come per confermare quelle parole, un nuovo missile arrivò ululando e si abbatté contro un arco di pietra, facendolo crollare in una nube di polvere e detriti.
Cazzo!” ringhiò Nemets. Poi, a voce più bassa: “L’unica è aspettare il buio e mandare delle pattuglie di pochi uomini con granate a frammentazione e incendiarie.”
Si può fare. Sempre che nel frattempo non ci abbiano piallati come delle assi.”
I mortai pesanti frattanto avevano cominciato a spedire proiettili verso le postazioni nemiche e già si alzavano qua e là colonne di fumo e polvere. Un colpo particolarmente fortunato centrò in pieno un pick-up con un cannone Zenit e fin da quella distanza Nemets lo vide capriolare in aria assieme un paio di serventi.
In risposta arrivò un nuovo missile TOW, che fece fuori una sezione di mortai, tutti gli uomini che li gestivano e una buona porzione di un colonnato millenario, che crollò con fragore.
Dannazione!” ringhiò Nemets. Cercò di fare il vuoto in mente. Una delle prime cose che si imparavano nello spetsnaz era che la rabbia offuscava ogni capacità militare. Rendeva precipitosi, imprecisi, disattenti. Impediva di tenere conto di variabili importanti. Per combattere bene bisognava essere freddi come il ghiaccio e lucidi come il cristallo, due cose che con la rabbia erano incompatibili.
Peccato che in quel momento, con la palla di fuoco del veicolo di Gaubitsa ancora davanti agli occhi, fosse letteralmente furioso.
Respirò adagio un paio di volte. Il caldo si stava facendo torrido, il sole picchiava. Tolte le borracce individuali, l’acqua a disposizione era poca, perché non era stato previsto il ripiegamento fra le rovine. Riprese il binocolo, ma appena abbandonò la copertura per osservare le postazioni nemiche un proiettile fece schizzare via schegge di roccia a un palmo da lui. “Dannati cecchini,” brontolò abbassandosi.
Si chiese dove fossero i loro preziosi alleati, i Falchi del Deserto. Probabilmente scappati alla vista del primo missile, come facevano di solito. Si costrinse a distogliere la mente anche da loro, perché si trattava di un altro argomento che aveva il potere di mandarlo in bestia.

§

Orel si rivolse a un pensoso Prigovor: “Che cosa facciamo?”
L’altro abbandonò la ponderazione e gli rivolse uno sguardo fiammeggiante. “Facciamo il culo a strisce a quei bastardi.”
I duhki?”
No, i Federali. Ci sono poche cose al mondo che mi fanno incazzare come chi pensa di usare i miei ragazzi come carne da cannone.” Senza aggiungere altro si diresse a passi decisi verso il campo sportivo dove i legionari si stavano allenando. “Tolstoj, Kokain, Grom!” esclamò. “Venite un po’ qua!”
I tre chiamati, a torso nudo e grondanti di sudore, si avvicinarono.
Abbiamo un lavoretto da fare,” spiegò Prigovor, “Drakon e Zherebets sono qui in giro?”
In stanza,” rispose uno dei tre.
Andate a cercarli, ho bisogno di gente che sappia fare un puntamento a regola d’arte. In cinque minuti vi voglio tutti qui in equipaggiamento completo.”
Orel seguì con lo sguardo i legionari che correvano via, poi chiese: “Cos’hai in mente?”
Andiamo a dare una mano ai ragazzi,” rispose Prigovor.
In sette?”
In sette con due batterie di missili GRAD.”
A Orel occorse qualche secondo per metabolizzare la sconcertante risposta. “Missili GRAD?” fece eco, “E dove li troviamo?”
Li prendiamo ai Federali.”
Il legionario aggrottò le sopracciglia. “Sì, ma… Come facciamo a prenderli ai Federali?”
Andiamo e li portiamo via. La proprietà privata è un furto.”

Dieci minuti dopo, il gruppetto era in viaggio verso il deposito dell’esercito regolare russo, a bordo di un pickup GMC di ultimo modello requisito ai Falchi del Deserto.
Bello!” apprezzò Orel, che si era messo alla guida. “Mi piace anche il colore.”
Finalmente i sadiq sono serviti a qualcosa,” rispose Prigovor, seduto al suo fianco.
Erano ormai le due del pomeriggio. Nonostante Latakia fosse una città di mare dal clima ventilato, la temperatura e il sole a picco avevano spinto chiunque all’interno delle case. In strada non c’era anima viva.
Arrivarono in vista del cancello, dove due sentinelle boccheggiavano nella poca ombra disponibile.
Passiamo da dietro,” suggerì Prigovor.
Da dietro? Ma non ci sono entrate dietro.”
Non ancora.”
Il pick-up aggirò la struttura, a malapena preso in considerazione dai soldati di guardia, che lo classificarono come un veicolo civile e se ne disinteressarono.
Quanto ben di Dio,” apprezzò Orel, procedendo lungo il perimetro del parco automezzi.
Guarda se ci sono dei militari, piuttosto,” lo richiamò all’ordine Prigovor.
Per me stanno ronfando all’ombra.”
Si fermarono accanto alla recinzione. Il deposito era un po’ fuori dal centro abitato e dietro di loro c’era solo un terreno dissestato e costellato di pietre e radi arbusti. L’unico rumore era il frinire delle cicale. Agli angoli del perimetro c’erano due torrette, ma da una spuntava il paio di piedi di qualcuno intento a ronfare e l’altra sembrava completamente vuota.
Kokain saltò giù dal cassone e tirò fuori un paio di robusti tronchesi. Cominciò a tagliare la recinzione dal basso verso l’alto con una disinvoltura che denotava una lunga pratica.
Fatto!” disse infine.
Tutti si infilarono dentro.

Girarono un po’ tra autocarri, batterie contraeree, pezzi di artiglieria da campagna e casse di munizioni, poi Grom esclamò:”Eccoli!”
Gli altri lo raggiunsero, nel gruppo serpeggiò un mormorio di meraviglia. Le batterie GRAD erano tutte allineate davanti a loro, montate su Ural da quattro tonnellate. In tono di commossa meraviglia, Drakon recitò: “Lanciarazzi multipli in grado di sparare quasi ottocento chili di testate esplosive in meno di trenta secondi. Dove arrivano non rimane più niente.” Poi, rivolto a Prigovor: “Quanti ne portiamo via, capo?”
Un paio basteranno. Anzi, meglio tre. E un camion di munizioni. Controllate se c’è benzina.”
Tutti si dispersero a fare quanto ordinato.
Orel aprì lo sportello di uno degli Ural e constatò che non c’erano le chiavi nel quadro. “Per farli partire?” chiese.
Ci penso io,” rispose Kokain con la massima tranquillità.
In quel momento, una voce fece sussultare tutti: “Fermi!”
Una guardia col fucile spianato si stava avvicinando a grandi passi.
Non che lo spettacolo fosse in grado di turbare dei mercenari della Wagner, tuttavia essi smisero di fare quello che stavano facendo e rimasero in attesa degli eventi.
Fermi!” ripeté l’uomo. “Chi siete?”
Si fece avanti Kokain, che in tono accorato rispose: “Siamo russi. Proprio come te, paparino.”
Il fucile non si abbassò.
Mi hai sentito, paparino? Siamo russi. Apparteniamo tutti alla stessa grande Patria. Perché non ti metti una mano sul cuore e ci lasci andare via?”
Perché siete ladri!” replicò la sentinella. “State rubando materiale militare!”
Siamo persone che credono nella fratellanza fra russi. Voi avete tante cose, paparino, siete ricchi. Noi siamo poveri. Cosa vi costa aiutarci?”
Aiutarvi a fare cosa?”
Prima che Kokain rispondesse, una botta alla nuca stese per terra il militare. Prigovor lo afferrò per i piedi e lo trascinò via, poi disse: “Un’interpretazione da Oscar, complimenti.”
Kokain fece un sorrisetto. “Sai quante volte ho evitato la galera con queste stronzate?”

§

Seduto alla base di un enorme bassorilievo, cercando di ignorare la sete, Nemets controllava per l’ennesima volta il suo equipaggiamento.
Che fai?” gli chiese Sibiriak.
Voglio essere sicuro che sia tutto a posto.”
Di nuovo? Va bene che sei mezzo tedesco e ti piace l’ordine, ma adesso stai esagerando. Quel fucile è tale e quale a com’era un’ora fa.”
L’altro emise un sospiro. “È un modo per tenere impegnata la mente, così non penso.”
Il siberiano parve dubbioso. “Dici?”
Se mi mettessi a pensare dovrei incazzarmi come una iena per quello che è successo.”
Siamo tutti incazzati. Guardaci qui: siamo rintanati come topi, rischiamo la pelle anche per andare a pisciare e i duhki intanto se la ridono.”
Io non posso permettermelo,” concluse Nemets categorico.
Cosa?”
Arrabbiarmi.”
Per quale motivo?”
La rabbia toglie lucidità, rende meno efficienti in combattimento.”
Sibiriak scosse la testa. “Dalle mie parti non la pensiamo così. Un uomo che sia un uomo si deve incazzare, quando è il momento. Anche Dio si incazza, se ce n’è bisogno.”
Cosa?”
Hai mai sentito parlare dell’ira di Dio? Ha distrutto intere città.”
Un obice passò ululando sulle loro teste e si schiantò poco distante, con un esplosione che fece tremare il terreno. Raffiche di mitragliatrice pesante rimbalzarono sulle pietre.
Qualcuno imprecò, si udì lo scatto di un nastro infilato nella culatta di una Kord. Sud Bozhy disse: “È inutile che rispondiate! Sprechereste munizioni e basta!”
Ma quegli stronzi…”
Le munizioni ci serviranno quando i duhki decideranno di attaccare.”
Ci furono altri ululati, nuovi proiettili si abbatterono intorno alle postazioni dei mercenari. Un grido fece capire che qualcuno era stato ferito.
Nemets si tese. “Vogliono attaccare adesso?” ringhiò. Fissò Sud Bozhy e incontrò il suo stesso sguardo febbrile.
Forza con quei mortai!” ordinò il comandante, ma le mitragliatrici pesanti dei dukhi spazzavano la zona e uscire dai ripari era quasi impossibile.
Il frastuono era assordante, ovunque c’erano polvere, fumo, fragore di esplosioni, scroscio di pietre che cadevano a terra, il ronzio acuto di schegge e pallottole. I feriti urlavano, le mitragliatrici vomitavano piombo.
Alzando la voce per coprire quella cacofonia di rumori, Nemets disse: “Devo andare ora!”
Sei pazzo? Non faresti cento metri!”
No, ce la posso fare. Andiamo io, Sibiriak e Pitbull con un ASG-30!”
Ti ammazzano appena metti la testa fuori.”
L’ho già fatto una volta in Afghanistan, sfrutterò i ripari naturali del terreno. E poi, o così, o fra mezz’ora tutta la sezione sarà annientata!”
Come per dargli ragione, un missile colpì un Tigr, che si disintegrò in una palla di fuoco mandando tutt’intorno micidiali schegge roventi.

I quindici chili di lanciagranate in spalla, Nemets scattò fuori dal riparo costituito dai blocchi di pietra. Alle sue spalle correvano Sibiriak con il treppiede dell’arma e Pitbull con le munizioni di ricambio. Si lanciarono al coperto inseguiti da una raffica di mitragliatrice e per un po’ rimasero semplicemente ad analizzare i dintorni per individuare un nuovo nascondiglio.
Là,” propose Sibiriak, indicando i resti di un muretto a secco.
In due salti lo raggiunsero e si appiattirono a terra. Dalle postazioni russe frattanto stavano sparando con ogni arma disponibile, per distogliere l’attenzione dei dukhi dalla loro cauta avanzata. Era uscito anche il T-90, che nonostante il rischio di essere colpito da un missile anticarro girava su e giù sollevando un gran polverone e bersagliando le postazioni nemiche con le sue potenti granate da 125mm.
I tre proseguirono lungo le pendici dell’altura, insinuandosi fra le rocce e i radi arbusti. I barbuti[9] sembravano impegnati a rispondere al fuoco dei mercenari e l’impressione era che li avessero persi di vista.
Arrivarono a una postazione che si trovava circa alla stessa altezza delle trincee dei dukhi, qualche centinaio di metri più a nord.
Si vedevano gli uomini formicolare frenetici, impegnati a portare munizioni e a sparare. Tre o quattro stavano armando un TOW.
Guardate che roba,” mormorò Pitbull, “devono essere centinaia!”
Meno chiacchiere, Shchenka,” ringhiò Nemets. Posizionò il treppiede in modo che fosse ben saldo, quindi vi incastrò il lanciagranate e inserì un caricatore. Calcolò brevemente la distanza dall’obiettivo e regolò l’alzo con la rapidità delle cose fatte centinaia di volte.
La prima salva colse i dukhi completamente alla sprovvista. Prese d’infilata un trinceramento e distrusse tutto quello che vi era all’interno, facendo non meno di una decina tra morti e feriti.
Quelli che stavano allestendo il TOW si presero in pieno una granata a frammentazione e vennero dilaniati, il missile rotolò via inoffensivo.
Alla seconda salva i barbuti si accorsero di loro e risposero al fuoco. Nemets e gli altri furono costretti a ripiegare cercando copertura altrove e si arrampicarono sul fianco della collina, con la sabbia che smottava sotto i piedi e la polvere che li faceva tossire, mentre le pallottole strappavano schegge dalle pietre dietro cui fino a poco prima erano stati nascosti.
Posizionarono nuovamente l’ASG-30, ma a quel punto dovevano mantenersi in copertura, inseguiti da raffiche di mitragliatrice sempre più precise.
Spararono un’altra salva di granate, poi furono obbligati a cambiare nuovamente riparo. Una bomba a mano esplose dove si erano trovati solo pochi secondi prima.
Sono vicini!” esclamò Sibiriak, guardandosi intorno. “Se hanno tirato una di quelle significa che sono a meno di trenta metri da noi.”
Di’ pure venti, fratellino,” rispose teso Nemets, “i dukhi non hanno certo il tuo braccio.”
In quel momento scese verso di loro una piccola frana di terriccio e sassi. Essi alzarono gli occhi e videro che da dietro un gruppo di rocce i barbuti stavano scendendo per prenderli alle spalle. Immediatamente Sibiriak sfilò dalla cintura la Tokarev e cominciò a sparare. Nemets, che non aveva ancora fatto in tempo a posizionare il treppiede, imbracciò il lanciagranate così com’era e sparò un’altra salva verso le posizioni nemiche, poi dovette abbandonare l’ASG-30 in favore dell’arma individuale.
Il fucile di Pitbull si inceppò. Come da procedura militare, il giovanotto aprì l’otturatore e sfilò il caricatore per far cadere la pallottola che bloccava le altre. L’operazione, eseguita con rapidità, non gli portò via che qualche secondo, ma fu sufficiente a far sì che un barbuto lo prendesse di mira.
Nemets se ne accorse. “No!” urlò, spingendo via il ragazzo. Sparò e abbatté l’uomo, ma nello stesso momento si sentì buttare all’indietro da un impatto rovente. “Maledetti bastardi!” imprecò. L’arrivo di un nutrito gruppo di dukhi lo spinse a rialzarsi. Recuperò l’AK-103, furioso vuotò il caricatore contro i barbuti, lo estrasse, ne infilò uno pieno, riprese a sparare, i denti stretti, teso, rabbioso, una nebbia rossa davanti agli occhi.
Nemets…”
Vuotò il secondo caricatore, lo sostituì con un gesto automatico.
Nemets, basta. Dobbiamo dare un’occhiata a quella ferita.”
Si girò furente e si trovò di fronte Sibiriak, che in tono autorevole ripeté: “Devo vedere la ferita.”
Che ferita?” ansimò l’altro, ancora sotto l’effetto della rabbia e dell’adrenalina.
La tua, idiota.”
I dukhi?”
Questi qui li hai fatti secchi, ma se non ci muoviamo ne arriveranno degli altri. Ce la fai a camminare?”
Che domande, certo,” ringhiò Nemets, ma appena provò a muovere un passo emise un gemito di dolore e sarebbe crollato a terra se il siberiano non fosse accorso a sostenerlo.
Idiota di un tedesco,” ringhiò l’uomo.
Mezzo. E comunque sto perdendo sangue, Sibiriak.”
Con l’aiuto degli angeli e dei santi, Iddio ti farà uscire solo quello tedesco, così ti rimarrà del buon sangue russo e smetterai di fare cazzate.”
Nemets si sentì sollevare di peso e si ritrovò di traverso sulle spalle enormi del compagno. Sibiriak si rivolse poi a Pitbull, che aveva seguito lo scambio in perfetto silenzio, e disse: “Tu prendi la roba, Shchenka. Non lasciare niente. Muoviamoci, prima che i dukhi decidano di venire a finire il lavoro.”

Nemets aprì gli occhi e vide la faccia di Professor china su di lui. “Sta’ fermo,” disse il medico.
E chi si muove. Dove sono?”
All’inferno. Come tutti noi, del resto. Con quella sortita li hai rallentati un po’ e quindi non ci hanno ancora ammazzati tutti, ma i dukhi si stanno dando alla pazza gioia, a momenti ci facevano fuori anche il T-90.”
E io…” Nemets tentò di deglutire, ma la bocca secca glielo impedì. “Che cos’ho io, Professor?”
Starai benissimo.”
Dove sono ferito?”
Le palle ce le hai ancora, se è questo che ti interessa.”
E il resto?”
Sì, sì. Tutto presente e in piena efficienza, a parte forse il cervello. Ti sei solo beccato una pallottola nell’addome. Ora sta buono, però: dobbiamo fare un po’ di guerra e tu saresti d’intralcio.”
Posso combattere.”
In questo momento sei in grado di combattere come Sibiriak è in grado di fare la ballerina del Bol’šoj. Ti portiamo di là con gli altri feriti, tra un po’ vengo a vedere come stai.”
Nemets provò nonostante tutto ad alzarsi, ma dovette rinunciare spossato.
Cosa ti avevo detto?”
Professor…”
Che c’è adesso?”
Quando arriveranno… Promettimi che mi farai avere un’arma. Non voglio che mi finiscano come un povero stronzo.”
Piantala, qui non arriverà proprio nessuno. E adesso scusa ma stanno sparando, avrei un po’ da fare.”

§

Prigovor consultò la mappa e disse: “Dà gas, Orel. Rischiamo di aver preso in prestito i missili per niente.”
La pesante colonna avanzava nel deserto alla massima velocità possibile, sollevando un gran nuvolone di polvere. I motori ruggivano, ad ogni asperità del terreno i missili sferragliavano all’interno dei loro tubi di lancio.
Abbiamo modo di contattarli?” chiese Orel, guidando con perizia sulla strada invasa dalla sabbia.
Negativo. Arriviamo a Palmira e poi vediamo il da farsi.”
Dici che stanno arrivando là anche i Federali?”
Federali e sadiq, certo. In tempo per finire il lavoro, prendersi il merito e fare le foto.”
E se ci beccano con le batterie GRAD?”
Se i giornalisti sono già arrivati, i Federali diranno che sono stati proprio loro a portarle e grazie a quelle hanno sconfitto i dukhi, ci scommetto le palle.”
Orel cercò di aumentare ancora la velocità, il camon sbandò sulla pista sabbiosa. Prigovor gli disse: “Ti ho detto di dare gas, ma non esagerare: se finiamo fuori strada non aiutiamo nessuno.”
So guidare.”
Sì, ma ti sei accertato che gli altri riescano a tenerti dietro?”
Va bene, non accelero più,” brontolò Orel. Poi, dopo una sofferta pausa: “Ma i ragazzi sono in pericolo, dobbiamo sbrigarci. Se i dukhi li ammazzano, io…” La frase si perse in un brontolio sinistro.
Raggiunsero l’altura da cui la sezione era partita all’alba, scesero dai veicoli. Chi li aveva inforcò binocoli e cannocchiali, ma anche ad occhio nudo si vedeva che era in corso una furiosa battaglia. Su tutta la vallata gravava una spessa cappa di fumo e polvere, costellata qua e là dalle vampe di fuoco delle esplosioni.
È un maledetto inferno!” esclamò Tolstoj.
Grom, al suo fianco, disse: “I dukhi sono dall’altra parte della vallata, vedete?” Fece nuovamente un giro dell’orizzonte col binocolo, poi aggiunse: “Sono sulle alture, ben fortificati.”
Hai individuato i nostri?” chiese Kokain.
Con tutto quel nebbione? Secondo me laggiù non vedono a mezzo metro di distanza, figurarsi cosa possiamo vedere noi da qui.”
Basta così!” ordinò Prigovor. “Voglio quelle batterie in posizione entro cinque minuti. Drakon!”
Capo?”
Prendi il telemetro e calcolami le coordinate di tiro!”
Il legionario si mise all’opera. Gli altri frattanto spostavano gli Ural per mettere le batterie in posizione di lancio.
Alla fine Drakon si presentò a Prigovor e annunciò: “Fatto, capo. Ho concentrato per bene il fuoco, di quei bastardi non resteranno nemmeno le ossa.”
Molto bene. Impareranno cosa vuol dire attaccare la Wagner.
Zherebets scrutò critico la vallata. “Speriamo solo di essere arrivati in tempo.” La caligine era tale che si vedevano solo le estremità superiori delle colonne, il resto delle rovine era completamente nascosto.
Ci furono gli ultimi preparativi, le ultime regolazioni, poi Kokain annunciò: “Siamo pronti a far fuoco.” Quindi, a voce più alta: “Via tutti dalle scie dei missili o finite arrosto come dei polli!”

§

Sdraiato sulla schiena, la giacca ripiegata sotto la testa a mo’ di cuscino, Nemets seguiva per quel che poteva lo svolgersi della battaglia.
Inutile farsi illusioni: le cose si stavano mettendo decisamente male per la Wagner. I feriti erano parecchi, i morti anche. Di uomini validi dovevano esserne rimasti ben pochi. Aveva cercato di capire se Pitbull e Sibiriak fossero ancora illesi, ma non ci era riuscito: già non era molto lucido, inoltre tutta quella confusione complicava decisamente la faccenda.
Professor lo vedeva passare ogni tanto, al seguito di una barella o di qualcuno che claudicava o arrancava in qualche altro modo, ma gli altri due li aveva proprio persi di vista.
Tossì infastidito dall’aria torrida e densa di fumo, fu investito da una folata che puzzava di gasolio e polvere da sparo.
Il T-90 giaceva distrutto in mezzo alla spianata, di Tigr ne rimanevano forse un paio. Una sezione mortai pesanti era stata spazzata via da un TOW, nell’altra solo due o tre tubi da lancio erano ancora operativi. Le munizioni cominciavano a scarseggiare.
Stringendo i denti cercò di girarsi su un fianco: forse era il momento di andare a cercare quella famosa arma.

Si udirono dei sibili, prima lievi, poi sempre più potenti, fino che a un certo punto Nemets dovette premersi le mani sulle orecchie, perché il fragore era diventato insopportabile. Da ovest a est il cielo fu solcato da innumerevoli scie di fuoco, poi cominciarono a susseguirsi esplosioni su esplosioni, così forti da far tremare la terra. Tutti smisero di sparare, sulle postazioni russe calò un silenzio attonito.
Dei missili GRAD!” esclamò qualcuno, con un tono di stupore, più che di esultanza.
Con fatica, cercando di ignorare il dolore, egli rotolò dapprima carponi, poi riuscì faticosamente a mettersi in piedi. Appoggiandosi alle antiche pietre fece qualche passo malfermo e vide che sulle postazioni nemiche si stava scatenando un tremendo fuoco di saturazione. Esplosioni ovunque, colonne di fumo, un torrente di fuoco che inglobava ogni cosa. Dubitava che in quel chilometro quadrato sarebbe rimasto anche un solo essere vivente.
Il bombardamento non durò che pochi minuti, anche se gli parve un’eternità, poi cessò come era iniziato, lasciandosi dietro un silenzio che dopo tutte quelle ore di frastuono gli parve raggelante.
Mosse qualche incerto passo e nell’improvvisa quiete riuscì a percepire il rumore dei suoi piedi sul terreno. Da qualche parte c’era il crepitio lieve di qualcosa che stava bruciando. “Che cos’è successo?” chiese qualcuno.
La domanda rimase senza risposta.
I mercenari si aggiravano muti, così ricoperti di polvere da sembrare già fantasmi. Si scambiavano sguardi attoniti, incapaci di dare una spiegazione a quello che stava accadendo.

Poi cominciò a farsi udire un rumore di motori in avvicinamento. Arrivarono quattro Ural, tre dei quali equipaggiati con lanciarazzi GRAD, e si fermarono a poca distanza.
I motori tacquero.
Sud Bozhy si fece avanti certo che avrebbe incontrato i Federali, arrivati per mietere gli allori faticosamente conquistati dalla Compagnia.
Per qualche secondo non successe nulla, poi lo sportello del guidatore del primo camion si aprì e un uomo robusto, con i capelli castani e una maglietta nera con un disegno sul petto scese dal veicolo.
Orel!” gridò Nemets. Avrebbe voluto corrergli incontro, ma già muovere quei tre passi era stata un’impresa e dovette rassegnarsi a rimanere dove si trovava.
L’altro però aveva individuato il richiamo. “Fratellino!” urlò, ignorando il comandante. “Fratellino, dove sei?”
Qui!”
Lo raggiunse, d’impeto lo abbracciò. “Fratellino!” esclamò poi, staccandosi per fissarlo preoccupato, “Cosa ti hanno fatto?”
Niente, fratellino, sta’ tranquillo: ora mi passa.”
Ma sei ferito!”
Non è niente, ti ho detto.” Poi, dopo una faticosa pausa: “Non sei partito.”
Non parto più, Natasha e suo padre possono dire quello che vogliono. Ci vuole qualcuno che si occupi di voi.”
Nemets si appoggiò contro di lui. “Fratellino…” Avrebbe voluto dire altro, ma ormai la spossatezza e il dolore gli rendevano difficile parlare.
Siediti, siediti,” lo invitò l’altro preoccupato, “ti aiuto io. Dove sono i ragazzi?”
Non lo so.”
Aspetta, li vado a cercare.”
Prima che Orel si muovesse, arrivò a passo svelto Professor, seguito da Sibiriak e Pitbull.
Ma chi si vede!” esclamarono i nuovi arrivati.
Ragazzi, ma cosa mi combinate? Non posso assentarmi un giorno che vi mettete nei guai?”
Volevamo convincerti a rimanere, ma non sapevamo cosa inventarci,” disse Professor.
Ehi...” provenne dal basso.
Orel si chinò fino ad avere il viso all’altezza di quello di Nemets. “Sì sì, fratellino, hai ragione. Ora ti portiamo in ospedale.”
Non voglio l’ospedale. Non subito, almeno. Adesso vorrei della vodka.”
Vodka?” stupirono gli altri, ma Sibiriak fece uno dei suoi rarissimi sorrisi e disse: “Avete sentito? Vuole la vodka! Iddio e i suoi angeli hanno esaudito le mie preghiere!”
Piano,” ansò Nemets, “Anche a Berlino fanno un’ottima vodka.”
Ma non sarà mai come quella russa. Chi l’ha inventata la vodka, eh?”
Veramente, pare che siano stati i genovesi,” intervenne Professor col tono di una banale conversazione.
Cosa?” scattò Sibiriak.
I genovesi. Hai presente Genova?”
È in Uzbekistan?”
Come ti viene in mente? È in Italia.”
Impossibile,” concluse il siberiano categorico.
Impossibile, cosa? Che Genova sia in Italia o che la vodka sia stata inventata dai genovesi?”
La vodka è l’anima del popolo russo.”
E allora si vede che i russi sono un po’ genovesi,” lo canzonò Nemets.
Adesso non posso picchiarti, ma che Iddio abbia pietà di te quando sarai guarito, maledetto tedesco!”
Intervenne a quel punto Orel: “Lascia stare Nemets, Sibiriak. È già mezzo morto, vuoi farlo fuori del tutto?”
Giusto,” approvò il ferito.
Comunque, se morisse andrebbe all’inferno,” ringhiò il siberiano.
Certo. E una volta arrivato là, vi aspetterei per l’adunata.”






[1] Deriva da Dushman, nemico, in persiano. I soldati russi chiamavano così i mujaheddin in Afghanistan e in seguito ogni nemico in Asia o in Medio Oriente.
[2] I mercenari della Wagner chiamano Federali i membri delle forze armate regolari russe.
[3] “Amico” in arabo. Era il termine con cui venivano definiti gli alleati siriani.
[4] Servizi segreti russi, da cui proviene l’élite della Wagner.
[5] CMP siriana composta da ex appartenenti alle forze speciali dell’esercito regolare.
[6] Missile anticarro teleguidato BGM-71 (l’acronimo sta per Tube-launched, Optically-tracked, Wire-guided).
[7] Servizi segreti siriani.
[8] Dato il nome della CMP, i mercenari si chiamano fra loro musicisti e affermano di far parte di un’orchestra diretta da un compositore, che tiene concerti in tutto il mondo.
[9] Altro modo di definire i nemici.



Alcune precisazioni:

- I mercenari della Wagner non si conoscono per nome. Si chiamano tra loro con soprannomi.
- Nella Wagner, come in tutte le CMP (Compagnie Militari Private) non esiste una vera e propria gerarchia: ci sono solo i comandanti e i legionari. Di solito comanda chi ha più capacità, o chi viene eletto dagli altri per tale ruolo. Anche le decisioni operative sono soggette a molte meno restrizioni rispetto agli eserciti regolari, per cui se un comandante della Wagner reputa opportuno fare una certa cosa la fa e basta, rendendo conto solo al suo eventuale superiore.
- Conquistata dall’Isis nel 2015, e parzialmente distrutta (irreparabile la perdita del magnifico Tetrapilo, che io ebbi la fortuna di vedere ancora integro), Palmira fu ripresa dai russi nel 2016. Mi sono preso la libertà di far fare il lavoro alla Wagner, anche se in realtà a riconquistare la città furono gli Spetsnaz.



   
 
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