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Autore: Sia_    12/09/2023    10 recensioni
“Posso dormire qui stanotte?” Gojo ha il capo appoggiato all’avambraccio, le ciocche argentee calano da un lato e gli liberano la fronte. Sta guardando le stelle dalla finestra aperta: trova che lo spettacolo sia meraviglioso. Il cielo notturno è infinito come il suo potere.
“Assolutamente no.” E poi Geto si sveglia la mattina dopo, apre gli occhi e il viso di Gojo ancora addormentato è lì, la mano sta stringendo il futon.
(Questa storia ha vinto il premio come "Miglior complicità in scena" agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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These days will fade away

Even though I’ve come to know the scent of you being different from mine

In the depths of an eternity left behind

 

Even now the blue lives

Even now the blue is clear

Any prayer, any word

Could bring us closer, but they couldn’t reach you

 

“We’ll meet again, right?”

[キタニタツヤ (Tatsuya Kitani) - 青のすみか]




 

Satoru Gojo | Suguru Geto


The only one I had

 

2005 // 2006

Suguru Geto è un ragazzo dai sani principi. Mamma e papà l'hanno cresciuto al rispetto degli altri, gli hanno insegnato a essere composto, ben educato e altruista. Sono fieri di scoprire che il loro unico figlio è uno studente di Arti Occulte. Suguru è uno stregone: vede, neutralizza e mangia le maledizioni che nascono dagli uomini. 

All’istituto, la scuola di Tokyo dove si trasferisce per imparare a usare la sua tecnica, gli dicono che gli stregoni hanno il compito di proteggere gli uomini, fragili e deboli. Siccome Suguru è un ragazzo di sani principi, impiega tutte le sue energie per diventare uno dei due stregoni più forti della scuola. Salvare gli umani gli dà uno scopo.

Proteggere

“È una tale seccatura dover badare ai deboli.” Solo Satoru Gojo, studente del suo stesso anno, non la pensa a quel modo: perché, perché sprecare così tante risorse ed energie per esseri tanto gracili? Gojo è infantile, egocentrico e non ha particolari principi.

È la stella di uno dei clan più forti di tutto il Giappone, un prodigio che nasce solo una volta per secolo. Ha una vista straordinaria e un potere così complesso che Geto ci mette un po’ a comprenderlo a livello teorico: non può essere colpito, tempo e spazio non hanno significato per un ragazzo come lui. 

“Gli stregoni esistono per proteggere i deboli e per tenere a freno i più forti, Gojo.”

Satoru non avrà sani principi, ma c’è sempre. C’è quando Geto sente troppo la mancanza di casa, c’è per una partita a basket, c’è il pomeriggio per uscire a divertirsi – cercando di dimenticare, così, gli orrori del mondo. Satoru, che capisce e comprende la fisica più di tutti, abbassa le sue difese per stargli accanto. 

“Non mi interessano queste cazzate.” 

Satoru è un idiota, ma è anche il suo migliore amico. E insieme sono gli stregoni più forti della scuola. 

 

Hanno le camere vicine, non è raro che di notte Gojo sgattaioli da lui a fargli compagnia: gli si sdraia a fianco al futon e poco importa che Suguru gli dica di andarsene via, di tornarsene a letto e di farlo dormire. 

Probabilmente, Satoru è molto più solo di quello che vuole far credere. Chissà come è essere l’erede di un clan tanto importante: quanto peso deve avere sulle sue spalle? Chissà se ha mai vissuto come un bambino normale.

Geto spegne la luce della stanza, scioglie il codino e si sdraia a letto. 

“Posso dormire qui stanotte?” Gojo ha il capo appoggiato all’avambraccio, le ciocche argentee calano da un lato e gli liberano la fronte. Sta guardando le stelle dalla finestra aperta: trova che lo spettacolo sia meraviglioso. Il cielo notturno è infinito come il suo potere. 

“Assolutamente no.” E poi Geto si sveglia la mattina dopo, apre gli occhi e il viso di Gojo ancora addormentato è lì, la mano sta stringendo il futon. 

 

Il primo anno Gojo gli salva la vita tre volte, Geto trova il modo di ricambiare il favore allo stesso modo. Forse diventano così importanti l’uno per l’altro anche perché sono gli unici abbastanza forti da salvarsi a vicenda. 

Suguru non ha fratelli, Satoru nemmeno. Decidono, una sera che sono usciti a prendere una cola alle macchinette, che era destino. 

“Siamo i più forti.” 

Geto sorride, manda giù un sorso della bevanda frizzante: il metallo è freddo contro le labbra e l’anidride carbonica gli solletica il palato. “Sei troppo arrogante.” 

“Che male c’è? Siamo davvero i più forti.” È da quando è piccolo che Gojo sa di essere speciale. Ha grandi occhi azzurri che gli permettono di vedere l’infinito e splendenti capelli argentati. 

Non ha nessun amico, prima di arrivare all’Istituto. Non ha nessun principio, prima di arrivare all’Istituto. Sa solo di essere forte e intoccabile. Pensa che sia una seccatura diventare stregone e sprecare il tempo a salvare i deboli. Ma poi Geto gli riempie le giornate e gli insegna il valore della vita. Gli insegna cosa sia giusto proteggere e cosa sia giusto risparmiare. 

Per quello che, a notti alterne, lo va a trovare e gli si addormenta a fianco; ha finalmente trovato un posto in cui stare bene, in cui non è un prodigio che nasce una volta ogni secolo, ma è solo Satoru. 

“Sì, ma…” 

Gojo accartoccia la lattina, inclina il capo verso l’alto. “Ti voglio bene.” Non l’ha mai detto a nessuno. 

Geto sorride contro il metallo, aspetta qualche secondo per rispondere. Al diavolo il fatto che uno sia fatto di principi e che l’altro non abbia remore, al diavolo che uno usi il verbo proteggere e l’altro badare. La vita di Geto non sarebbe la stessa, senza Gojo. “Anche io.” 

Gojo ha una vista smisurata, è nato con sei occhi. Eppure, gli dice, si fida ciecamente di lui. Che ossimoro, pensa Geto. Fidarsi ciecamente

 

Ridono, si allenano, dormono, a volte piangono. Un giorno del loro secondo anno, il sensei manda in missione solo loro due: è un momento della storia – persino per Gojo che gioca con lo spazio e con il tempo – che cambia le loro vite. 

 

“È da ieri che stai utilizzando la tua tecnica senza sosta, vero? Dovresti riposare.”

“Sto bene, Suguru. E poi, ci sei anche tu qui.” 

 

Le cambia perché Geto per almeno quarantacinque minuti crede che Gojo sia morto: vorrebbe stendersi a terra, piangere e vomitare fino a stare male. Ma non può, perché Toji Fushiguro gli ride in faccia e gli dice ancora e ancora che ha appena ucciso Satoru. Satoru, Satoru, Satoru. Geto non ha mai provato un dolore tanto forte, è molto più di ogni ferita mai subita. 

 

“Ti voglio bene.”

“Anche io.”

 

Geto cerca di uccidere Toji per vendicarsi di quello che gli è appena stato portato via. Perché Gojo gli ha voluto bene, perché si è fidato ciecamente di lui, perché di notte veniva a trovarlo. Perché è stato parte della sua famiglia. Ma viene sconfitto, tenuto in vita solo per la pietà di un uomo.

Satoru torna dal mondo dei morti, si vendica da solo.

“Credevo di averti perso.” 

Gojo sorride, gli si inginocchia a fianco. Se è preoccupato per le ferite del suo migliore amico, lo nasconde molto bene. “Adesso sono qui. Torniamo a casa?” 

Casa

Suguru ci torna barcollando, ha l’animo in subbuglio.

 

Satoru non resta mai all’istituto per troppo tempo: è talmente forte che viene mandato in missione da solo ogni settimana. Così Geto si ritrova a esorcizzare maledizioni e a ingoiarle una e una e una dopo l’altra senza nessuno a fargli compagnia. Sono disgustose, più di prima. 

Geto torna dalla missione del secondo anno con la paura di odiare gli uomini: perché, perché sprecare energie per degli esseri che non capiscono e che riempiono il mondo di maledizioni? 

Spesso Satoru torna di notte, va dritto nella stanza del suo migliore amico: adesso che si sono fatti adulti, sono in arretrato di troppe notti. Geto sente che apre la porta della sua camera e che gli si stende accanto. 

“Non hai risposto al telefono.” Suguru riempie il silenzio di un flebile sussurro, inclina il capo per guardarlo. “Per quattro giorni.” 

Gli occhi glaciali di Satoru si fanno più morbidi e si specchiano in quelli scuri dell’altro. “Eri preoccupato?” Bianco e nero si fondono insieme.

“No.” Mi sentivo solo. Non ti accorgi che stiamo andando alla deriva? 

Gojo non vede niente, per lui non ci sono barche perse in mezzo al mare.  “Allora…” 

“Buonanotte.” Geto ha deciso di renderlo cieco al suo dolore, lo taglia fuori. Gojo è parte del problema – non sono più forti insieme.  

 

2007

“C’è qualcosa che non va?” 

“No, amico.”

“Sei dimagrito, Geto.”

Sei preoccupato, Gojo?

Geto comincia a credere che gli uomini siano solo delle scimmie. Schifose, puzzolenti, inutili scimmie. Esorcizza e mangia. Esorcizza e mangia. Geto non sa più che sapore abbiano le fragole, i meloni, i cetrioli: sa tutto di demoni, sangue e sporco. La goccia che fa traboccare il vaso è la morte di Yu Haibara, studente di arti occulte – troppo giovane per andarsene, troppo innocente.

Pensa che solo un mondo senza scimmie, è un mondo in cui gli stregoni non muoiono.

Durante una fresca notte di settembre uccide 112 civili e manda a fuoco un villaggio. Poi fa fuori anche i suoi genitori – addio, saldi principi morali – e scappa via. Non tornerà indietro, mettere piede all'istituto sarebbe come firmare la propria condanna a morte. L’unico sacrificio è Gojo. Sa che il suo migliore amico non lo seguirà: Satoru si è fatto rispettoso, ha trovato le sue ragioni per continuare a lottare.

Geto forse non vuole nemmeno essere seguito: Gojo è troppo lucente, troppo forte. Sono talmente distanti, ormai, che nemmeno se Satoru si girasse ad allungargli la mano, lui riuscirebbe a prenderla. Nonostante questo, gli manca ogni giorno, ogni sera: non c’è più nessuno che gli si sdraia a fianco, che nasconde le cose brutte in una risata. O che gli risponde al telefono, anche se con un certo ritardo. 

 

Se me l’avessi detto prima. Se ci fossimo messi a parlare.

Sarei arrivato correndo, Suguru. 

Non voglio che tu sia solo.

“Così vuoi uccidere tutti quelli che non sono stregoni?” Satoru non capisce, gli tremano le mani e ha le gambe pesanti. 

Dimmi che è tutta una finzione, dimmi che non hai fatto fuori 112 persone. Dimmi che è un errore. Dimmi che non hai una taglia sulla tua testa. Dimmi che torneremo insieme a casa. Dimmi qualcosa che non sia…

.” Quell’assenso arriva cristallino alle orecchie di Satoru, nonostante si siano incontrati in una delle strade più affolate di tutta Tokyo e siano a metri di distanza l’uno dall’altro. 

“Sei stato tu a dirmi che è sbagliato uccidere senza averne motivo.”

“Ma io ho un motivo.” 

Gli occhi di Gojo brillano sotto la luce del sole. Non porta gli occhiali: si è presentato nudo, per dirgli addio. “È una follia, è…” Vorrebbe che non fosse un addio, ovviamente. Vorrebbe avvicinarsi, abbracciarlo.

È troppo tardi. 

Geto tiene le mani nelle tasche dei suoi larghi pantaloni, non si sbilancia davanti alla voce tremante del suo migliore amico. “Impossibile? Non per te, vero? Tu potresti farlo e vieni a dire a me che è impossibile.” 

“Suguru, non….” 

“Ho scelto la mia strada, cercherò di portarla a termine con il massimo delle mie forze.” Anche senza di te. Avanti, non vedi che ormai siamo troppo diversi? “Se vuoi uccidermi, fallo pure. Avrebbe un senso.” 

Gojo non si è mai sentito così solo in vita sua. Guarda il profilo di Geto che si fa sempre più piccolo tra la calca di gente: non ha la forza di ucciderlo. Come potrebbe? Significherebbe cancellare anni di amicizia, significherebbe cancellare migliaia di risate, di notti passate insieme a guardare le stelle. Significherebbe togliere la vita all'unica persona a cui ha voluto bene.

“Perché non sei andato con lui, Satoru?”

Perché è stato Geto a insegnarmi il valore della vita.

È stato Geto a insegnarmi cosa significhi avere dei principi.

“Posso salvare solo quelli che vogliono farsi salvare.”

 

2017

“Fiducia, eh? Pensare che tu ne abbia ancora nei miei confronti…”

 

Suguru è a terra, le vesti da monaco sono sporche di sangue: è tornato all’istituto, sperava di trovare nuovi seguaci. Invece… Appoggia il capo al muro di pietre alle sue spalle, il dolore della ferita gli fa stringere i denti. 

Gojo è in piedi, lo sta guardando senza dire niente: è arrivato in ritardo, per un attimo Suguru ha avuto paura che non facesse in tempo a vederlo un’ultima volta. Vorrebbe urlargli di riempire quel vuoto, chiedergli di avvicinarsi. 

Ha sempre voluto troppo, non è vero? 

Prima ha voluto essere il più forte, insieme a Satoru. Poi ha voluto creare un mondo che fosse fatto solo di stregoni: le scimmie, così fragili e pericolose, non meritano niente. Niente

Non meriterebbero nemmeno la sua vita. 

“Suguru…” Gojo non porta gli occhiali, i suoi occhi azzurri trapassano l’anima di Geto come non hanno mai fatto prima. Chissà cosa sta provando, chissà se ha male da qualche parte anche lui. 

Il cuore di Satoru sta battendo a rallentatore – prova dolore ovunque.

Geto si sforza, inclina il capo per guardarlo attraverso la ciocca di capelli neri – non la sposterà, è sfinito. 

“... ti voglio bene.” Non ha mai smesso di farlo. Mi manchi. Questa è l’ultima volta che si vedranno. Mi mancherai. Gli bastava sapere che fosse in vita, da qualche parte. Che, se anche non stavano insieme, respiravano la stessa aria e guardavano lo stesso cielo. Mi mancherai così tanto

Gojo è lo stregone più forte di tutti, è un egoista, un narcisista, un attaccabrighe: ha numerosi difetti ma, mentre lo vede al suo fianco, adesso piegato sulle ginocchia, Geto non può far altro che sorridere. Pensa che sia bello, morire vicino al suo migliore amico. 

 

“Almeno alla fine maledicimi un po’…” Il monaco sorride.

Gojo si rimette in piedi, prende un lungo respiro e lo ammazza. 

Quella morte ha una ragione: Suguru smetterà di soffrire. 

Satoru non lo farà mai.

 

“Era il mio migliore amico. L’unico che abbia mai avuto.”

(“We’ll meet again, right?”)

 



Angolo autrice: 

Non so bene cosa aggiungere alla fine di questa storia. Volevo solo scrivere qualcosina su questi due piccioni piccolini: il modo in cui mi fanno soffrire è straordinario, seriamente. Adoro come si pensino sempre, come siano fratelli di una mamma e un papà diversi. 
Ringrazio chi è arrivato fin qui, spero che la storia vi sia piaciuta!
Sia 

   
 
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