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Autore: Apvliae    12/09/2023    1 recensioni
E' la notte prima dell'ultimo giorno di scuola. Lovina, riceve una sorpresa da un tedesco un po' invadente.
Parlare delle proprie paura e questioni in sospeso al chiaro di luna non sembra produttivo, ma si sa: tutti i nodi vengono al pettine, soprattutto quelli del tempo.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Alle sue fini orecchie, si aggrappavano degli scintillanti soli dorati, piccoli piccoli ma assai brillanti e così tanto belli, che persino un triangolo di fredda luce lunare si avvicinò per guardarli meglio.
Le giornate erano divenute interminabili molto prima che lei potesse prenderne effettivamente consapevolezza: Il sole aspettava un paio d'ore in più prima di rintanarsi dietro il colle spianato dove si innalzava fiera la bella villetta di Lovina, e preferiva far brillare ancora per un po’ quei sentieri selciati rigogliosi e brillanti di verde.
E solo a tarda sera s'affievoliva, sentendo la necessità di coricarsi.
 
E assieme a una luce che si spegneva, altrettante s’accendevano: insegne, neon dalla luce metallica e accecante, lampioni, luci, preoccupazioni. Le preoccupazioni che erano come uragani nella testa di Lovina, come un vortice, inarrestabili come un fiume in piena, minavano caos e distruzione, seppur volteggiando delicatamente.
E come un fiume in piena erano anche i suoi occhi, gli occhi sgargianti che cominciavano a riempirsi di lacrimucce chiare chiare, ma che di scendere non ne volevan sapere: Meglio dire, se le spazzava via col mignolo, e loro morivano ancor prima di nascere.
 
Era il giorno prima dell'ultimo giorno di scuola, dell'ultimo anno. Significava l'inizio della vita vera. Significava che avrebbe chiuso baracche e burattini da li a breve, che in una valigia di cuoio consunto troppo pregna del profumo del nonno, avrebbe infilato poche necessità e qualche caro ricordo per trascinarsi con poco animo verso una qualunque università di Roma, che fosse prestigiosa o meno non aveva granché importanza. E quando la mente iniziava a vagare, lei, stesa ancora sul telo poggiato sull'erba che la pizzicava, scuoteva il capo e si scostava qualche ciuffo dalla fronte. I capelli si erano fatti tanto lunghi, aveva notato con gioia.
 
"Ancora qui, Vargas?" Spuntò l’ultima persona che in quel momento avrebbe voluto vedere: Seguì i suoi goffi movimenti con sguardo severo, il fastidioso modo in cui camminava a passi irregolari e pesanti, come teneva perennemente le mani in tasca.
Gilbert Beilschmidt avrebbe dovuto finire la scuola da un pezzo, ma l’ultimo anno non si presentava più. A volte Lovina lo vedeva in giro, fra i viottoli sperduti della città, con le mani sempre strette al manubrio della sua moto. Eppure, non ebbe mai il coraggio di chiedergli cosa gli stesse accadendo, perché stesse gradualmente diventando un fantasma. Gli puntava gli occhi addosso per un secondo, li distoglieva e li inchiodava sul terreno, per poi scomparire come un’ombra.
 
"Che ti da fastidio? sei tu che sei a casa mia"
 
"Non è mica colpa mia se abitiamo vicini"
 
"E sei fuori a quest'ora?"
 
"Potrei farti la stessa domanda"
 
Gilbert sgraziatamente si gettò al suo fianco, non preoccupandosi minimamente dell'erba che gli macchiava i vestiti e raschiava la nuca. Alzò lo sguardo al cielo.
Lovina non l'aveva mai guardato davvero: Non aveva mai studiato il suo volto, di un fascino così freddo e travolgente, di una bellezza così tagliente ed elegante, così accomodante. Si domandò come quel ragazzo entrò nella sua vita, lascivo, freddo a tratti, esperto. Lo conosceva da anni, eppure più il tempo passava, più cominciava ad assomigliare a un vero uomo: La mandibola forte e dura contrastava in modo netto l’aguzzo naso, appuntito come un vecchio gladio. Gilbert era bello come una vittoria sofferta, così compatto e delineato. La simmetria del suo volto tagliente e ossuto, così duro e mascolino, veniva mitigata da quella pelle lattea imporporita sulle guance, con le labbra sottili leggermente aperte per riprendersi dal fiatone della corsa. I cremisi occhi guardinghi, bordati da un prezioso ed elegante tono violaceo, le cui ciglia lunghe e volpine sfioravan con delicatezza le sopracciglia folte e un po' arcuate, che si stringevano sugli occhi come a proteggerli. I capelli platino spazzolati alla bell’e meglio ora sparsi sull'erba, con noncuranza. Non aveva mai lo sguardo cupo e accigliato; Eppure, sembrava perennemente freddo.
Gilbert era stato plasmato dalle abili mani della Luna, in modo e aspetto così simile a Lei. Gelido, bellissimo, con le labbra che si arricciavano ambiguamente per mostrare un sorriso un po’ sbilenco e un canino un po’ troppo sporgente.
 
"Come mai qui a quest'ora, Vargas? Di solito esci poco" Gilbert sembrò non accorgersi di come lei studiasse con minuziosità il suo volto.
 
"Non esco spesso in giro, ma vado spesso in giardino"
 
"Non ti ho mai vista"
 
"Perché tu torni sempre troppo tardi a casa, e io sono già a letto da un pezzo. Non so come faccia ad andare sempre in discoteca”
 
"Anche questo è vero" Disse man mano che diveniva conscio, mozzicandosi l’unghia dell’indice mentre arricciava il naso per spingersi a pensarci meglio. Eppure, non le avrebbe detto che sapeva benissimo che gli stava spudoratamente mentendo. Era vero, si ritirava tardi, andava a farsi martellare le orecchie da musica di dubbio gusto a giorni alterni. Quel posto dove ballava solo, con quella musica che prendeva la forma delle sue preoccupazioni insediandosi subdolamente nel suo cervello. Non tornava mai tardi. E Lovina non c’era mai, perché non usciva mai di casa. C’eran troppe cose non dette fra di loro.
 
"Hai paura?" Gilbert ruppe quel flebile silenzio che si era creato. Lovina sembrò sorpresa dalla sua domanda, eppure, nonostante sapesse perfettamente dove volesse andare a parare, non sembrò molto intenzionata a raccogliere le parole e metterle in fila per costruire la frase che Gilbert tanto avrebbe voluto sentire. E’ acqua passata, pensò, non ho più paura io.
 
"Che intendi?"
 
"Sai, il futuro. quello che ti aspetta dopo"
 
"Per niente" Disse di getto. Non ci pensò un attimo, benché la risposta reale fosse molto diversa. Non voleva di certo che Gilbert potesse venire a conoscenza di dettagli così intimi, magari pur prendendola in giro come facevano da piccoli.
 
"E com'è che non ci credo nemmeno un po’?"
 
"Sta zitto, dico la verità, non ho paura"
 
"Che pessima bugiarda " Si mise seduto "Si vede sul serio che hai paura, Lovi" Lovina, un po’ provò vergogna a notare che Gilbert potesse leggerla come un libro aperto: Non era l’espressione da sciocca, né il cipiglio fisso sul volto: fu quando le guance diventarono paonazze, che Gilbert capì di aver fatto centro.
 
“Lo sapevo, lo sapevo! Vedessi la tua faccia!” Disse con fare canzonatorio, ridendo, rideva come uno sciocco, eppure Lovina non avrebbe mai voluto smettesse.
 
“Sta zitto! Non ho nulla!”
 
“Come no! Dai Lovi, dimmelo! Lo sai che puoi dirmi tutto, vero?”
 
Sì, era abbastanza ovvio che lo sapesse. Sapeva che a quello scanzonato avrebbe potuto dire tutto; E non perché i suoi occhi sembravano poter leggere le infinite pagine della sua anima.
Perché Gilbert era vita, morte, terrore. Catturava le sue paure tenendole strette a se, non lasciando che tornassero da lei. Le racchiudeva fra le sue mani pallide, callose, fredde e screpolate., e con un movimento fugace scacciava via qualunque pensiero superfluo.
Non avrebbe mai immaginato che tale durezza sprigionata dal suo frigido sguardo, potesse paradossalmente darle così tanto calore da farle intorpidire tutte le membra, renderla come un ammasso di gelatina.  
Gilbert aggrappava gli occhi ai suoi, lo sguardo fisso a cercare qualcosa che le sfuggisse, una scintilla, una parola, un guizzo che le facesse strizzare gli occhi; la guardava, la studiava, ne prendeva le sembianze e si crogiolava nei suoi incubi più celati.
 
“Si Gilbert, ho paura” Fu ciò che fu tanto forte da sussurrare a debole voce, un soffio languido.
 
Non pensava sarebbe mai riuscita ad ammetterlo a qualcuno, per quanto faticasse anche solo ad ammetterlo a se stessa. Non aveva mai avuto paura nella sua vita: si lasciava abbracciare stretta dal senso di rassegnazione, di accettazione, concedeva ai timori e ai brividi di intorpidire il corpo e di oscurare la mente. Si lasciava tempo per crogiolarsi nella consapevolezza dei suoi sbagli che sembravano durare una infinità: Perché al di fuori di sé, lei era impassibile, incerta, stoica. Perché non eran gli errori a farle paura, ma la paura stessa, un immortale parassita che la consumava dall’interno, si cibava avidamente della sua carne, la avvolgeva imprimendosi nel corpo, diventando parte di esso.
Quel pezzo di pelle, quel lembo ambrato ancora scoperto e puro, Gilbert lo teneva fra le mani, arricciando le dita contro le sue, stringendo quella delicata mano che sembrava volersi chiudere per sempre.
L’aveva notato che era turbata. Lo sguardo si addolcì, e sotto la fredda luce della luna, raccolse la paura di Lovina stringendola a sé e facendola sua. Imprimendo l’impronta delle sue mani in essa, cercare di disintegrarla con la sua sola forza. Non parlò. Si limitò a guardarla, a darle sicurezza per andare avanti.
 
“Ho paura di fallire, Gilbert. Ho paura di andare avanti e trovare che ciò che mi aspetta è ben diverso da ciò che avevo sognato, che avevo sperato per me. Ho paura che potrebbe uccidermi, lo capisci? Potrebbe significare vita, come morte” Il labbro inferiore scivolò fra i denti, si mordeva forse anche la lingua con il risentimento di aver parlato, di essersi spogliata davanti a lui. Era la cosa più intima che avesse mai fatto in vita sua.
 
“Forse carichiamo così tanta speranza nel futuro che ci dimentichiamo di vivere il presente. Dovresti essere con tua sorella e gli altri a festeggiare, invece sei qui a pensare a questo. Non è per nulla fantastico”
 
“No senti lascia perdere, non avrei dovuto dirti–”
 
“Ma lo capisco, abbiamo tutti paura. Anche io ho paura” Anche Gilbert, ora era nudo davanti a lei. Faceva caldo quella sera, eppure entrambi vennero scossi da un gelido brivido che attraversò tutta la spina dorsale. Potevano giurare di aver sentito freddo, un freddo così tagliente da perforargli i vestiti, così pungente sulla loro pelle.
 
“Anche io ho paura di tante cose, Lovi. Anche io ho paura di non essere nessuno, di perdere me stesso nel futuro e guardarmi sempre dietro al passato. Voglio essere un adulto che non vorrebbe mai tornare indietro, mai e poi mai”
 
“Non riesco a vivere il presente perché penso sempre al dopo, mando avanti la mia vita con la speranza che dopo tutto sarà diverso. E se non fosse così? E se avessi sprecato tempo?” Lovina parlò con voce languida, tremante, le parole pronte a cadere e dissolversi nel vuoto come una goccia di rugiada. Gilbert era lì, serio, rassicurante.
Perché Gilbert non si gettava mai nell’oscurità dei suoi timori: Guardava la luna, pronto a confidarsi, a lasciare che quei pensieri la raggiungessero per essere illuminati da quella luce timida, che si perdessero nel firmamento, che viaggiassero oltre la volta celeste, ma che restassero lì come stelle a vegliarlo, sempre però lontane da lui.
 
“E’ la paura a renderci vivi, ma allo stesso tempo se non ce ne liberiamo, non avremo mai ciò che desideriamo. Nella vita bisogna aver timore, ma non lasciare che ci impedisca di vivere. E poi, anche se non dovessimo avere ciò che desideriamo, potremmo comunque vivere una vita fantastica, che dici?” Un timido sorriso sbocciò sul volto di Lovina, scontrandosi con quello di Gilbert. Lui era lì, avvolto da quell’oscurità di cui sembrava non aver timore.
 
“E’ proprio quello il punto, bastardo. Se non è come voglio, non mi piacerà”
 
“Sei proprio testarda, non vuoi capire allora” Disse con quel suo tanto rinomato tono beffardo “Anche io adesso avrei tanto voluto essere a sballarmi con i miei amici, eppure sono qui, e non sembra affatto dispiacermi. Sto pure meglio qui, sai?”
 
“Coglione” Distolse il capo, sicura di aver il volto in fiamme. Nemmeno lasciarsi coprire dalle lunghe ciocche brune sarebbe servito a nascondere il volto.
 
“E’ vero, lo giuro!”
 
“Sta zitto!”
 
“Oh, cosa è successo alla Lovina di tre minuti fa?”
 
Si stese sull’erba, la risata gracchiante che si mescolava al frinire dei grilli. La pianura era vuota, solo il rimbombare della loro risata, il battito del cuore di lei che accelerava. Lovina si strinse a lui, voleva sentirsi protetta.
“Vieni spesso qui a guardare le stelle?”
 
“Abbastanza” Una bugia.
 
“Dovremmo farlo più spesso, sai?”
 
“Non ci saranno molte occasioni, vado all’università” Troncò ogni speranza.
“C’è ancora un’ estate intera prima di questo”
 
“E chi ti dice che voglia passarla con te?” Una bugia.
 
“Stronza!”  Rispose soffocando una risata “Continua continua, quando sarò in Germania ti pentirai di avermi snobbato”
 
“Torni in Germania?” Sgranò gli occhi, una leggera punta di preoccupazione vacillava nella sua ingenua curiosità. Non andartene, Gilbert.
 
“Sì, a Settembre. Il nonno vuole vedermi lavorare con i computer, ma dovrò fare un bel po’ di gavetta prima di diventare qualcuno. E tu, quando vai via?”
 
“Settembre”
 
“Capisco” Strinse le labbra in una stretta linea, nascondendo delusione “Vuoi fumare?” Si affrettò a dire. Non voleva creare silenzi.
 
“Solo una”
 
“Solo una.” Ripeté in senso di conferma.
 
“Smezziamocela”
 
Con calma e grazia, Gilbert sfilò una sigaretta dal pacchetto, adoperando un accendino d'argento brillante, freddo contro la sua pelle.
La fiamma danzava delicatamente rivelando il suo volto nella penombra. La luce della luna faceva risaltare i suoi lineamenti, gli occhi stretti e la bocca modellata in un broncio, mentre il fumo argentato che si alzava dalla sigaretta si fondeva con l'aria notturna. Gilbert inalò lentamente, lasciando che il fumo si disperdesse in un sottile vortice nell'aria, creando volute simili a quelle d’incenso, per poi perdersi inghiottite dal vento. La sensazione era rilassante, quasi meditativa.
Passò la sigaretta a Lovina, che la raccolse fra le dita tremanti. Le labbra incerte pregne del sapore del tabacco, mentre nelle narici si aggrappava il suo dolce profumo.
 
“Ci voleva proprio” Parlò Gilbert, emettendo un sonoro sospiro “Ci voleva veramente” Non fece in tempo a socchiudere gli occhi per lasciarsi inebriare da una rara sensazione di rilassatezza, che s’imbatté nel volto alquanto titubante dell’amica.
 
“Gilbert…qual è il vero motivo per cui non sei andato alla festa?” Domandò, fra uno sbuffo e l’altro. Probabilmente, era stata troppo diretta e lo aveva colto sicuramente alla sprovvista: quando il volto di Gilbert si irrigidì, si sentì una sciocca ad aver parlato, specialmente dopo che si racchiuse in un silenzio religioso.
 
Lovina, attendendo una risposta, si limitò a osservare i cerchi concentrici di fumo che descrivevano in aria, quasi troppo precisi per esser reali, ma che in quel momento per lei assomigliavan più a punti di domanda.
 
“Semplicemente preferisco star qui” Disse con una serietà così marcata che le sembrò quasi la stesse prendendo in giro. Non l’aveva guardata in faccia, ciò implicava che sicuramente le stesse mentendo.
 
“Non ci credo manco per il cazzo” Fu burbera la sua risposta. Era sicuramente convinta che ci fosse qualcosa sotto: Non poteva addirittura rinunciare alla festa di cui blaterava da mesi, per passare la serata a frignare assieme a lei. “Dimmelo che non sei andato per evitare…”
 
Elizaveta? Questo vuoi dire?” Gilbert divenne improvvisamente serio, e quando il suo sguardo si fece intenso e cupo, la nube di fumo che inalava cominciò a diventare intrisa di sconforto. Lovina lo guardò, il viso cominciò a tendersi, lo sguardo a indurirsi, gli occhi a serrarsi; E anche se non distratti continuavano a vagare nel nulla, a concentrarsi su un punto che non era Lovina, che non era loro due.
 
“E’ sparita da mesi. Non la sento da mesi. Non la vedo da mesi. Non mi importa niente” Continuò, distante, atono, quasi apatico. Trattenne il fumo molto tempo prima di espirarlo. La sigaretta era ridotta a brandelli, la fiamma si affievoliva e Gilbert sembrava scaricare lo stress su quel mozzicone, che si sgretolava poco a poco fino a perdersi fra le sue mani. Lovina aveva gli occhi incollati su quell’ormai manciata di tabacco, abbracciato da dita pallide e ossute. Sperava che pensando ad altro, quello sguardo glaciale non potesse lasciarle segni indelebili sua pelle.
 
“E tu perché non sei andata? Per non vedere Antonio?” Sputò con acidità, quasi per ripicca.
Era consapevole di quello che aveva detto, consapevole di quanto a Lovina il cuore cominciasse a battere all’impazzata, di quanto le facesse male sentirlo chiuso, stretto stretto incatenato al petto, silenzioso, scuro. Provò rabbia, ma si morse la lingua per non parlare: anche lei aveva sbagliato.
 
“E’ acqua passata, non mi importa niente” Fu solo in grado di rispondere con disprezzo, un disprezzo talmente finto da non riuscire a camuffare l’incrinarsi della sua voce, un disprezzo che non fu in grado di respingere le lacrime pungenti e bollenti che nascevano e morivano nei suoi occhi quando notò che Gilbert non si girò nemmeno una volta per guardarla.
 
“Allora adesso vuoi dirmi perché non sei andato?”
 
“E cazzo, non ci pensi nemmeno che volessi stare con te?”
 
“Noi non abbiamo quel tipo di…”
 
“Confidenza? ma questo lo dici tu, che ti sei fatta mangiare la testa da quello con le sue stronzate” Il suo sguardo fu così intenso che poté trafiggerla.
 
“Non è stata colpa sua”
 
“Non difenderlo, ne ho abbastanza di queste minchiate. Aveva la merda nel cervello, te lo dico io che lo conosco pure troppo”
 
“Non voglio parlare di Antonio adesso, chiudi quella cazzo di bocca e sta zitto. Non ti ho fatto domande su Elizaveta, quindi non continuare, non ha senso parlare di tutto questo ora che è passato più di un anno” Ti prego, pensava. Ti prego Gilbert, piantala. Non vedi che mi fai male? Supplicavano le sue lacrime inasprite d’ira.
 
“Devi sempre insinuare che io voglia stare con te per Elizaveta? Non posso voler star con te perché ci tengo? Perché pensi che non sia andato a quella cazzo di festa? Perché pensi che io abbia accettato di sentire le tue lamentele se non perché mi importa?”
 
“Non mi hai mai detto–”
 
“E come avrei dovuto farlo? Come avrei potuto farlo?”
 
Gli sguardi si incrociarono, si inchiodarono. Lei aveva gli occhi lividi, provati, delusi. Lo guardava con le sopracciglia aggrottate, insolente. Forse inconsciamente voleva strappargli una reazione che la rassicurasse, che le desse conferma che in quel momento non lo stesse perdendo per sempre, che avrebbe sempre visto quella sua camicia raggrinzita, quel pallido collo lanuginoso.
 
“Lovina, non mi importa se un giorno potrò scomparire. Voglio vivere fin quando posso, voglio vivere la mia vita, per quanto possa anche far schifo voglio esserne fiero. Non smetterò di provare ancora e ancora ad avere ciò che voglio. Che ti importa che con Antonio è andata male? Riuscirai ad avere qualcosa che desideri senza fossilizzarti sulle tue paure? E riuscirò mai a capire che cazzo sono per te?”  
 
Lovina aveva smesso di respirare in quel momento: Ricordò quel giorno in cui Antonio l’aveva stretta a se e l’aveva baciata, ricordò il volto di Gilbert che si spense in quell’istante, che si accartocciò come pronto a scoppiare in lacrime, ma che invece sputò talmente tanto rancore e disprezzo da lasciarle lividi sulla carne.
Le parole le morivano in gola, non riusciva a incastrarle per parlare, esprimersi. Come avrebbe potuto farlo? Come avrebbe potuto spiegare a Gilbert cosa significava per lei?
 
La prima volta che lo aveva incontrato, Gilbert aveva una sigaretta stretta fra le dita, una mano nella tasca del giaccone di pelle nera, lo sguardo rivolto verso il basso. “Lui è Gilbert” disse sua sorella “il fratello di Ludwig” .
 
E lo conobbe, imparò a conoscere il suo profumo, a volteggiare in quell’inebriante odore di lui,a danzare ininterrottamente attorno alla sua sagoma, a stringerlo sotto la sua ala sgualcita che mai avrebbe potuto proteggerlo, ma che ci provava, che voleva provarci.
Finché poi in una notte simile a quella che ora li custodiva, che si faceva carico di loro, esordì con un ovattato “Gilbert,io e Antonio stiamo insieme" E Gilbert se lo aspettava, se lo aspettava così prontamente che rimase sordo alle parole di Lovina, che sentì il sangue fluire al cervello e le orecchie cominciare a ronzare.
E mentre i pensieri cominciarono a devastarlo, a infiltrarsi subdoli nell’inconscio, vedeva lei, seppure distrattamente, che continuava imperterrita a parlare, parole che sfrecciavano come un treno, come un fiume in piena lasciavano la sua bocca; ogni volta che le labbra si schiudevano ed emettevano un suono, a Gilbert non arrivava nulla. Percepiva il movimento, lo scandire delle parole, la lingua che batteva sul palato e poi si nascondeva dietro l'arcata superiore. Ma non sentiva niente, non voleva sentir nulla, non riusciva nemmeno: Udiva solo il fischiare delle orecchie, vedeva la vista appannarsi, e quando quel sorriso aspro guizzò d’improvviso sul volto proprio mentre lei gli rivelò un particolare assai importante, Lovina capì cosa stesse succedendo e non fece niente; Abbassò solo lo sguardo e strinse i pugni talmente forte da render pallide le nocche, così come i suoi occhi persero il loro colore per riempirsi di ogni sfumatura di senso di colpa. L'aveva pugnalato alle spalle.
Registrò in modo evidente il suo calo d'umore, avrebbe voluto tener chiusa quella boccaccia, ma al contempo sapeva che non sarebbe servito a nulla, non avrebbe portato a nulla se non a un susseguirsi interminabile e increscioso di eventi dolorosi.
                        
"Congratulazioni" Fu quello che disse.
"mi stai uccidendo" fu quello che sentì lei.
 
Non sentì più la sua risata per molto tempo, non sentì quella risata riecheggiare nei corridoi della scuola, perché divenne sempre più rara fino a sparire, a disperdersi, a volar via e infrangersi come le foglie marce di quell'autunno così vuoto.
Gilbert era solo, sul suo motorino malconcio, che andava a zonzo per la città sperando di vedere la sua sagoma correre per qualche viottolo sperduto, qualche ciocca bruna rimbalzare. E quando la rivide, le ciocche erano rade e corte, gli occhi avevano smesso di brillare, e lei si era fatta ancora più piccola di quella che era. Era ancora bella, bellissima, ma era sfatta, fragile, distrutta, che si tirava disperata la pelle agli angoli laterali degli occhi per non piangere, e poi lo guardava con gli occhi incinesiti imploranti, traboccanti di lacrime.
 
Tremava di fronte a lui, pervaso dal desiderio di cingerla fra le braccia, stringerla a sé e renderla parte della sua carne, ma non poté farlo, perché era troppo spaventata dallo lasciarsi anche solo toccare. E lui, era troppo ferito.
 
"Gilbert" Fu solo capace di pronunciare "non lasciarmi mai, non andare mai via"
 
E ora si ritrovava affianco a lei, provava un miscuglio di emozioni difficile da interpretare, da comprendere. Stringeva il mozzicone fra le mani, rovente, lo stringeva forte come un bambino con una manciata di monetine argentee fra le mani. Come se fosse un piccolo tesoro.
Gilbert fumava, fumava tanto. Fumò quando Lovina era con Antonio. Fumò quando ruppe con Elizaveta. Fumava ora che Lovina gli stava porgendo il suo cuore rattoppato fra le mani, ultimi frammenti tenuti saldi fra di loro inspiegabilmente, cocci che poteva stringere fra le mani fino a tagliarsi e sanguinare. Erano rimessi insieme, legati frettolosamente, ma lei glielo stava porgendo, più fragile di prima, ma ancora vivo.
 
Non si erano mai capiti davvero. Ma Lovina e Gilbert erano due sfumature dello stesso colore.
 
Quando Gilbert si alzò di scatto, le ci volle tutto il coraggio che aveva per aggrapparsi alla sua mano, la mano magra e debole che cinse quel pallido polso “no” parlò quasi supplicante, gli occhi lucidi “non andare Gilbert, non andartene via” E non fu perché lei lo pregò quasi, non fu perché con le ginocchia graffiate e verdi d’erba l’aveva supplicato di restare; ma perché non lo avrebbe mai fatto, non pensò nemmeno mai di farlo.
 
Lei gli si avvicinò cauta, tremante, intirizzita da quel pungente timore che le faceva accapponare la pelle, le congelava le viscere. La mano incerta si mosse sul suo volto, lo portò vicino a se, e quando le loro labbra si sfiorarono, lei provò a tirarsi indietro, ma Gilbert non glielo permise: le strinse il polso, la cinse con le pallide braccia e posò le labbra sulle sue con delicata dolcezza. Pungeva, faceva male.
 
“Non andare via Gilbert, non andartene” Risuonavano le parole che danzavano nel vento, perdendosi nell’aria, imprimendosi nel cuore di Gilbert. “non andartene” supplichevole.
 
E poi di nuovo.
Le sue morbide labbra pregne di tabacco, premute contro le sue fredde e ruvide, avevano il sapore salato delle lacrime. Quelle labbra che avevano sibilato il suo nome, come sarebbe stato baciarle? Se l’era sempre chiesto. Sarà come mantenere una promessa, raccontare un segreto? Come vivere, come morire? Le avrebbe sigillate, tenute solo per se, quelle labbra soffici e paffute che sembravano avvolgerlo, e quando lei permise al bacio di diventare più profondo, sentì il cuore galoppare, e poi bloccarsi, nutrirsi dei suoi respiri per non morire fra le sue braccia.
 
Prendimi, prendimi. Sembrava volessero dirgli prendimi, portami via da qui, amami anche se non fossi più materia, se fossi luce o fossi ombra. Completami.
 
Spesso si erano baciati con gli occhi, si erano desiderati e bramati, le scaglie violacee sempre impegnate a catturare il suo fugace sguardo. Ma ora che finalmente erano vicini Gilbert non riusciva a pensare ad altro.
Pensò alla prima volta in cui avrebbe tanto voluto baciarla, quando Lovina si appollaiava sulla poltrona bruna del suo salotto con quel suo vestitino ricamato in pura seta, che quando saliva sulle cosce, si abbassava con un gesto scattante della mano.
I capelli sciolti cadevano sulle spalle raccogliendo le sfumature del miele, e lei stringeva sempre fra le mani quel librone verdastro, con il cipiglio caratteristico fisso sul volto e con le mani che accarezzavano la fredda carta.
Avrebbe desiderato avvolgerla da dietro, posare le mani sulle sue, stringerle le guance fra le mani, seppellire il viso nella gonna. Ma la guardò solo da lontano, con le mani fisse nelle tasche, con sguardo languido che dipingeva i contorni della sua flebile figura ambrata. E non importava se poco prima gli avesse detto di andare a farsi fottere, di sparire, di non farsi più vedere. Sapeva benissimo che lei mentiva, che mentiva quando lo mandava via, che mentiva quando non lo guardava, quando torceva il viso con disprezzo sputando un poco elegante “vaffanculo, che hai da guardare?” Mentre lui da lontano contava ogni lentiggine sul suo volto, ogni scaglia di verde nei suoi occhi.
 
 
Ma adesso lei era lì affianco a lui, a rifugiarsi nell’incavo del suo collo, pallido, con la pelle d’oca. Il corpo molle, indebolito, spaurito. E continuava a piangere, a stringere forte la sua maglia e a raggrinzirla tutta.
 
"Antonio non l'ho più sopportato" Era evidente. "Non l'ho più supportato, non lo sopporto ancora, non lo voglio perdonare" Fu solo capace di dire, dopo il silenzio amaro che li aveva accolti.
 
E alla mente riaccorsero quelle immagini della prima volta che li vide assieme, sotto il cancello della scuola, quando cadde la prima neve e i due erano in ritardo. Antonio si offrì di accompagnarla fino alla classe, come un vero galantuomo le cedette perfino i guanti di morbida lana, ma Lovina non sembrava dargli troppa confidenza non sforzandosi nemmeno di rispondergli se non con un cenno sforzato del capo, come a mimare disgustosamente un grazie, mentre i boccoli bruni e morbidi risaltavano quei piccoli soli d'oro che adornavano le orecchie,e lei, avvolta nel suo caldo camoscio di buona fattura, stringeva a se le braccia sotto il seno, mostrando un ulteriore atteggiamento di chiusura.
Gilbert sperava potesse mantenerlo sempre, ma invece Antonio, con suo grande sgomento, riuscì a conquistare il suo cuore. Lovina non gli rivelò mai perché si innamorò di lui. Feliciana diceva che era perché era protettivo come il nonno. Ludwig, diceva che era perché Antonio le stava vicino nonostante fosse burbera e scontrosa. Non lo seppe mai.
 
Gilbert era innamorato di Lovina. Se ne innamorò perdutamente quando litigarono per la prima volta, quando gli urlò che era un imbecille, uno stronzo, e che sarebbe dovuto sparire per sempre. Si innamorò di lei quando le passò affianco senza degnarlo di uno sguardo quando stringeva la mano di Elizaveta,
 
Guardami Lovina, guardami, pregavano i suoi occhi.
 
Antonio lo conosceva bene, da anni. Ma lui e Lovina eran diversi, non avrebbero mai potuto funzionare. Lovina era fuoco, Antonio era acqua.
Perché Antonio non la capiva, non la comprendeva,non si faceva carico delle sue emozioni "Non farmi fare brutta figura" le diceva, tenendole stretto il braccio quando lei a disagio fra la folla voleva scappare via, correre lontano fra le braccia del nonno che l'aveva lasciata sola. E Gilbert non poteva far nulla, se non stringere un mozzicone rovente fra le mani e serrare i denti per reprimere il dolore.
 
Lovina andava a piangere alla sua porta "Gilbert, Gilbert" chiamava, un ammasso di lacrime "Per favore, fammi entrare"  E lui la coglieva delicatamente come un fiore, la stringeva fra le braccia senza fiatare. Non avrebbe voluto parlare, solo essere accolta, solo sentire il cuore battere ancora, vivo, vicino al suo.
 
"Antonio per me è morto da tempo" Rispose lei, avendo riacquisito la compostezza da signora che la caratterizzava negli ultimi tempi.
Ultimamente, lovina aveva lo sguardo più severo. si lasciava poco prendere dalle emozioni, si impegnava a mantenere costantemente un temperamento rigoroso da dama. Non urlava, non sbraitava, non era più tanto burbera e diceva meno parolacce. Sembrava stesse crescendo, era cresciuta tutta d'un fiato da quando era a ferro e fuoco con Antonio. Con Gilbert però, le lancette del tempo tornavano indietro e si lasciava andare a qualche sconsideratezza.
 
"Da quando se n'è andato" Continuò "penso di essermi sentita meglio. sono stata male negli ultimi tempi, non riuscivo a mangiare e dormire, ma adesso sto bene. Penso che vederlo ora non mi farebbe alcun effetto" ammise. Gilbert sembrò abbastanza sorpreso da quella affermazione.
 
 Si era fatta più in salute, tornata a quella sana magrezza di un tempo, questo era vero.
 
"Non provi rabbia o rancore?" Non si capacitava che lei potesse dimenticare tutto, sopprimerlo, ma lei scosse il capo.
 
"No, zero. non provo nulla. Penso di essere cresciuta" Parlò dissipando ogni dubbio "stavo peggio quando mi dicesti che ti eri messo con Elizaveta" E una risatina si levò dalle sue labbra, ma subito la coprì con il dorso della mano. Gilbert acchiappò quell'istante, come il suo viso stanco brillò in un attimo. Era pronto a custodirlo, a imprimerlo nella sua memoria.
 
"Ed è per questo che mi rimproverasti quella volta?"
 
"Avevo paura te ne saresti andato per sempre, ma che se ti avessi detto io di sparire mi sarei convinta che tu l'avessi fatto per colpa mia"  
 
Gilbert non ci aveva pensato. Pensava che Antonio le avesse fatto accendere la miccia dell'odio; Del resto non aveva mai granché sopportato la loro amicizia.
Si vedevano di rado, di nascosto a volte, quando l' "accompagno Feli a casa di Ludwig" diventava "Voglio vedere il mio Gilbert, voglio stare con lui per un po'" Come quando ruppe con Elizaveta e Lovina stette al suo capezzale a passargli le mani fra i capelli, a spazzargli via le lacrime coi pollici. "Gli uomini non piangono mai" era solito dire, mentre le lacrime gli si incatenavano in gola, mentre piangeva a dirotto per lei, per Lovina. Perché gli piaceva che tracciasse delicatamente coi polpastrelli i bordi del suo volto, che con delicatezza posasse il suo capo sulle sue ginocchia.
 
“Capisco, capisco” Parlò con la sua non rara finta compostezza, fingendo di non farsi travolgere, mentre il cuore era ricolmo di gioia “Mi dispiace di non esserci stato per te”
 
“Non è colpa tua, sono stata io una sciocca a credergli”
 
“Non sono mai stato quello che hai voluto per te, giusto? Non ero quello adatto” E poi una mano corse verso il pacchetto di sigarette, con cui a colpo secco ne estrasse una.
 
“Basta fumare, smettila. E comunque, non è vero”
 
“Sicura?”
 
“Semplicemente avevo un’idea ben definita di ciò che volevo e ho creduto lui lo fosse” Era un modo abbastanza vago per dirgli, senza spezzargli il cuore, che Gilbert non lo aveva mai davvero considerato nella sua peculiare visione di vita.
 
“Era ciò che pensavo fosse più adatto a me”
 
“O forse semplicemente ti sei sforzata a trattarmi come un appestato perché non volevi intralciassi il tuo percorso? Non facevo parte del tuo futuro” Ora te ne penti, vero? Sei una stupida. Era quello il significato intrinseco alle parole, che Lovina aveva percepito quando parlò quasi con tono beffardo. Te l’ho fatta, ben ti sta. Era sicura che lui pensasse questo. Con Antonio condivideva la passione per l'arte, la cucina, Roma. Tornare a Roma per sentire il calore del nonno che ora la guardava da lontano, oltre le stelle. Tornare a sentire l'odore del legno della sua casa, la fragranza dei centinaia di ulivi secolari che curava nella sua campagna. Aveva scelto il suo percorso, non avrebbe cambiato. E gilbert le era di intralcio, e lo sapeva. Con Gilbert, non avrebbe mai avuto quello che voleva. Seppur lo amasse infinitamente.
 
“Di certo non eri il tipo di persona a cui ambivo. Non ho mai pensato potessimo nemmeno diventare amici io e te” Non che avessero molto in comune, eppure le loro anime si intrecciavano perfettamente fra loro, persino i pezzi rotti del suo cuore si incastravano in modo impeccabile a quelli di Gilbert.
 
“Allora devo sentirmi onorato ad avere la tua amicizia?”
 
“Amicizia? Fra noi la reputi amicizia?” Parlò, gli occhi gelidi che gli fecero accapponare la pelle “Dici seriamente che siamo solo amici?”
 
“Non mi sembra siamo una coppia”

“Non siamo nemmeno solo amici, pensi che ad un amico avrei detto tutto questo?”  si passò una mano fra i capelli, con un movimento netto allargò le dita, scostandoseli dal volto. Divenne inspiegabilmente stressata, inspiegabilmente, agli occhi di quello sciocco.
 
“Ma che ho detto? - una smorfia sul volto-  ho detto qualcosa di sbagliato? Avrei dovuto dirti che siamo una coppia?” Lovina si morse la pellicina del pollice “cosa avrei dovuto dirti?” Sciocco, sciocco Gilbert.
 
“Non lo so, non lo so nemmeno io”
 
“Probabilmente sei la mia anima gemella” Finalmente, Gilbert “e sono sicuro di amarti” Finalmente, Gilbert “ma non posso certo dire che siamo una coppia” Bel tentativo.
 
Nessuna lacrima bollente cadde dal viso di Lovina, nessuna parolaccia pronunciata, nessun cipiglio, nulla. Solo un’espressione talmente complessa e capace di esprimere sollievo e paura allo stesso tempo, si manifestò sul bel volto. Il viso lucente di lacrime ormai secche, gli occhi verdi sgranati come per apparente terrore. Ma ricolmi d’amore.
 
Già immaginava, che l’estate a venire l’avrebbe passata stretta stretta a lui, a guardare la sua pelle  candida diventar rovente e a riempirsi di grosse macchie rossastre e pruriginose, di accoccolarsi assieme a lui sulla poltrona prediletta, di scorazzare con lui sulla spiaggia di notte, deserta, indossando quello sbarazzino vestito verde oliva che lui le aveva regalato lo scorso anno. Sarebbe stato così dolce lanciargli uno sguardo zuccherino e sbattere le ciglia lunghe e scure mentre indomiti vagavano senza meta nel vigneto dietro casa. Forse si sarebbero scambiati un bacio, o due. Forse le avrebbe fatto scorrere la mano fin sulla coscia celando la promessa che si eran fatti.
 
Gilbert cominciò a passare le dita fra i suoi capelli bruni e lucenti, rivelando gli orecchini “Ma questi te li ho regalati io!” un sorrisone si aprì sul volto, il tono gioioso “Ti piacciono?”
 
“Stupido, se li metto sempre fattele due domande no?” che sciocco “Apprezzo i tuoi regali”
 
“Il vestito verde non l’hai mai messo” che sciocco.
 
Volse gli occhi al cielo, e col braccio ingioiellato fece un movimento squisitamente poco fine, per scacciare via ogni suo pensiero “Odio tante cose di te ma non i tuoi regali”
 
“Del tipo?”
 
“Odio la tua voce, mi fa venire i nervi, odio come ti vesti, come tieni i capelli -gli afferrò una ciocca- odio come ti muovi e molto altro” C’era qualcosa che realmente odiasse di lui?
 
“Così mi ferisci” che sciocco.
 
Perché in realtà Lovina, Gilbert lo odiava e non poco. Odiava ogni piccola e fulgida espressione del suo volto, il suo corpo, ogni singolo muscolo, tendine che lo componeva. Lo odiava così tanto che gli avrebbe strappato la carne dalla ossa, che gli avrebbe catturato gli occhi per tenerseli con sé, lo odiava così tanto che avrebbe afferrato quelle ciocche secche solo per sentirle sue.
Odiava Gilbert così tanto, che quell’insolitamente freddo settembre, non si iscrisse a nessuna università di Roma, ma bensì si trovò su uno sciatto vagone di un treno sgangherato, con la sua valigia di cuoio consunto troppo pregna del profumo del nonno, dove infilò poche necessità e qualche caro ricordo, e affianco a lei viaggiava un ragazzo con un sorriso un po’ sbilenco e un canino un po’ troppo sporgente. Quella notte, le aveva promesso stringendole il mignolo, che sarebbero tornati a Roma tutte le estati. Non aveva ben capito come mai lei insistesse così tanto, perchè quando glielo aveva provato a domandare, era stato liquidato malamente da un "Te lo dirò, ma ora non è il momento". In ogni caso, glielo avrebbe detto dopo, e non era molto preoccupato. L'avrebbe però certamente accontentata. Le disse anche, che se avrebbe guadagnato abbastanza soldi, avrebbe comprato il terreno di suo nonno per permetterle di averlo di nuovo con sé. Tuttavia, lei sembrò abbastanza divertita e non lo prese troppo sul serio "Certo, certo Gilbert. Spera di avere i soldi per mangiare almeno".
E mentre lei guardava il suo bell’abito elegante, ascoltava la sua voce un po’ dura ma con quella stramba erre, quella ti ficcata ovunque, che trovava tanto divertente. Lo sentiva blaterare irrealizzabili idee sul futuro, sciocchezze da marmocchio, le sue sciocchezze da marmocchio. Perché Gilbert lo odiava, lo odiava con tutta se stessa. E l’avrebbe sempre fatto, fino alla fine dei suoi giorni.




Autore: Non ho capito se le note vanno aggiunte così, in ogni caso ci tenevo a ringraziare per la lettura e a chiedervi di essere clementi. Ho riletto il testo 6 volte ma qualche errore può comunque essermi sfuggito, siete liberi di farmeli notare! Spero di aver fatto un buon lavoro, e grazie ancora per la lettura :DD
   
 
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