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Autore: Neamh Moonstar    19/09/2023    0 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I tre della Zona avevano sbarrato la bocca all'unisono, una quasi rapita, uno decisamente stupito e l'altro ancor più decisamente spaventato.

Dog, invece, aveva emesso un guaito impaurito e aveva aperto le fauci solo per lasciare andare il suo padrone.

Sopra di loro, serio ed imponente, c'era il Re dell'Inferno in tutta la sua grottesca potenza: fuoriusciva a metà dalla terra che aveva divelto, possente, le corna sulla sua testa parevano essere state ben lucidate e limate.


    «Quello è tuo Padre?!» Esclamò Pepper. La sua voce echeggiò nella nebbia che si era creata.

Persino la pioggia aveva smesso improvvisamente di scrosciare imperterrita, come se si fosse impressionata a sua volta.

    Adam sospirò, in modo da allontanare almeno un minimo di ansia. «Già. Mi sa che sono proprio nei guai». Si voltò verso i suoi compagni, rivolgendo loro un sorrisetto rassicurante. «Ci penso io, restate qui.»

E quelli lo fecero, fissandolo con tanto d'occhi intanto che si avvicinava sempre più alla mastodontica creatura a pochi metri da loro. Erano infreddoliti, bagnati, soli davanti all'essere più pericoloso dell'universo; lo stesso che avrebbe potuto trasformare Adam in una bomba ad orologeria con uno schiocco di dita se avesse voluto. Eppure non si mossero se non per stringersi un po' l'un l'altro, mani ancora ben ancorate alle "redini" di Dog.

Osservarono la piccola Arma andare incontro al suo Creatore, fermandosi davanti alla nerastra e possente parte di torso che sbucava dal terreno. Non sembrava preoccupato, né impaurito, ma tutti e tre ci avrebbero messo la mano sul fuoco dicendo che era tutta una facciata.

    Gli occhietti duri e scuri del Ribelle si posarono su di lui. Poi, una voce profonda, cavernosa, così vibrante da far tremare l'aria, ruggì: «Tu. Tu verrai con me.»

Adam non aveva idea di cosa ciò volesse dire. Automaticamente, però, chiuse gli occhi - anche perché aveva visto suo Padre muovere un braccio, e l'istinto gli aveva suggerito di fare molta attenzione. Già si immaginava di venire afferrato, stritolato in quel grosso palmo e portato all'Inferno.

Ma nulla di tutto ciò accadde, né venne investito dall'odore di zolfo o dalle eteree urla delle anime dannate. Fu allora che si decise a riaprirli.


Non faceva più così freddo, non si sentiva più l'odore di pioggia ed erba bagnata, i suoi capelli e i suoi abiti erano tornati asciutti come non mai, e il Confine era sparito, lasciando posto ad una distesa infinita di nuvole sormontate da un cielo azzurro e terso. Il tutto era armonizzato da una luce calda e da un tepore rassicurante; tirava un venticello placido e tiepido che fece sentire Adam immediatamente meglio, tanto che il nodo nel suo stomaco si sciolse gradualmente.

    Nemmeno la vista di suo Padre, ancora davanti a lui, lo preoccupò. Anzi, notò con interesse che sembrava nervoso oltre che molto, molto arrabbiato. Era tornato ad avere lo stesso aspetto elegante e curato di sempre, e stava torturando le maniche ben stirate del suo completo scuro, borbottando: «Odio, detesto questo posto.»

    Adam avrebbe voluto chiedere cosa e dove fosse esattamente il luogo in cui si erano misteriosamente ritrovati, ma venne bloccato da un eccitato abbaiare alle sue spalle. «Dog, ci sei anche tu!» Notò, accogliendo tra le braccia la versione piccola, docile, bianca e nera del suo cane.

Il momento di giubilo venne fermato dal Ribelle stesso, il quale afferrò il gomito di Suo figlio, iniziando furiosamente a marciare verso un punto imprecisato di quel banco di nuvole senza dire una parola.

Il ragazzino non oppose resistenza - stranamente, non ne sentiva il bisogno - lasciandosi guidare in mezzo a quel luogo dalle sfumature ovattate ed oniriche. Si guardò attorno, cercando di capire in che modo chiunque avrebbe potuto orientarsi lì in mezzo, ma l'unico punto di riferimento che vide fu il piccolo albero - un melo, a giudicare dai frutti - accanto al quale si fermarono.

Sotto all'esile arbusto, proprio davanti a loro, comparvero presto tre luminosissime figure che lasciarono Adam con gli occhi sbarrati.

Una di esse, quella a sinistra, aveva sembianze maschili, gli occhi verdissimi, i capelli castani ben acconciati e una barba curata ad ornare un viso deciso e squadrato. A destra ce n'era una più esile, gli occhi grigi, il viso femminile sormontato da un elegante taglio corto e corvino. Entrambi avevano non una, non due, ma ben sei bellissime ali colorate dietro la schiena.

Davanti a loro, proprio in mezzo, c'era quella che pareva una donna. Il ragazzino non poteva saperlo, ma assomigliava moltissimo ad Eva: la prima umana. Aveva una meravigliosa pelle scura spruzzata d'oro, così liscia che pareva marmo lavorato, ma al contempo così morbida da portare chiunque al volerla accarezzare. I Suoi boccoluti capelli neri erano volute perfette, decorate da nastri dorati anch'essi, intrecciati ad arte tra le ciocche. Aveva le stelle negli occhi scuri, e li guardava con una dolcezza e una bontà disarmanti, genuine, vere.

    Fu proprio Lei a prendere parola. «Sapevo che sareste venuti» affermò, la voce armoniosa.

    Il Signore del Male, primo Ribelle, fissò la Signora del Bene, Madre di Tutti e Regina del Paradiso, come se volesse incenerirla con lo sguardo. «Certo, perché Tu sai sempre tutto, vero?» Ringhiò. «Bene, allora spiegami questo

Con un movimento deciso del braccio, buttò Adam e Dog proprio nella piccola area di nuvole in mezzo a loro. Subito, il cagnetto prese a scodinzolare ed abbaiare felice, tanto che il ragazzino dovette lasciarlo andare perché non si dimenasse troppo tra le sue braccia.

Saltellando come un coniglietto, Dog andò a cercare attenzioni proprio da Lei, rigirando su sé stesso. Adam ne rimase piacevolmente sorpreso e decisamente divertito: il suo cane doveva aver percepito la stessa simpatia, senso di sicurezza e dolcezza che Lei pareva emanare.

    Difatti, Dio si abbassò, raccolse la scodinzolante creaturina e lasciò che riempisse il Suo volto di umidi "baci". «E tu cosa saresti, piccolino?» Chiese divertita, come se non lo sapesse già.

    «È un segugio infernale, Signora» rispose l'angelo a sinistra.

    «Effettivamente, di solito sono molto più grandi di così, Signore» affermò l'angelo a destra.

    «Si vede che qualcuno lo ha addestrato bene» disse Lei. Poi si voltò verso il ragazzino con un sorriso dolce sul volto: «Vero, Adam?»

    Quest'ultimo la fissò con tanto d'occhi. «Sai il mio nome?»

    «È il nome che diedi al primo uomo sulla Terra» spiegò Dio, accarezzando delicatamente la testolina di Dog. «E poi, io so tutto» aggiunse, facendogli un occhiolino.

    Il Ribelle, però, era tutto fuorché divertito. «La smetti di fare i tuoi comodi e mi rispondi, una volta tanto?» Inveì. «E poi, perché ci siamo incontrati da Te? Pensavo facessimo a turni.»

    «Difatti, mio caro collega, l'ultima volta ci siamo visti nella tua, chiamiamola, sala del trono. Ricordi?» Affermò Lei, calma e cordiale.

Adam si stupì dello strano rapporto che sembrava intercorrere tra quei due che, ed era un dato di fatto, sarebbero dovuti essere acerrimi nemici. Lui era chiaramente infastidito, ma non c'era traccia nei suoi comportamenti della stessa violenza che riservava ai demoni Suoi sottoposti. Lei era un mare calmo, leggermente increspato dal vento, che non si lasciava disturbare dalla tempesta che era il Suo Avversario. Laddove Lui si agitava, Lei rispondeva con il sorriso.

Non si scontravano poi tanto, si rese conto il ragazzino. Più che altro, parevano quasi completarsi.

    Il Re dell'Inferno si fece ricadere le braccia lungo i fianchi, esasperato. «Va bene, come ti pare. Ora però confessa: Tu sapevi, vero?» Chiese, gli occhi ridotti a due fessure. «Come al solito stavi tramando tutto in silenzio, eh? Sapevi che sarebbe finita così». Pronunciò le ultime parole indicando Adam con un dito.

    La Regina del Paradiso gli rivolse una specie di piccolo broncio. «Tutti credono che mi piaccia essere subdola, quando in realtà non faccio che mandare segni» affermò. «Qualcuno sapeva eccome dei Miei piani per questo giorno. Li ho fatti scrivere nero su bianco. Non è vero, Adam?»

Il ragazzino annuì energicamente. Certo, la profezia era stata un gran bel grattacapo da gestire: era vaga, tutta una metafora, ma precisa su ciò che sarebbe accaduto. Su quello, Dio aveva ragione.

    «In quanto al tuo piccolo sprazzo di Inferno» riprese poi quest'ultima, «è solo un bambino. È curioso come qualsiasi bambino al mondo. Se lo volevi obbediente, avresti dovuto creare un cane.»

Dog abbaiò a quella constatazione, un po' come se si fosse sentito chiamato in causa.

    L'espressione del Ribelle si rabbuiò, ma non per la resa. Era stato colpito e affondato su quel punto, ma c'erano ancora altre questioni che voleva mettere in tavola. «Sì, ma la dicotomia! Hai fatto sparire ciò che contraddistingue i nostri Regni da sempre.»

La parola "sparire" fece sussultare Adam. Allora era accaduto davvero... che fosse quella la strana vibrazione nell'aria che aveva sentito? Quella alla quale non era riuscito a prestare attenzione ma che aveva chiaramente sentito echeggiare sommessa?

    Dio parve quasi illuminarsi - sia metaforicamente che non. «Proprio qui ti volevo, caro collega» disse, rimettendo Dog a terra - o sulle nuvole, o su qualsiasi cosa ci fosse davvero sotto di loro. «Perchè ti sbagli: io non ho fatto sparire proprio niente. Sono stati loro.»

    La voce dell'altro si ridusse ad un rombo profondo. «Già. Parliamo di quel tuo angelo.»

    «O parliamo di quel tuo demone.»

    «Loro. Quei due, quei- non riesco neanche a definirli» balbettò il Ribelle, mosso da un moto di incredulità e disgusto.

    Lei gli venne incontro, elencando: «Amici, colleghi, controparti, partner... Sarò sincera: così come non lo sai tu, non lo sanno loro e non lo so io. Di sole due cose sono certa: la prima è che hanno fatto una cosa senza precedenti, e la seconda è che per questo li adoro.»

    «Tu sei di parte. Adori praticamente tutto e tutti» precisò Lui, alzando gli occhi al cielo.

    Adam li fissò entrambi a turno, improvvisamente preoccupato. L'ultima volta che aveva visto Aziraphale e Crowley, le cose si stavano mettendo molto ma molto male per entrambi. Chiedere gli venne spontaneo: «Perchè, che hanno fatto? Stanno bene?»

    Dio lo guardò, affranta. «Temo si siano stretti l'un l'altro così tanto da consumarsi.»

Il ragazzino emise un solo, triste: "Oh" che lo portò a volgere lo sguardo verso il basso. In effetti, non c'era scritto da nessuna parte che sarebbero sopravvissuti. Era forse la cosa più logica farli immolare in favore di un bene collettivo e superiore, per quanto triste potesse sembrare. Nonostante ciò, Adam faticò a trattenere una lacrima. Ormai ci si era affezionato, in un certo senso, a quelle creature così particolari che tanto avevano fatto per dimostrare a tutto il Paradiso e a tutto l'Inferno quanto si sbagliassero.

    Dog si avvicinò alla sua gamba mugolando, mentre Lei, con fare materno, gli poggiava una mano sotto il mento, portandolo a guardarLa. «Non preoccuparti. Ho un modus operandi basato su una convinzione: che non si muore mai davvero.»

Ciò instaurò un briciolo di speranza nel cuore di Adam. Se c'era qualcuno capace di risolvere la situazione, quel qualcuno era Dio.

    Peccato che questo portò suo Padre a fare una faccia sconvolta, stralunata e decisamente tutt'altro che contenta. «Dici sul serio? Qual'è il Tuo piano? Stravolgere l'equilibrio del mondo dopo tutto questo tempo? Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per instaurarlo?»

    «Mio caro collega, temo ti sfugga il concetto di "fine"» lo rimproverò l'Altissima. «Una porta si chiude perché un portone possa aprirsi. È ora di cambiare un po' le regole. Vero, miei fedeli aiutanti?» Chiese poi, rivolgendosi ai suoi angeli.

Questi, rimasti fino ad allora in religioso silenzio, annuirono all'unisono.

    «Sì, Signora» disse quello a sinistra.

    «Certamente, Signore» gli fece eco quella a destra.

    «Perciò, ci attende una lunga chiacchierata» riprese Dio, guardando l'altro con il fare di chi non vuole sentire ragioni. «Da adesso in poi, propongo di eliminare gli effetti fisici della dicotomia e di lasciare i nostri scontri in mano alle Armate. Gli umani, per natura, hanno il diritto di scegliere da sé quale strada seguire. In fondo, abbiamo sempre sbagliato a ridurli al pari di angeli e demoni, senza tenere da conto la loro personalità ambivalente. Ma è un discorso che affronteremo.»

    Attorno al Ribelle parve formarsi un alone nero e fumoso che fece fare ad Adam un passetto indietro. Attorno al corpo solo apparentemente perfetto di suo Padre andarono crepitando piccoli fulmini rossastri. «Questo è quello che vuoi fare dopo tutto questo casino? Rimescolare le carte in tavola come pare a Te?»

    L'angelo a sinistra fece un passo avanti. «Devo intervenire, Signora?»

    Ma Dio scosse il capo, per niente impressionata da quella reazione. «Non è necessario, Vehuiah. È solo una delle sue solite sfuriate» affermò, prima di volgersi nuovamente verso il suo Avversario. «Sai bene che non mi permetterei mai di decidere per i Tuoi sottoposti. Ci sono e ci saranno sempre cose che ti appartengono di diritto. Su quelle hai pieno dominio.»

Mettendosi le mani tra i capelli, il Re dell'Inferno si prese qualche prezioso secondo per fare nervosamente avanti e indietro per le nubi. Agli occhi di Adam, che lo aveva sempre visto composto e risoluto, la scena parve persino divertente.

    Alla fine, il capo dei demoni fece un verso di frustrazione, puntando il dito contro Suo figlio. «Ti piacciono tanto gli umani? Bene. Allora per me puoi unirti a loro. Goditi la tua breve e misera vita mortale. Tu e quel maledetto cagnaccio» inveì. «In quanto a Te» aggiunse poi, occhi di fuoco puntati sulla Regina, «non si può vincere sempre. Non scordarlo.»

    Ma Lei, con un leggero sospiro, molto semplicemente gli sorrise. «Mio caro collega, in questo caso nessuno di noi due ha vinto. Semmai, abbiamo perso entrambi.»

Ma l'altro aveva detto ciò che voleva. Mandò, così per ripicca, un fulmine a rompere un po' l'altrimenti immacolato cielo sereno; azione che fece fare un passo avanti all'angelo a destra.

    Dio alzò una mano, fermandola. «Lascialo andare, Jeliel. Gli parlerò dopo con calma.»

E Jeliel obbedì, tornando accanto a Vehuiah - con il quale si scambiò qualche parola e un'occhiata seria.

Fu l'ultima volta che Adam rivide suo Padre. Questi, scomparve in una potente e calda fiammata che annerì le nuvole in quell'area, il volto contorto in una maschera di rabbia e delusione. Il fumo che lasciò sul suo cammino era nero e denso come l'atmosfera dell'Inferno, ma venne subito inglobato e portato via dal vento placido del Paradiso.


Il ragazzino sentì un peso svanirgli dal petto. Si accorse di essere libero, adesso. Mortale ma libero. Era una sensazione agrodolce, ma bella e particolare: sapeva di nuovo inizio.

    Dio andò a posargli una mano sulla spalla, tranquilla come se avesse assistito al più comune dei fenomeni. «È sempre stato facile all'ira» spiegò, gli occhi fissi sul punto dal quale il Ribelle era sparito. «Non ha mai sopportato che le cose non andassero come diceva Lui.»

    «E la cosa Ti dispiace?»

    «Come potrebbe non dispiacermi? Diceva il vero affermando che adoro tutto e tutti. Il Mio è un Amore incondizionato che il più delle volte fa male. Ma ne vale la pena». Poi, battendo le mani, l'Altissima scacciò la leggera ombra che si era posata sul Suo viso. «Ma basta tergiversare. Andiamo per gradi.»

Vehuiah e Jeliel si rimisero sull'attenti. Persino loro parevano più rilassati ora che l'ex Padre di Adam se n'era andato.

    «Potreste portarmi qui Raphael?» Chiese loro Dio con la cordialità di una richiesta, piuttosto che con la durezza di un ordine. «Ho bisogno di dirgli una cosa.»

E i due angeli, dopo un solo cenno del capo, eseguirono, sparendo in un lampo e lasciando la loro Regina, Adam e Dog da soli.

Il ragazzino si sarebbe aspettato perlomeno qualche minuto di attesa; invece, dopo nemmeno tre secondi, i due aiutanti di Dio ricomparvero in un fascio di luce. Tenevano ciascuno un braccio di Raphael, il quale parve dapprima sorpreso, poi spaesato, e infine - dopo aver posato lo sguardo sulla Madre di tutti - in tutto e per tutto terrorizzato.

Era ancora ferito, i suoi occhi rossastri erano più lucidi di un vaso di porcellana, e aveva i boccoli ramati del tutto divelti. Quando Vehuiah e Jeliel lo lasciarono, era così debole che cadde in ginocchio sulle nubi. Manteneva lo sguardo basso e tremava; una visione che fece sentire Adam terribilmente in colpa per l'odio che aveva involontariamente gettato addosso a quella creatura disperata.

    Ma Dio, come se non avesse notato quella reazione, si illuminò e gli andò incontro. «Amor Mio, che gioia rivederti» esclamò, raggiungendo il Suo arcangelo e cingendogli dolcemente le spalle con le braccia.

Quello che era stato suo Padre gli aveva sempre passato le mani tra i capelli con una freddezza inimmaginabile, pensò Adam. Dio, invece, era corsa dal Suo angelo più rotto, dubbioso e sporco di icore dorato per stringerlo a Sé. Quello sì che era amare il proprio creato.

    Raphael parve capirlo, dato che quasi subito prese a singhiozzare, affondandoLe il volto nella spalla. «Mi dispiace» pianse, la voce strozzata. «Mi dispiace tanto, io- io-»

    Ma Lei lo zittì, accarezzandogli la testa, attendendo che tutto passasse. «Calmati, Amor Mio. Non hai fatto nulla di irreparabile.»

    Il guaritore scosse il capo, scostandosi per guardarLa negli occhi. «No, Voi non capite. L'ho sentito forte e chiaro quando si sono abbracciati. Non vedevo una cosa del genere da secoli, forse di più. Era Amore, Madre. Amore» ripeté, tra i singhiozzi. «Tra due creature così contrapposte... non è possibile. Eppure-» si bloccò, senza sapere cos'altro dire, il respiro corto.

    Dio gli sorrise, scostandogli una ciocca ramata dalla fronte. «Allora è così che stanno le cose. Bene, vorrà dire che dovremo sistemare la situazione, cosa ne pensi?»

    «Ma, Madre» lamentò Raphael, passandosi le mani sugli occhi ancora lacrimanti, «ho fatto una cosa terribile. Aziraphale, la sua ala, io- non posso certo curarla. Stava morendo ancor prima di quell'abbraccio ed è stata tutta colpa mia.»

    La risata cristallina dell'Altissima riecheggiò nell'aria. «Oh, Amor Mio. Conosco la Mia Luce meglio della posizione delle stelle in cielo: starà bene e alla sua ala ci penserò Io. Pensa solo ad aiutare entrambi il più possibile, va bene?»

    «E-entrambi? Madre, non ho mai curato un demone in tutta la mia esistenza. Da dove dovrei cominciare?»

    «Esattamente da dove cominci con gli angeli, Amor Mio. Devi solo evitare l'acqua santa». Detto ciò, Dio gli prese le mani e lo aiutò ad alzarsi.

    Con stupore, il ragazzino notò che Raphael era tornato l'arcangelo perfetto e composto di una volta. Non aveva un'ustione, né un livido, solo i segni delle lacrime sulle guance. E adesso le pozze rosso sangue che erano i suoi occhi lo stavano fissando, serie. «Credo di dovere delle scuse anche a te. Adam, mi pare, vero? Aziraphale ha fatto il tuo nome sul campo di battaglia.»

    Questi annuì. «Eri arrabbiato e spaventato. Stavi solo cercando di proteggere il tuo lato di Terra. Non te ne faccio una colpa.»

    «Mi dispiace anche di aver ferito il tuo, ehm, destriero?»

Dog abbaiò, come a sottolineare il fatto che ormai non era più il destriero di nessuno. Le sue ridotte dimensioni gli andavano più che bene, anzi: era meglio essere trasportati che trasportare.

    Fu Adam stesso a tradurre per lui. «Dog adesso è semplicemente il mio cane. Ma non preoccuparti: era solo un graffietto» affermò, scrollando le spalle. «Lo abbiamo sistemato subito.»

    Il guaritore gli rivolse un cenno del capo. Dopodiché si volse verso Dio. «Dove posso trovare i miei pazienti?» Chiese con una risolutezza che tanto si allontanava dal nervoso e dalla rabbia che aveva provato fino ad allora. Se il ragazzino fosse stato ancora capace di dare uno sguardo alla sua aura, era certo che l'avrebbe vista calma e felice.

    L'Altissima si prese Raphael da parte per qualche secondo, dandogli qualche indicazione che Adam percepì a malapena. Quando il guaritore si scostò, però, rivolse ad Adam un'altra occhiata e un leggero sorriso. «Spero potrai perdonarmi del tutto per non aver colto prima le tue intenzioni» gli disse. «Ci rivedremo.»

Non era un semplice saluto, ma una promessa. L'Amore e l'Arma (ex-Arma, oramai) si diedero l'arrivederci e Raphael, con uno schiocco di dita, si teletrasportò altrove.

Nel mentre, Dog aveva iniziato a provare un certo interesse per le piume di una delle sei ali di Jeliel - la quale, però, ne fu più piacevolmente divertita che altro. Faceva qualche salto, cercando di afferrarle con i dentini aguzzi; peccato che fosse destinato a fallire tutte le volte che l'angelo le spostava fuori dalla sua portata.

Accanto a loro, Vehuiah osservava la scena con le braccia incrociate e un leggero sorriso sul volto dai tratti decisi.

Dio si mise una mano sull'ipotetico cuore, probabilmente intenerita da quel quadretto. Ancora una volta, diede la conferma di essere una Madre che si comportava come tale: qualcosa che ad Adam era sempre mancata.


    Ad un certo punto, questi la guardò, inclinando la testa. «Cosa succederà adesso?» Chiese, genuinamente curioso.

Effettivamente, aveva solo mezzo piano in mente. Sarebbe andato alla Zona, avrebbe giocato con i tre, si sarebbe goduto tutto il tempo che aveva con Dog, con gli altri umani, magari anche con altri bambini; e poi ci sarebbero stati anche Aziraphale e Crowley. La Zona, almeno per un po', sarebbe stata l'unico punto invariato in mezzo ad un mondo che stava cambiando.

Non sembrava male. Sarebbe persino cresciuto ad un certo punto: una prospettiva che non aveva mai avuto modo di considerare.

    Dio, come se sapesse a cosa stava pensando - e forse lo sapeva davvero - gli strizzò un occhio. «Aspetta e vedrai» disse solo.


Si presero del tempo che l'Altissima utilizzò per dare ad Adam alcune indicazioni importanti: la prima, dire a Pepper che sarebbe stato carino se avesse fatto uscire un po' anche la parte dolce di lei - e non solo quella da capetto. La seconda, dire a Brian che per quanto tenero fosse il suo facciotto ricoperto di briciole, avrebbe dovuto farsela una doccia ogni tanto. La terza, spronare Wensley a far fronte ad alcune delle sue ansie - senza mai lasciarlo solo nel processo. La quarta, rivolta ad Adam stesso, stare sempre a sentire gli adulti della Zona. La quinta, riferire a Crowley che Dio pensava ancora a lui ogni volta che si ritrovava a guardare le stelle. La sesta, far notare ad Aziraphale che la Zona non aveva nemmeno una biblioteca - o una libreria a dirla tutta. Forse, si sarebbe fatto venire un'idea a riguardo.

La settima, quella che Lei definì la più importante, vivere al meglio il resto delle loro vite - o esistenze che dir si voglia.

Adam prese quei compiti molto sul serio sin dal primo istante. Prima di lasciare il Paradiso, accolse con gioia e gratitudine il bacio che l'Altissima gli diede sulla fronte; dopodiché raccolse Dog e si affidò alle sapienti mani ed ali dei serafini.

    L'ultima cosa che Dio gli disse fu: «Ci rivedremo un giorno.»

Non era un semplice saluto.

Era una promessa.


~•°•~


Fu come se tutta l'aria del mondo avesse deciso di entrargli di colpo nei polmoni.

Si mise a sedere di scatto, preso da spasmodici colpi di tosse. Si portò una mano al petto: il suo inutile cuore aveva preso a pompare all'impazzata, sbattendo imperterrito contro l'ipotetica gabbia toracica che si ritrovava.

Aveva la vista oscurata da quelle che riconobbe come le ciocche rosse ed ondulate dei suoi stessi capelli. Sentì addosso un tepore caldo e piacevole che contribuì a calmarlo un inutile respiro profondo alla volta. Sotto il palmo rimasto a terra c'era dell'erba fresca, inumidita dalla rugiada. Non aveva idea di dove fosse, né di cosa stesse accadendo.


Così, serrando le palpebre, Crowley si costrinse a fare mente locale. Tempo due secondi e i ricordi lo investirono come un fiume in piena: la Battaglia, Raphael, i rivoli, Adam...

Sbarrò gli occhi, si levò i capelli dalla faccia con veemenza e si guardò le mani per poi tirarsi su le maniche della - pulitissima, nerissima e persino stiratissima - camicia. La sua pelle non aveva un graffio, le sue ali erano più corvine che mai, era tutto intero, vivo e vegeto, nonostante l'ultima cosa che ricordava di aver fatto fosse...

Oh, cazzo.

Si voltò verso destra così di scatto da farsi male. Aziraphale era lì, leggermente raggomitolato su un fianco, che dormiva tranquillo, come non fosse mai accaduto nulla e avesse semplicemente deciso di godersi quella che era a tutti gli effetti una bellissima giornata.

Il rosso gli fu accanto in un secondo, cosa che gli fece salire un senso di deja-vu tutto fuorché piacevole. Osservò la candida figurina sotto di sé con un'attenzione quasi maniacale, alla ricerca di un qualsiasi possibile graffietto, un lividino, una macchia di sangue...

Ma non c'era niente su quel volto immacolato. Quegli abiti beige e crema erano puliti e candidi come le ali ben raccolte sulla schiena dell'angelo. Erano di nuovo due, notò con sollievo e gioia il demone, talmente bianche da risplendere al sole. Aziraphale era tornato l'ammasso di nuvole limato in più punti di sempre, vivo e vegeto nonostante l'ultima cosa che avesse fatto fosse stata...

Preso da un'urgenza e una preoccupazione brucianti, Crowley fece la prima cosa che gli venne in mente. Non stette nemmeno a pensarci. Poggiare la mano sulla guancia dell'altro fu istintivo: era il trucchetto che durante la Battaglia aveva risvegliato il suo angelo per ben due volte.

Ma stavolta, le cose non andarono come aveva previsto.


I respiri profondi che stava facendo per placare la sua aura gli morirono in gola.

Sotto le sue dita non sentí né dolore, né bruciore, né sfrigoliii, ma solo una morbida e tiepida guancia.

Si staccò con un sussulto, guardandosi il palmo della mano, credendo di vederlo almeno rosso, leggermente ustionato... ma no, era intonso, perfettamente integro. Anche il volto di Aziraphale lo era.

Anzi, questi non parve nemmeno accorgersi del tocco. Fece solo una leggera smorfia nel sonno, la quale sparì così com'era comparsa, lasciandolo tranquillo.

Si erano toccati e non era successo niente.

Assolutamente niente.


Quella considerazione fece saltare Crowley come una molla lasciata in tensione troppo a lungo.

    Con uno slancio fu di nuovo sull'altro, o meglio, sulla sua spalla. Prese a scrollarlo come se ne andasse della sua stessa esistenza. «Aziraphale? Angelo!» Richiamò, spostandogli poi le mani sulle guance, affinché il volto dell'altro fosse ben rivolto verso il suo.

Con un rantolo infastidito, questi aprì gli occhi, inizialmente confuso. Dopo qualche attimo di realizzazione, sbarrò le pozze celesti, puntandole contro - anzi, dentro - quelle auree del rosso. Lentamente, come se avesse paura che tutto potesse finire lì sul momento, andò a poggiare le mani su quelle affusolate ancora ben premute sul suo viso.

Per alcuni, lunghissimi secondi, Aziraphale e Crowley non fecero che fissarsi come avevano sempre fatto, stralunati ed increduli. Poi, all'unisono, si misero a ridere.

Erano risate cariche di sollievo; il risultato di una tensione che solo adesso si era sciolta nella consapevolezza che ce l'avevano fatta: erano riusciti nell'impossibile, erano ancora vivi ed erano insieme.


L'angelo sentì la fronte dell'altro poggiarsi sulla propria, ma la accettò con gioia, senza mai staccare le mani dalle sue. Si lasciò andare a quegli attimi di felicità, almeno finché le risate di Crowley non si fecero sempre più rotte da singhiozzi.

Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò nuovamente stretto in un abbraccio che lo tirò su con sé, portandolo ad inginocchiarsi e ad addossarsi al corpo ora improvvisamente tremante e scosso del rosso, il quale gli aveva gettato le braccia al collo con una fluidità e una velocità che solo un serpente avrebbe potuto avere.

La situazione si era ribaltata comicamente in fretta, portandolo a bloccarsi per un attimo, indeciso sul da farsi.

    Alla fine, con un sorriso e una leggera risata, circondò le ali di Crowley con un braccio, portando l'altra mano ad infilarsi tra quelle belle e ondulate ciocche rossastre. Lo zittì un paio di volte, dandogli qualche leggera e confortante pacca sul capo. «Va tutto bene, va tutto bene, tranquillo» gli intimò con dolcezza, intanto che, per la prima volta, sentiva finalmente il leggero solletico delle piume sul suo palmo e la morbidezza di quei capelli sotto le sue carezze.

Sentì una strana sensazione farsi largo nella sua aura luminosa, la quale si rimescolò, facendogli pizzicare le guance. Non aveva idea di cosa potesse essere, ma fu una novità che assecondò dopo solo qualche attimo di stranimento, premendo la guancia contro la tempia dell'altro. Non era mai stato così bene in vita propria, e per un attimo sperò che quel momento non finisse mai.

    Quasi gli dispiacque, infatti quando - dopo un'ultima, schiacciante, stretta - Crowley lo lasciò andare, passandosi quasi violentemente la braccia sugli occhi. «Scusa, non so che mi sia preso» mormorò, le gote scarne vagamente arrossate.

    Aziraphale fece spallucce, sorridendogli. «Non importa. Stai meglio?»

    L'altro annuì, lo sguardo ora troppo imbarazzato per incontrare quello dell'altro. Piuttosto, decise di farlo vagare per l'ambiente attorno a loro, scandagliando i dintorni. «Piuttosto, dove siamo?» Chiese, ora effettivamente confuso.

    E l'angelo, che solo adesso si rese conto dello spiazzo di alberi che li circondava, aggrottò le sopracciglia. «In effetti non lo so. Mi ricorda un po' l'ambiente attorno alla Zona. Forse, non siamo poi così lontani dal centro del Confine.»

    «Sssì, ma come accidenti ci siamo arrivati?»

    «Questo non lo so.»

C'erano tante cose che non sapevano, in effetti. La Guerra era finita? Le Armate erano tornate al loro posto? Il pianeta era ancora tutto intero? La dicotomia era "affondata" solo per loro o anche per tutti gli altri?


Un tuono, decisamente meno violento di quelli che avevano scosso la Battaglia, rimbombò nel cielo, posticipando la risposta a quelle domande.

Grosse e fredde gocce di pioggia presero a cadere tra le fronde, piombando sulle loro teste. Quasi fosse ormai prassi - ed era accaduto solo una volta - Aziraphale alzò un'ala e Crowley vi si riparò sotto, stringendosi un po' nelle spalle.

    «Che facciamo, adesso?» Chiese l'angelo, alzando lo sguardo verso le nuvole grigio chiaro che si ammassavano oltre le cime degli alberi.

    «Dovremmo andare a cercare gli umani, ma sinceramente non he molta voglia» confessò l'altro con una smorfia. «Siamo appena sopravvissuti a morte certa. Ce la meritiamo un po' di pace» disse, addossandosi alla spalla dell'altro, finalmente certo del fatto che nessuno si sarebbe fatto male.

    «Sono d'accordo» mormorò Aziraphale con un sospiro, godendosi del calore che la vicinanza con Crowley provocava.


Così rimasero in silenzio per un po', godendosi lo scrosciare della pioggia e l'aria neutrale che si respirava al Confine. Si chiesero se, da quel momento in poi, anche il resto del pianeta avrebbe avuto quella caratteristica che entrambi amavano.

Non gli restava che aspettare e scoprirlo.


Fu solo quando il maltempo finì che si decisero ad alzarsi.

Crowley si rimise in piedi con un solo, fluido movimiento, allungando la mano verso Aziraphale. Questi la accolse volentieri e non la lasciò mai andare - nessuno dei due lo fece.

Fu così che si incamminarono verso la Zona, illuminati dal sole di un giorno che annunciava un nuovo inizio.

Non potevano saperlo, ma Dio e il Suo Avversario avevano già predisposto tutto.


Le regole erano cambiate.

   
 
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