Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    23/09/2023    0 recensioni
Prendersi cura, per Shin, è istinto.
Accarezzare il cuore e l'anima dei nakama.
Purtroppo, in questo modo, dimentica che anche lui ha bisogno di tutto quell'affetto che distribuisce senza chiedere nulla.
I nakama, ormai, lo conoscono bene.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prompt 001: Chi è solito carezzare i capelli dell'altro quando lo consola?
 
 
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Personaggi e ship: tutti, OT5
Genere: hurt/comfort, angst, romantico, sentimentale
Rating: giallo per presenza di malattia e condizioni fisiche debilitate
 
 
“Andrà tutto bene”
 
 
Lo sguardo di Shin, malinconico, gli occhi lucidi per le lacrime che riusciva a stento a trattenere, era posato sul vassoio che andava riempiendosi di cibo, preparato dalle sue mani sapienti.
Disperava di far ingoiare qualcosa a Seiji, la sua speranza era riuscire a convincerlo a mandar giù almeno un goccio della vellutata di zucca calda: aveva fatto del proprio meglio per renderla delicata e leggera e, al tempo stesso, nutriente.
Ne aveva messo una tazza anche per Ryo, ma per lui aggiunse del pane spalmato con confettura di azuki e completò il tutto con due bicchieri d’acqua.
Prese il vassoio tra le mani e si voltò ma, quando i suoi occhi incrociarono la scena che si svolgeva al di là della soglia della cucina, tornò a posarlo: aveva un’altra cosa da fare prima.
Si recò nel soggiorno e raggiunse il divano sul quale Touma era seduto, le spalle reclinate in avanti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani intrecciate davanti alla bocca, con il medesimo atteggiamento di un vecchio curvo e stanco e l’espressione persa chissà dove, vagante tra nuvole nere di ansia e senso di impotenza.
Quando Shin gli si sedette accanto, ogni cosa in lui rimase immutata, non diede segno di essersi accorto di nulla.
Il guerriero dell’acqua sospirò, allungò una mano e la posò tra i capelli corti e spettinati del nakama, lasciando una carezza complice:
“Neh… Touma…”.
Il giovane di Osaka ebbe finalmente un moto di consapevolezza, il volto si atteggiò ad una smorfia, si rosicchiò il labbro, esalò un sospiro, poi la schiena si incurvò ancora di più e le mani, ancora strette tra loro, fecero ora d’appoggio alla fronte corrucciata.
“Sei stato a vegliare su Seiji per ore” continuò Shin, senza interrompere la carezza, facendola scendere dalla nuca alla schiena, lungo la spina dorsale. “Non hai dormito per tutta la notte, dovresti andare a riposare un po’”.
Touma sbuffò, si scostò da quelle attenzioni con una mossa così nervosa che Shin si ritrasse, un po’ intimidito, anche se comprensivo e lo seguì con gli occhi grandi e luccicanti, dal basso, mentre si alzava in piedi.
“È che sono arrabbiato” sbottò Touma, strappandogli un sussulto. “Ha fatto come sempre, non impara mai, finge di stare bene e ci riesce in maniera impeccabile, recita che è una meraviglia quando si tratta di mentire sulla sua salute! Poi arriva al limite e ormai è troppo tardi per impedire che la situazione degeneri! Sono…” si bloccò, smise per un attimo di gesticolare, fece una mossa di diniego disperato con il capo e lasciò ricadere le braccia, i pugni stretti lungo i fianchi, gli occhi serrati e il tono che si ridusse, spezzato da un velo di pianto. “Sono furioso… ecco…”.
Shin si alzò a propria volta e gli si affiancò, prese uno di quei pugni tesi tra le proprie mani, con delicatezza lo accompagnò alle labbra, che sfiorarono appena le nocche del nakama:
“Non sei arrabbiato. Sei preoccupato, triste… come tutti noi…”.
Touma portò la mano libera a coprire gli occhi:
“Arriverà un giorno in cui… non riusciremo più a metterci una pezza…”.
Shin scosse il capo, si sforzò di sorridere e di rendere quel sorriso il più sincero possibile:
“Non accadrà, finché saremo con lui”.
Gli girò intorno, per trovarglisi di fronte, gli prese l’altra mano, lasciò che i loro sguardi si incontrassero: fiducia, ripeté a se stesso, fiducia, fiducia…
Poi, ad alta voce:
“Fidati di me… andrà tutto bene”.
Gli occhi di Touma, che fino a quel momento avevano vagato ovunque senza risoluzione, finalmente si specchiarono decisi in quelli del nakama e acquistarono nuova luce.
Poi, incapace di parlare, portò una mano sulla guancia di Shin, pur sapendo che non sarebbe riuscito a pareggiare fino in fondo tutta la dolcezza che gli doveva, tutto il bene e la cura che il ragazzo dell’acqua riversava su tutti loro.
Dopo qualche istante, contrastando il nodo nella propria gola, riuscì a pronunciare, a stento:
“Grazie, Shin. Grazie di esistere”.
Sull’ultima sillaba la voce si spezzò e la fronte cadde sulla spalla del nakama che, cercando dentro di sé tutta la forza che gli restava, lo strinse nel proprio abbraccio.
 
***
 
La porta che dava sulla stanza di Seiji e Touma era aperta e Shin si fermò qualche istante prima di entrare: un’altra triste scena gli si presentò davanti agli occhi.
Seiji giaceva sul letto e, anche a distanza, era possibile notare l’affanno del suo respiro e il rossore insano della carnagione di solito bianca come la neve.
Appollaiato su una sedia, Ryo gli stringeva forte la mano e, anche se da quella posizione Shin poteva vedere solo la sua schiena, per lui era fin troppo facile indovinare quale potesse essere, in quel momento, l’espressione del loro passionale leader. Se non piangeva, si stava sicuramente sforzando per trattenere le lacrime, in modo che Seiji non percepisse tutta la sua angoscia.
Shin chiuse un attimo gli occhi, trasse un respiro profondo e si concentrò, allo scopo di indossare la maschera della tranquillità, della pace… della fiducia.
Era sempre più difficile, egli stesso doveva autoconvincersi e tutto rischiava di trasformarsi in una forzatura perché, in realtà, stava morendo dentro.
Ma nessuno, tra i nakama, avrebbe dovuto accorgersene.
Riaprì gli occhi, si stampò un sorriso sulle labbra e avanzò, chiamando dolcemente:
“Ryo…”.
Il guerriero del fuoco ebbe un sussulto, il volto si alzò di scatto: era chiaro che, fino a quel momento, si era trovato immerso in pensieri cupi, distanti dalla realtà contingente.
Senza lasciare la mano di Seiji, voltò il capo, quel tanto che bastava per seguire i movimenti di Shin.
“Vi ho portato qualcosa da mangiare”.
“Non so se riusciremo… con lui” mormorò Ryo, la voce rotta.
Shin posò il vassoio sulla scrivania in un angolo della stanza e tornò verso il letto.
Come già aveva fatto con Touma, posò la mano tra i capelli di Ryo, lunghi e scarmigliati, li accarezzò, poi li lisciò tra le dita.
Una volta di più, Ryo si stupì di quanto avesse immaginato sempre così i gesti di una madre, pur non avendo mai potuto sperimentarli.
“Ci proveremo. Abbi fiducia”.
Quella parola che ritornava sulle sue labbra…
Shin aveva ormai perso il conto del numero di volte che l’aveva rivolta ai nakama e pure a se stesso: la sua virtù…
Se non si sforzava lui di mantenerla intatta, come avrebbero potuto riuscirci gli altri?
Ma era talmente difficile mentre guardava Seiji, il loro forte Seiji, così abbandonato, privo quasi di alito vitale, rassegnato ad una condizione nella quale detestava riconoscersi, la sua dignità che faticava a mantenersi integra, mentre il suo corpo lo tradiva nel peggiore dei modi.
Si sedette sul bordo del materasso e lo fece di nuovo, per l’ennesima volta: anche Seiji poté nutrirsi della sua carezza.
Gli spostò dalla fronte il lungo ciuffo biondo, che si era appiccicato alla pelle a causa del sudore.
Un sudore gelido sulla fronte bollente, come gelide erano le sue mani.
“Sto cercando di riscaldargli le mani e i piedi da almeno un’ora” sussurrò la voce arrochita di Ryo. “Sembra che il sangue non voglia arrivare alle estremità”.
“Mangiare un po’ gli farà bene”.
Tornò al vassoio e prese una delle tazze ancora calde, poi chiese, mentre tornava a sedersi:
“Mi dai una mano, Ryo? Cerca di sollevarlo un po’”.
Il samurai del fuoco annuì, circondò con un braccio le spalle di Seiji, lo attirò contro il proprio petto per sorreggerlo mentre sistemava i cuscini contro il muro, poi ve lo appoggiò delicatamente.
Seiji, sottratto momentaneamente al febbricitante torpore, si lamentò, pronunciando qualcosa di incomprensibile con un filo di voce.
“Abbi un po’ di pazienza, Seiji-kun. Devi mangiare qualcosa”.
Quei movimenti intorno a lui e la voce di Ryo sembrarono scuotere la coscienza del malato, tanto da spingerlo a socchiudere, anche se di poco, gli occhi, permettendo ai due nakama di scorgere le iridi d’ametista, rese lucide e languide dalla malattia.
Le labbra vibrarono nel tentativo di dire qualcos’altro, ma ancora la debolezza lo tradì e tutto quello che uscì fu un colpo di tosse: Ryo si affrettò a sorreggerlo con tutta la forza e l’affetto di cui le sue braccia erano capaci.
Shin li osservava, lottando contro il groppo sempre più soffocante che gli ostruiva la gola, quell’ansia che tanto spesso era sua padrona e contro la quale conduceva lotte sempre più insormontabili, tanto difficili come si erano rivelate le battaglie contro i loro nemici.
Appena Seiji si fu calmato, sollevò dalla tazza il cucchiaio con il liquido fumante, vi soffiò sopra per renderne sopportabile il calore, quindi si chinò verso Seiji e accostò il cucchiaio alle sue labbra.
Inizialmente, il guerriero della luce le serrò, senza poter trattenere un lamento di diniego, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli lucidi di Shin, le sue orecchie ascoltarono la sua voce gentile che supplicava e lo incoraggiava, non poté più rifiutare: lasciò che un goccio della deliziosa pietanza scivolasse nella bocca e, molto lentamente, con fatica perché la gola sembrava andare a fuoco e lo stomaco era chiuso, lo lasciò scendere. Non poteva godere fino in fondo delle capacità culinarie di Shin, il suo stato non glielo consentiva, i sapori del cibo erano oscurati da quelli del suo corpo malato, tutt’altro che gradevoli.
Quell’unico goccio di vellutata di zucca gli costò una gran fatica e solo l’amore che provava nei confronti di Shin, la gratitudine, il desiderio di non far soffrire lui e gli altri nakama, lo spinse a mandare giù qualche altro sorso.
Alla fine, tuttavia, dovette arrendersi, un nuovo accesso di tosse, più violento del precedente, convinse entrambi i nakama che non era più il caso di insistere.
Quando fu passato, Ryo gli sistemò meglio i cuscini e cercò di metterlo nella posizione più comoda possibile. Non lo fece sdraiare del tutto, perché potesse respirare meglio.
Shin si alzò e tornò a posare la tazza sul vassoio.
“Lascio qui il pranzo anche per te, Ryo. Poi torno a prendere tutto e a darti il cambio con Seiji”.
Il suo sguardo adesso era basso, dava la schiena a Ryo, faceva di tutto perché lui non notasse la sua tristezza: ma percepiva gli occhi del nakama fissi su di lui.
Senza ricambiarli, andò alla porta e continuò a parlare, con ostentata tranquillità:
“Vado a vedere se Touma sta riuscendo a riposare…”.
Si sforzava di parlare con tono neutro, ma chi lo conosceva bene non poteva non notare la leggera vibrazione di ogni parola, la tendenza a mantenere la voce bassa, per poterla controllare meglio.
Di solito, quegli atteggiamenti erano il segnale che Shin faticava sempre di più a fingere una tranquillità che non provava. Ma i nakama non si lasciavano ingannare da anni.
“Shin…” lo chiamò Ryo, provocandogli un piccolo sussulto, perché il tono del leader era quello di chi aveva capito tutto. “Anche tu dovresti riposare, da quando Seiji è in questo stato stai andando avanti e indietro come una trottola a preoccuparti per lui e per tutti, lo sai che non c’è bisogno che tu ti consumi per noi… che tu non ci dica come ti senti davvero”.
Le spalle di Suiko si incurvarono, fecero da tana alla testa che quasi sparì.
Rispose, senza voltarsi, già superata la soglia della stanza:
“Stai tranquillo Ryo, ti prometto che mi riposerò”.
Non aggiunse altro e si affrettò ad allontanarsi, perché quelle attenzioni a lui rivolte avrebbero potuto costituire un punto di rottura, ciò che avrebbe rischiato di farlo crollare.
E lui non voleva crollare, non doveva: i nakama avevano bisogno che lui non crollasse.
Scese le scale fino al soggiorno e lo trovò vuoto.
Sperò che Touma gli avesse dato retta e fosse andato a riposare nella stanza che, di solito, Shin condivideva con Shu e Ryo.
Lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete accanto alla cucina: Shu era uscito da circa un’ora per fare la spesa.
Gli mancava Shu.
Da sempre, fin dal giorno del loro primo incontro, avere Shu vicino lo rendeva più forte.
Il legame che li univa tutti e cinque era del tutto paritario: non esistevano, tra loro, rapporti più o meno intensi, erano in equilibrio perfetto.
Tuttavia, in qualche modo, ciascuno di loro aveva un significato particolare per un altro membro del gruppo.
Nel caso di Shin, Shu era la sua forza, il suo appiglio, la solida terra su cui l’acqua tanto fluida, incerta, spesso instabile, poteva scorrere senza mai affondare troppo in se stessa.
“Quando arrivi?” mormorò, portando lo sguardo alla porta di casa, mentre Byakuen si strusciava, comprensivo, contro le sue gambe, ricevendo in cambio un grattino tra le orecchie.
Come se la sorte gli avesse risposto, in quel momento la serratura di casa scattò e la porta si aprì: la figura infagottata di Shu fece capolino, due sacchetti ricolmi in entrambe le mani.
Li posò oltre la soglia, si tolse le scarpe e, solo in quel momento, dopo essersi liberato del berretto e mentre svolgeva la sciarpa, sollevò lo sguardo, incontrando quello di Shin che lo fissava, con gli occhi grandi e lucidi, in preda ad un evidente smarrimento.
Si erse, subito in allarme:
“Shin-chan… è successo qualcosa a Seiji?!”.
Shin scosse lentamente il capo.
“Non è cambiato nulla” fu l’esile risposta.
Shu si rilassò, emise un sospiro di sollievo, poi si concentrò su Shin: ormai, per lui, era facile comprendere cosa passasse per la testa del pesciolino di casa.
Sfilò i guanti, appese sciarpa e cappotto alla parete e chiuse la porta, prima di avvicinarsi al nakama.
A quel punto, sollevò una mano ad accarezzargli i capelli, come Shin aveva fatto fino a quel momento con gli altri, gli scostò una ciocca dalla tempia e posò un bacio proprio in quel punto, un bacio casto e protettivo.
“Mi sei mancato” mormorò Shin, la voce arrochita.
Shu era davanti a lui, Shu era la sua roccia, con Shu poteva permettersi di cedere…
Un pochino, solo un pochino…
“Pesciolino” sussurrò il guerriero di Kongo. “Sono stato via poco più di un’ora”.
La testa di Shin ricadde, la fronte si posò sulla spalla del nakama:
“Passano così lentamente, qui dentro, le ore”.
Le braccia robuste di Shu lo avvolsero: Shin era poco più alto di lui, ma quanto gli piaceva farsi piccolo, sentirsi piccolo in quell’abbraccio.
Sarebbe sempre stato Shu il più forte.
Le parole lo cullarono, così come lo cullavano le braccia:
“Presto Seiji starà bene e allora queste mura torneranno a riempirsi di colore e risate, te lo prometto”.
Le spalle di Shin furono scosse da un piccolo singhiozzo e la mano di Shu si affrettò a massaggiargli la schiena in mosse lente e concentriche:
“Ti fidi di me? Fidati di me, pesciolino, andrà tutto bene”.
Fiducia…
Quella parola tornò a echeggiare nella mente di Shin.
Senza spostare la fronte dal suo rifugio, annuì.
“Andrà tutto bene” fece eco alle ultime parole di Shu, sembrava voler ricambiare dicendole a lui, ma in realtà, questa volta, le pronunciò per se stesso.
 
 
 
 
 
 
   
 
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