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Autore: Shireith    26/09/2023    3 recensioni
[Zelda/Link • post!ToTK]
«Una volta», ha detto Link, «mi sono dovuto fare pipì sulle mani per riattivare la circolazione.»
Perché Link sa com’è fatto un corpo, anche le parti più brutte. Zelda legge la sua storia lungo tutto il suo corpo, rabbrividisce quando la sfiora come se volesse marchiarla.
Link sa com’è fatto un corpo, deve saperlo: un attimo e muori. Le notti nelle Terre Gerudo sono troppo fredde e le giornate troppo calde, l’umidità appena ti avvicini al Monte Morte è insopportabile e il respiro le si blocca in gola in un rifiuto a uscire. Link si porta ogni centimetro di Hyrule addosso, e Zelda si domanda come pesi meno della terra che li regge tutt’e due, loro e la storia che si ripete all’infinito.

‣ Storia candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Link, Princess Zelda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Sempre vieni dal mare
(La terra e la morte, Cesare Pavese)


Che non ci dimentichi la terra


 Link sa com’è fatto un corpo. Sa – Zelda chiude gli occhi, immagina, ricorda – premere le dita contro ogni centimetro di corpo e dire: qui, qui c’è il cuore, che batte forte, fortissimo – Zelda teme che le stia per uscire dal petto – e poi si acquieta, come a dover riprendere fiato.
 Link scende giù, lento, così lento che Zelda vorrebbe urlare – scende giù e sa esattamente dove premere, con quale pressione, e con quale delicatezza.
 Zelda trae un sospiro profondo, cenere e polvere – il rumore delle ossa quando si spaccano e la sensazione del cuore quando si ferma e dei polmoni quando si stringono.
 Link sa com’è fatto un corpo. Quanto è magnifico e pieno e pesante.
 
 C’è un albero, a pochi metri dalla finestra che affaccia sulla destra, lì nella casa al Villaggio Finterra, che prende dalla terra per dare mele belle grosse, rotonde e succose. È necessario che il sole colpisca la facciata a un’angolazione precisa prima che Zelda si affacci, e pure ci sono le volte in cui i suoi raggi bucano le foglie con troppa invadenza, e allora Zelda schiocca la lingua, chiude le tende con uno scatto della mano e torna a letto, dove le coperte grattano sulla pelle nuda.
 
 Un giorno Zelda alza lo sguardo e le ci vuole un lungo silenzio per capire perché Link sia girato di spalle.
 «Scusa», dice, e inizia, lentamente, a vestirsi.
 Un’anta dell’armadio copre il sole che buca le foglie e Zelda vede per metà nero. I pantaloni no, sono pesanti, stretti, ruvidi, come se fossero rimasti lì cent’anni e pure di più.
 
 Il castello è crollato, mezzo appassito, una mela marcia, il cuore di quel cervo che Link ha ammazzato per la prima volta di fronte agli occhi increduli della principessa.
 Link prega, ogni volta che prende una vita. Lo fa con rimostranza, perché deve mangiare, perché le notti nel deserto delle Terre Gerudo sono fredde e infami e una volta Link si è dovuto fare la pipì sulle mani per non perderle. Immagina di raccontare la storia a Zelda e di scoppiare a ridere, e lei con lui, ma Zelda non è mai con lui.
 Sogna di cervi morti, cuori grondanti sangue, mele marce e castelli in rovina.
 «Voglio tornare a casa», dice, e Link la deve osservare con attenzione prima che le parole gli s’incastrino bene in testa.
 «Come volete, principessa.»
 
 Quando l’ha incontrato per la prima volta era così silenzioso che Zelda ha pensato – l’ha dato per scontato, anzi – che fosse muto. Le sabbie delle Terre Gerudo sono come carbone sulla pelle – Zelda ricorda i capelli che le si appiccicano alla pelle come colla e vorrebbe vomitare. Ora sono così corti che appena le solleticano le spalle, ma lei li sente grattare come ruggine e vorrebbe strapparseli uno per uno.
 Pensare che erano il suo vanto da ragazzina, l’unico segno di sua madre che le rimane sulla pelle – quello, e gli occhi, diceva suo padre. Ora Zelda li guarda e sono vuoti, brutti, sempre gonfi e stanchi.
 
 La principessa è incantevole, e la principessa è educata, ed è gentile, e non alza mai la voce, e non interrompe mai chi parla – Zelda cammina su un filo sottile, e il corpo non è mai stato così pesante per i libri impilati perfettamente sui capelli lunghi, la vanità dell’infanzia, il segno della madre sulla carne.
 Zelda è – brutta, stanca.
 «Ingestibile», dice Pruna, e Zelda non sa come darle torto.
 Rigira la carne nel piatto, e pensa – cervi morti e torri crollate. Un cuore che non batte, gronda sangue.
 Link alza la voce, solo una volta – il ragazzo che Zelda pensava fosse muto, quando il freddo nelle Terre Gerudo era così insopportabile che Zelda ha gesticolato con le mani per chiedergli uno strato di vestiario in più, e lui ha spalancato gli occhi.
 Quando Zelda torna ad alzare gli occhi Pruna sta stringendo le labbra così tanto che la linea di mezzo è scomparsa, quasi fosse lei la muta. 
 «Non dico che i cittadini non abbiano la priorità» – Zelda immagina la voce di Link sottile come il filo su cui lei cammina, si chiede se il corpo sia abbastanza pesante da spezzarlo – «ma…»
 «Cercheremo di andare a controllare la prossima volta», dice Zelda, la voce estranea alle sue stesse orecchie. La usa così poco che la sente grattare contro la gola.
 «L’hai detto anche l’altra volta.»
 «E te lo sto dicendo di nuovo. Link, basta.»
 Link rimane a bocca aperta, come se per chiuderla gli servisse un altro invito – un altro ordine; la principessa che comanda il cavaliere, e il cavaliere che la salva sempre, come dicono le scritture e la storia e tutta Hyrule.
 «Scusatemi.»
 La sedia che stride sul legno le fa sanguinare le orecchie e i capelli sono come zampe di ragno sulla pelle e fuori fa troppo freddo. A nord, le mura del castello sono denti spaccati scuri, marci, carcassa gigante di un animale estinto prima che Zelda mettesse piede su queste terre.
 
 C’era un albero, a pochi metri dalla finestra di camera sua al castello. Zelda ci si arrampicava anche dopo che le dicevano che le principesse sono belle e lo sono ancora di più se non parlano e non si dimenano.
 Forse l’hanno abbattuto, forse è bruciato fino a diventare marcio come la mela, stecchito come la carcassa del cervo che i lupi hanno divorato – perché le preghiere, Link, le preghiere non bastano.
 
 Le storie iniziano sempre con c’era una volta.
 C’era una volta, tanto tempo fa, un castello pieno di vita, un animale antico e possente, vivo, il cuore nel petto che batte. Forte, regolare.
 Zelda si preme una mano contro il petto. Su e giù, fa il cuore, su e giù, va il dito, come faceva Link, e Zelda sente le costole e il cuore. Timido, debole.
 Ha appena piovuto. Il terreno è umido. 
 Fa freddo.
 
 «Una volta», ha detto Link, «mi sono dovuto fare pipì sulle mani per riattivare la circolazione.»
 Perché Link sa com’è fatto un corpo, anche le parti più brutte. Zelda legge la sua storia lungo tutto il suo corpo, rabbrividisce quando la sfiora come se volesse marchiarla.
 Link sa com’è fatto un corpo, deve saperlo: un attimo e muori. Le notti nelle Terre Gerudo sono troppo fredde e le giornate troppo calde, l’umidità appena ti avvicini al Monte Morte è insopportabile e il respiro le si blocca in gola in un rifiuto a uscire. Link si porta ogni centimetro di Hyrule addosso, e Zelda si domanda come pesi meno della terra che li regge tutt’e due, loro e la storia che si ripete all’infinito.
 
 La storia che fa: la principessa, salvatrice della patria, non salva mai nessuno. Viene salvata, ancora e ancora e ancora.
 E la principessa è – brutta, acida, (inutile).
 
 La principessa si mangia le unghie, si strappa i capelli – la principessa aspetta, e aspetta, e aspetta. Un cuore che batte, lento.
 
 Lentissimo, quando Link la ritrova nuda sul terreno umido, e le parole che gli escono frenetiche dalla bocca – non è muto; ha riso, quando la principessa gli ha domandato a gesti di sbucciare una patata – si perdono nel vento.
 «Una volta», le dirà Link, «mi sono dovuto fare pipì sulle mani per riattivare la circolazione.»
 
 «Link, basta.»
 Link osserva, silenzioso. Muto come nelle Terre Gerudo di notte, prima che scoppiasse a ridere perché la Principessa Zelda, salvatrice della patria, gli ha chiesto con la lingua dei segni se potesse sbucciare una patata.
 Come si passa da uno strato di vestiti in più a una patata Zelda non lo sa, ma sono tante le cose che lei non sa e Link sì – Link sa com’è fatto un corpo e sa parlare la lingua dei muti e sa che le notti invernali nelle Terre Gerudo sono così fredde che è meglio avere le mani che puzzano di pipì che non avercele più.
 Non può, senza mani, il cavaliere salvare la principessa.
 «Solo un altro po’?»
 C’è qualcosa, nella voce di Link – c’è sempre qualcosa nella voce di Link. Gentilezza. Esitazione.
 «Basta così.»
 «Come volete, principessa.»
 
 Link è morto, quasi, prima che decidesse che non gli stava bene ed è tornato indietro, perché nemmeno la terra se lo tiene caro, come un rigetto dopo una trasfusione.
 Link è morto, quasi. Meglio: Link ha dormito. Abbastanza affinché la terra dimenticasse il peso del suo corpo e si aprisse per risucchiarlo. Se c’è un ordine, un equilibrio, la terra dovrebbe rigettare i morti, chi la morte la imbroglia, ma nemmeno la terra se lo tiene caro.
 
 La terra la rigetta, ancora e ancora e ancora.
 Link la trova seduta sul terreno sporco e umido. La pelle nuda, di ghiaccio, perché la lana dei vestiti che ti riparano dal freddo delle Terre Gerudo gratta come ruggine e i pantaloni le si incollano alla pelle e i tessuti leggeri sono come un solletico fastidioso.
 «Una volta», dirà Link, «mi sono dovuto fare pipì sulle mani per riattivare la circolazione.»
 Fare la pipì, non pisciare, dice, perché anche nelle parole Link è delicato, come quando la prende in braccio e la riporta all’avamposto e – e Zelda non lo sa. Non ricorda cosa accade, solo che un attimo prima sta morendo e quella dopo è viva, avvolta in una coperta troppo pesante e troppo ruvida vicino a un fuoco troppo brillante e troppo caldo.
 Zelda si dimena frenetica, affonda le mani nei capelli quando riesce a liberarsi. Vorrebbe strapparseli, uno, due, tre, quattro, come i battiti lenti del cuore prima che ceda.
 «Principessa?»
 Zelda la riconosce all’istante quella voce, le si è conficcata in testa come una preghiera, di quelle che non funzionano mai.
 «State bene?»
 Non dovrebbe chiederle se sta bene. Dovrebbe urlare, il muto che è scoppiato a ridere perché Zelda gli ha chiesto di sbucciare una patata, dovrebbe alzare la voce come con Pruna quando ha perso la pazienza, anche se poi alla fine si è scusata (non avrebbe dovuto).
 Link le sfiora il braccio – scotta; Zelda vorrebbe strapparsi la pelle – la sfiora e poi si ritrae. «Una volta», dice, «mi sono dovuto fare pipì sulle mani per riattivare la circolazione.»
 Zelda sente un sorriso tagliarle la faccia. «Ha funzionato?»
 «Giudicate voi.»
 Grazie, dovrebbe dirgli Zelda. Scusa. Gli dirà, invece: «Voglio tornare a casa.»
 «Come volete, principessa.»
 
 «Link, basta.»
 «Solo un altro po’?»
 «Basta così.»
 «Come volete, principessa.»
 «Link?»
 Grazie.
 
 Una principessa ha tante regole quanti sono i morti sottoterra. 
 La principessa è incantevole, e la principessa è educata, ed è gentile, e non alza mai la voce, e non interrompe mai chi parla – la principessa è tante cose quanti sono i morti sottoterra, e ogni volta è qualcosa di più.
 La principessa è: viziata.
 Una volta, un gruppo di artisti di strada è venuto al castello. Ha messo in scena un numero che ora Zelda non riesce più a ricordare, ricorda solo che le era piaciuto, così tanto da fare una richiesta, una pretesa: un ordine.
 Voglio farne parte anch’io, ha detto, e allora il gruppo di artisti le ha cucito un ruolo tutto suo: c’era una volta una principessa in un castello…
 
 «Mai sentita prima», dice Link.
 «Proprio mai», gli fa eco Zelda.
 «Come avreste voluto che andasse, la storia?»
 
 C’era una volta la salvatrice della patria, una principessa temeraria che non aveva paura di nessuno. La terra la rigettava, il cielo la temeva: e lei volava, libera…
 
 Ha volato per i cieli di casa come un dio, e ora che nemmeno la terra la vuole più, ora che né la risucchia né la rigetta, Zelda si tira i capelli, osserva, e pensa come chiedere a Link quanto debba pesare un corpo per sprofondare.
 
 «L’ho notato, sai», dice Zelda un giorno, all’ombra dell’albero vicino alla finestra, «che non mi chiami più per nome.»
 E lui ha notato, dovrebbe dire, che si mangia le unghie, che si strappa i capelli. Che si è quasi ammazzata – da sola, questa volta. Una novità, quantomeno.
 «E io ho notato», dice invece, «che vai in giro sempre nuda.»
 «Scusa.»
 Scusami, Link.
 
 Link è morto, quasi.
 Zelda è morta, quasi.
 Link l’ha presa di peso – perché Link sa com’è fatto un corpo; quanto è pesante – e l’ha portata dentro. Link l’ha presa dal lago dopo che sono caduti dal cielo e l’ha riportata alla terra.
 E Zelda gli dice, anche, come ci si sente a essere rigettati dalla terra – a volare in cielo come un dio maledetto, creatura rinnegata destinata all’oblio. E le viene da piangere, perché Link è quasi morto, molteplici volte, e la pipì sulle mani è solo un aneddoto, uno dei tanti che Link ha collezionato vagando solo per tutta Hyrule.
 
 «È nuova», dice Zelda, quasi sotto forma di domanda, tracciando col dito una cicatrice sul fianco. «Quando te la sei fatta?»
 Un attimo di esitazione, e poi: «Non lo so.»
 Link sa com’è fatto un corpo, ma a volte si dimentica com’è fatto il suo.
 
 C’era una volta, prima che volasse per i cieli di casa, una principessa che camminava per queste colline, e la terra riconosceva il peso del suo corpo. 
 Perché la terra sa com’è fatto un corpo, quanto è magnifico e pieno e pesante.
 
 Sono entrambi a letto, una sera, quando Zelda dice, confessa, a Link quanto è pesante la testa da quando sono usciti dal lago, di come è caos ed è silenzio, delle parole che s’intrecciano e i ricordi che si sovrappongono vaghi. A volte sembra che non esistano, altre si ripetono all’infinito, come un cuore che batte. Lento, lentissimo.
 
 «Link» – un sussurro – «non ti fermare» – una preghiera.
 Pregare, pregare è inutile. Non è servito a salvare Hyrule, non serve a salvare il cervo il cui cuore gronda sangue e la cui carcassa viene mangiata dai lupi all’ombra di una fila di denti marci.
 «Come vuoi, Zelda.»
 Zelda prega – una volta soltanto.
 
 Link è morto, quasi.
 Zelda è morta, quasi.
 Zelda si attacca a quella parola: quasi. Prega la terra, una volta soltanto: di non lasciarli sprofondare.
 Che non li dimentichi, in eterno, la terra.
 
   
 
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