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Autore: 7vite    28/09/2023    0 recensioni
Dopo l'ennesima rilettura del manga, ecco un'altra fanfiction che riprende la storia dal momento esatto in cui il manga si è interrotto (capitolo 84).
La storia avrà delle similitudini con l'altra FF (Nana, il finale) perché ci tengo che le cose proseguano come le ho immaginate, quindi se l'avete letta, magari niente effetto sorpresa, però chissà, magari vi piace comunque :)
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Reira Serizawa, Takumi Ichinose
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 90


Quattro anni dopo

Hachi guardò l’orologio, erano quasi le sette e presto i suoi ospiti sarebbero arrivati. Aveva deciso di organizzare una cena per festeggiare l’inizio delle vacanze di primavera e aveva invitato tutti quanti nell’appartamento 707. Yasu e Nobu si erano stupiti di quella celebrazione, di solito quella non era una ricorrenza da festeggiare, ma Hachi doveva dar loro una notizia importante.
«Ha tutto quanto un aspetto delizioso!»
Esclamò Nobu con l’acquolina alla bocca facendo scorrere lo sguardo sulle numerose portate che Hachi aveva adagiato tavola imbandita a festa. Shin si trovò subito d’accordo, fissando i piatti come un lupo famelico mentre il suo stomaco brontolava sonoramente.
«Nana, temo che tu abbia dato il via ad una tradizione.»
Commentò Yasu con un sorriso osservando gli sguardi rapiti dei suoi due amici.
«Già, guarda come sono gasati quei due, come se non toccassero cibo da secoli!»
Fece notare Miu.
«In effetti, Shin non mangia da stamattina. Purtroppo le riprese sono durate più del previsto e il regista li fa sgobbare come muli per poter terminare per tempo. Pensate che non ha neppure avuto il tempo di pranzare oggi.»
Spiegò Misato con semplicità, unendosi alla conversazione.
«Ma è terribile! Allora devi necessariamente nutrirti.» 
Hachi si portò le mani davanti alla bocca con espressione preoccupata e gli porse un piatto. 
«Non temere, tra massimo una settimana avremo finito. E poi poco male, vorrà dire che mi sfamerò con questo ben di Dio!»
«Sai Shin? Ho aiutato io la mamma a preparare tutto quanto!»
S’intromise Satsuki con le guance rosse, senza riuscire a guardare il ragazzo in viso.
«E allora sarà tutto ancora più gustoso.»
Il giovane diede un buffetto amichevole sulla testa della bambina, che divenne color vermiglio, prima di riempirsi il piatto con un po’ di tutto.
«Ehi cosa pensi di fare Shin? Qui c’è altra gente affamata, non papparti tutto quanto!»
Gli urlò contro Nobu agitando un pugno.
«Ma come, non hai sentito? Devo necessariamente nutrirmi!»
E, con quelle parole, fico le bacchette nel piatto di Nobu, rubandogli un appetitoso pezzo di pesce fermentato.

«La cena era ottima come sempre. Grazie mamma!»
  Esclamò Shin con un sonoro sospiro asciugandosi gli angoli della bocca.
«Concordo.»
Aggiunsero all’unisono Nobu e Misato.
Hachi rispose al complimento con un sorriso, le faceva piacere cucinare per i suoi amici.
«A cosa dobbiamo questa cena?»
Domandò Yasu accendendosi una sigaretta e passando l’accendino a Shin, che aveva estratto una Black Stone dal suo pacchetto ancora intatto. L’espressione di Hachi si fece seria e solenne, era arrivato il momento di parlarne chiaramente.
«Ho deciso di partire per Londra e sono intenzionata a cercare Nana.»
Disse facendo scorrere lo sguardo tra i presenti.
«Chi viene con me?»
Domandò allegramente sollevando un pugno in alto, ma nessuno condivise il suo entusiasmo. Il silenzio era rotto solo dal respiro regolare di Satsuki, che si era appisolata subito dopo cena. Miu si avvicinò alla bambina e la prese in braccio.
«La porto a letto, è molto stanca e il divanetto non è per nulla comodo.»
«Aspetto, ti aiuto.»
Si offrì Yasu, ma lei scosse la testa.
«No, voi avete di che parlare. Non preoccuparti, non è pesante, ce la faccio da sola.»
E, con quelle parole, sparì nella stanza che una volta era stata la camera da letto di Hachi.
«Non so se è una buona idea.»
Fu Shin il primo a rispondere, catturando l'attenzione dei presenti. «Dubito che Nana voglia farsi trovare.»
Concluse, tamburellando un dito sulla sigaretta per far cadere la cenere.
«Sono d'accordo con Shin.»
Gli fece eco Yasu, aspirando una boccata di fumo.
«Credo dovremmo rispettare la sua scelta, dopotutto non abbiamo alcun diritto di piombare nella sua nuova vita se lei non ci desidera.»
Quelle parole suonarono dure pronunciate da lui.
«Ma io credevo che...»
Cominciò a dire Hachi, delusa dalla reazione dei suoi amici.
«Non fraintendermi, conosco le tue intenzioni e so che sono buone, ma temo che Nana si rifiuterebbe di incontrarci.»
Concluse Yasu, spegnendo la cicca.
«Non sono d’accordo!»
Aggiunse Nobu battendo le mani aperte sul tavolino, facendo trasalire la donna al suo fianco.
«Credo che Nana abbia sofferto molto e sono sicuro che rivederci le farebbe piacere, solo che…»
S’interruppe, cercando le parole giuste.
«Deve essere stata dura per lei da mandare giù. Prima Ren, poi sua madre, e infine il declino della band. Credo che sia fuggita divorata dai sensi di colpa. Scommetto che se sapesse che non l’abbiamo mai colpevolizzata, tornerebbe sui suoi passi.»
Gli occhi di Hachi brillarono, Nobu la pensava esattamente come lei.
«Sei sempre il solito romantico Nobu, hai la tendenza a credere che prima o poi tutto si risolverà per il meglio e non pensi mai che le cose possano persino peggiorare.»
Gli fece notare Shin.
«E come potrebbero peggiorare? Dopo tutti questi anni di silenzio, credo sia giusto fare almeno un tentativo, ora che sappiamo dove si trova.»
«Sono dello stesso avviso.»
Si intromise Misato, rivolgendo un’occhiata complice al biondo. Hachi sapeva che si sentiva responsabile della fuga di Nana.
«Bisogna almeno provarci, ci sono stati molti fraintendimenti che sarebbe giusto chiarire.»
«Non saprei, Misato…»
Tentennò Yasu, accendendosi un’altra sigaretta.
«Perché sei così restio?»
Chiese Misato col viso accaldato. Yasu rimase in silenzio per un attimo e quando parlò nuovamente, la sua voce era calma.
«Non sono mica restio, però sapete quanto sia testarda e orgogliosa Nana.»
«Ma sono passati quattro anni, potrebbe anche essere cambiata.»
Concluse Nobu.
Quattro anni, a Yasu sembrava fosse passato appena un giorno da quella sera…
«Ci penserò su.»
Disse infine dopo un lungo silenzio. La porta della camera si aprì e Miu tornò in cucina con aria turbata.

***

Il presente

Nana

Il cellulare squillò ripetutamente, ma io non volli rispondere. Mi dispiaceva far preoccupare Hachi, che si era sicuramente data un gran da fare per preparare la cena, ma non avevo alcun desiderio di tornare al dormitorio, non me la sentivo ancora di affrontare quella conversazione, di ripetere le parole che il mio cervello cercava ancora di elaborare.
Incontrare quella donna era stato un grande sbaglio, perché diavolo avevo accettato? Per lei ero sempre stata solo un peso e il solo motivo che l’aveva spinta a cercarmi era il disperato tentativo di recuperare il rispetto della sua seconda figlia, Misato, quella che aveva desiderato.
Ma io per lei non contavo nulla.
Avrei voluto chiedere a quella giovane che tipo di madre fosse: severa? Dolce? Apprensiva? Io non potevo certo saperlo, dei miei primi anni assieme a lei ricordavo poco e nulla: l’odore delle sigarette intriso nei suoi abiti e le impronte delle sue scarpe sulla neve, mentre si allontanava. Perché, perché non mi ha ripresa con sé? Se era capace di essere una comune madre, perché non ha potuto esserlo con me? Perché non è venuta a riprendermi dopo aver conosciuto il signor Uehara, che non aveva nulla contro i bambini? Perché mi ha abbandonata? Perché non ero degna del suo amore?
Avrebbe voluto abortirmi.
Quelle parole suonavano velenose, mia nonna avrebbe dovuto permetterle di sbarazzarsi di me prima che venissi al mondo, mi avrebbe risparmiato questa sofferenza.
Il tempo si annuvolò e la pioggia cominciò a cadermi addosso, scivolandomi sul viso, mischiandosi alle lacrime. Il cellulare vibrava insistentemente nella mia tasca, ma non avevo la forza di afferrarlo e rispondere. Camminai sotto la pioggia vagando senza meta, sentendomi per la prima volta sola in quella città dove vivevo già da un anno. I miei progetti sembravano così lontani, eppure quando arrivai ero piena di aspettative. Il sogno di restare al fianco di Ren si era sgretolato il giorno in cui era partito per Tokyo, e per quanto sperassi che tornare indietro fosse possibile, la verità era ben altra: non c’era spazio per me nella sua nuova vita.
Come Misuzu, anche Ren aveva anteposto i propri obiettivi a me: la sua priorità erano i Trapnest, scrivere musica per la regina del canto, impegnarsi duramente nel proprio lavoro per permettere alle luci della ribalta di illuminare il cammino della sua band. Perché aveva scelto di percorrere quella strada? Perché non era rimasto al mio fianco? Lì, in quella minuscola casa vicino al porto dove regnava l’armonia. Lì su quel letto a due piazze dove consumavamo il nostro amore e dove mi aveva resa donna, dove condividevamo il sonno e forse persino i sogni. Lì, su palchi improvvisati in miseri bar provinciali, dove le corde della sua chitarra accompagnavano la mia voce, fondendosi in una magia punk. Ma lui aveva rinunciato a tutto questo.  
E io, costretta ancora su questa terra, dovevo convivere col dolore causato da quei ricordi, dove la presenza di Ren era una costante, consapevole che nulla al mondo mi avrebbe mai restituito un briciolo di ciò che era stato, che quella felicità ormai era svanita per sempre. Di nuovo il cellulare suonò insistentemente, quando lessi il nome rimasi sorpresa, non si trattava di Hachi.  
«Pronto, Shin?»
«Certo che sei proprio una bella egoista!»
Le sue parole, pronunciate con rabbia, mi colpirono.
«Di che diavolo parli?»
«Come hai potuto costringere Misato a parlare con Sugimura, sapendo ciò che ha subito?»
I miei occhi si spalancarono. Avevo udito le voci di corridoio, ma credevo si trattasse di una maldicenza infondata messa in giro da qualche invidiosa assistente a cui Misato aveva fatto le scarpe. Udii la sua voce attraverso il cellulare, la sentii pregare di Shin di riattaccare, di non dire nulla.
«Quel porco schifoso ha fatto qualcosa a Misato?»
Domandai preoccupata, ma Shin mi rispose con aggressività.
«Non trovi sia tardi per preoccuparsene? Il tuo interesse è solamente quello di poter tornare a cantare, senza curarti degli altri attorno a te. Non te ne rendi neanche conto, vero?»
Provai male fisico, come se fossi stata schiaffeggiata.
«Io non ho proprio nessuna intenzione di continuare a lavorare per certa gente, mi chiamo fuori.»
Prima che riattaccasse sentii la voce della ragazza pregarlo di non parlare così, poi il silenzio.
Infuriata e delusa, lanciai il cellulare sull’asfalto, osservandolo andare in mille pezzi, evidentemente l’avevo scagliato con troppa violenza. Non appena mi resi conto di ciò che avevo fatto provai una sensazione crescente di ansia, aveva ragione Shin? Ero veramente così egoista, come Misuzu? Ma certo che lo ero, proprio come lei, stavo anteponendo i miei bisogni quelli di tutti gli altri. Mi sentii mancare quando realizzai quest’amara verità. Purtroppo avevo in comune con quella donna molto più di quanto riuscissi a tollerare, e forse questo mi ferì più delle parole di Shin.
Eppure sentivo che se non mi fossi concentrata sul canto avrei finito per impazzire.  
 
Tornai al dormitorio quando era ormai notte inoltrata. Ero bagnata fradicia, i vestiti mi si incollavano alla pelle e tremavo dal freddo. Mi intrufolai al dormitorio come un gatto randagio alla ricerca di un riparo, il guardiano sonnecchiava indisturbato sulla sedia e non si accorse nemmeno della mia presenza. Era ridicolo il modo in cui la Shikai tentava di proteggere i propri protetti!
Salii le scale e mi trovai di fronte alla porta della mia camera, pronta a girare la maniglia per entrare quando mi bloccai. Hachi stava sicuramente dormendo profondamente e non volevo disturbarla. Mi ricordai del mio appartamento insieme a Ren, per qualche motivo mi ero totalmente dimenticata di quel luogo.
Tornai sui miei passi e percorsi il corridoio al contrario, la stanza dove era stato disposto l’altare per Ren era aperta, come sempre, ma per la prima volta decisi di entrarci. La luce era spenta, ma i lampioni sulla strada illuminavano l’ambiente quel poco che bastava a riconoscerne i contorni. Osservai il volto di Ren impresso per sempre su quella fotografia e iniziai a singhiozzare sommessamente.
Perché era andato tutto sorto?
Sentii una mano posarsi sulla mia testa e arrestai il mio pianto disperato. Yasu mi fissava con un sorriso triste. Non mi ero accorta del suo arrivo. «Sono felice che ti sia finalmente decisa a fargli visita.» Mi disse porgendomi un fazzoletto, poi si accomodò proprio di fianco a me.  
«E ne è felice anche Ren, credimi.»
Soffiandomi il naso pensai “tutte balle, Ren è morto” ma ebbi il buonsenso di non dirlo ad alta voce.  
«Devo supporre che con Misuzu non è andata benissimo.»  
Disse con tono noncurante accendendosi una Black Stone.
«Come se te ne fregasse qualcosa!»
La mia voce era più rauca del solito, forse perché non parlavo da ore o forse perché ero adirata, ma Yasu non parve stupirsi.
«Guarda che sei stata proprio tu a chiedermi di farmi da parte.»
Era vero, gli avevo detto “se non hai intenzione di tradire Ren, non penetrare nel mio cuore più di quanto tu non abbia già fatto” e da quel momento le cose tra noi erano precipitate.
Forse una parte di me desiderava che lo facesse, che tradisse Ren, che mi rendesse sua una volta e per tutte, solo così sarei stata in grado di liberarmi di Ren, ma Yasu non l’aveva fatto, era troppo corretto per giocare un tiro così mancino al suo amico, e alla fine aveva preferito allontanarmi.
«Allora forse è meglio che te ne vada, non posso garantirti che non scoppierò nuovamente in lacrime, anche se farò di tutto per trattenermi.»
Gli dissi afferrando le mie Seven Star, che però erano umide e rovinate. Imprecai lanciando il pacchetto contro la parete e Yasu mi porse una Black Stone.
«Odio queste sigarette.»
Esclamai accettando il suo omaggio, mentre lui si chinava verso di me facendo scattare il suo accendino. Le fiamme danzarono impercettibilmente tra le sue mani ed io aspirai una lunga boccata di fumo, tutto intorno si levò il profumo dolciastro che avevo imparato ad associare a Yasu.
«Se piangerai, non potrò fare a meno di consolarti.»
Non so se fu a causa delle sue parole, della sua gentilezza, dell’immagine immobile di Ren che ci osservava, de pensieri che mi vorticavano in testa, ma piangere fu inevitabile. Le lacrime mi offuscarono la vista e scivolarono silenziose sulle mie guance.
Yasu non disse nulla, ma mi strinse tra le sue braccia. Quanto mi era mancato!
Negli ultimi anni mi ero affidata a lui più di quanto avrei dovuto, ne ero conscia, ma non riuscivo a smetterla. Allungai le braccia sul suo collo ricambiando l'abbraccio senza smettere di piangere sulla sua spalla. Quel luogo era così comodo! Avrei voluto restare così per sempre, il suo corpo mi scaldava e proteggeva allo stesso tempo. Mi sentivo sola e indifesa, ma la sua presenza aveva alleggerito il mio peso, Yasu aveva questo straordinario potere di rimettere insieme tutti i miei pezzi quando questi crollavano, una capacità che nemmeno Ren aveva mai avuto.
Perché insieme a lui mi sentivo così bene?
Girai il volto quel poco che bastò a fissarlo in viso e in un atto tanto coraggioso quanto stupido allungai il collo e gli sfiorai le labbra con le mie. Fu un attimo che durò un’eternità. Le sue labbra erano morbide e asciutte e il suo fiato sapeva di Black Stone e primavera. Non saprei dire per quanto restammo in quella posizione, e potrei giurare che lui lo volesse quanto me, ma all'improvviso si allontanò e mi fissò con un’espressione indecifrabile. 
«Cosa credi di fare, Nana?»
Quelle parole, pronunciate con voce dura che non gli apparteneva, mi ferirono profondamente.
«Io...»  
Io cosa? Cosa volevo dire? Come potevo giustificare il mio comportamento?
«Credo tu abbia frainteso le mie intenzioni, non ho alcuna intenzione di reclamare il posto di Ren!»
Si alzò di scatto e uscì dalla stanza, lasciandomi inginocchiata al pavimento. Che cosa avevo fatto?
Osservai l’immagine di Ren e mi sentii ancora peggio.
Adesso sì che avevo perso Yasu per sempre. Cosa mi aveva spinto a compiere quel gesto? Forse il bisogno di sentirmi amata? Ero stata una vera carogna, mi ero approfittata dell’affetto di Yasu per soddisfare il mio ego. Ero sempre stata consapevole dei suoi sentimenti nei miei confronti e avevo sinceramente creduto di ricambiarli, ma la verità era diversa: io avevo bisogno di lui. Perché lui, a differenza di Ren, Hachi e Misuzu, mi aveva sempre posta in primo piano davanti al resto. Lui mi aveva seguita a Tokyo ed era sempre stato presente per me, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il suo amore incondizionato e senza fini era qualcosa di cui non potevo fare a meno.
Ma avevo rovinato tutto.

Quando tornai in camera mia era sorto il sole, Hachi scattò in piedi non appena udì la porta aprirsi.
«Nana!»
Urlò stropicciandosi gli occhi e poi mi corse incontro, come un cagnolino addomesticato.
«Cos’è successo? Perché sei tornata così tardi?» 
Non potevo dirle cosa fosse accaduto, quindi mi limitai a fissarla con sguardo pietoso, sperando che capisse il mio umore senza porre alcuna domanda. Il suo viso passò da preoccupato a triste.
«Hai saputo di Misato, vero?» 
Alzai lo sguardo, me ne ero completamente dimenticata, che donna egoista!
«Era chiaro che tu non lo sapessi o non l’avresti mai incoraggiata a parlare a Sugimura, lo sa anche lei e non te ne fa una colpa.» 
Perché continuavano a prendere le mie difese? Perché si ostinavano a credermi migliore di quanto non fossi?
«Per fortuna Shin è intervenuto per tempo, non appena ha scoperto che Misato si trovava nel suo ufficio. Però…»
Però cosa?
«Oh Nana, mi dispiace così tanto.»
Hachi mi abbracciò e inizio a singhiozzare e in quel momento capii. Fu come una doccia gelata, tutto ciò per cui avevo lottato aveva cessato di esistere: Ren era morto, Yasu non mi avrebbe mai più rivolto la parola, Hachi sarebbe presto tornata nella sua casa di Shirokane con Takumi e suo figlio e la band era stata tagliata fuori dal contratto.
Non mi rimaneva più nulla.
«Voglio vedere il mare.» 
Dissi con voce calma che non rispecchiava il mio stato d’animo. 
«Il mare?»
Chiese Hachi confusa, staccandosi dall’abbraccio e guardandomi dritto negli occhi. Non riuscii a dire altro, annuii appena.
Volevo vedere il mare, perché il mare aveva accompagnato i miei anni insieme a Ren.
Il suono della risacca dell’oceano concitava il mio sonno quando poggiavo la testa sul suo petto nudo e il profumo di salsedine mi si intrappolava nelle narici, fondendosi insieme all’odore della sua pelle.
Il mare aveva fatto da sfondo al periodo più felice della mia vita.
E chissà, magari se ne avessi avuto il coraggio, mi avrebbe presa con sé, restituendomi all’uomo che amavo. 

  
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