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Autore: Ragazzamagica    04/10/2023    0 recensioni
(La storia è in revisione, e perciò sospesa)
Samuel Filder è un individuo dalle molteplici qualità.
Infatti è miserabile, passivo e condannato a un destino gramo, come confermato da tutti coloro che lo circondano.
Ma è Samuel stesso il suo più grande, fiero sabotatore. Gode nel vedere come tutto possa andare sempre peggio e ogni notte, prima di coricarsi, si gusta l’inasprimento della propria miseria, felice come non mai.
Perciò, avendo a disposizione armi raffinate come la tendenza all’auto-flagellazione e la determinazione ad andare incontro al suo destino, Samuel Filder non vede l’ora di scoprire fino a quanto la propria vita possa peggiorare!
(ǫᴜᴇsᴛᴀ sᴛᴏʀɪᴀ ᴘᴀʀᴛᴇᴄɪᴘᴀ ᴀʟ ᴡʀɪᴛᴏʙᴇʀ ᴅɪ ғᴀɴᴡʀɪᴛᴇʀ.ɪᴛ)
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 2: Prima di auto-sabotarmi, vi chiederò il permesso
 

Esattamente secondo le sue aspettative, Samuel Filder era stato ammesso e riconosciuto fra i camerieri senza valore di quel fast-food.
L’Omone, suo stimato capo, aveva capito subito chi fosse lui realmente: un giovinastro patetico e senza speranze.
E infatti eccolo lì, a ricoprire la mansione in quel locale decadente e pieno di gente decaduta, decisa a rimpinzarsi di cibo grasso e untuoso come se fosse l’unica cosa in grado di offrire un po’ di quiete nelle loro vite.
Se si fosse trattato di madri premurose e padri provvisti di senso della misura, non a uno solo di quei pargoli sarebbe stato concesso di inquinarsi tra quelle pareti odorose di cibo fritto, giorno dopo giorno.
Invece, i bambini ingerivano sale, olio e viscidume mentre i genitori si ricordavano l’un l’altro quanto facevano schifo a gestire le loro vite e a reggere le squilibrate fondamenta della loro unione familiare.
Samuel Filder non avrebbe potuto essere più felice.
E poi, l’atmosfera del colloquio gli era piaciuta moltissimo. Proprio ciò che cercava.
Gli dava un’idea di “sogni accantonati come vecchie patatine ammuffite”.
Onestamente, non vedeva l’ora di scrollarsi di dosso tutte le ambizioni che aveva avuto, dando loro la fine che meritavano: il water sudicio dell’angolo più trascurato del fast food “Crispy Delights”, dove l’odore di cibo fritto appestava l’aria e i pattini delle cameriere rigavano il pavimento a scacchiera.
Samuel riemerse dal suo confronto con la tazza del gabinetto sentendosi rinascere. Ogni giorno poteva essere un nuovo modo per fare a patti con le velleità da ragazzo e riconoscerne la vacuità.
La cosa importante, nella vita, era rendersi conto di aver fatto il passo più lungo della gamba e dichiararsi pronti ad indietreggiare, accontentandosi delle opportunità più infime che c’erano.
Samuel si ripulì la bocca dalle strisce di vomito con il polsino della sua nuova divisa.
Osservò con orgoglio il grumo acidulo, ora impresso sul candore della tenuta come un distintivo. Presto si sarebbe trasformato in un’ostinata incrostazione.
“Samuel! Puoi venire un momento?”
E Samuel accorse, solerte.
“Mi dica” cinguettò alla sua collega. Fece in tempo a distinguere un’elegante coda di cavallo bionda affiorare da sotto il cappello bianco, prima di fissare lo sguardo ai suoi piedi: pattini a rotelle fucsia. Poi si mise ad ammirare un punto lontano con aria stupida.
“Per favore, pulisci i tavoli di quella sezione, sta arrivando un’orda di clienti”.
Soltanto una manciata di secondi dopo, Samuel si rese conto che gli stava passando lo straccio e la soluzione detergente.
“Ai suoi ordini!” rispose Samuel, rivolgendosi al canovaccio.
Afferrò gli attrezzi del mestiere e si allontanò in direzione dei tavoli con passo spedito.
L’atteggiamento che aveva era talmente imbarazzante da farlo quasi commuovere.
Non si fermò a vedere, ma immaginò con precisione la reazione perplessa della donna. Si sarebbe certo chiesta cosa avesse nel cervello prima di affrettarsi a tornare ai propri compiti.
 
Il turno finì in fretta. Durava solamente otto ore, perciò Samuel a malincuore dimise la divisa che aveva portato con orgoglio per tutta la giornata e si fermò a contemplare il proprio operato. Era solo il primo giorno e già sembrava che i colleghi lo tenessero a distanza, rivolgendogli qualche cenno vacuo giusto per indagare i suoi movimenti e non incrociarlo lungo la loro strada.
A un paio di quelli aveva chiesto la possibilità di ripulire la loro uniforme, lasciando imbrattata la propria – e nel vedere lo scetticismo crucciarne i volti, il suo cuore aveva mancato un battito dalla gioia.
Compiaciuto, Samuel recuperò i suoi scarsi effetti personali dall’armadietto e si preparò a varcare la porta d’ingresso, rivolgendo un cenno d’intesa al suo vetro opaco e alla cornice di metallo compromessa da graziose chiazze di ruggine.
“Che posto fantastico” commentò Samuel, per poi rendersi conto che l’Omone lo stava fissando a breve distanza dalla porta.
“Signore! Siete sicuro di volermi mandare a casa? Davvero non volete che mi trattenga per fare, magari, qualche altra ora di straordinario?”
“Me lo hai già chiesto trecento volte oggi, Filder. No, non ho necessità che tu rimanga oltre oggi. Stiamo chiudendo! Fila a casa, oppure ti darò il permesso di andarci a pedate!”. Eloquentemente, indicò lo stivale destro, cosparso di piccole isole di unto indurito e macchie di grasso abbarbicate sulla tomaia.
“Siete un uomo fin troppo magnanimo!” sospirò Samuel estasiato, prima di lasciare quel meraviglioso ambiente cosparso di melma appiccicosa dietro di sé.
Essere così servizievole gli ricordava il filo conduttore che aveva legato gran parte degli episodi della sua vita: chiedere sempre il permesso. Per potersi riposare, per poter abbandonare i suoi compiti, per poter andare fuori a giocare quando era ancora un bambino… così come per ricevere un altro schiaffo da sua madre, per rimanere intrappolato nella sua stanza un giorno in più rispetto alla punizione prestabilita e per poter saltare la cena la terza sera di fila.
Innalzarsi sempre al di sopra delle aspettative degli altri aveva un che di esaltante. Era come una lotta di potere in cui lui aveva sempre il piacere di dare agli altri la vittoria.
Quella sensazione di totale abbandono gli ricordava che lui era lì per lucidare l’ego di chi gli stava accanto e per incassare colpi su colpi, mantenendo un sorriso spensierato.
E quando gli rispondevano che no, non c’era più bisogno del suo aiuto, Samuel insisteva finché la condiscendenza e l’ammirazione non si trasformavano in rabbia verso il suo insopportabile servilismo.
Consensi, licenze e congedi venivano dapprima elargiti con gioviale entusiasmo, per poi essere l’unica via di fuga per sbarazzarsi di lui.
Gli innumerevoli “Posso? Posso? Posso?” pronunciati da Samuel erano il ritornello intonato apposta per la sua esistenza. Nessuno aveva la pazienza e le energie mentali per dettare ogni sviluppo della sua vita.

Visto che non c’era più nulla da fare, Samuel aveva due ore di pausa prima di indossare i suoi panni da guardia di sicurezza notturna.
Dispiaciuto di avere persino del tempo libero, si accontentò di impiegarle nel modo meno costruttivo che gli venisse in mente: starsene su una panchina ad appena cinque metri dal Crispy Delights, e aspettare che il tempo passasse.
Pur essendo un tipo di contemplazione studiata per non avere nessun significato, Samuel non poté fare a meno di far vagare la mente. L’ostinazione del suo intelletto nell’inseguire pensieri con una vaga parvenza di senso avrebbe potuto essere ammirevole, se solo non fosse stata fastidiosa.
Tra le altre, inutili cose, rammentò il suono argentino dei pattini dei camerieri.
Pattini che, curiosamente, a lui non avevano consegnato… ma si sentiva anche più felice nel constatare che gli riservassero un trattamento diverso. E benedisse il suo capo per la lungimiranza con cui lo aveva onorato fin dal suo primo giorno di lavoro.
Era così che doveva essere trattato.
Chissà, forse per tutta quella gente al fast food c’era davvero una speranza. Non li avrebbe definiti tutti già morti dentro… gli sarebbe dispiaciuto essere così severo con loro. Perché essere così cattivi col prossimo?
Eppure, non c’era speranza per lui.
Accogliendo a sé quella piacevole scoperta che lo aveva accompagnato ogni giorno, da due anni a quella parte, Samuel sorrise e si godette il suo inutile rimanere seduto sulla panchina a fissare il vuoto.
Non c’era più spazio per le riflessioni sul futuro.
Una sola volta aveva provato a svincolarsi dalla regola del chiedere permesso.
Ed era stato il tonfo più grande della sua esistenza.
Gli piaceva quel presente grigio e informe.
Che senso aveva fare piani, progetti? Un giorno le fiamme avrebbero comunque spazzato via tutto quanto.
Aprì gli occhi e fissò la sagoma plastica del diner Crispy Delights.
Monotonia, ripetitività e pochezza: la ricetta perfetta per lasciarsi tutto alle spalle, ridotto con puntualità a cumuli di cenere.
“Niente che prometta di rimanere, nevvero?” trillò con allegria, rivolto a se stesso.
Lui avrebbe ballato su quelle ceneri, ringraziando qualsiasi entità ultraterrena avesse deciso di somministrargli una punizione così potente e giusta.
Alla fine, si permise di lasciare la panchina: l’unica cosa che poteva ancora scuoterlo era ricordare, e proprio per questo doveva impedirselo.
Per il resto, sopportava tutto quanto e amava tutto quel che doveva sopportare.
Si incamminò in direzione del caseggiato su cui doveva vigilare, fischiettando un motivetto allegro e impostando un’andatura persino più sgraziata del solito.
“Potrò avere il vostro permesso di boicottare la mia esistenza, invocando con umiltà la vostra clemenza?
Non potendo decidere alcunché, mi proclamerò, infine, il vostro lacchè”.


 
  
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