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Autore: zero2757    04/10/2023    2 recensioni
Shirogawa Sesshomaru è esausto, l'unica cosa che desidera in una delle sue tante serate libere è una tazza di sakè e la compagnia di qualche bella donna. Ma proprio quando sta meditando in quale locale andare; il suono di tamburi e di un chiacchierio sempre più forte gli fa cambiare idea. E' in corso il matsuri e il tempio della zona è in festa, così preso dall'entusiasmo generale Sesshomaru si butta in mezzo alla gente, mangia leccornie e partecipa a qualche gioco, assiste ad uno spettacolo e proprio lì incontrerà nuovamente una sua vecchia conoscenza che gli svolterà la serata.
Si prega gentilmente di non copiare le mie storie, altrimenti prenderò provvedimenti seri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Inu no Taisho, Inuyasha, Sesshoumaru, Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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𝑭𝒐𝒖𝒓 𝑺𝒆𝒂𝒔𝒐𝒏𝒔
- Una storia d'amore -

 


[I fiori di primavera che si addormentano al calar della notte.
Un messaggio lasciato sulla sabbia di una spiaggia d'estate,
la pioggia d'autunno, le lacrime d'inverno.
Vorrei che queste manifestazioni d'amore potessero scaldarmi il cuore.
Quattro stagioni col tuo amore come in un sogno
.]

Namie Amuro - Four Seasons



 


 
[Estate.] 15 Luglio 1999.

Ricordava ancora il giorno in cui la incontrò per la prima volta, era luglio e stava vagando per le strade di Tokyo con una grande stanchezza addosso.Si stava interrogando se passare quel che restava della sua serata libera, una delle rare che aveva, in uno dei molti locali dove la compagnia femminile non mancava mai; quando il cicaleccio di voci e il suono di tamburi fermarono il suo cammino.
Aveva ancora addosso la giacca grigia e la cravatta stretta al colletto nonostante il caldo e l’umidità dati dalla stagione, si mise in ascolto e per un bel minuto buono rimase fermo dov’era con grande disappunto di molti che, passandogli accanto, erano costretti a girargli attorno per raggiungere la grande scalinata incorniciata dai torii.
Ripenso’ con amaro disappunto al suo lavoro, a come fosse stato pieno di carte giuridiche da controllare, appuntamenti con avvocati e vari rappresentanti d’azienda a causa delle decisioni del suo capo di inglobare le piccole strutture che a causa di investimenti sbagliati navigavano in acque torbide.
Sospiro’ e si tolse la giacca e tenendola sotto braccio si arrotolo’ le maniche della camicia, s’allento’ la cravatta e sbottono’ i primi tre bottoni. Il suono dei tamburi e il rumore sempre più forte delle voci gli fecero venire voglia di prendere parte al matsuri che stava svolgendosi nel tempio del buon Higurashi Soichiro, così con le suole che grattavano il terreno si decise a varcare la soglia del grande torii rosso e di salire i centocinquanta scalini che lo separavano dalla festa.
Durante la salita gli arrivarono alle narici un sacco di odori: il dolce dello zucchero filato, lo speziato dei vari ramen e degli spiedini che venivano preparati.
Sorrise, erano anni che non partecipava ad un matsuri; l’ultima volta gli parve di ricordare fosse ancora all’università e gli sembrava di stringere tra le mani tutta una serie di possibilità che non facevano che moltiplicarsi ogni giorno di più. Arrivato quasi in cima si mise a contemplare per un fugace momento il grande torii che si stagliava a fine del suo percorso, il rosso lievemente sbiadito e la struttura illuminata dalle varie torce infuocate davano alle colonne un ché di magico.
Quasi fossero un portale per un mondo sconosciuto.
Scosse la testa e giunto sul grande spiazzo d’ingresso assorbì con lo sguardo quella bolgia di persone: famiglie con bambini che correvano ovunque con i loro amici di giochi, adolescenti che ridacchiavano non appena si sollevava un argomento divertente e coppiette alle prime uscite che si guardavano con tenerezza.
Erano queste che si muovevano per l’enorme pianta che era il tempio Higurashi, le bancarelle di cibo erano quelle che si incontravano per prime nel percorso che Sesshomaru stava facendo; e per quanto avesse ardentemente agognato una tazza di sakè non si dispiacque di trovarsi in mezzo a tutta quella vita. Il tempio sorgeva su un’irta collina da più di cinquecento anni e aveva una pianta di ventimila metri quadri al cui centro si trovava il tempio e la sua sala di preghiera assieme ai chozuya (le piccole strutture che servono a purificarsi prima di entrare) delineate da serpenteschi viottoli in pietra grigia.
Poco distante dalla struttura del tempio vi erano un piccolo agglomerato di costruzioni: una era la casa data in dotazione ai vari custodi del tempio; una piccola struttura su due piani. Un’altra era il grande magazzino dove reliquie di ogni sorta andavano mantenute con rituali ben precisi ed infine un pozzo che era stato delimitato da una modesta pagoda.
E, quasi fosse stata la planimetria di una freccia, al di sopra e poco distante dalla casa del custode vi era un grande albero di canfora, che con ben oltre i suoi cinquecento anni vegliava i suoi abitanti e i fedeli.
Le bancarelle di cibo si inframmezzavano a quelle dei vari giochi e alle altre che vendevano maschere di cartapesta e si trovavano tutte nei pressi dei torii con le loro insegne sfavillanti, un reticolo di lanterne formava una scia luminosa che disegnava i vari percorsi che si potevano intraprendere, ai lati dei torii invece vi erano fiaccole di fuoco vivo che stavano a simboleggiare il vigore della festa.
Si mosse zigzagando tra la folla, la giacca sempre sotto al braccio, e in un impeto d’entusiasmo si comprò un kakigori gustandolo con piacere, il ghiaccio alleviava un po’ quella calura in cui era immerso e provò uno dei giochi presenti: lo spara-tutto.
Vinse un piccolo portachiavi a forma di cane dal pelo bianco e gli occhi d’ambra, scosse la testa e con un movimento fluido mise la vincita di quella sera in tasca e buttò il contenitore del kakigori.
Continuò a seguire il flusso di persone che via via si faceva sempre più sgombro di giovani e più pieno di persone anziane, per poi trovarsi nella piazzola di fronte la sala di preghiera.
Alcuni uomini suonavano a cadenza ritmica sui grandi tamburi, erano quelli che aveva udito a fondo della strada, i volti coperti da maschere di oni. Pareva che uno spettacolo si sarebbe svolto da lì a poco e che i tamburi servissero a scandire quanto sarebbe rimasto, appena avessero smesso di suonare la magia avrebbe preso vita.
O almeno era quello che i vari presenti continuavano a ripetere tra loro, evidentemente quella comitiva faceva parte di una qualche attività che si svolgeva al tempio per essere così informati.
Lasciando il posto ad una donna anziana, Sesshomaru si decise che forse non era così male assistere allo spettacolo, così aspettò vicino all’omikuji dove ancora erano legati i foglietti di buona fortuna o malasorte estratti durante l’anno nuovo.
Accanto vi era uno dei tanti alberelli disseminati per il terreno del tempio, il ragazzo vi si appoggiò e incrociò le braccia chiudendo per un attimo gli occhi. Non gli erano certo sfuggite le occhiatine che molti gli avevano riservato, incredibile che la sua condizione di half sbigottisse la comunità nonostante vi vivesse da trentadue anni.
Sua madre era americana e suo padre giapponese ma la sorte volle dargli canoni molto più occidentali che della patria in cui aveva deciso di restare. Con i suoi capelli biondi quasi bianchi, occhi color nocciola tendenti al verde, la stazza alta e slanciata riusciva a farsi riconoscere con un battito di ciglia, eppure per la legge era giapponese non solo perché nato e vissuto lì ma soprattutto perché lo aveva scelto al compimento dei suoi diciotto anni. Con il grandissimo disappunto di sua madre che, dopo il divorzio dal padre, aveva fatto baracca e burattini tornandosene in Pennsylvenia a Lancaster.
Per quasi una vita intera aveva convissuto in uno stato di rabbia perenne e le cose non erano andate meglio quando scoprì che Taiga, suo padre, aveva un’amante da anni e che dal loro idillio era nato un bambino: Inuyasha, più giovane di lui di appena tre anni. Nell’adolescenza non solo era arrabbiato, ma aveva invidiato quel figlio nato da una donna giapponese: con i suoi capelli neri – come quelli di Taiga – e gli occhi di un marrone caldo.
Aveva urlato contro quell’uomo fin troppo umano riguardo la sua debolezza, era rimasto spiazzato dalla freddezza di Ava, sua madre, e aveva pianto da solo mentre le sue mani si ricoprivano di schegge e sangue a causa dei colpi inferti proprio a quell’albero di canfora che vegliava anche allora il tempio.
Quel giorno conobbe Soichiro, che con un sorriso sotto i baffetti fini e il pizzetto lo fece ridere.
Era un uomo già avanti con gli anni, sul volto vi erano strisce dorate e profonde di rughe, uno sguardo scuro mite e i capelli grigi racchiusi in un classico codino. Lo avvicinò raccontandogli la storia del Goshimboku, poi lo prese per mano e lo portò in casa sua dove una donna straniera dagli occhi verdi e i capelli neri lo accolse, lo curò e gli diede da bere un po’ di latte; nel mentre Soichiro chiamava Taiga per rassicurarlo che il figlio era illeso e stava bene.
Nonostante il vecchio sacerdote gli anni in casa Shirogawa passavano tra un forte litigio e l’altro, una volta con suo padre, un’altra contro Izayoi, quella dopo con Inuyasha. Il tempio Higurashi era la sua isola felice, fu grazie a Soichiro, e solo a lui, che Sesshomaru guardandosi allo specchio si riconciliò con il suo aspetto: la forma degli occhi era sì stretta ma affascinante con quel colore così chiaro rispetto a quello comune. I suoi capelli erano sfumati da mille gradazioni di biondo, dando l’impressione che non avesse una capigliatura normale ma fatta d’oro.
La sua figura di sarebbe sviluppata e fatta uomo e allora, diceva il vecchio, sì che avrebbe compreso appieno la sua bellezza. Fu così, negli anni smise di arrabbiarsi con i membri di quella famiglia che mai aveva sentito sua, si fece più mite e silenzioso e con il mutarsi del suo atteggiamento anche il suo corpo cambiò e fu allora che scoprì la sessualità.
Ancora rideva sotto i baffi ricordando di quando la ragazza storica del fratello si era presa una sbandata per lui: Kikyo, i cui anni di attesa non erano stati ripagati.
Anzi, si era messa con Inuyasha nel vano tentativo di suscitare il suo interesse, peccato che poi quella seconda scelta l’avesse sposata. Due anni addietro, con lei in dolce attesa e con gli occhi ancora puntati su di lui. Sesshomaru riaprì gli occhi, oggi era un uomo affermato che lavorava come legale in una delle più grandi aziende giapponesi e con un legame stabile con il padre e un po’ con quel fratello minore che aveva tanto ostracizzato.
Eppure, quando assisteva alle occhiate di curiosità tornava a galla quel ragazzino insicuro. Si sistemo’ la giacca su una spalla e si appoggio’ nuovamente contro il giovane fusto dell’albero, incrociando le braccia e direzionando lo sguardo sulla piazzola: i tamburi avevano smesso di suonare.
Higurashi Soichiro fece il suo ingresso con l’hakama da festa dal color glicine, i capelli raccolti sotto un eboshi nero. Sesshomaru sorrise, era sempre stato molto teatrale il vecchio Higurashi ma quella sera si stava superando; non aveva proferito parola alcuna e tra le mani stringeva una freccia sprovvista di punta che bagno’ nell’acqua del chozuya.
«Vi fu un tempo» la voce del vecchio fece cessare i lievi mormorii che ancora persistevano «In cui uomini e demoni camminavano sulla stessa terra» a quelle parole i musicisti fecero il loro ingresso; vestiti anche loro con uno yukata da festa dai colori sgargianti, sul volto una mezza maschera raffigurante i vari demoni dell’iconografia giapponese. I capelli erano nascosti sotto delle pezzole nere e tra le mani stringevano flauti tradizionali, erhu e piccoli sonagli.
Si disposero poco distanti dalle scale lignee della sala di preghiera e fissavano la folla con serietà «I due mondi non riuscivano a convergere e per questo nascevano conflitti, vere e proprie guerre che vedevano l’uomo in svantaggio» continuò Soichiro mentre un sonaglio iniziò a vibrare e uno dei tamburi, che precedentemente aveva intrattenuto si rianimò, dando pathos alla scena.
«Durante una delle molte guerre; una figura si erse tra i corpi che giacevano a terra» dette queste parole una figura minuta e con una maschera bianca si paleso’ dalla sala di preghiera, le sue vesti erano quelle tipiche da cerimonia solo che le lunghe maniche le strisciavano a terra e il kimono era aperto abbastanza da rivelare il collo e le spalle pallide.
La parte superiore di un bianco accecante e quella inferiore di un rosso vivo la facevano sembrare un fantasma, i capelli neri erano intrecciati con nastri del medesimo colore dei pantaloni, i piedi nudi. In una mano stringeva una spada, nell’altra un rosario di perle nere «La sue armi erano: l’eloquenza della parola e la mitezza del perdono.» la figura compì un mezzo cerchio di spada e lo stesso fece con il rosario che si portò al cuore.
«Quella figura era una donna, una sacerdotessa venuta da lontano» la voce di Soichiro era ipnotica, così come lo erano i movimenti della figura che si stava apprestando a scendere i gradini di legno e passare oltre i musicisti travestiti da demoni. Sesshomaru si umettò le labbra, l’attesa che lo stava mangiando a morsi «Il suo nome era Midoriko. Ella sapeva domare l’arte della guerra ma aveva deciso di non adoperarla se non in caso di gesto ultimo». La ragazza, che si era fermata al centro della piazzola, fece un giro su se stessa per poi avvicinare l’elsa della spada e il rosario al petto, iniziando così a camminare e saltellare ogni volta che il flauto prendeva a suonare assieme all’erhu che saliva di tono ad ogni frase detta dal vecchio Higurashi.
«Tra i vari campi raccoglieva i rimpianti degli uomini e la rabbia dei demoni, i quali però se ne andavano più serenamente sotto le sue premure» la figura si era avvolta il rosario al polso e poggiato la spada ai suoi piedi mentre con teatralità porgeva le mani al pubblico. «Continuò nel suo vagare per anni, sin quando non si imbatté in un demone, il quale, era il re di quella zona» i tamburi presero a roboare, i flauti nel loro canto divennero inquietanti e l’erhu stridente, la ragazza iniziò a correre torno torno per la piazzola continuando a porgere le mani, sin quando poi non si arrestò e non rimasero che i tamburi.
«Il Re le chiese cosa stesse facendo, lei gli rispose che cercava di dare pace a chiunque gli si parasse sul cammino. Il Re rise sguaiato dandole della stolta, non vi sarebbe mai stata pace in un mondo che era diviso a metà, allora lei gli rispose: “Due metà si posso incontrare e dare vita a qualcosa di nuovo”». La ragazza si mise in ginocchio a pochi centimetri giaceva la spada «A quelle parole il Re fu colto da un nuovo scoppio d’ilarità, rideva della sua mitezza, delle sue azioni, del suo cuore. Le diede nuovamente della sciocca ma, dato che lo aveva divertito, per quella volta l’avrebbe lasciata andare ma doveva badare bene: se l’avesse nuovamente rivista o sentita parlare di metà che si incontravano l’avrebbe uccisa».
Le mani candide della giovane presero la spada e la cullarono come fosse un infante, si rimise in piedi e ricominciò a camminare lungo il perimetro della piazzola. Ancora una volta mostrava il palmo della mano, mentre l’altro rimaneva saldo sull’elsa «la sacerdotessa lo ringraziò e riprese il suo cammino non deviando mai dal percorso che si era prefissa, altri anni passarono e pian piano la sua parola si era sparsa per le varie regioni. Uomini e demoni iniziarono a combattere di meno e a vivere in maniera pacifica, fin quando un giorno il figlio di un capo villaggio non s’innamorò di una donna demone».
Da una tasca interna dell’hakama la ragazza aveva tirato fuori uno spillone per capelli, al quale dondolava tramite una catenella d’oro un fiore di ortensia dal tenue color lilla. Fece come se lo stesse osservando, lo portò al volto mascherato e poi lo infilò tra i capelli, la musica dell’erhu sembrava quasi una nenia incantata «Questa portava in grembo il frutto del loro amore, tuttavia questo nuovo bocciolo di vita veniva visto con sospetto da ambo le parti. Nella disperazione il padre del giovane combinò un matrimonio riparatore con una nobildonna del villaggio e costrinse il figlio minacciando la vita del nascituro.
Il ragazzo acconsentì e diede l’addio all’amata con l’amaro nel cuore, nell’afflizione la demone diede alla luce un maschio. Ma non riuscì mai a vederlo crescere perché morì di dolore poco dopo il parto, così quel neonato rimase solo». La figura si tolse lo spillone lo scrutò un’ultima volta e lo lasciò cadere a terra, accompagnata dai sonagli e dalla musica del flauto «Sarebbe morto se Midoriko non avesse sentito la storia dei suoi genitori e non fosse andata a cercarli per trovare un compromesso, ma ciò che trovò fu solo il mezzo sangue ancora coperto dalle tracce con cui aveva dovuto lottare per giungere alla vita. Così lo prese con sé e lo crebbe come meglio poté. Il suo amore per quella creatura era immenso e, ahimè, cieco. Non si accorse che il piccolo era divenuto un altro, che il Re dei demoni lo stava plagiando affinché togliesse di mezzo la sacerdotessa che tanto gli aveva tolto».
Un tamburo reiniziò a suonare, la ragazza aveva cominciato a girare su se stessa facendo così ondeggiare le maniche e i capelli «Così un giorno, il giovanetto, il quale aveva iniziato a provare odio per la sua nutrice, prese la spada che ella portava sempre con sé e, in una notte d’estate, le conficcò la lama in petto» la sacerdotessa aveva smesso di roteare, la spada era caduta ai suoi piedi e Sesshomaru capì di essere arrivato quasi al bordo di quel palcoscenico improvvisato perché con la coda dell’occhio scorse un mezzo sorriso da parte di uno dei presenti. Il lento librare dei flauti, dell’erhu, dei sonagli e dei tamburi si mischiavano al battere del suo cuore, rapito dalla vicenda di Midoriko.
«Quando questo guardò la donna in volto notò che tra le lacrime gli sorrideva, come ultimo gesto riuscì a toccargli una guancia poi si spense. Il corpo di Midoriko cadde a terra e non appena toccò il terreno divenne luce» la ragazza si afferrò maschera e se la sfilò con teatralità, gli occhi erano di un brillante verde ricolmo di lacrime, che scendevano lungo le guance accaldate. Le labbra rosse erano tese in un sorriso quando si sporse verso il pubblico per l’ultima volta prima di riprendere la spada e trascinarla lungo la stessa via che aveva percorso all’andata.
Sesshomaru era stregato, quella storia la sentiva particolarmente sua e quella ragazza era particolarmente magnetica nella sua interpretazione «Il giovane comprese solo in seguito ciò che aveva fatto, nel momento in cui la ragione raggiunse il suo cuore si disperò e amò il segno dell’ortensia che Midoriko gli aveva lasciato sul volto». Soichiro si mise al centro della piazzola, il tempo delle storie era giunto al termine «Fu quel giovane di mezzo che trovò uno spiazzo dove erigere un tempio in onore della nutrice, un luogo dove due metà possono incontrarsi e convivere seppur diverse. Fumihiro, questo il suo nome, affidò la costruzione e la cura del tempio ad un uomo e la sua famiglia e vegliò su di loro sin quando le forze gli permetterono di restare come essere a metà. Ma Midoriko, che mai si era allontanata dal figlio, sentendo l’amore che questo sentiva per quel luogo a lei dedicato avverò la sua preghiera più profonda: lo trasformò in un albero di canfora affinché potesse vegliare e proteggere i discendenti del sacerdote. E ancora oggi Fumihiro veglia sotto il nome di Goshimboku il tempio Higurashi». Soichiro fece roteare la freccia senza punta tra le mani rugose e incallite, poi iniziò a cantare la ballata di Fumihiro e, man mano che continuava, anche lui si allontanava sparendo tra le ombre della sala di preghiera.
Fu allora che dei fuochi d’artificio furono sparati in cielo, regalando meraviglia al pubblico e ai partecipanti del matsuri, Sesshomaru sorrise per poi unirsi alla folla nel battere le mani.
Ogni volta che ascoltava quella storia tornava bambino, gli pareva quasi di vedersi ancora undicenne mentre si scorticava le nocche sulla corteccia di quell’albero tanto mistico in preda ad una commistione di sentimenti che allora non sapeva decifrare.
Aspettò che gli anziani con lui si disperdessero; per poi recuperare da una delle tasche dei pantaloni il pacchetto di sigarette che avrebbe dovuto ricomprare di lì a poco. Appena le sue labbra tennero il filtro e la fiamma intaccò la punta della sigaretta facendogli prendere la prima boccata, si sentì in paradiso.
Per la prima volta da mesi si sentiva rilassato, chiuse gli occhi e prese un altro po’ di fumo e proprio in quel momento di buio gli occhi della ragazza che aveva interpretato Midoriko gli tornarono in mente.
Aprì gli occhi e si passò la mano libera sul viso, controllò l’ora e si rese conto che era più tardi del previsto; la mattina dopo sarebbe dovuto partire per Fukuoka e non poteva più aspettare oltre. Così, buttò a terra la sigaretta fumata a metà e fece per fare la strada all’inverso e tornare verso i torii ma una voce a lui nota lo fermò.
«Shirogawa Sesshomaru, ragazzo mio!» la voce di Soichiro non era più la stessa di prima, era più dissonante rispetto a quando narrava la storia del Goshimboku ma la cosa gli fece muovere comunque un moto di tenerezza verso quel vecchio, adesso, di diversi centimetri più basso e dal sorriso sempre in volto. «Higurashi- san è bello rivederla» disse lui, inchinandosi con rispetto davanti l’uomo che lo aveva tenuto sui binari giusti della sua vita.
«Mio caro ragazzo – Soichiro gli prese le mani e gliele strinse con calore – non ti vedo da anni. Come stai? Cosa fai nella vita, dimmi, te ne prego. Hai assistito allo spettacolo vero, che te ne è parso?» le molte domande dell’uomo gli strinsero il cuore, era vero che erano anni che non si vedevano e di quello si pentiva amaramente. Sorrise e fu subito pronto a rispondergli «Sto bene Higurashi- san, lavoro come legale in un azienda piuttosto famosa la Technos Japan Corporation. E per ora lavoro, qualche volta esco con qualche ragazza, cose così. Sì, ho assistito allo spettacolo, siete sempre il miglior narratore di leggende Higurashi- san. Il tempo non ha scalfito la vostra bravura, ma anche la ragazza è stata a dir poco sbalorditiva».
A quelle parole il vecchio sorrise orgoglioso «Sesshomaru, non sai quanto io sia felice di rivederti e di sentirti dire che sta andando tutto bene. E per quanto riguarda la ballerina, bhé, che dire è la mia degna erede. Ma possibile che tu non l’abbia riconosciuta?! E’ la mia Kagome-chan, la bambina che non faceva che osservarti da lontano quando eri al tempio». Uno spaccato di memoria gli tornò alla mente: una bambina di tre anni che con occhi sospetti lo osservava mentre parlava con quello che era suo nonno «Oh, ma non mi dica! Cavolo come passa il tempo, l’ultima volta che l’ho vista quanto tempo avrà avuto; otto anni?» Soichiro annuiva gioioso «Sì, per la miseria e tu eri un bell’ometto di diciannove anni l’ultima volta che ti ho visto» gli diede qualche pacca sul braccio e Sesshomaru sorrise ancor più dolcemente «Tredici anni fa, sembra ieri» disse lui e il vecchio assentì con partecipazione.
«Quindi avete deciso che sarà lei la vostra erede Higurashi- san, avete già iniziato ad addestrarla al ruolo?» l’uomo lo guardò con fare indignato «Per chi mi prendi ragazzo? Ho iniziato ad insegnarle il mio mestiere da quando ha appreso l’uso della parola. E adesso guardala – indicò il punto in cui Kagome era comparsa, si era cambiata dall’hakama ad una maglietta a maniche corte e un paio di jeans slavati, i piedi nuovamente al sicuro all’interno di calzature adatte.
Stava parlando con la comitiva di anziani che avevano assistito assieme a lui allo spettacolo – intelligente, bella come una dea e poco più che ventunenne. Ah, che bella età!» esclamò Soichiro, Sesshomaru si prese un attimo per osservarlo: il tempo con lui non era stato clemente. Aveva delle macchie scure sulle guance e sui dorsi delle mani, le rughe che prima erano accennate ora erano più profonde e marcate. I capelli gli si erano fatti più radi, il pizzetto e i baffetti, che erano stati il suo marchio da tempo immemore, erano quasi del tutto spariti così come era sparito lui sotto i vestiti da festa.
«Higurashi- san, state-» l’uomo non gli diede il tempo di rispondere «Sesshomaru, figliolo, la vita è un cerchio, no? Succede che alle volte quel cerchio finisca la sua tratta prima del previsto ma non temere, questo non mi butta minimamente giù. Tutt’altro, finalmente potrò rincontrare la mia Hana e mio figlio Ryuuji dopo tanto tempo e questo mi conforta». Si prese le mani dietro la schiena e con quello sguardo scuro lo fissò «Sono contento di averti rivisto, questa è stata la mia ultima narrazione e sono felice che tu ci sia stato. Sono orgoglioso di te ragazzo, vedo spesso Taiga e non fa che tessere le tue lodi e ora comprendo il perché» Sesshomaru distolse lo sguardo per posarlo sulla giovane ancora intenta a parlare, avrebbe voluto che suo padre fosse stato diverso «Lo so che gli sbagli di tuo padre ti sono gravati sulle spalle – le parole di Soichiro lo fecero irrigidire – ma non vivere all’ombra degli sbagli altrui Sesshomaru, sei un uomo d’onore e buono, hai tanto da dare a questo mondo non flagellarti oltre».
Il vecchio gli sorrise «E smettila di fumare, quella robaccia fa male!» Sesshomaru a quell’uscita scoppiò a ridere, solo Soichiro sapeva farlo sorridere in maniere inaspettate. «Nonno!» una voce suadente aveva chiamato il sacerdote con tono di rimprovero «Ancora non sei andato a letto, cosa dirà il dottor Toshiyuki se lo scopre?» la ragazza si era avvicinata a loro senza fare il minimo rumore, o forse erano loro troppo presi dalla conversazione da non essersene accorti.
«Oh sciocchezze! Lo sai che sono forte come un bue!» la rimproverò l’uomo, che guardava con fare bonario la nipote «Ah ah, come no. Su, su cenerentolo è il momento di andare a dormire!» scuotendo la testa Soichiro si rivolse a Sesshomaru che assisteva alla scena divertito «Vedi cosa sono costretto a sopportare? Io, il capo di questa famiglia?! Kagome-chan, ti ricordi di Shirogawa Sesshomaru? Era il giovanotto che veniva spesso a trovarmi anni fa» la giovane aggrottò le sopracciglia. Lo scrutò per un tempo che a Sesshomaru parve infinito, quegli occhi color acqua marina lo confondevano e gli stavano facendo battere il cuore forte come quando il suo capo lo minacciava di licenziarlo «Sì, sì mi ricordo. Il ragazzo triste».
Le sopracciglia sottili di lui si alzarono al punto da creare tante onde sulla sua fronte «Il ragazzo triste?» chiese «Sì, il ragazzo triste. Avevate sempre il volto velato di amarezza e malinconia, il che era un peccato data la bellezza di cui, a quanto vedo, disponete tutt’ora». La ragazza era diretta e questo, doveva ammetterlo gli piaceva, ciononostante quelle parole gli provocarono un lieve rossore agli zigomi. «Hem, grazie? Ti prego di non darmi del lei, sei ufficialmente autorizzata a darmi del tu» lei sorrise divertita e lo stesso fece il vecchio «Ah vuoi vedere che siete uno l’anima gemella dell’altra?» disse Soichiro con fare scherzoso.
«Nonno!» «Higurashi- san!» lo ripresero in contemporanea i due giovani, i quali si guardarono e per poco non scoppiarono a ridere «Bhé, è il momento che i vecchi si ritirino e che i giovani si godano il masturi.
Kagome-chan, ti prego di far compagnia al mio ragazzo qui. Ho come l’impressione che abbia bisogno di svagarsi. Ah, no, no no. Non c’è bisogno né di ringraziare, né di protestare il mio dovere qui l’ho fatto, buona notte» e con la nonchalant più forzata di sempre Higurashi Soichiro si avviò verso la propria residenza, lasciando i due nell’imbarazzo più totale.
«Mi dispiace per mio nonno, lui...» Sesshomaru scosse la testa «So molto bene come è fatto Higurashi- san, non devi assolutamente scusarlo è parte del suo fascino suppongo».
Kagome strinse le labbra per evitare di ridere nuovamente «Sei stata davvero brava prima» le parole uscirono senza preavviso dalla bocca di lui e sortirono l’effetto di farla arrossire.
«Grazie Shirogawa- san, questa esibizione è stata molto importante per me» si morse il labbro inferiore, negli occhi verdi passò un lampo di dolore «Tuo nonno me lo ha detto – iniziò lui toccandole una spalla – mi dispiace molto» lei lo osservò meglio mentre il calore del suo palmo si diffondeva nel corpo di quest’ultima «Sei meno triste, anche se continui ad esserlo» lui le fece un mezzo sorriso. «Posso offrirti qualcosa?» le chiese «Volentieri» rispose.
I due si incamminarono in mezzo alla fiumana di gente che persisteva nonostante l’ora tarda e parlarono un po’ di tutto e di tutti gli argomenti che venivano loro in testa.
Venne fuori anche la questione etnica e Sesshomaru non fu affatto sorpreso quando apprese che anche Kagome era un half come lui, anzi. Mangiarono, scherzarono e si conobbero meglio; la luna era alta e l’aria odorava di dolce.
Quella fu la prima volta che la vide e in cui il suo cuore aveva già messo in atto quel meccanismo infido che molti chiamano amore. Peccato che dopo quella sera non la scorse più per molto tempo.



[Autunno.] 28 Settembre 1999.

La seconda volta che vide Kagome fu tempo dopo, il vento soffiava e la pioggia si infrangeva non solo nella chioma ancora rigogliosa dell’albero sacro sul cui fusto una corda fatta di paglia di riso si dimenava con forza, ma anche sulla tesa scura che lo riparava.
L’ombrello nero deviava il tragitto delle gocce d’acqua che andavano poi a schiantarsi al suolo, il filtro della sigaretta rimaneva inerte, incastrato tra il medio e l’indice nel mentre questa si consumava pian piano.
Era morto, Higurashi Soichiro si era spento all’età di ottantadue anni nel suo letto e con serenità; lo aveva saputo da suo padre che lo aveva chiamato quando era di istanza in America a causa di un cavillo legale nella succursale della sua azienda.
Ci aveva messo un po’ prima di elaborare e digerire la notizia, ricordava ancora l’accappatoio umido che gli irritava la pelle, le gocce che si allungavano e poi cadevano dalle punte dei sui capelli, la cornetta del telefono premuta sulla guancia con forza.
Aveva fatto il diavolo a quattro per tornare il prima possibile ma non c’era riuscito, la funzione era già stata svolta e la cremazione compiuta. Con gli occhi incapaci di versare lacrime, distolse lo sguardo dalla sigaretta e lo posò sul grande albero.
Sospirò, com’è che non riusciva a mantenere le sue promesse?
Cosa c’era che lo tratteneva dal fare una cosa?
Non si era forse ripromesso di visitare il vecchio sacerdote più spesso? Allora, cosa era andato storto?!
Adesso lo sapeva: era andato storto il lavoro, sempre più pressante, sempre più stringente. Era andato storto il fatto che non aveva una vita per dire una, che i suoi orari variavano spesso e che se un tempo aveva una compagna adesso non aveva altra compagnia se non la propria. Era un uomo freddo, votato al lavoro e al tagliare i ponti con chiunque facesse parte della sua vita, altrimenti perché si sarebbe comportato in maniera così atroce con Soichiro?
Il vento si era fatto più impetuoso e freddo, per essere Settembre le temperature si erano abbassate drasticamente in quella settimana.
Si strinse nel cappotto di panno e lasciò andare la sigaretta che finì di consumarsi ai piedi dell’albero.
Sesshomaru inspirò un po’ d’aria gelida e la tenne nei polmoni fin quando questi non chiesero un’altra dose, espirò.
Quel luogo sapeva sempre come fargli ritrovare la pace, peccato che se ne dimenticasse ogni volta che i suoi piedi toccavano l’ultimo gradino della scalinata e varcava il grande torii rosso. Sorrise amaro, sì, c’era qualcosa di decisamente sbagliato. Incastrando la canna dell’ombrello tra la mandibola e la spalla, giunse le mani e si raccolse in preghiera proprio lì, dove aveva incontrato e conosciuto Higurashi Soichiro vent’anni prima.
«Shirogawa- san?» la voce un po’ roca di Kagome lo fece sobbalzare, facendogli finire per terra l’ombrello e inzuppandolo dalla testa ai piedi. La figura della ragazza era avvolta nelle vesti di sacerdotessa, i capelli erano intrecciati in una treccia delicatamente posata sulla spalla sinistra. Uno scialle era il suo riparo contro il freddo che andava inforzandosi, un ombrello rosa la riparava dalla pioggia, gli occhi verdi erano lievemente rossi ma comunque chiari e fermi.
«Kagome- san, le mie condoglianze» si inchinò con rispetto riuscendo a dire solo quelle parole banali, che sicuramente non sarebbero servite a nulla. La ragazza deglutì e lasciò andare il suo ombrello, per colmare quella distanza che li separava e prenderlo tra le braccia. Stretto tra quegli esili arti, Sesshomaru fu preso da un singulto e, ricambiando la stretta, dopo molto tempo pianse.
Pianse lacrime mischiate a pioggia, a vento mentre lei diveniva il sua sua roccia, la sua ancora e il suo cuore aggiungeva un ulteriore giro a quella che poi sarebbe stata la bomba più devastante di tutte.
Da lontano, quei due ragazzi stretti l’uno all’altra parevano quasi un dipinto di un qualche pittore straniero, peccato che quello fu l’ennesimo momento che nonostante le recriminazioni di Sesshomaru passò.



[Inverno.] 24 Dicembre 1999.

Aveva deciso, doveva solo mettere in pratica cosa il suo istinto gli diceva di fare.
Così, mentre si trovava a scalare nuovamente quei centocinquanta gradini si perse nelle congetture più varie sul come affrontare l’argomento.
Quando ne aveva parlato con Taiga, questo si era messo a inveire persino contro la moglie da quanto era arrabbiato.
Certo, non era da tutti lasciare il proprio posto come legale in una delle compagnie più prolifiche per intraprendere quella del seminario shintoista ma così era. Gli ci erano voluti mesi per accettare quella chiamata, chiamata che aveva ignorato per oltre vent’anni quasi, e adesso che sapeva anche cosa fare nessuno lo avrebbe fermato dal suo intento di prendere i voti.
Ovvio non sarebbe stato facile, ma cosa è facile le prime volte che si affronta qualcosa?
Arrivato a destinazione prese una bella boccata d’aria, una nuvoletta di condensa gli lasciò le labbra e pian piano salì quel poco per poi svanire. Non sapeva se sarebbe stato possibile, con Kagome si erano sentiti sporadiche volte ma voleva sapere se era comunque fattibile iniziare quantomeno l’apprendistato.
Un brivido lo colse quando giunse nei pressi del tempio, lo stomaco era tutto un formicolio e il suo cuore prese a battere come un pazzo. Nonostante le basse temperature si lavò le mani grazie al chozuya, così come il volto e poi, dopo aver battuto le mani e detto una preghiera, salì le scale del tempio.
«Kagome- san, ci sei?» avvertì un rumore di passi, poi lo shoji si aprì rivelando la minuta figura della ragazza, la quale appena incontrò il suo sguardo gli sorrise calorosamente.
«Shirogawa- san, benvenuto, prego accomodati» Sesshomaru si tolse le scarpe e scivolò all’interno della sala di preghiera, il nervosismo si era mutato quasi in vampate di calore che ogni tot respiri lo coglievano sempre più impreparato.
«Non sei più triste Shirogawa- san, adesso non potrò più chiamarti “Ragazzo Triste”. Ma bando ai convenevoli, cosa ti porta al tempio?» gli porse un cuscino e, quando entrambi si furono sistemati, Sesshomaru iniziò a parlare.
Le spiegò della sua chiamata, della sua venuta a patti, di aver lasciato il lavoro e di voler iniziare il suo percorso proprio al tempio Higurashi. Kagome nell’avanzare del discorso di lui gli parve sempre più fremente ed entusiasta, ma Sesshomaru non voleva illudersi così si concentrò solo sul come convincerla in caso gli avesse dato una risposta negativa.
«Che ne pensi Kagome- san, credi sia possibile?» la giovane pareva quasi irradiata da una luce sconosciuta, ma nonostante quell’aura la sua voce rimase calma. «Credo proprio di sì, Shirogawa- san. Ma, ti avverto, non sarà semplice» aveva un cipiglio serio negli occhi chiari «Lo so, ma è questa la mia via. Ne sono certo». Kagome sorrise «Bhé, chi sono io per dire di no ad un aiutante che per i primi tempi sarà sotto pagato?» a quelle parole la gioia di Sesshomaru esplose e la prese tra le braccia, sollevandola come fosse stata una bambina e tenendola in braccio come tale.
«Non te ne pentirai Kagome- san, credimi!» e le fece fare un giro, lei ricolma di gioia e rossa in volto lo richiamò all’ordine e gli chiese di metterla giù ma lui era troppo felice per acconsentire alla richiesta. Così, le fece fare ancora un giro e poi un altro, sin quando entrambi, colti da disorientamento, non si ritrovarono lunghi distesi sul tatami.
Scoppiarono a ridere «Certo che ce ne hai messo di tempo» gli fece presente lei, lui si volse a guardarla si rese conto di quanto fosse bella con le guance rosse, gli occhi scintillanti e i capelli sparsi per il pavimento. «Cosa intendi?» le chiese, Kagome scosse lievemente la testa «Niente, solo che il nonno lo sapeva già che questa era la tua strada. Ogni volta che parlava di te finiva sempre col dire: “Altrimenti, perché gli dei lo avrebbero condotto qui; quella notte di anni fa?!”ti amava con tutto il suo cuore. Eri come un nipote per lui» Sesshomaru deglutì «E io amavo Higurashi- san come un nonno, mi pento solo di non essere stato fedele al mio istinto» con la mano ricercò quella di lei, la quale la strinse non appena fu nella sua stretta.
Si guardarono e si fecero più vicini sin quando lo shoji non si aprì con violenza «Sorellina! La mamma ti vuole!» un ragazzino di diciott’anni li stava fissando adesso con fare sornione «Oh, ho forse interrotto qualcosa?» i due malcapitati arrossirono sino alla punta dei capelli, «Sota, non fare l’impertinente» questo sghignazzò «Altrimenti?» chiese con l’arroganza della giovinezza.
«Altrimenti eviterò di cambiare le lenzuola quand-» non riuscì a finire la frase che il fratello gli si era buttato addosso coprendole la bocca. «Okay, okay, ho capito. Non sarò più impertinente, ma ti scongiuro di stare zitta! – poi si voltò verso Shesshomru che era ancora mezzo disteso – la vita con due donne è terribile, non te la consiglio Fratellone!» con quelle parole tutti e tre scoppiarono a ridere.
Sota e Kagome a un certo punto presero a rincorrersi e trascinarono Sesshomaru in quella follia.
Ancora un giro era stato dato al potente ordigno.



[Primavera.] 14 Aprile 2000.

Gli erano cresciuti i capelli, adesso raggiungevano una lunghezza tale che poteva comodamente legarli con un nastro.
Aveva deciso di farseli allungare non appena era venuto a patti con la sua chiamata al tempio, già lo scorso dicembre non erano più propriamente corti ma negli ultimi quattro mesi erano cresciuti come sotto un incantesimo.
Eppure, nonostante quell’aspetto così poco comune che si ritrovava, le donne erano aumentate in maniera esponenziale. Non era insolito che molte ragazzine, donne o bambine passassero “casualmente” dalle parti del tempio per l’acquisto di un Omamori o per scrivere desideri sulle tavolette di legno.
Per i primi tempi sia Sesshomaru che Kagome lo trovarono divertente poi un po’ urtante, infine non vi fecero più caso anzi adesso forse ne ridevano più di prima. Taiga non lo aveva perdonato e ancora non gli rivolgeva la parola, solo Inuyasha lo andava a trovare con i figli appresso, paradossalmente si erano ritrovati e avvicinati con quella folle decisione di Sesshomaru. E gli faceva male vedere quel fratello, da prima tanto odiato, fustigarsi a causa del suo matrimonio.
Kikyo non era fatta per essere madre, Inuyasha se ne era reso conto non appena Ichijo era nato eppure, come i due sciocchi che erano, questo non li aveva fermati nel farne altri tre di figli. Molto spesso visitava il tempio per sfogarsi con Sesshomaru ma la situazione continuava a ristagnare, quest’ultimo non sapeva proprio cosa consigliargli se non un possibile divorzio ma comprendeva per esperienza quanto per i bambini sarebbe stata dura e quanto fosse difficile accettare quella situazione.
Perché, infondo, anche se non bellissimo il rapporto dei genitori; erano pur sempre un’insieme da cui tornare, seppur fatto di litigi continui e urla. Anche quel giorno in cui i bambini si rincorrevano sotto il Goshimboku non fu diverso, le confessioni del minore erano le medesime delle volte precedenti «Non so più cosa fare. E’ diventata umorale, un momento ama i nostri figli quello successivo li odia e mi incolpa di averla messa incinta troppo presto – lo sguardo di Inuyasha rimaneva fisso sui quattro bambini che giocavano – stavo pensando di provare la terapia ma…» scosse la tesa «Rifiuta la cosa come se fosse ancora peggio» Sesshomaru gli pose una mano sulla spalla in segno di conforto.
«Bhé, troppo presto non direi; avevate entrambi più di vent’anni quando Ichijo è venuto al mondo e vi siete sposati a ventisette quando Misa, l’ultima della nidiata, era in dirittura d’arrivo» quest’ultimo annuì con amarezza e fu allora che Sesshomaru prese il toro per le corna. «Inuyasha, hai mai pensato di – prese un respiro profondo prima di buttarsi – divorziare?» si sentì quasi male nel vedere il sorriso amaro del minore, che annuì con triste rassegnazione.
«Credo che giunti a questo punto non vi sia altra via» confermò Inuyasha «Sai – iniziò Sesshomaru – molto spesso si crede che la coppia, seppur con problemi, debba rimanere assieme. Io non ne sono certo, ovviamente ho vissuto male il divorzio dei miei ma questo perché sono venuto a conoscenza di tanti eventi e tutti assieme. Prima fra tutti: l’infedeltà di mio padre e la tua esistenza» era brutto da dire ma sentiva di dover lasciare andare quel peso una volta per tutte, se avesse dovuto scusarsi con il fratellino lo avrebbe fatto ma per il momento; quelle gli sembravano le parole giuste da dire.
«Non è stato semplice. No, che dico, è stato devastante per quel bambino di undici anni ma – si voltò verso Inuyasha, il quale lo guardava con occhi talmente grandi e lucidi da non sembrare neanche umano – tu sei diverso da nostro padre. Spiega ai tuoi figli, falli venire a patti con la situazione nel modo più sereno possibile e, nel mentre, agisci. Ti stai consumando fratello, e questo fa male a te quanto a loro» non voleva ammettere che feriva anche lui ma Inuyasha parve intuirlo.
Così, con gli occhi rossi, lucidi e gonfi di lacrime inespresse annuì per l’ennesima volta in quel giorno.
«Grazie, Sesshomaru. Grazie davvero» disse mentre si mordeva le labbra e cercava di non piangere mentre tornava con lo sguardo sui bambini, Sesshomaru gli strinse una spalla in segno di supporto. Entrambi rimasero fermi a osservare quell’infanzia di cui loro poco avevano goduto.
Dei passi li fecero riscuotere dalla stasi in cui erano caduti, la figura di Kagome si palesò dopo pochi istanti «Oh! Shirogawa- san, Sesshomaru- san» la ragazza aveva preso a chiamarlo per nome da quel giorno in cui le era stato comunicato che si sarebbe buttato anima e corpo nel sacerdozio, cosa che ogni volta faceva battere il cuore dell’uomo ad una velocità preoccupante. Aveva deciso di passare sopra a quel non-bacio e ci era riuscito sino ad allora, ma mentre la guardava parlare con il fratello e concordare con questo su quanto i suoi nipoti fossero energici non ci riusciva.
«Higurashi- san, mi dispiace molto per il comportamento di Miwako – stava dicendo Inuyasha a Kagome, riguardo le azioni della sua secondogenita – Spero non abbia intaccato la cerimonia» la ragazza sghignazzò e Sesshomaru si sentì ardere di gelosia, con lui non sghignazzava anzi.
«Non ti preoccupare Shirogawa- san, Miwako- chan è solo una bambina curiosa. Anche io mi sono intrufolata non so quante volte durante le funzioni che mio nonno svolgeva. E’ una cosa buona che sia così attiva» Inuyasha arrossì e si passò una mano tra i corti capelli neri «Sono desolato comunque» per lui era lo stesso imbarazzante che la figlia fosse piombata proprio al centro di una stanza urlando: “Oddio che carina, posso averla?!” per quanto riguardava un coppa d’oro dedicata alla dea Amaterasu.
Lei gli strinse una mano «Tranquillo non è accaduto nulla d’irreparabile, c’eravamo solo io e Sesshomaru- san a svolgere la funzione» a quel gesto Sesshomaru non resistette più e si avvicinò a lei «Kagome- san, vorrei parlarti. In privato» la ragazza corrugò le sopracciglia e sciolse quel tiepido contatto che aveva avuto pochi attimi prima con Inuyasha, Sesshomaru non si comportava mai in modo infantile ma in quel momento non gli riusciva altrimenti.
«Va bene, fammi strada. Arrivederci Shirogawa- san, salutami i bambini» disse lei prima di passare avanti all’uomo che ricercava appello, Sesshomaru si voltò e vide Inuyasha trattenere a stento le risa per poi mimargli: TI. PIACE.
Il maggiore si limitò a sorridergli e fargli il gesto del vai a quel paese, per poi seguire la ragazza che lo aveva già distanziato di parecchio. Camminarono in silenzio sin quando quest’ultima non si girò un po’ confusa e spazientita «Sesshomaru- san, di cosa volevi parlarmi?» a quelle parole Sesshomaru arrossì lievemente, l’unica cosa che aveva pensato in quel momento era allontanarla dal fratello il più in fretta possibile e se fosse dovuto arrivare a prenderla come un sacco di patate lo avrebbe fatto.
Ma ora, con la consapevolezza del suo gesto si ritrovava senza parole e spiazzato dalla sua immaturità e pensare che di relazioni ne aveva avute, si fermò e con lui lei.
«Ecco – provò a iniziare un qualsivoglia discorso con un capo e una coda – Io...» si passò con imbarazzo la mano sul collo, strofinandolo abbastanza con vigore da arrossarlo, Kagome, visto il gesto che non accennava a placarsi gli si fece vicina e gli afferrò il polso. Il cuore di lui parve prendere velocità come uno di quei treni sulla linea Nambuko della metropolitana «Se continui così ti farai venire uno sfogo» disse lei e rendendosi conto della vicinanza arrossì lievemente e fece per allontanarsi ma Sesshomaru la trattenne per la vita portandosela più vicina che mai.
«Se-Sesshomaru- s-san?» balbettò; ma non accennò né a volersi staccare né di odiare quel contatto decisamente intimo, i due si guardarono negli occhi per qualche minuto che ad entrambi parvero ore.
«Ti prego, non... – indugiò lui – non avvicinarti ad altri uomini» sapeva di non avere diritto di recriminarle nulla e di vietarle altrettanto ma quella sua gelosia gli faceva compiere atti sciocchi, dati soprattutto dalla sua incertezza. Il meccanismo che era stato caricato mesi addietro parve contrarsi di fronte allo sguardo spaesato di Kagome «Cosa?» chiese, mentre le gote le si accendevano di una differente sfumatura di rosso.
Sesshomaru chiuse gli occhi per una frazione di secondo, corrugò le sopracciglia e quando li riaprì vide la ragazza con gli occhi lucidi «Mi dispiace. – fece per lasciarla, ma lei si tenne a lui come fosse stato una scialuppa di salvataggio – Lo so che non ho diritto di chiederti niente ma…» si chiese che cosa stava facendo, ma era troppo tardi per tirarsi indietro «Mi da fastidio. Sono mesi, se devo essere sincero, che penso a te. Prima era solo un inframezzo in mezzo alla dissonanza del lavoro ma dall’inverno scorso» gli sguardi di entrambi si fecero più intensi «Non faccio che pensare a te».
A quelle parole la ragazza lo trasse a sé e unì le loro labbra, quando queste si trovarono l’ordigno che per molto tempo era stato caricato, quasi con diligenza dai vari casi del destino, esplose con ferocia; devastando non solo la persona di Sesshomaru ma anche quella di Kagome. Non rimase un bacio casto allungo, la lingua di lui chiese asilo alle labbra di lei che gli concessero l’accesso. Le mani grandi di Sesshomaru si spostarono dalle guance al collo, e dal collo alla vita stringendola, plasmandola a sé, sentendone tutta la morbidezza. La sollevò e iniziò a camminare alla cieca per poi fermarsi per riprendere sia fiato che l’orientamento, avevano il fiatone e le loro pupille erano divenute grandi come piattini.
«Ce ne hai messo di tempo» gli fece presente lei, posando la fronte su quella di lui, Sesshomaru sorrise «Sì, ce ne ho messo di tempo» Kagome gli sorrise in maniera maliziosa e suadente.
«Siamo vicino il pozzo – con un cenno della testa gli indicò la pagoda – hai intenzione di agire o rimaniamo qui?» il ragazzo sorrise come non mai, chi lo avrebbe mai detto che quella ragazzina così composta fosse così sfacciata?! Certo, sapeva che era diretta e non le mandava a dire ma questo… Era un problema perché sentiva i boxer sotto i pantaloni da sacerdote divenirgli stretti, ma per quanto vi fosse disagio voleva prima essere sicuro di una cosa così procedette.
«E tu?» gli chiese, non aggiunse altro sapeva che lei avrebbe compreso e di fatti il suo eccitamento divenne subito lieve, le sue labbra rosse di baci presero una piega più morbida e gli occhi brillarono di sentimento.
«Anche io ce ne ho messo di tempo. In verità, mi sei piaciuto dalla prima volta che ti ho visto» Sesshomaru sorrise e scosse la testa «Guarda che è vero! - lo colpì bonariamente con uno schiaffetto sulla spalla – Avrò avuto solo otto anni quando ti ho visto l’ultima volta ma mi piacevi un sacco già allora!» a quelle parole Sesshomaru la fece scivolare un po’ su di sé, la sua voce più profonda e gli occhi da predatore «E ti piaccio ancora?» le chiese, facendole sentire la sua virilità premuta sul suo sesso.
Kagome, rossa in volto gli rispose «No, non mi piaci soltanto» lui annuì «Bene, perché anche tu non mi piaci soltanto» e dette queste parole ripresero a baciarsi e, con non poca fatica, si rintanarono nella pagoda finalmente liberi di dare sfogo al loro sentimento.



[Estate.] 18 Giugno 2008.

«Emiko, ti prego sta attenta potresti farti male!» la voce di sua moglie lo fece ridere, cosa che a questa non fece piacere.
«Ah, ridi, ridi. Poi ti voglio proprio vedere quando inizierà a piangere disperata» le guance di Kagome si gonfiarono come fosse stata una bambina a sua volta.
Non resistette, le prese il volto tra le mani baciandole le gote e facendola scoppiare a ridere «Smettila, sto cercando di essere scocciata con te!» al ché lui le baciò le labbra e l’attrasse a sé posandole un braccio sulle spalle, erano sposati da sei anni e da tre anni erano divenuti genitori di una splendida bambina: Emiko.
La piccola era il perfetto mix dei suoi genitori, aveva preso da Sesshomaru il colore dei capelli e il taglio degli occhi e da Kagome il viso a cuore e il colore delle iridi oltre che la turbolenta personalità. Sesshomaru sapeva già che quando sarebbe divenuta grande abbastanza lo avrebbe ucciso di preoccupazione, ma in quel momento non voleva pensare a quanti cadaveri avrebbe occultato nella sua vita.
«Lo stai facendo ancora – lo richiamò a sé Kagome – Stai di nuovo pensando a quanti ragazzi dovrai ammazzare!» le guance di lui si colorarono di un rosa pallido e si strinse nello yukata di cotone grigio, con il passare degli anni erano divenuti sempre più bravi a capirsi con un solo sguardo e questo tal volta era fonte di imbarazzo.
Soprattutto per lui, che da quando gli era nata la figlia i pensieri volti al futuro lo vedevano più che un sacerdote shintoista, un killer di professione.
Kagome gli tirò la lunga coda di capelli per mero dispetto, oltre che per sentirne la serica consistenza «Sta tranquillo, lo sai che saremo insieme anche allora» quando i loro sguardi si incontrarono si sorrisero complici. La mano di lui andò poi a posarsi sul ventre prominente di lei. Erano in attesa del loro secondogenito e non vedevano l’ora di stringerlo tra le braccia «Oh, ti ha fatto male?» chiese Sesshomaru vedendole stringere i denti, il bambino scalciava come un forsennato la maggior parte delle volte e creava alla madre non pochi dolori. Kagome annuì per poi riprendere a controllare la figlia che poco distante giocava con la corda, muovendola come più le aggradava.
«Sta tranquilla, se cadrà non sarà grave» le disse Sesshomaru mentre la stringeva ancora più a sé e tentava di calmare il figlio all’interno della pancia di lei con lievi carezze da sopra le vesti di sacerdotessa.
Kagome sospirò, corrugando le sopracciglia «Lo so, solo che non mi piace vederla stare male» lui annuì, comprendeva le sue paure ma sapeva anche che non avrebbero potuto comunque vietarle di esplorare «Tranquilla, saremo insieme anche per quei momenti che non ci piaceranno tanto».
Posò la testa sulla sua e ispirò il profumo dei capelli di lei e spostò la mano dal ventre al palmo d’ella, la quale lo strinse con partecipazione «Lo sai, mi ricordo ancora quando ti vidi per la prima volta. Un ragazzino di quattordici anni arrabbiato e triste, mi facesti subito tenerezza chi l’avrebbe mai detto che fossi la mia metà» Sesshomaru sorrise «Higurashi- san lo sapeva» Kagome si staccò per guardarlo in volto «Ma dai, non ti ricordi cosa ci disse?!» le chiese con fare un po’ sconvolto, quando il ricordo le tornò alla mente iniziò a ridere «Ahhh, nonno, nonno» disse lei «Già» confermò lui e proprio in quel momento sentirono un tonfo e un pianto di bambina.
«Ecco – iniziò Kagome, alzandosi con un po’ di fatica dal percorso in legno che si affacciava dalla casa – lo sapevo che si sarebbe fatta male» e con un andatura un po’ ondeggiante si diresse verso Emiko.
Sesshomaru rimase un secondo a contemplarle, per poi raggiungerle con un sorriso pacifico in volto.
Sì, si ricordava ancora di quando la vide per la prima volta, solo non avrebbe mai immaginato quanto sarebbe stato felice dopo quell’incontro.


[Fine.]
 
 

 

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Significato dei Nomi:

Fumihiro - Grande Condanna
Hana - Fiore
Ryuji - Drago
Misa - Donna di Fuoco
Miwako - Il Segreto del Sangue
Emiko - Bimba Bella


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Citazioni all'interno del capitolo:

Matsuri - Festa tradizionale estiva che si svolge principalmente verso i mesi Giugno/Luglio. Io mi sono ispirata a quello che si svolge a Kyoto nel mese di Luglio.
Torii - Sono le strutture che si trovano davanti le scalinate dei Jinja (i tempi shinoisti) o più semplicemente ad aree sacre. Sono tradizionalmente fatti di pietra o legno la cui struttura è composta da due colonne che sorreggono una trave orizziontale, solitamente il colore che è più riconoscibile è il rosso.
Portachiavi con il cane bianco - Altro non è che un piccolo riferimento alla vera forma di demone sia di Sesshomaru che di Taiga, il padre dei ragazzi.
Chozuya - Sono delle strutture poste all'interno del tempio per eseguire la purificazione prima della preghiera.

Kakigori - E' molto simile alla nostra granita, è composta principalmente da ghiaccio tritato con sopra uno sciroppo dolce.
Omikuji - Sono in verità foglietti sui quali vi sono scritte delle predizioni che si raggruppano solitamente in: Grande Fortuna, Mezza Fortuna, Grande Sfortuna o Malasorte. Molti fedeli li piegano e poi li legano a dei fili appositi messi a disposizione dal tempio, oppure ai rami di un albero.
Half o Hafu - Sono chiamati così le persone che hanno uno dei due genitori straniero e che godono della doppia cittadinanza fino al compimento della maggiore età, giunta la quale devono decidere se tenere la cittadinaza giapponese o quella del genitore straniero. In caso scegliessero quella del genitore non giapponese sono costretti a farsi fare un visto per poter rimanere in suolo nipponico.
Hakama - Sono le vesti che i sacerdoti Shintoisti portano durante le festività come i Matsuri.
Eboshi - E' il cappello nero che indossano i sacerdoti assieme all'Hakama, anche questo è un elemento tradizionale imprescindibile durante i vari eventi che si tengono. 
Erhu - E' uno strumento musicale di origine cinese a due corde e che è paragonabile al nostro violino anche se mooolto alla lontana. E' molto difficile da suonare e solitamente viene accordato con una chiave differente per ambo le corde che ha. Ma vi assicuro che è meraviglioso, la musica che è capace di fare ti fa commuovere come non mai, questa qui è la sua forma.
Shoji - Altro non è che la parete a scorrimento che si vede spesso negli anime, fatta di legno e di un materiale semitrasparente per schermare il sole.
Tatami - E' la tipica pavimentazione di quasi tutte le strutture di un certo periodo, presenti specialmente nei tempi o nelle case tradizionali. E' intesa anche come unità di misura per gli appartamenti, ma qui è semplicemente il pavimento della sala di preghiera.
Linea Namboku - La linea della metropolitana chiamata Namboku fu aperta al pubblico nel 1991 ed è conosciuta anche come Linea 7 e porta da Meguro a Akabane - Iwabuchi. Il suo colore distintivo è lo Smeraldo. L'ho voluta citare perché il colore è lo stesso di quelli di Kagome (per chi non lo sapesse nell'opera originale, non l'anime, la ragazza ha gli occhi verdi) e in più il Sette è un numero fortunato. Diciamo che è stato una sorta di "Buona Fortuna" che ho inserito per i protagonisti.
Omamori - Sono dei talismani che, a seconda delle occasioni, dovrebbero portare fortuna e sono venduti all'interno dei tempi.
Inuyasha e Kikyo Figli - La coppia nella mia storia ha quattro figli che sono: Ichijo, Miwako, Itsuki e Misa. Non l'ho nominato nella storia ma sappiate che c'è e il significato del suo nome Itsuki
 è "Albero di legno".
Ichijo - Il primo nato di Inuyasha e Kikyo ha il nome del sessantaseiesimo imperatore giapponese, non sono riuscita  trovare il vero e proprio significato ma ho voluto mettervi comunque qui una spiegazione.
Amaterasu - E' la dea giapponese del sole e la terra inerente la religione shintoista, conosciuta anche come "La Grande Dea che Illumina i Cieli". 
18 Giugno 2008 - E' stato il giorno in cui usciva l'ultimo volume di Inuyasha, dichiarando quindi concluso una delle serie della Takahashi.



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L'angolo Dell'Autrice:

Ciao! 
Come dicevo anche in molte altre storie eccomi di nuovo qui, è un ciclo che compie il suo giro e ritorna sempre al punto. Infatti questa è una storia un bel po' differente rispetto alle mie altre che ho dedicato al fandom, insomma finisce bene dài! Scherzi a parte, l'ho scritta non appena ho riavuto il mio amato pc tra le mani dopo giorni che era a riparare, e non so mi da tantissimo l'idea di cozy e in qualche modo confortevole. Lo so, per chi ama il personaggio di Sesshomaru il vederlo così espressivo, forse, vi farà storcere il naso ma vi assicuro che ho tentato di rimanere il più vicino al carattere dell'originale. Solo che via via che scrivevo si è evoluto con la storia, credo che delle molte narrazioni fatte su questo fandom questa sia la migliore che abbia scritto. Non ci sono tragedie, morti gloriose o altro ma la trovo adatta a chi ha bisogno un po' di consolazione alla fine, oltre che commozione. Perché a me ha commosso effettivamente, ho in cantiere anche una long-fic su Inuyasha (la cosa un po' mi spaventa perché non ho mai fatto storie più lunghe di un capitolo riguardo a questo contesto) che spero di concludere prima di pubblicare, oltre che la mia storia su Min Yoongi che, anche quella, è in fase di stesura. Insomma che dire: questo manga e anime (NON QUELL'ORRORE CHE CHIAMANO SEGUITO) è la mia anima, la mia casa, il posto in cui torno sempre più volentieri e amo con tutta me stessa. Inuyasha e i suoi personaggi sono parte della mia infanzia (perché sì, sono vecchia ragazzi) e mi ha accompagnato sino ad oggi, che faccio rewatch e rileggo la storia oltre che le molte fan fiction a lui dedicate. E' la mio posto sicuro e credo che in questa storia vi si rispecchi molto di questo sentimento, in più mi è piaciuto molto parlare di un sentimento che sboccia ma con i suoi tempi e non subito, a prima vista come ero solita fare.
Insomma, tutto questo per dichiarare ancora il mio amore infinito per questa serie e per questa storia in particolare, grazie a chiunque leggerà questa ennesima versione della mia coppia preferita: SesshomaruXKagome e per chi, se vorrà, lascerà una recensione. Sappiate che questo mini viaggio me lo sono goduto sino alla fine e spero sia stato lo stesso per voi, ci vediamo in una prossima storia!
Vi auguro una magica giornata, un bacio:
zero2757

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