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Autore: lolloshima    08/10/2023    0 recensioni
Quanto vale una medaglia? Quanti sacrifici si possono fare per vincere? E cosa resta, se la medaglia ci sfugge dalle mani? Lo sa bene Shoyo Hinata, costretto ad abbandonare il campo durante i quarti di finale del torneo interliceale primaverile.
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Questa storia partecipa alla challenge #writober indetta dal gruppo facebook Quelli di Fanriter.it
GIORNO 8 - PROMPT: MEDAGLIA
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shouyou Hinata, Yachi Hitoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se l’era sognata mille volte, l’aveva avuta davanti agli occhi ogni momento, qualunque cosa facesse, l’aveva sentita tra le mani, stretta, ne aveva accarezzato la superficie fredda, seguendo con le dita le figure stampate in rilievo, ne conosceva a memoria foggia e colore.

Ne aveva annusato l’acre odore metallico, avrebbe giurato di conoscerne anche il sapore sulla lingua, ferroso, eppure così dolce.

Ne conosceva il peso, la sensazione che provocava tenerla sul palmo aperto della mano, oppure percepire il nastro di tessuto teso intorno al collo.

Ne aveva fissato in testa ogni dettaglio, anche se non l’aveva mai vista.

Era così sicuro, così certo di poterla conquistare, che non gli era mai venuto nessun dubbio su quali fossero le sue caratteristiche fisiche, e l’effetto che avrebbero avuto su di lui.

Eppure in quel momento, mentre attraverso la coltre umida dei suoi occhi gonfi guardava sullo schermo di un tablet la palla toccare il terreno, quando vide il suo capitano alzare il volto verso il soffitto e sospirare a occhi chiusi, quando vide i suoi compagni abbracciarsi commossi e sfiniti, quando notò Kageyama che lo fissava attraverso la telecamera con quello sguardo stremato destinato solo a lui, capì che era tutto finito.

L’arbitro fischiò tre volte, la partita era terminata, così come il percorso del Karasuno al torneo primaverile.

La medaglia, che lui tanto aveva bramato e desiderato, era persa.

Seduta accanto a lui, sulle sedie scomode della sala d’aspetto dell’ospedale, Yachi portò una mano alla bocca. Non sapeva cosa dire. Non c’era nulla da dire. Continuò a sorreggere il tablet davanti agli occhi di Hinata, arrossati per la febbre e per le lacrime che continuavano a scendere incessanti in quel volto sconvolto, e che si mischiavano al sudore e a qualsiasi altra secrezione trovasse il suo sfogo sotto la mascherina chirurgica.

Il Karasuno era schierato per il saluto, per rendere omaggio a una squadra che si era dimostrata più forte e meritatamente aveva strappato l’ultimo set agli avversari.

Il pubblico applaudiva indistintamente entrambe le squadre, i commentatori televisivi spendevano parole entusiastiche per i giocatori che stavano per lasciare il campo, preannunciando le future partite utili per guadagnare la finale del torneo.

Un senso di nausea lo colpì al centro dello stomaco. Tutto era finito.

Non avrebbe più giocato con Daichi, non avrebbe più ricevuto alzate da Sugawara, non sarebbe più stato in competizione con il loro asso, Asahi. Shimizu non sarebbe stata più la loro manager.

Avevano perso, e tutto era finito.

La medaglia del torneo nazionale primaverile, che sentiva così reale, così vicina, era stata solo un sogno, e quel sogno era finito.

Cosa gli rimaneva di quell’esperienza?

Non aveva ottenuto nessuna medaglia. Eppure…

In pochi mesi era cresciuto tantissimo.

Aveva migliorato la sua tecnica, aveva imparato a saltare più in alto, a colpire la palla ad occhi aperti, a lottare in aria. Aveva avuto l’opportunità di allargare la sua visione, di guardare il campo in tutta la sua ampiezza, e da ogni punto di vista. Aveva addirittura imparato a ricevere, e non solo in bagher! Aveva raggiunto livelli che fino a pochi mesi prima erano impensabili per lui.

Ma non era cresciuto solo a livello sportivo.

Aveva superato ostacoli che sembravano insormontabili, aveva conosciuto la fatica, il sacrificio, aveva lottato e perso, e si era rialzato.

Aveva scoperto cosa voleva dire avere dei compagni, affidarsi a loro, anche a quelli che a prima vista sembravano molto antipatici e arroganti. Aveva dato tutto se stesso e aveva condiviso tutto, gioie e dolori, soddisfazioni e delusioni, con loro. E poi, aveva incontrato Tobio. La parte mancante della sua anima, prima ancora che un giocatore eccezionale, che gli aveva letteralmente cambiato la vita.

Un pezzo di metallo non era niente in confronto.

Non era vero che era tutto finito. Questo era solo l’inizio.

Nella sala d’aspetto gremita dell’ospedale, febbricitante e in lacrime, Hinata Shoyo non potè far altro che alzarsi e inchinarsi davanti al tablet, così come stavano facendo i suoi compagni schierati sul campo di gioco. Tra le mille parole che si affollavano nella sua testa, una sola gli si insinuò nel cuore, e crebbe a tal punto fino a farlo quasi scoppiare.

C’era solo una cosa da dire, e la disse insieme ai suoi compagni, a voce alta, quasi fosse un grido liberatorio: “Arigatou Gozaimazu!”

   
 
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