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Autore: Vibesbygin    12/10/2023    0 recensioni
"Quell’attimo in cui il sole tramontava, quei pochi minuti in cui si vedeva quella sfera incandescente svanire tra i palazzi della città di Tokyo erano colti da occhi profondi. Ammiravano quel panorama, non direttamente rivolti al sole tale da accecarli, con un’indifferenza non a caso. Inconsciamente ammiravano la bellezza del sole svanire, ma non erano colpiti dalla meraviglia di quella vista; erano persi in un mare invisibile di pensieri."
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quell’attimo in cui il sole tramontava, quei pochi minuti in cui si vedeva quella sfera incandescente svanire tra i palazzi della città di Tokyo erano colti da occhi profondi. Ammiravano quel panorama, non direttamente rivolti al sole tale da accecarli, con un’indifferenza non a caso. Inconsciamente ammiravano la bellezza del sole svanire, ma non erano colpiti dalla meraviglia di quella vista; erano persi in un mare invisibile di pensieri.

Da un punto di vista esterno quello sguardo era decifrabile senza ombra di dubbio. La totale mancanza di attenzione per il mondo esterno era sintomo di quel modo di smarrirsi in qualcosa non accessibile a chi ne stava al di fuori. Atsumu si domandò subito, chissà a cosa stesse pensando il ragazzo accanto a lui per essere così perso nella propria mente. Infondo era stato lui a proporre di vedersi dopo il torneo e di prendere qualcosa da bere e sedersi sugli scalini più alti di una gradinata di un antico tempio. Come al suo solito non aveva aperto bocca, normale pensò l’alzatore, ma si accorse presto che c’era qualcosa di strano nel suo silenzio. Non era un silenzio timido o comunque attento, come un gatto che anche se zitto percepisce ogni rumore o movimento attorno a sé, ovvero un silenzio osservatore. Questa volta però non era nulla del genere. Non c’era, la sua mente era altrove in un altro luogo forse con qualcun altro, probabilmente sé stesso, a pensare a chissà che cosa.

Atsumu, che fin’ora aveva scelto anche lui il silenzio, pensava che sarebbe stato meglio interrompere qualsiasi cosa stesse succedendo nella testa dell’altro. Si sentiva quasi geloso che lo avesse escluso del tutto in una possibile conversazione con sé stesso. Teneva tra le mani la lattina di soda che avevano comprato prima ad un distributore automatico, ne beveva ogni tanto un sorso mentre vedeva come quella dell’altro non era mai arrivata alle sue labbra. Quella curiosità di sapere a cosa stesse pensando lo stava divorando.

<< Posso sapere a cosa stai pensando o è un segreto? >> domandò tagliente il biondo mentre schioccò le dita davanti allo sguardo perso dell’altro.

Sakusa sussultò dall’inaspettata domanda e finalmente i suoi occhi acquisirono nuovamente quel luccichio di coscienza che aveva perso prima. Era tornato nel mondo reale, mise a fuoco l’immagine della luce del sole soffocata dietro ai palazzi e quando voltò lo sguardo si ricordò della presenza di Atsumu. Che gli aveva chiesto? Sicuramente si era accorto che stesse pensando a qualcosa e non aspettava altro che sapere a che cosa. Certo, il pensiero di dover condividere le proprie riflessioni con qualcuno gli dava molto fastidio, infondo erano personali e non voleva dirle a nessuno. Tuttavia se aveva invitato Atsumu ad uscire c’era un motivo nascosto.

Di solito ad iniziare una conversazione era Atsumu, avrebbe potuto parlare di qualsiasi cosa senza problemi, era una delle sue peculiarità. Quel giorno però sentiva come se qualsiasi cosa avesse detto, Sakusa non lo avrebbe ascoltato sul serio. C’era di sicuro qualcosa sotto che non andava, il suo comportamento era strano e voleva capire cosa lo rendesse così cupo.

<< Riguarda il torneo? La tua squadra? La partita di oggi? >>

Si potevano definire conoscenti, forse anche amici, ma di certo la parola che più descriveva il loro rapporto era “rivali”. Di due squadre diverse, non condividevano nulla se non le partite in cui giocavano l’uno contro l’altro, e di certo contavano tanto quanto il tempo che due compagni di squadra trascorrono. Non si sopportavano, spesso finivano col discutere solo per la diversità dei propri caratteri, altre volte invece, quando la pallavolo veniva messa da parte, riuscivano ad andare d’accordo come due amici. Nessuno dei due però utilizzava quella parola per definirsi; per esempio quando Osamu chiede ad Atsumu chi fosse quel ragazzo alto dell’Itachiyama, l’alzatore non faceva altro che rispondere semplicemente “Sakusa”, senza un aggettivo per descriverlo. Stessa cosa accadeva tra il moro e il cugino.

Tornando a noi, Atsumu aveva cominciato ad elencare tutti i possibili argomenti che non lasciavano in pace la mente di Sakusa. Una cosa che quel ragazzo non sopportava però era le persone insistenti.

Come il coperchio di una pentola intento a contenere gli schizzi, Sakusa si era lasciato scappare le parole di bocca.

<< Non riguarda la pallavolo. >> uscirono schiette, affilate come lame, si stupì di come le parole uscirono da sole, ma ormai il danno era fatto. << Insomma… non del tutto. >>

La curiosità di Atsumu accrebbe da quel poco che era riuscito a comprendere dall’altro. Lo guardava sperando di potergli leggere la mente e capire cosa lo turbava così tanto.

<< Cosa riguarda? >> provò a chiedere senza scendere nel dettaglio, senza voler risultare troppo invadente in qualcosa così intima come i pensieri. Anche perché aveva capito che quell’insistenza non era piaciuta all’altro.

Non era così semplice, non era nemmeno facile spiegarlo a parole. Sakusa aveva anche paura di risultare matto o scemo nel dire quello che lo preoccupava. Non ne aveva parlato con nessun altro prima, né con un familiare né con un amico, ovvero suo cugino. Non aveva detto niente a nessuno, eppure quel pensiero lo stava lacerando da dentro. Era un tormento in cui non trovava pace con le proprie forze, e forse in nessun altro modo.

Da ciò che avrebbe raccontato si aspettava le risate di Atsumu, immaginava che non lo avrebbe mai preso sul serio. Gli occhi dell’alzatore però smentivano quel pensiero sciocco. La sua domanda non si era nascosta tra un sorriso o una risatina, ma era stata posta con un briciolo di serietà. Qualsiasi cosa stava disturbando Sakusa, Atsumu la prendeva sul serio.

Con quegli occhi rivolti verso di lui, Sakusa si sentì in dovere di rispondere a quella domanda. Prima però distolse lo sguardo dall’altro.

<< È solo che… non è facile decidere il proprio futuro. >>

Inizialmente Atsumu pensava di non aver sentito bene, ma capì presto che aveva sentito benissimo. Rimase comunque un po’ perplesso a quelle parole, dette così quasi come se da ciò potesse capire benissimo quello che Sakusa provava. Ovviamente avevano il loro significato nascosto.

<< È l’ultimo anno di scuola, l’anno prossimo dovremo cominciare l’università e da quella scelta ne dipenderà il nostro futuro. >>

Seguì un momento di silenzio in cui Sakusa non riusciva a trovare le parole, mentre Atsumu si sentì sospeso in aria cercando di analizzare il senso di quel discorso. Non perché non lo comprendeva, ma perché voleva capirlo meglio.

<< Com’è… >> le parole si incastravano in gola << Come si può scegliere? Come faccio a sapere qual è la scelta giusta? >>

Da quelle ultime parole il silenzio tra loro prolungò, l’unico suono che lo interrompeva era il rumore delle macchine che attraversavano la strada giù dalla gradinata. Il silenzio che prima aveva infastidito Atsumu adesso aveva avvolto entrambi, quel silenzio pensieroso che li portava lontano da quella realtà. Questa volta il motivo di quel silenzio era perché Atsumu voleva davvero capire, immedesimarsi in quei pensieri. Non voleva però rimarcare quella distanza tra di loro, perciò evitò di isolarsi troppo nelle proprie riflessioni e decise di farle uscire anche senza riformularle.

<< Io penso… >> esordì con un briciolo di timidezza, come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato << Credo che non esista una scelta giusta. >>

Sakusa voltò subito lo sguardo e la propria attenzione verso il ragazzo accanto a lui. Si sentì ascoltato, interessato a qualsiasi cosa avesse da dire l’altro. Non ne aveva parlato con nessuno, aver detto quelle parole ad alta voce era come aver urlato a squarciagola le sue paure intime ed in quel modo si era sentito più libero. Adesso voleva aggrapparsi ad ogni singolo pensiero di Atsumu, giusto per trovarne conforto.

<< Insomma, nessuno conosce il proprio futuro. Tutti quelli che finiscono la scuola e cominciano l’università lo fanno perché vogliono aspirare a qualcosa di migliore ecco… si, ma ciò non vuol dire che sia la scelta giusta. >>

Quel conforto cominciava a vacillare davanti all’incomprensione di Sakusa in quelle parole.

<< Voglio dire! >> urlò Atsumu cercando di riordinare i propri pensieri e riformulare meglio le parole << Che qualsiasi scelta si prenda, non è mai detto che sia quella giusta. Nessuno lo sa, nessuno ha il futuro scritto, sei tu che gli dai forma. >>

Quel sentimento, si, quel conforto infondo c’era. Per quanto Sakusa avesse mille dubbi e non trovasse del tutto sollievo in quelle parole, sentiva conforto in quell’intero discorso. Finalmente era riuscito ad aprirsi, finalmente ne stava parlando con qualcuno. Ed era confortevole, seppur inusuale, che quel qualcuno che stesse provando in tutti i modi a dire la sua era Atsumu.

<< Come faccio però… >> pensò ad alta voce Sakusa, ormai non aveva più paura di esprimersi << Come posso dare forma ad un futuro che non mi immagino nemmeno? Non so cosa voglio diventare, non so che lavoro mi piacerebbe fare o se riuscirò a continuare con la pallavolo. >>

Quell’ultima frase colpì molto Atsumu, forse perché si sentiva coinvolto in qualcosa che riguardava anche lui. Rispetto a Sakusa, il biondo poteva dire di aver immaginato il suo futuro e di essere fermamente convinto di quel percorso. Diventare un atleta professionista di pallavolo, entrare a far parte della nazionale giapponese. Il suo futuro era questo e avrebbe fatto di tutto per farlo avverare. Si stupì molto di non sentire lo stesso da Sakusa.

<< Pensavo che volessi diventare un atleta professionista. >> domandò quasi preoccupato del contrario.

<< Sì. >> la risposta arrivò immediata, tanto da far tirare un sospiro di sollievo ad Atsumu << Ma voglio anche andare all’università. In questo modo però potrei dare più importanza ad una che all’altra, e se poi non riesco a farle combaciare? >>

Immaginare un percorso del genere faceva subito intendere che non doveva essere facile. Infondo però la vita era questo, era una sfida continua e non filava mai liscia come l’acqua. Ti poneva davanti diverse sfide, alcune più difficile di altre, alcune impossibili da superare, ma proprio nel momento in cui non si riusciva a superare quella sfida che si scopriva la propria forza. La forza di rialzarsi, di ripartire da quella sconfitta e apprenderla come motivo di crescita. Infondo era un concetto simile a quando si perdeva una partita di pallavolo, bisognava sempre trovare il modo di rialzarsi e di migliorare.

<< Questo non puoi saperlo. >> rispose seriamente Atsumu, coinvolto ancora di più in quel discorso << Lo scoprirai con il tempo, ma sono sicuro che se vuoi fare entrambe le cose riuscirai a dare la giusta importanza ad entrambe. >>

Finalmente Sakusa riuscì a trovare sollievo in quelle parole, si sentì appagato di avere qualcuno al proprio fianco che lo ascoltasse e cercasse di aiutarlo. Aveva ragione, in quel momento non poteva saperlo. Non poteva pensare a come potesse andare il proprio futuro, doveva solo fare in modo di viverlo e di perseguirlo come lui voleva. Doveva capire che sicuramente non sarebbe stato facile, ma ciò non significava che fosse impossibile.

Per quanto quel briciolo di sollievo aiutò il ragazzo a sentirsi più leggero, ciò non eliminava del tutto quella sensazione di vuoto che sentiva dentro. Perché infondo si, sapeva che l’università sarebbe stata parte del proprio futuro, ma c’era sempre quel problema che sentiva come una corda legata al piede: non riusciva ad immaginarlo.

<< Sai >> quella parola scappò da sola dalle sue labbra, acquisendo l’attenzione dell’alzatore << Mia madre vorrebbe che andassi a studiare ingegneria l’anno prossimo. >>

Atsumu percepì quelle parole dette con rassegnazione. Capì subito che la volontà della madre di Kiyoomi non fosse la sua.

<< E tu cosa vorresti studiare? >>

In risposta automatica Sakusa contrasse il viso in una smorfia.

<< Non lo so. >>

Forse era quel “non lo so” a non far vivere tranquillo il moro. Il vuoto di non sapere cosa fare nella propria vita, di non riuscire a vedersi ipoteticamente in un futuro immaginato. Quella sensazione di non riuscire ad incastrarsi bene nei meccanismi della società, a non avere uno scopo nella vita se non quello di continuare a vivere, anche se nell’oscurità. Una sensazione che Atsumu non invidiava, non voleva immaginare di provarla. Però, in quelle parole non ne vedeva qualcosa di negativo, ma più un aspetto umano. Una paura giustificata da quel senso di responsabilità che ci riguarda tutti.

Calò nuovamente il silenzio e questa volta Atsumu non fece nulla per fermarlo. Si lasciò trasportare per qualche minuto nei pensieri, perché si rese conto solo adesso che non doveva essere stato facile per Sakusa. Chissà da quanto tempo si portava dietro un peso come questo, chissà se persino nelle partite del torneo un pensiero del genere era riemerso e l’aveva deconcentrato per qualche istante. Come aveva fatto a convincerci per tutto questo tempo, ne aveva parlato con qualcuno o era il primo a cui aveva confidato questi pensieri? Come doveva essersi sentito durante tutto questo tempo? L’unica risposta che veniva in mente ad Atsumu era semplice: solo. Doveva essersi sentito solo, se non ne aveva parlato con nessuno probabilmente aveva lasciato che quei pensieri e quelle preoccupazioni lo tormentassero fino a quel momento, era rimasto solo a combatterle. E subito al pensiero del suo rivale lasciato solo a combattere i demoni, Atsumu si sentiva in dovere di unirsi a lui in quella battaglia e voleva fargli sentire che non era più da solo.

Istintivamente, avvolto in quei pensieri, Atsumu prese la mano di Sakusa. A quel gesto il moro, ignaro di quanto l’altro si fosse immedesimato in quel discorso, ne rimase pietrificato, volse subito lo sguardo su quelle mani e sentì il battito cardiaco cominciare ad accelerare, forse per la misofobia o forse perché non era abituato. Non riuscì a comprendere il motivo di tale gesto, ma non lo percepì in maniera negativa, anzi riuscì a sentirlo come una specie di aiuto.

<< Qualsiasi scelta prenderai potrebbe essere quella giusta, o molto probabilmente quella sbagliata. Se fosse quella sbagliata però non dovrai prenderla come una condanna, prendila più come un motivo di crescita. >>

<< Come una partita di pallavolo. >> riuscì a dire sovrappensiero Sakusa.

In risposta Atsumu sorrise. Una delle cose che avevano in comuni era proprio questa, la pallavolo. Era grazie alla pallavolo che si erano conosciuti, che condividevano almeno una passione e tramite essa riuscivano a comprendersi. Perché si, per entrambi la pallavolo funzionava in quel modo. C’erano delle volte in cui si vinceva, altre volte invece si perdeva ed era proprio in quei momenti che bisognava rialzarsi ed imparare dai propri errori. Quindi era così che funzionava la vita? Sakusa si sentì un po’ sciocco a non averci pensato prima.

Riflettendo sulle parole di Atsumu, senza pensare troppo profondamente, Sakusa non riuscì a trattenere un leggero sorriso che si tramutò presto in una risata. A quel comportamento inaspettato l’alzatore sentì il proprio sguardo catturato da quell’immagine.

<< La scelta sbagliata… >> rimuginò sulle parole appena sentite << Senti chi parla. >> riuscì a dire ridacchiando << Tu ODI sbagliare! >>

Preso alla sprovvista da quella reazione Atsumu si sentiva combattuto se sentirsi offeso o ridere di quella contraddizione da lui creata. Era vero però, si era riempito la bocca di grandi paroloni e frasi profonde quando nella realtà dei fatti anche lui non riusciva a metterle in pratica. Non poteva di certo negarlo che lui odiava sbagliare, odiava perdere, odiava sentirsi debole. Avrebbe potuto controbattere per riacquistare la propria integrità, ma invece si lasciò contagiare da quella risata e cominciò a ridere anche lui.

<< Se è per questo anche tu odi sbagliare! >> rispose cercando di ribattere a suon di risate.

Entrambi lo odiavano. Entrambi pretendevano la perfezione da sé stessi. In momenti come questi però, entrambi si ricordavano di essere umani, imperfetti, e si strinsero la mano per non dimenticarselo, almeno in quell’attimo.  

   
 
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