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Autore: lolloshima    18/10/2023    2 recensioni
Il tradimento può assumere innumerevoli forme. Tsukishima lo sa bene, perché le conosce tutte, avendole vissute sulla sua pelle e patite con tutto se stesso, fin da bambino. Ma c'è un tradimento che è sconosciuto, inaspettato, inevitabile. Il peggiore di tutti.
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Questa storia partecipa alla challenge #WRITOBER2023 indetto dal Gruppo #fanwriter.it
GIORNO 17 - Prompt: TRADIMENTO
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tra le tante cose che Tsukishima detestava, una delle peggiori era senza dubbio il tradimento.

Non sopportava neppure l’idea del tradimento, e che qualcuno potesse esserne vittima.

Perchè faceva male.

Perchè faceva crollare ogni certezza.

Perchè rendeva le persone impotenti, inermi, di fronte a qualcosa che prescindeva la propria volontà.

Perchè faceva dipendere l’infelicità da qualcosa di estraneo, che non poteva essere modificato, né controllato.

Soprattutto perché lui no, non l’avrebbe mai fatto. A nessuno, neppure al suo peggior nemico.

Il tradimento poteva assumere innumerevoli forme e colpire con le più svariate modalità, e Tsukishima lo sapeva bene, perché le conosceva praticamente tutte, avendole vissute sulla sua pelle e patite con tutto se stesso, fin da bambino.

Era stato tradito da suo padre, quando aveva deciso di accettare un lavoro in una città lontano da casa. La mamma aveva detto e ripetuto che non sarebbe cambiato niente, che il papà gli voleva bene allo stesso modo, ma di fatto il suo trasferimento aveva significato rinunciare alla sua presenza in casa, e accettare nuovi equilibri in famiglia.

Era stato tradito dallo sviluppo, che lo aveva fatto sentire sempre fuori posto. Era cresciuto oltre ogni aspettativa, e così si era trovato alle elementari nel corpo di un bambino delle medie e alle medie in quello di un ragazzo delle superiori.

Era stato tradito dalla sua prima (e unica) quasi- ragazza, quando in prima elementare lei aveva deciso di condividere le lezioni di scienze con il compagno nuovo, appena trasferito dall’Inghilterra, anzichè con lui. Non che gli importasse granchè di Yuki, aveva a mala pena scambiato due parole con lei, ma il suo microscopio era il più bello che avesse mai visto, e smaniava dalla voglia di metterci gli occhi dentro.

Era stato tradito da suo fratello, che per mesi gli aveva raccontato una marea di frottole sul suo inesistente ruolo nella squadra di pallavolo. Forse lo aveva fatto per il suo bene, ma questo non allentava quella terribile sensazione di avere uno stiletto infilzato nella schiena e una morsa attanagliata al cuore.

Era stato tradito persino da Yamaguchi. Secondo la logica e la sua esperienza, dopo il loro primo incontro quel moccioso avrebbe dovuto evitarlo e temerlo, come tutti gli altri. E invece eccolo lì, a corrergli sempre appresso e a considerarlo addirittura un amico.

Era stato tradito dalle sue aspettative, entrando nel club di pallavolo del liceo Karasuno. Doveva essere solo un club scolastico, uno stupido, banale club per passare il tempo nel dopo scuola, e invece si era trovano in mezzo a persone cocciute e ambizione, e così era stato costretto a dare il massimo, per non sfigurare davanti a tutti quegli idioti.

Ma quello no.

Quello non lo conosceva ancora e non se lo sarebbe mai aspettato.

Il tradimento che stava sperimentando durante quell’inutile e sfiancante ritiro estivo, era forse il peggiore di tutti, perché lo costringeva a confrontarsi con se stesso, a chiedersi dove aveva sbagliato, ad accorgersi di non essere così forte come pensava e a capire che a volte ci sono cose che non si possono controllare. Lo poneva davanti alla constatazione che la sua volontà e la sua razionalità non sempre erano in grado di prevalere su tutto.

Ancora una volta era stato tradito. Era inaspettato, imbarazzante, palese, inarrestabile, e stava accadendo sotto gli occhi di tutti.

A tradirlo era il suo stesso corpo.

Com’è che non riusciva a impedire, o almeno a contenere, quella stramaledetta erezione, che gli esplodeva improvvisa tra le gambe ogni volta che incrociava lo sguardo felino di quel bulletto capitano del Nekoma? Com’è che questa cosa dura ed ingombrante se ne andava solo dopo una lunga seduta sotto la doccia?

E com’è che gli accadeva proprio adesso, che era costretto ad indossare solo dei miseri pantaloncini, troppo corti e troppo leggeri per nascondere ogni sua minima reazione?

Per quanto ci pensasse, non riusciva a trovare una soluzione logica. Saltare gli allenamenti, era del tutto inutile.

Ci aveva provato, simulando un mal di testa inesistente, ma era stato ancora peggio, perché quel Kuroo era andato negli spogliatoi a cercarlo, gli si era accucciato di fronte e lo aveva guardato negli occhi preoccupato. E quando gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, e aveva detto “Ehi, quatttrocchi, tutto bene?”, addio, i pantaloncini si erano sollevati di alcuni centimetri.

Partecipare agli allenamenti senza degnare di uno sguardo il capitano del Nekoma era altrettanto inutile. La personalità spumeggiante di Kuroo, per non parlare del suo fisico prorompente, erano davvero – davvero! - difficili da ignorare.

Coprire l’imbarazzante problema era impossibile. I pantaloni lunghi erano impensabili con quel caldo, e non poteva certo indossare uno sull’altro tutti gli slip di ricambio che aveva portato, perché l’effetto sarebbe stato quello di un pannolone sotto i pantaloncini.

Non c’era altra soluzione. Il suo problema si sarebbe risolto solo in un modo: andandosene.

Avrebbe chiamato sua madre, e si sarebbe fatto venire a prendere. L’avrebbe supplicata, se fosse stato necessario, ma sì, avrebbe lasciato in anticipo il ritiro estivo.

In fondo, il suo era un problema fisico, praticamente un problema di salute, in senso lato. Sarebbe stato sufficiente rimanere sul generico, e non avrebbe dovuto neppure mentire.

L’allenamento pomeridiano era finito. Non gli restava che andare in camera, cambiarsi, avvisare il professore e poi telefonare a casa.

“Ehi, quattrocchi!”

Eccolo lì! Con quel suo meraviglioso ciuffo spettinato che sbucava dal portone della palestra numero 3.

“Ti va di fare qualche muro anche stasera?”

Non aveva mai visto nessuno muovere così le braccia e allungare le dita in quel modo, nella sua direzione.

“Eddai, quattrocchi!”

Nessuno lo aveva mai guardato così… E va bene, solo per questa volta, avrebbe chiamato sua madre domani.

“...arrivo!”

 

   
 
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