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Autore: Ladyhawke83    30/10/2023    2 recensioni
Ehm, lo so, doveva essere una cosa breve, intensa, fatta bene... invece è diventata una minilong su questi due. In realtà non so se sono rimasta IC con i caratteri di Romualdo e Tarabas…
~Romualdo ansimò e fu in quel momento che Tarabas si voltò verso di lui e si rese conto realmente di quanto fosse ferito, bello, forte, indomito, ma pur sempre ferito e sanguinante.
Allo stregone tremò la voce: “state bene?”
Tarabas gli diede del voi, gli riconosceva il suo essere Re e nobile e perché sentiva di doverlo rispettare, in quanto era l’uomo tanto amato dalla sua Fantaghirò.
Non poteva odiarlo, l’onore glielo impediva, però non riusciva neanche a capirlo.
“No, non sto bene. Starò bene... Lasciatemi ora, devo tornare dai miei uomini…”
Romualdo fece per alzarsi, ma il peso dell’armatura, la fatica e il dolore lo fecero cedere e quasi svenire tra le braccia di Tarabas~
Genere: Angst, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Fantaghirò, Romualdo, Tarabas
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: 10 ottobre/ Crackship

***

Questa storia partecipa alla challenge senza scadenza del gruppo “prompts are The ways” 

PROMPT 12/07/23 

A sta male, B si prende cura di ləi, ma A lə infastidisce con atteggiamenti irritanti per via del suo dolore. Come troveranno un compromesso?

 

 

La forza di Romualdo, il dolore di Tarabas

 

“Lasciatelo stare!” 

La voce di Tarabas, imperiosa, sovrastò quel magico esercito, mandato da un nemico lontano, ma che lo stregone, colui che non avrebbe dovuto essere lì, conosceva fin troppo bene: Darken.

Suo padre era ancora vivo, sopravvissuto non si sa come, era tornato, non gli era bastato prendersi i castelli, le terre, Fantaghirò, il mondo intero, no, il Signore Oscuro, voleva di più, voleva annientarli tutti, soprattutto Re Romualdo, che ancora resisteva strenuamente.

“Andatevene! Lasciatelo stare! Non vi basta aver preso ogni vita e ogni goccia di magia sul vostro cammino fino a qui?” Gridò adirato Tarabas, frapponendosi tra quei mostri manovrati dalla malvagità di suo padre e il corpo di Romualdo, a terra, sofferente, con la spada ancora in pugno, in un disperato tentativo di difesa.

“Sparite ora! Se non volete che la mia magia disperda i vostri miserevoli corpi nel vento!”

Tarabas alzò la mano ingioiellata, pronto a lanciare un potente incantesimo, quando un rombo sinistro e un lampo su sfondo di nuvole nere e cariche di odio, fecero ritirare il nemico ad una velocità impressionante.

Romualdo ansimò e fu in quel momento che Tarabas si voltò verso di lui e si rese conto realmente di quanto fosse ferito, bello, forte, indomito, ma pur sempre ferito e sanguinante.

Allo stregone tremò la voce: “state bene?” 

Tarabas gli diede del voi, gli riconosceva il suo essere Re e nobile e perché sentiva di doverlo rispettare, in quanto era l’uomo tanto amato dalla sua Fantaghirò.

Non poteva odiarlo, l’onore glielo impediva, però non riusciva neanche a capirlo.

“No, non sto bene. Starò bene... Lasciatemi ora, devo tornare dai miei uomini…” 

Romualdo fece per alzarsi, ma il peso dell’armatura, la fatica e il dolore lo fecero cedere e quasi svenire tra le braccia di Tarabas, che prontamente lo sorresse, pur rimanendo rigido e distante.

“Potrete odiarmi dopo, ora lasciate che vi riporti al vostro castello. Dovete medicarvi, voi sanguinate e molto…”. 

“Cos’è, non avete mai visto del sangue o levato le armi su qualcuno?” Lo punzecchiò Romualdo, nonostante la situazione.

“Sono il mago più potente che sia mai esistito, non mi serve levare una spada per abbattere un nemico, non lo dimenticate. Voi siete un Re, ma io sono stato il Signore del male, colui che non può essere nominato…”

Tarabas reagì in maniera piccata, ma comunque continuò a sorreggere Romualdo, cercando di non arrecargli ulteriore dolore.

Romualdo rise, un sorriso aperto, forte e sincero.

“Se la vostra magia fosse grande la metà del vostro ego, Tarabas, allora potremmo dire di aver già vinto questa guerra, e potrei finalmente appendere la spada al chiodo!”.

“Voi lo dite come se non lo sapeste. Non ricordate forse che è stato un mio bacio incantato a liberarvi dal maleficio di pietra? Oppure che sono stato io l’unico in grado di affrontare mio padre per farvi fuggire da lui e ridarvi la memoria, quando credevate di essere il suo deforme  servitore Fyodor?”

Tarabas si fermò, sentiva la rabbia ribollirgli dentro, un’emozione fin troppo umana e che lui non aveva ancora imparato a padroneggiare bene. Però aveva fatto una promessa a Fantaghirò: le aveva. Promesso che avrebbe tentato di essere un uomo migliore, e se il miglioramento doveva passare attraverso il sopportare il suo altezzoso re e rivale, allora lo avrebbe fatto, per lei, e per nessun altro.

“Certo che lo rammento. Ma voi dimenticate che tutto è successo a causa vostra, solo vostra. È stata la vostra paura a causare il nostro dolore e la morte di Fantaghirò. Io questo non lo posso dimenticare”.

“Non vi sto chiedendo di dimenticare, se solo non foste così inflessibile…”

Tarabas si bloccò sull’ultima parola sentendo il peso morto di Romualdo su di sé, e capì che lui aveva perso i sensi, quindi lo stregone decise di usare la propria magia per trasportare il Re “senza corona” nel castello, d’altra parte non poteva certo portarcelo a braccia o a cavallo, non con le ferite che gli sanguinavano così, sotto la cotta di maglia.

 

***

 

“Dove mi trovo?”

Romualdo sbatté le palpebre più volte per riuscire a mettere a fuoco dove si trovasse. I suoi occhi vagavano smarriti per la stanza, la sua stessa voce gli giungeva alle orecchie troppo debole e flebile.

Doveva aver perso molto sangue, oppure aveva la febbre.

Tarabas lo fissava da un angolo, senza essere visto, della grande stanza: i bellissimi occhi azzurri del Re erano velati dal dolore e dalla tristezza? Tristezza per cosa? Cosa turbava l’animo di Romualdo?

Lo stregone aveva vegliato su Romualdo per tutto il tempo che lui era rimasto incosciente.

Le guardie personali del Re e i suoi amici non volevano che Tarabas stesse a vegliare il Re, perché anche se non era detto apertamente, nessuno, o quasi, al castello si fidava di Tarabas, tranne Fantaghirò, ma lei non era più con loro da tempo ormai.

La sua morte aveva reso tutto grigio e vano.

“Siete al castello, al sicuro”. Disse laconico Tarabas, senza emozione nella voce. Il ruolo del malvagio senza sentimenti gli riusciva ancora bene, ma era solo una maschera: sotto quel velo di durezza si agitavano tante emozioni a cui il potente stregone non sapeva dare nome.

“Difficile sentirsi al sicuro, se nella stessa stanza ci siete anche voi!” Romualdo sputò fuori quelle parole senza quasi riflettere, in fondo era quello che aveva sempre pensato di lui: Tarabas era una minaccia.

“Voi credete davvero che io vi farei del male? Che potrei fare del male a voi, dopo che vi ho salvato dall’esercito di mio padre?” Gli ringhiò davanti agli occhi Tarabas, incombendogli sopra, Romualdo si ritrovò suo malgrado a trattenere il respiro davanti allo sguardo verde ambrato di Tarabas, c’era vita, tanta vita, potere e dolore nei suoi occhi.

Lo stesso dolore che albergava probabilmente nel suo cuore, entrambi avevano perso ciò che amavano di più al mondo, e insieme a leiavevano perso la speranza.

“Non lo so, Tarabas, ditemelo voi. Io sono un vostro nemico? Merito il vostro odio?” Romualdo, dopo lo sforzo di rimettersi seduto e ribattere con un certo orgoglio, dovette emettere un verso strozzato, perché il dolore gli risalì dalla gamba ferita e gli fece tremare i muscoli.

“Io non vi odio, non troppo almeno, e voi non state bene. Avete bisogno di cure, adesso!”.

Tarabas lo spinse giù sul giaciglio, senza troppi complimenti e si mise ad esaminare le ferite ad occhi chiusi, sussurrando parole per Romualdo incomprensibili.

Ci… ci sono i guaritori per questo genere di cose… chiamateli…” riuscì a dire Romualdo sempre più teso e in imbarazzo per quella vicinanza forzata.

“Se fossero ferite normali, certo, li dovreste chiamare i vostri guaritori, ma queste sono ferite da armi incantate. Lasciatemi fare…” lo ammonì Tarabas, posando le mani sul corpo di Romualdo.

“Mi state facendo male, lasciatemi!” Cercò di divincolarsi il giovane Re, ma Tarabas non glielo permise, anche se continuava a toccarlo con gentilezza, e fermezza, mentre richiamava a sé la magia curativa.

“Mentite! Non vi sto facendo male… non come voi ne state facendo a me…” 

Tarabas passò la mano sinistra sulla coscia e sul fianco offeso di Romualdo e con un lampo, e un leggero tremolio, le ferite si cicatrizzarono fino quasi a scomparire, mentre lo stregone sospirava per lo sforzo.

“In che modo vi starei facendo del male? Se sono io quello che subisce la vostra magia e le vostre accuse?” Romualdo sfidò nuovamente Tarabas, ma stavolta sentiva qualcosa di diverso nel profondo. Un turbamento, unito ad  un senso di colpa che non si sapeva spiegare.

“Io leggo odio nei vostri occhi, come lo leggevo negli occhi di Fantaghirò. Non importa quanto aiuti voi o la vostra gente, non importa quanto io voglia cambiare e mettere il mio potere al servizio del bene, voi mi odierete sempre. Sarò sempre colui che temete nel profondo del vostro cuore, nel buio della notte, il mio nome sarà sempre il suono dell’inizio e la fine dei vostri incubi, io… non sarò mai amato”.

Tarabas si allontanò rapido da Romualdo come scottato dalla verità nuda e cruda di quelle sue parole appena pronunciate ad alta voce.

Più che una verità, su di lui, suonava come una maledizione. Quella che gli aveva cucito addosso sua madre e di cui faticava a liberarsi.

Eppure Tarabas sentiva nel suo cuore un immenso bisogno di amare, di essere amato e visto davvero per quello che era. Era uno stregone potente, ma era pur sempre un uomo. Amava la natura, le persone, quei luoghi, il volo degli uccelli, la musica e le risate e avrebbe difeso quel regno con tutte le sue forze,lo avrebbe fatto per Fantaghirò, ma soprattutto per il Re, per Romualdo.

Ammirava la sua forza, il suo coraggio, la sua determinazione, il carattere indomito, ma sincero, Tarabas non aveva mai visto uno sguardo più intenso e luminoso di quello di Romualdo, soprattutto ora che lo vedeva battersi strenuamente, rischiare la vita per difendere il regno e i suoi abitanti.

Aveva il cuore in pezzi il giovane Re, così come lo aveva Tarabas. I loro due cuori distrutti cercavano di ricomporsi, di mettere insieme frammenti di un passato che non voleva lasciarli stare.

“Cosa dite? Io non vi odio, forse un tempo, ora non più, non potrei…” 

Una lacrima sola solcò il viso del giovane Romualdo e quell’unica tangibile prova di fragilità fu sufficiente a far naufragare Tarabas.

Lo stregone desiderò come mai aveva fatto prima di toccare il viso del Re, sentire la grana della pelle di Romualdo sotto le dita, di cancellare quella lacrima, quel dolore che era gemello del suo, dal suo cuore.

“Non posso odiarvi, non dopo quello che avete fatto per tentare l’impossibile, per riportare lei da me e me da me stesso, quando mi sono smarrito…” Romualdo parlava e l’emozione era visibile nell’azzurro liquido del suo sguardo, nel lieve tremore delle mani, nel respiro accelerato.

“E allora cosa provate? Cosa c’è oltre al dolore che vedo come un riflesso in uno specchio?” Domandò Tarabas, avvicinandosi, ma aveva paura della risposta. Davvero non riusciva a leggere l’animo di Romualdo, sapeva solo che non voleva vederlo soffrire così, ed è era qualcosa di ben diverso dalla sofferenza delle ferite di poco prima. Era qualcosa che Tarabas sentiva, ma a cui non riusciva a dare nome. Non poteva.

Romualdo si sedette sul giaciglio della stanza che non era la sua, poggiò i piedi nudi a terra e lentamente si alzò.

“Lei mi manca, Tarabas, come so che manca anche a voi, ma ho capito una cosa importante standovi vicino in queste settimane, in questi lunghi giorni senza lei…” Romualdo mosse alcuni passi incerti verso Tarabas, che non indietreggiò, ma un tumulto interiore lo fece lievemente barcollare.

“Cosa avete capito, mio Re?” Tarabas guardava altrove, terrorizzato da se stesso e da quegli occhi azzurri intensi come i cieli d’estate. Non osava guardare Romualdo.

“Vi ricordate cosa mi avete detto quando ero solo Fyodor, un servo deforme e smarrito?”

“Sì, lo rammento. Vi dissi di cercare la verità oltre l’apparenza. Di cercare la risposta nel vostro cuore, vi dissi che sareste stato più forte voi delle catene di Darken, perché il vostro coraggio avrebbe sciolto ogni prigione come fa la pioggia quando cade sulla terra arida…”. Gli rispose Tarabas sentendo il suo, di cuore, vacillare.

“Io la risposta l’ho trovata. So per cosa combatto e contro chi, ma so anche vedere la verità oltre il velo, oltre la vostra freddezza e durezza, io so vedere voi e so che voi vedete me”. 

Romualdo ormai era ad un passo da lui e Tarabas non osava reagire, non osava muovere un muscolo, pietrificato, spaventato, confuso.

“Cosa vedi Romualdo?” Tarabas gli parlò dandogli quella confidenza del “tu”, al posto del “voi”, come aveva fatto tempo prima con Fantaghirò, perché oramai aveva compreso quanto fosse inutile tenere le distanze. Il muro fra loro non esisteva più,” e forse mai era esistito.

“Vedo te,  conosco il dolore che offusca il verde smeraldo dei tuoi occhi e ascolto le tue parole sincere. Tu mi hai salvato Tarabas, più di una volta, non solo oggi, lascia che io salvi te ora…”.

Il Re si sporse lievemente in avanti e baciò Tarabas sulle labbra, un bacio impossibile il loro, dolce e casto: era stato Romualdo a renderlo possibile, sia la prima volta per Fantaghirò, che questa. Però, poi, Romualdo rendendosi conto immediatamente di ciò che aveva fatto, subito si staccò dal mago con estrema vergogna.

“Oddio, io ecco, non so cosa mi sia preso. Sono un uomo, sono un cavaliere, sono un Re, ma mi sento come quando credevo che Fantaghirò fosse il giovane Conte di Valdoca, un uomo… e io ne ero attratto… e adesso… perdonatemi Tarabas, non so cosa mi sia preso… deve essere la febbre!”.

Di nuovo il “voi” per Tarabas e la distanza che il Re cercava di mettere istintivamente fra loro.

“Vi scusate per un bacio? Per così poco? Allora lasciate che vi dia motivi ben più grandi per scusarvi con me, poi, se lo vorrete…”

Tarabas gli prese il viso con entrambe le mani e lo baciò a sua volta sulle labbra e non fu un bacio casto, ma un bacio passionale, vero, sentito, selvaggio.

Le labbra di Romualdo erano meravigliose e calde, i suoi denti bianchi, perfetti. Tarabas si sarebbe fatto mordere cento volte da quei denti se il Re lo avesse desiderato.

La sua bocca cercava quella di Romualdo come se da essa dipendesse tutto. Il desiderio che Tarabas sentiva, rischiava di annebbiargli la mente. No, lui non poteva diventare una bestia di nuovo, non voleva ferire Romualdo in nessun modo, solo assaggiarlo.

“Ah!” Gemette Romualdo.

Tarabas si bloccò all’istante vedendo il rosso vermiglio sulla spalla di Romualdo.

“Sono… sono stato io?” Tarabas sì guardò e non scorse, né sentì nulla di diverso in sé.

“Credo sia stato un vostro pensiero, o una vostra magia… ” disse Romualdo con mezzo sorriso sensuale, oltre la coltre della confusione che li avvolgeva entrambi.

Il Re sembrava tranquillissimo, nonostante il bacio, gli ansimi, il desiderio trattenuto e il segno vermiglio sulla spalla sinistra, dove la tunica aveva lasciata scoperta la pelle lattea ma tesa di Romualdo.

“Perdonatemi, mio Re, perdonatemi…non avrei mai dovuto prendermi questa libertà con voi. Voi siete fragile e confuso e io ho sbagliato…” Tarabas si gettò in ginocchio ai piedi di Romualdo. Si sentiva colpevole, fragile e insoddisfatto. 

Ora che lo aveva baciato, che aveva assaggiato il sapore della sua bocca, ascoltato i suoi respiri, avvertito il palpito del suo cuore non poteva più farne a meno, né tornare indietro e dimenticare.

Tarabas avrebbe potuto far dimenticare tutto ciò a Romualdo con un incantesimo, ma esso non avrebbe avuto effetto su di sé, lo stregone lo sapeva.

“L’unica cosa che avete sbagliato e di cui dovreste farvi perdonare, è di esservi fermato… Continuate, ve lo ordina il Re…” gli disse Romualdo sfidandolo, e Tarabas non potè far altro che obbedire e assecondare il desiderio del Re e del suo stesso cuore.

“Le tue mani sono fredde…” osservò Romualdo.

“È la tua pelle a essere bollente Romualdo…” Tarabas intrecciò le dita con quelle del Re e le strinse. Lo stregone non aveva mai provato una sensazione così bella, si sentiva a “casa”, e la sua “nuova” casa aveva il colore azzurro degli occhi di Romualdo, il tepore del suo respiro sul collo e la stretta delle sue gambe lungo i fianchi.

 

[2550 words]

 

***

 

Note dell’autrice: ehm, lo so, doveva essere una cosa breve, intensa, fatta bene... invece è diventata una minilong su questi due. In realtà non so se sono rimasta IC con i caratteri di Romualdo e Tarabas, questa è una (What if!) situata dopo gli eventi di Fantaghirò 4. Era da tempo che volevo scrivere su loro due, come “enemies to lovers”, non so se ci sono riuscita, ma questo è quello che ho scribacchiato. 

Spero vi piaccia! Lasciatemi un parere se vi va!

Ladyhawke83 

 

   
 
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