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Autore: AndyWin24    31/10/2023    3 recensioni
Secoli prima della venuta di Artù, un grande male minaccia inesorabilmente Camelot e i suoi abitanti. Per difendere il regno, re Vortigern manda in missione i suoi sette migliori cavalieri, nella speranza che questi possano riuscire a riportare la pace nella loro terra.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
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I sette cavalieri
 
   Trecento anni prima dell’ascesa al trono di Re Artù, trecento anni prima della costituzione della Tavola Rotonda, trecento anni prima della venuta del grande mago Merlino, Camelot dovette affrontare una delle sue ere più buie. Il regno venne flagellato da un grande e potente male, tanto che il sovrano di allora, re Vortigern, fu costretto a prendere misure drastiche per porvi rimedio una volta per tutte. Fu così che ebbe inizio questa storia.
 
***
 
   «Sire, desideravate vedermi?»
   Un cavaliere dai lunghi capelli scuri entrò nella grande sala e si posizionò in ginocchio, in segno reverenziale verso il suo re.
   «Sì.» annuì Vortigern, accomodato sul suo trono. «Ho un incarico molto importante da affidarti, sir Maleagant.»
   «Vi ascolto, sire. Quale incarico?»
   Vortigern sospirò sconsolato. Aveva riflettuto tutta la notte sul discorso da fare, su come poter far comprendere l’importanza di quella missione. Alla fine però non ci era riuscito e si era arreso alla speranza che i suoi cavalieri avrebbero capito da soli ciò che lui stava per chiedere loro di fare. Prima di rispondere alla domanda, però, altri sei uomini si apprestarono a varcare uno ad uno il portone d’entrata.
   «Sire.» dissero tutti, quasi all’unisono, prendendo posto di fianco all’altro cavaliere.
   «Bene. Come stavo dicendo a Maleagant, vi ho convocati tutti qui quest’oggi perché ho un’importante missione da affidarvi.» spiegò Vortigern, alzandosi e iniziando a camminare su e giù di fronte ai suoi guerrieri. «La situazione a nord sta peggiorando. Le truppe inviate non hanno mai fatto ritorno e sono venuto a conoscenza che diversi villaggi sono caduti dopo i ripetuti attacchi subìti.»
   «Non può essere vero, sire!» esclamò stupito sir Hoel. «Avevate mandato cento cavalieri a proteggere il confine! Come è possibile che siano stati tutti sconfitti da una singola persona?!»
   «Perché non stiamo parlando di una persona qualsiasi, bensì di un vero e proprio mostro. Da quello che riferiscono le sentinelle, più che una battaglia è stato un massacro.»
   Sir Urien e sir Dagonet si scambiarono uno sguardo inorridito, mentre sir Galehalt si alzò di scatto.
   «Dobbiamo reagire, sire!» disse con la rabbia negli occhi. «Dobbiamo controbattere a questo affronto il prima possibile!»
   Per un attimo, Vortigern lo fissò interdetto, ma poi annuì.
   «Mi fa piacere che la pensi così, perché se voi tutti siete qui adesso è proprio per questo motivo. La missione che sto per affidarvi è oltremodo pericolosa, ma necessaria.»
   «Quale missione?» chiese sir Bagdemagus.
   Il sovrano prese un lungo respiro prima di rispondere.
   «Voglio che voi sette vi rechiate nelle pianure settentrionali e che assaltiate la dimora della strega.»
   Il silenzio scese nella sala. I cavalieri si guardarono gli uni con gli altri, finché sir Landevale non prese la parola.
   «Sire, non dubitate delle mie parole quando vi dico che moriremmo volentieri per il regno. Ma, come pensate che potremo riuscire in un’impresa che è costata la vita a ben cento uomini?»
   «Non essere irrispettoso, Landevale!» protestò Bagdemagus contrariato. «Se il re ci ha ordinato di andare, noi andremo! Senza alcuna obiezione!»
   Vortigern poggiò una mano sulla spalla del cavaliere, cercando di calmarlo.
   «Grazie, Bagdemagus, per la tua lealtà. Confido pienamente nel tuo appoggio e mi aspetto una grande prova dal più forte dei miei cavalieri.»
   Bagdemagus annuì compiaciuto.
   «Vi ringrazio, mio re. È un onore servirvi.»
   «Comunque, …» continuò Vortigern. «… non temete, questa volta le cose andranno diversamente. La disfatta subìta mi ha fatto riflettere e sono giunto alla conclusione che per sconfiggere la magia, anche noi dobbiamo farne uso.»
   Così dicendo, il re ordinò ad un servitore di consegnargli una scatola poggiata su un grosso tavolo a lato della stanza. Aprendola, ne tirò fuori dei ciondoli con una pietra verde appesa ad un filo.
   «Questi pendenti sono stati incantati dai maghi del consiglio. Sono pregni di un potere tanto forte quanto raro. Infatti, è stato possibile crearne soltanto sette. Indossandoli, vi permetteranno di neutralizzare la magia della strega, assicurandovi uno scontro alla pari.»
   A quel punto, ne consegnò uno a testa, poi si portò di fronte a sir Maleagant.
   «Maleagant, in questi anni mi hai dimostrato un’abilità in battaglia notevole, seconda solo alla tua incredibile saggezza. Per questo, ti affido il comando della missione. Non ho dubbi che saprai condurre la tua schiera alla vittoria.»
   «Grazie, mio signore.» replicò il cavaliere con un profondo inchino.
   Sir Landevale guardò di sottecchi prima Maleagant e poi Vortigern. Anche quest’ultimo ricambiò per un attimo lo sguardo, come a volergli dire qualcosa. Ma alla fine decise di rivolgersi a tutti e non a lui soltanto.
   «Bene. Adesso, andate a prepararvi. Partirete all’alba. Non serve che vi rinnovi la mia fiducia nella riuscita di questa impresa. Da ciò, dipende il futuro del regno. Spero che ne siate consapevoli.»
   «Sissignore!» esclamarono tutti i cavalieri all’unisono.
 
***
 
   L’indomani, i sette cavalieri partirono alla volta delle pianure settentrionali. Il viaggio fu duro e impegnativo a causa della desolazione che caratterizzava quelle terre, ma niente che potesse scalfire minimamente la loro forza di volontà, … o quasi…
   «Oh, cielo! Sono esausto!» esclamò sir Dagonet. «Quanto manca ancora?»
   «Già!» convenne sir Hoel. «Io comincio ad avere anche fame. Abbiamo mangiato a malapena da quando siamo partiti.»
   «Smettetela di lamentarvi!» li rimbeccò sir Bagdemagus. «Un vero cavaliere affronta questo ed altro senza il minimo patema.»
   «Calmatevi tutti e tre e rimanete concentrati.» intervenne sir Maleagant. «Siamo quasi arrivati, comunque.»
   «Io sono sempre concentrato.» puntualizzò Bagdemagus, stizzito.
   «Certo che sì, sir “Bacchettone”!» lo prese in giro sir Urien. «Nessuno è forte e straordinario come te!»
   «Come osi burlarti di me!» ribatté Bagdemagus, fermando il cavallo con uno strattone e facendo per scendere a terra.
   «Basta!» urlò Maleagant, richiamando tutti all’ordine. «Siamo cavalieri del regno e, quindi, comportiamoci come tali!»
   I due litiganti si ricomposero ed annuirono. Poi, insieme agli altri ripresero il cammino.
   «Ben fatto, Maleagant.» si congratulò Galehalt. «Io non avrei la pazienza che hai tu nel mettere tutti al proprio posto. Il re ha scelto bene affidandoti la nostra guida.»
   «Le sue decisioni, però, non sono state tutte azzeccate.» intervenne sir Dagonet, polemico. «Non capisco, infatti, come abbia potuto inviare in questa spedizione un cavaliere appena ordinato.»
   Sir Landevale abbassò la testa imbarazzato, sapendo di essere appena stato chiamato in causa.
   «Suppongo che si fidi del mio operato.» si giustificò il ragazzo.
   «Certo! Inoltre, il fatto che sei suo nipote avrà avuto il suo peso, immagino.»
   «Cosa c’entra?! Ho guadagnato il mio posto proprio come ha fatto mio padre prima di me!»
   «Se lo dici tu…»
   «Basta con le chiacchiere.» disse d’un tratto Maleagant, indicando in avanti. «Siamo arrivati.»
   Di fronte ai sette cavalieri apparve all’orizzonte un grande ed imponente castello. Con una galoppata più decisa, il gruppo arrivò in men che non si dica fino ai suoi pressi. A quel punto scesero tutti da cavallo e si avvicinarono al grosso portone d’entrata.
   «Strano che non ci siano guardie o trucchetti magici ad accoglierci.» constatò Hoel perplesso.
   «Con questi la magia non ci scalfisce neanche.» gli ricordò Bagdemagus, afferrando il ciondolo che aveva appeso al collo. «Inoltre, probabilmente lei non si aspetta il nostro arrivo.»
   «Sia quel che sia, non abbassiamo la guardia per nessun motivo.» disse Maleagant preoccupato. «Anche con una protezione magica, non sarà un’impresa facile. La strega non è un avversario che possiamo sottovalutare.»
   «Sono d’accordo, ma adesso entriamo, altrimenti possiamo dire addio all’effetto sorpresa.» protestò Galehalt, spazientito. Così, lui e Urien spalancarono le due grandi ante e le varcarono, seguiti a ruota dagli altri.
   Nel momento esatto in cui i sette cavalieri oltrepassarono la soglia, una specie di polvere nera li investì dall’alto. Nessuno, tuttavia, parve accorgersene, tanto era buio e lugubre l’interno di quella fortezza. Anche con le torce accese, infatti, ognuno di loro faceva fatica a vedere dove metteva i piedi. L’unica cosa che spiccava inequivocabilmente era la trascuratezza di quel luogo, come se fosse disabitato, con polvere e ragnatele sparse dappertutto.
   «Che schifo di posto!» commentò Dagonet con una smorfia.
   «Ehi, guardate!» disse in fretta Landevale, indicando davanti a sé diversi corridoi ed una scalinata centrale. «Dove pensate che dovremmo iniziare a cercare?»
   «La strega può essere ovunque.» osservò Hoel indeciso.
   «Oppure potrebbe non trovarsi qui ed essere impegnata a fare qualcosa di malvagio in giro, fuori dalla sua magione.» azzardò Urien.
   In quel momento, però, il portone alle loro spalle si chiuse di scatto con un tonfo assordante, bloccandoli dentro.
   «Come non detto.» si corresse il cavaliere.
   «La strega è qui e spetta a noi stanarla.» disse Maleagant con impeto. «Per farlo è meglio se ci dividiamo. Non appena qualcuno di noi la trova, però, dovrà avvisare immediatamente anche gli altri. Tutto chiaro?»
   «Sì.» risposero tutti insieme.
   «Bene. Allora, andiamo. Per Camelot!»
   «Per Camelot!»
 
***
 
   Dopo essersi divisi dagli altri, sir Bagdemagus e sir Urien s’incamminarono verso uno dei corridoi che dava sull’ala ovest del castello.
   «Potevi anche andare con qualcun altro.» puntualizzò Bagdemagus in tono serio. «Non ho bisogno di alcun aiuto per trovare la strega.»
   «Non ne dubito, ma non volevo finire con Landevale. Mi sta piuttosto antipatico e inoltre non mi fido delle sue abilità in duello.»
   «Su questo ti do ragione.»
   Passati alcuni minuti e superate diverse porte, i due si fermarono in una stanza che aveva l’aria di essere una vera e propria armeria.
   «Cosa se ne fa quella megera di tutte queste spade?» domandò Urien più per dire che per avere una risposta.
   «Non lo so, ma non ci interessa. Attieniti alla missione.»
   All’improvviso, nel bel mezzo della sala apparve una donna. I veli che portava sulle maniche del vestito rosso scuro ondeggiavano come mossi dal vento e richiamarono subito l’attenzione e lo sguardo dei due uomini.
   «Ben arrivato.» esordì con una voce lieve e ferma.
   Bagdemagus, a quel punto, estrasse l’arma dal fodero e la puntò contro di lei.
   «Maledetta! Ti sei fatta vedere finalmente!»
   Poi, le andò incontro, tentando di attaccarla con un fendente. La strega, senza esitare, lo bloccò con un semplice gesto della mano.
   «Non stavo parlando con te.»
   «Com’è possibile?!» sbottò Bagdemagus irrigidito. «La tua magia non dovrebbe avere effetto su di noi!»
   Lei lo ignorò completamente, camminando a passo lento verso Urien, che nel frattempo era rimasto impietrito sul posto a fissarla.
   «Mio caro, ti stavo aspettando.»
   «…M-me?» balbettò il cavaliere stupito.
   «Ma certo che sì.» ribatté la strega, avvicinandosi sempre di più a lui. «È da tempo che attendo il tuo arrivo.»
   Intanto, Bagdemagus cercava in ogni modo di liberarsi dall’incantesimo subìto. Purtroppo, però, era in grado di muovere solo la bocca.
   «Idiota! Attaccala! Sei in una buona posizione!»
   La strega si voltò seccata verso di lui, illuminando gli occhi. Il cavaliere, di rimando, serrò le labbra e si zittì.
   «Non dargli retta, vuole soltanto dividerci. Ma noi non glielo permetteremo. Vero, amore mio?»
   «Amore mio?!» ripeté Urien sussultando. Con la mano si tamponò la fronte grondante di sudore. Non sapeva cosa gli stesse accadendo, ma era chiaro che non riusciva neanche ad estrarre la spada dal fodero. Anzi, non voleva minimamente farlo. Solo che non ne capiva il motivo.
   Con un gesto lento e sinuoso, la strega portò il suo viso vicino a quello dell’uomo e lo baciò. Poi, si staccò da lui e gli sorrise.
   «Ti prego, amore mio, difendi la nostra unione, cosicché nessuno possa mai più dividerci!» esclamò lei in tono quasi supplicante.
   «S-sì!» replicò Urien come disorientato. «Ma… come posso… farlo?»
   La strega puntò il dito contro Bagdemagus.
   «Sconfiggilo a duello. Solo in questo modo mi proverai che anche il tuo amore è sincero, così come lo è il mio.»
   In quell’istante, Bagdemagus riprese il controllo delle sue azioni e annaspò, come se fosse a corto di fiato.
   «Miserabile… mostro! Cosa hai fatto a Urien?»
   «Ora lui è sotto il mio controllo.» spiegò la donna con un ghigno malvagio. «Se vuoi che lo liberi, devi affrontarlo in duello.»
   «Mai! Non combatterò contro un mio compagno!»
   «Allora, arrenditi e riconosci la sua superiorità. Se lo farai, io lo libererò dal mio influsso.»
   Bagdemagus ci pensò su per un attimo, fissando Urien, che era in uno stato totalmente assorto, come inebetito. Poi, però, scosse la testa fermamente.
   «Io sono il cavaliere più forte del regno! Il re in persona lo ha riconosciuto in più di un’occasione. Non permetterò mai a nessuno di dimostrarsi superiore a me, nemmeno a un altro cavaliere!»
   La strega allargò le braccia, sorridendo ancora.
   «Molto bene. Quindi, non vi resta che combattere.» disse voltandosi verso Urien. «Vinci per me, amore mio.»
   Così dicendo, sparì di colpo dalla stanza. Poi, Urien impugnò con vigore la spada ed attaccò Bagdemagus con quanta più forza possibile. L’altro, invece, parò il colpo.
   «Riprenditi! Non puoi lasciarti sopraffare così! Tu sei un cavaliere di Camelot!»
   «Devo provarle il mio amore! Non posso deluderla!» ribatté l’uomo, completamente ammaliato.
   Bagdemagus pensò per un istante di arrendersi. Ma il suo orgoglio non glielo permise. Così, attaccò ancora ma con maggiore impeto.
   «Ti ho avvisato! L’hai voluto tu, Urien!»
 
***
 
   Nel frattempo, Sir Hoel, dopo aver lasciato i suoi compagni, si ritrovò a vagare senza meta per una delle tante vie del castello. D’improvviso, un odore alquanto insolito per quel posto catturò la sua attenzione. Così decise di seguire quella scia, fino ad arrivare ad un ampio salone. Lì, vi era un’enorme tavola imbandita con i cibi più squisiti e raffinati che lui avesse mai visto.
   «Ma che…?»
   «Benvenuto nella mia umile dimora.» lo accolse una voce alle sue spalle.
   Voltandosi, vide una donna dai capelli dorati fargli un grande sorriso.
   «Sei tu la strega, non è vero?» chiese lui, mettendo la mano sull’elsa della spada riposta sul fianco.
   «Non temere, mio caro. Non ho intenzione di farti alcun male.» lo rassicurò lei. «Benché tu sia qui per motivi alquanto avversi, sei comunque mio ospite. Ed io non intendo trattarti diversamente.»
   A quel punto, la strega lo invitò ad accomodarsi.
   «Prego, serviti pure. Hai affrontato un lungo viaggio e sono sicura che avrai un certo appetito. Saziati senza remore, dopodiché parleremo delle ragioni che ti hanno portato qui.»
   «Non m’incanti, brutta strega!» ribatté lui stizzito. «Non accetterò mai il tuo invito! So benissimo di cosa sei capace!»
   «Oh, mio caro, non ne dubito. Tuttavia, speravo che per un attimo potessi accantonare tutti i tuoi preconcetti e mi permettessi di mostrarti la mia bontà.»
   Hoel stava per attaccarla, ma un crampo di fame lo fermò prima ancora di fare un passo. Era vero che era affamato, ma di certo non poteva accettare quell’invito assurdo. Eppure, ci stava pensando.
   «Coraggio, siediti ed assaggia una di queste prelibatezze. Sono certa che dopo starai molto meglio.»
   Hoel cominciò ad avere sempre più fame, finché non riuscì più a resistere e si fiondò sul cibo che era sul tavolo. Senza neanche sedersi, iniziò ad ingozzarsi in maniera incontrollata. In quel momento, avrebbe tanto voluto fermarsi, ma semplicemente non ne era in grado. Aveva troppa fame.
   La strega, intanto, si stava avviando verso un’altra stanza. La caccia, per lei, era appena iniziata.
   «Buon appetito.»
 
***
 
   «Che dici, Galehalt, lei potrebbe essere qui dentro?»
   «E che ne so, Dagonet! Non sono mica un indovino!»
   I due cavalieri erano appena entrati dentro un salotto relativamente piccolo, ma piuttosto accogliente, con tanto di mobili lussuosi e sedie a dondolo intagliate con motivi alquanto singolari.
   «Uh! Per fortuna c’è una sedia! Mi fanno malissimo le gambe!» esclamò Dagonet, gettandosi a sedere.
   «Fa’ come vuoi, ma smettila di lamentarti!» sbottò Galehalt, guardandosi intorno. «Anche se questo posto è meno lugubre degli altri, mi fa venire lo stesso i brividi.»
   D’improvviso, si udì una voce provenire da fuori alla stanza.
   «Chiedo venia, miei signori. Sono desolata che l’arredamento non sia di vostro gusto. Vorrà dire che in futuro cercherò di migliorarlo.»
   «Chi parla?!» urlò Galehalt, smaneggiando con le sue grandi braccia la spada appena impugnata. «Fatti vedere!»
   «Lo vorrei tanto.» lo schernì la voce. «Ma non posso. Sono bloccata qui fuori.» disse ancora, poco prima che la porta della stanza si chiudesse di scatto.
   Galehalt sobbalzò spaesato, poi però si fiondò contro l’infisso in legno.
   «Apri immediatamente!»
   «Oh, mi sono sbagliata! Non sono io ad essere chiusa qui fuori. Siete voi ad essere bloccati lì dentro. Quanto mi dispiace!»
   Il cavaliere, stanco di essere preso in giro, iniziò a prendere a pugni la porta, nel tentativo di sfondarla.
   «Non sforzarti, tanto è inutile.» continuò la voce. «Ho lanciato una magia che impedisce ad una sola persona di aprirla. Non c’è niente che puoi fare… da solo.»
   Galehalt si fermò di colpo e si portò una mano sotto il mento.
   «Ma, noi siamo in due. Quindi, se la buttiamo giù insieme, Dagonet, possiamo farcela. Coraggio, dammi una mano.»
   A quel punto, il cavaliere si voltò verso il compagno. Purtroppo, Dagonet sembrava essersi appisolato sulla sedia.
   «Ehi! Dagonet!» urlò Galehalt, andandogli incontro e scuotendolo. «Svegliati! Imbecille! Che fai?!»
   «Mmmh, calmati, Galehalt… Sono stanco, lasciami… yawn… riposare solo un… attimo…»
   Dopodiché, si riaddormentò, gettando la testa all’indietro. Galehalt non riuscì a capire cosa gli fosse preso. Anche se Dagonet poteva sembrare a prima vista un tipo piuttosto pigro e privo di impeto, durante una missione non mancava mai di dimostrare la sua buona volontà e le sue considerevoli doti di guerriero. Ma allora, che cosa gli era preso per comportarsi in quel modo durante un incarico così importante?
   «Svegliati, Dagonet! Non te lo ripeterò di nuovo!»
   La voce della strega, intanto, si fece sentire nuovamente.
   «Cosa succede là dentro? Non venite a prendermi?»
   A quelle parole, Galehalt perse il controllo ed iniziò a menare delle sberle al suo compagno. Ma niente, non si svegliava. La rabbia intanto cominciava a crescere oltremodo in lui. Il sangue iniziava a pulsargli con maggior vigore e sulla fronte si mostrarono delle venature quanto mai evidenti. Ben presto, gli schiaffi divennero pugni. Pugni che non sortirono alcun effetto su Dagonet, che continuava a dormire beatamente.
   «Maledizione!» esclamò Galehalt, assestando un colpo molto forte sul mento dell’amico. «Svegliati!»
   La collera lo stava consumando. Anche in questo caso, senza un motivo apparente. Nel frattempo, la voce della strega non si udì più. Era in cerca del suo prossimo bersaglio.
 
***
 
   Superando l’ennesima stanza vuota, sir Landevale sbuffò sconfortato. Aveva scandagliato ogni camera ed ogni corridoio dell’ala est di quella fortezza, ma la strega non era da nessuna parte. Avrebbe tanto voluto essere lui a trovarla, in modo da far vedere agli altri che suo zio Vortigern non l’aveva scelto per quella missione solo perché era suo parente, bensì per il suo valore. Con l’amuleto al collo a proteggerlo dagli attacchi magici, non avrebbe avuto problemi ad affrontarla a viso aperto. In fondo, la strega, senza i suoi poteri, non era altro che una persona. Orribile, certo, ma pur sempre una persona, che poteva essere ferita e uccisa.
   Con quei pensieri nella testa, si apprestò a fare dietro front e a tornare sui suoi passi. Forse, qualcun altro era stato più fortunato di lui.
   “Landy…”
   In quel momento, sentì la voce di una donna rimbombargli in testa.
   “Landy…”
   «Chi sei?!» urlò Landevale, mettendosi una mano sulla tempia dolorante.
   “Suvvia, Landy! Non sfogare su di me le tue frustrazioni! Anche se i tuoi genitori sono morti quando eri solo un bambino, il re ti ha fornito comunque una buona educazione. O sbaglio?”
   «C-che ne s-sai t-tu?» chiese il cavaliere sofferente. «C-cosa vuoi da me?»
   “Povero Landy! Maltrattato da tutti nonostante sia il nipote del re. Che storia triste!”
   «Sta’ zittaaa!!!» gridò ancora il ragazzo, infuriato.
   “Non è colpa mia se sei una delusione per gli altri. Il re ti sopporta solo perché sei il figlio del caro fratello defunto, ma in realtà non vede altro che il fallimento in te. Il fallimento del suo casato. Il fallimento del suo regno. Il fallimento di suo fratello come padre.”
   «Maledetta strega! Giuro che ti farò pagare queste parole a caro prezzo!»
   ““Landy” è il nome con cui ti chiamava tua madre da piccolo. Credeva che saresti diventato un grande cavaliere, come suo marito; invece sei solo un ragazzino impaurito con una spada in mano. Anche il re la pensa allo stesso modo, ecco perché ti ha mandato qui: se avrai successo, sarai il guerriero che tutti avrebbero sempre voluto che fossi; se morirai, sarai un peso in meno per loro e per il regno.”
   «Allora, ti ucciderò!» esclamò Landevale, ormai in ginocchio e distrutto dal dolore. «Così, proverò al re che sono il più grande cavaliere di Camelot!»
   “Mmh? Non so. Se tu mi uccidessi, il merito andrebbe senza dubbio agli altri che sono venuti con te. Del resto, sono più esperti ed è difficile credere che il tuo contributo possa essere più di tanto significativo.”
   Landevale non ci aveva pensato. Il suo obiettivo era di dimostrare a tutti le sue grandi abilità, ma non aveva calcolato che il merito della missione non sarebbe stato soltanto il suo. Perché la vita gli era così avversa e ingiusta? Lui era il nipote del re, in fondo!
   “Ma non l’erede al trono, dico bene?” commentò la voce, leggendogli il pensiero.
   «No, … non ancora, almeno.»
   “Eppure sei l’unico discendente in vita di Vortigern. Questo la dice lunga su quanto si fidi di te.”
   «Io… cambierò le cose!»
   “E come? Uccidendomi? Chissà cosa racconteranno gli altri al vostro ritorno?! Chi mi avrà ucciso secondo i tuoi amici? Sir Maleagant? Sir Bagdemagus? Oppure sir Dagonet? Di certo non tu, stupido ragazzino piagnucolone.”
   «No, invece! Sarò io a prendermi il merito per la tua morte! La gloria sarà solo mia!»
   “In che modo?”
   Landevale, all’improvviso, non ebbe più male alla testa. Così si alzò, più deciso che mai. La strega aveva ragione. Nessuno lo aveva mai saputo apprezzare e di certo non lo avrebbero fatto neanche in quell’occasione. Ma adesso sapeva cosa doveva fare.
   «Farò in modo che nessuno intralci la mia strada. Solo e soltanto io tornerò vivo da questa spedizione. Così, il re dovrà credermi per forza. Sarò ricordato come colui che ha sconfitto la strega del nord. Nessuno metterà più in dubbio il mio operato. Perché io sono sir Landevale, il futuro re di Camelot!»
   Mentre il ragazzo si avviò alla ricerca degli altri, delle risa riecheggiarono in tutta l’ala est del castello.
   “Ne manca solo uno!”
 
***
 
   «Oh, cielo!»
   Maleagant non poteva crederci. Oltre il portone ben rifinito che era appena riuscito a buttar giù, vi era un’enorme stanza con all’interno i tesori e i gioielli più belli e lucenti che lui avesse mai visto. Gli occhi gli si sbarrarono dall’emozione. Anche Vortigern possedeva ricchezze ben oltre l’impensabile, ma non era niente paragonato a quello che stava vedendo. Ogni genere di pietra preziosa probabilmente si trovava lì dentro, tra un baule e un altro, stracolmi di preziosi. Dopo essersi dato un’occhiata intorno, istintivamente si avvicinò ad un forziere particolarmente grande. Lì, il suo sguardo fu catturato da una pietra più sfavillante di ogni altra in quella camera. Era tonda, anche se non molto grande, e di un rosso chiaro acceso. Il bagliore emesso sembrava vivo e pulsante. Maleagant non riuscì a resistere e la prese in mano. In quel momento, però, scrollò il capo.
   “Ma cosa sto facendo?!” pensò tra sé “E come ci sono finito qui?”
   Un attimo prima si era appena separato dagli altri cavalieri e quello dopo si era ritrovato lì, senza ricordare cosa avesse fatto nel frattempo. Per un istante aveva anche supposto che la strega lo avesse incantato con chissà quale delle sue magie, ma poi rammentò il ciondolo che portava al collo. Con quello non doveva preoccuparsi.
   Stava per uscire da quella stanza del tesoro e riprendere la ricerca, quando udì un urlo provenire da non molto lontano. Così, d’istinto, fece per andargli incontro, accorgendosi però di avere ancora il gioiello in mano. Era talmente bello che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Avrebbe tanto voluto prenderlo, ma non poteva. I cavalieri di Camelot non erano dei predoni. Non saccheggiavano i luoghi che visitavano. Anche se quella pietra era della strega, non poteva appropriarsene.

   Però, in fondo, avrebbe potuto considerarlo come un trofeo di guerra. Anche il re soleva “collezionare” reliquie o cimeli delle missioni a cui prendeva parte. Vedendola in quel modo, non sembrava più una cosa così brutta. Quindi, con un gesto convinto della testa, mise il gioiello nel sacchetto in cui riponeva abitualmente il denaro e lo legò alla cintura. Poi, uscì dalla stanza.
 
***
 
   Dopo aver corso senza tregua per le vie del castello, Maleagant imboccò il corridoio che dava all’ala ovest. L’urlo molto probabilmente doveva essere arrivato da una delle stanze di quella parte della fortezza, pertanto, controllò con cautela ogni suo angolo, finché non varcò la porta che conduceva nell’armeria.
   «Oh, no!» esclamò, correndo verso i due uomini a terra. «Urien! Mi senti?!»
   «È morto…»
   Di fianco al corpo privo di vita di Urien, Bagdemagus mosse lievemente il capo ed aprì gli occhi.
   «Come “è morto”? Che è successo?»
   «Siamo… caduti… in… trappola…» biascicò il cavaliere, privo di forze. «Lei… lo ha… stregato. Anzi, … ci ha stregati… tutti…»
   Maleagant si avvicinò all’amico e gli tamponò la ferita all’addome grondante di sangue.
   «Aspetta, non ti sforzare. Stai perdendo troppo sangue.»
   «Non c’è… via di scampo. Abbiamo… fallito.»
   «Non ti preoccupare.» cercò di tranquillizzarlo Maleagant. «Prima ti fascio la ferita e poi…»
   Di colpo, s’interruppe. Il suo sguardo si spostò su quello di Bagdemagus, ormai vitreo e fisso nel vuoto. Aveva anche smesso di respirare. Allora, con un nodo alla gola, sospirò e gli chiuse le palpebre. Poi, si guardò intorno. Quella stanza era stata senza dubbio un vero e proprio campo di battaglia. Le armi che vi erano riposte erano sparse un po’ dappertutto e in diversi punti vi erano delle tracce di sangue. Com’era possibile che fosse successa una cosa del genere? Perché Urien e Bagdemagus si erano combattuti? Secondo quest’ultimo perché l’altro era stato soggiogato dalla strega. Ma come, dato che avevano l’amuleto a proteggerli?
   Con un moto di sconforto e preoccupazione, Maleagant uscì dall’armeria. Doveva controllare come stavano gli altri. Ed in fretta, anche!
 
***
 
   «No, Hoel!»
   Appena entrato in un grande salone adornato a festa, Maleagant accorse subito verso l’enorme tavolo da pranzo al centro della stanza, dove sir Hoel giaceva disteso a faccia in giù.
   «Hoel!» gridò ancora, afferrandolo per un braccio e girandolo supino.
   «No!»
   Il volto del cavaliere era completamente blu e gli occhi erano sbarrati, come se fosse stato in pena. La bocca era sporca di cibo, così come il collo e le guance; i capelli rossi erano pieni di briciole mentre, nella mano destra, Hoel teneva ancora stretto un pezzo di pane muffito. Maleagant, d’istinto, lo afferrò e lo annusò.
   «Bleaah!» rumoreggiò schifato, buttandolo a terra.
   Le narici gli si erano riempite di un tanfo estremamente fastidioso e pungente. Per esperienza, sapeva che quell’odore apparteneva alla “Belladonna”, un veleno comune e molto potente se ingerito a grandi dosi.
   Ma perché Hoel l’aveva mangiato? Non poteva non essersene accorto! Inoltre, guardandosi intorno, notò che la tavola era piena di pietanze avariate. Niente che avrebbe potuto indurre qualcuno a mangiarle. Allora, perché Hoel lo aveva fatto? Maleagant scosse il capo. Aveva ragione Bagdemagus. La strega stava usando la sua magia su di loro, amuleto o no. Doveva sbrigarsi a trovare gli altri tre cavalieri, perché sentiva che anche loro erano in pericolo. Sperava solo che non fosse già troppo tardi.
 
***
 
   Il cavaliere corse all’impazzata da una parte all’altra della fortezza, senza però trovare alcuna traccia degli altri suoi compagni. Stava per perdere ogni speranza, quando udì alcuni versi simili a dei ringhi rimbombare nel corridoio adiacente. Seguendo quei rumori, arrivò fino ad una porta chiusa, che aprì. All’interno, trovò Galehalt, intento a prendere a pugni qualcuno sdraiato sul pavimento. Il volto del malcapitato era completamente irriconoscibile e ricoperto di sangue. Solo avvicinandosi, Maleagant notò, con un tuffo al cuore, la cicatrice che l’uomo aveva sul dorso della mano destra. Era di Dagonet. Il cavaliere non se la era procurata combattendo in qualche ardua missione, come si poteva pensare in un primo momento, bensì giocherellando con dei pugnali subito dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo alla taverna.
   «Galehalt… Cosa stai facendo?»
   Quella domanda non ottenne risposta. Galehalt sembrava troppo occupato a picchiare il suo compagno per accorgersene. Dagonet, dal canto suo, non reagiva. Il suo corpo era in uno stato pietoso. Probabilmente, era già morto da diversi minuti. Eppure, Galehalt continuava a colpirlo con un’enfasi crescente.
   «Galehalt!» disse ancora Maleagant, afferrandolo per una spalla. «Fermati!»
   A quel punto, il cavaliere ubbidì e lo guardò dritto negli occhi. Le pupille erano dilatate all’inverosimile e la bocca sembrava non riuscire a chiudersi per l’affanno.
   «Malea…gant…» boccheggiò l’uomo con stordimento.
   «Che stai facendo?! Perché hai ridotto così Dagonet?»
   Galehalt iniziò a spostare lo sguardo da Maleagant a Dagonet con fare convulso, finché non riuscì a farfugliare qualcosa.
   «La porta!... chiusa!... poi, non voleva… così ho tentato… ma era qui, e allora… ho detto di!... ma lui no!»
   «Calmati, adesso! Credo sia colpa della strega se hai perso il controllo.»
   «La strega!» urlò Galehalt. «La strega! Devo ucciderla!»
   Poi, si scagliò contro Maleagant, provando a dargli un pugno. Questo lo schivò appena in tempo, scansandosi di lato.
   «No! Devi calmarti! La strega non è qui.»
   «Io! Devo aprire! La porta!» gridò Galehalt con una furia inaudita.
   Maleagant indicò davanti a sé.
   «Guarda! La porta è già aperta.»
   Il compagno però non voleva saperne di ragionare e così si fiondò di nuovo contro di lui. Maleagant era pronto a reagire, quando una specie di capogiro lo fece bloccare sul posto. Così, Galehalt lo sovrastò col suo possente fisico, schiacciandolo a terra. Poi, fece partire un pugno verso la sua faccia.
   «No!» esclamò Maleagant, spostando la testa di poco ed evitando il colpo. «Devi riuscire a riprenderti, Galehalt! Non puoi dargliela vinta!»
   Ma il cavaliere non sembrava aver ascoltato niente di quelle parole, tanto che si preparò a menare di nuovo. In quel momento, tuttavia, una lama lo trapassò, spuntandogli dallo stomaco. Poi, si ritrasse, lasciandolo cadere inerme sopra Maleagant. Quest’ultimo lo scansò in fretta di lato e si alzò in piedi.
   «Landevale?!» sbottò stupito. «Perché l’hai fatto?! Non dovevi uccider…»
   Prima di terminare la frase, però, Landevale attaccò anche lui. Maleagant, con un guizzo provvidenziale, lo evitò.
   «Ma che fai?!»
   Landevale non badò minimamente alla domanda e continuò la sua offensiva con la spada. Così, anche Maleagant si vide costretto ad estrarre la sua dal fodero e a parare l’assalto.
   «Smettila! Cosa hai intenzione di fare?! È la strega il nostro obiettivo!»
   «Non temere. Ucciderò la strega io stesso, ma prima devo liberarmi della zavorra.» ribatté Landevale, attaccando ancora.
   «Ma non capisci?!» sbottò Maleagant, deviando l’arma dell’altro. «La strega deve averci fatto qualche incantesimo! Non cedere anche tu come hanno fatto gli altri!»
   Landevale sorrise sarcastico.
   «Io non sono uno sprovveduto. Sconfiggerò la strega, puoi starne certo.»
   «Allora, facciamolo insieme! Vendichiamo i nostri compagni!»
   «Giammai!» urlò di rimando Landevale. «Non dividerò la gloria del trionfo con nessuno! Per questo, prima che io combatta contro la strega, tu devi morire!»
   A quel punto, un altro fendente si infranse sulla spada di Maleagant.
   «Se è la gloria che vuoi, allora te la lascerò volentieri. Ma, ti prego, torna in te! E smettila di combattere!»
   «No! Lo so che è un trucco! Tu vuoi solo farmi stare buono, per poi prenderti tutto il merito! Ma io non ci casco! Non sarò più una delusione per mio zio! Finalmente, anche lui vedrà che sono un degno cavaliere e che un giorno potrò succedergli al trono!»
   Maleagant non sapeva più come rispondere a quei vaneggiamenti. L’unica cosa che poteva fare era tentare di farlo calmare e sperare che riprendesse, in un modo o nell’altro, il senno che evidentemente aveva perso.
   «Il re sa già quali sono le tue doti. Non serve tutto questo per dimostraglielo.»
   «Tu menti!» gridò Landevale spazientito. «Io sono sempre stato trattato come un mentecatto! Un essere inutile! Non come te, che hai goduto indissolubilmente dell’appoggio di mio zio, come se fossi il più grande dei suoi guerrieri. Ma stavolta, non mi ruberai la gloria! Stavolta, sarò io a spiccare davanti a te, sir Maleagant! Con la tua morte e con quella della strega, darò inizio alla mia ascesa!»
   I due continuarono imperterriti a darsi battaglia. Una battaglia che Maleagant riusciva benissimo a gestire, essendo molto più esperto ed abile di Landevale. Questo almeno finché non ebbe di nuovo lo stesso affanno accusato nel combattimento con Galehalt, cadendo inesorabilmente a terra dopo una spinta di spalla del suo avversario.
   «Addio, Maleagant!» esclamò Landevale, calando la spada su di lui.
   Maleagant, però, nonostante il malessere, riuscì a parare ancora l’attacco e a rispondere quasi d’istinto con un fendente dritto al petto. Un fendente che Landevale non vide arrivare e che non fu in grado di schivare.
   «No!» esclamò Maleagant, scioccato, afferrando il corpo dell’altro prima che questo toccasse il suolo. Non sarebbe voluto arrivare a tanto, ma, sentendosi in pericolo, aveva reagito senza pensare ed ora non poteva più tornare indietro. Landevale era morto. I suoi occhi vitrei guardavano il vuoto mentre esalava il suo ultimo respiro. Così, con le lacrime agli occhi, Maleagant poggiò delicatamente il cadavere del cavaliere a terra. Poi, sospirò profondamente. Di quella spedizione, lui era l’ultimo rimasto in vita. La missione, a quel punto, non contava più nulla. Aveva solo un obiettivo in testa: vendicare i suoi compagni. Con quel pensiero, uscì dalla stanza e riprese le ricerche. La strega avrebbe pagato a caro prezzo quell’affronto.
   «A noi due, bastarda!»
 
***
 
   Sir Maleagant perlustrò in lungo e in largo l’intero edificio, esaminando a fondo ogni meandro, finché d’improvviso non si accorse di una scalinata ben nascosta, che ad un primo sguardo doveva condurre nei sotterranei della fortezza. Senza indugiare, la percorse fino ad arrivare ad un cancello che oltrepassò, raggiungendo una stanza alquanto insolita, sia per fattezze che per dimensioni. Era molto lunga, ben più di quanto non fosse larga, almeno; inoltre, ai margini vi erano alcune grate che bloccavano l’accesso a chissà quale posto; con quel buio, del resto, non riusciva a distinguere un granché.
   Poi, di colpo, le torce appese ai lati delle pareti si infiammarono, rivelando alla fine della camera una specie di trono con una donna seduta su di esso.
   «Benvenuto, mio caro.» lo accolse lei con un sorriso.
   Maleagant sfoderò la spada e gliela puntò contro.
   «Maledetta!» esclamò, prendendo la rincorsa per attaccarla. Dopo tre passi, però, il cavaliere si sentì immobilizzare le gambe. Benché provasse a muoversi, non aveva più il controllo di metà del suo corpo, dallo stomaco in giù.
   «Liberami! E affrontami ad armi pari!» urlò, scuotendo le braccia.
   «No.» rispose semplicemente la strega, alzandosi per andargli incontro. «Perché siamo già ad “armi pari”. Tu usi una lama ed io la magia. Non è certo colpa mia se la tua arma è più debole, non trovi?»
   «Ma io ho questo!» ribatté Maleagant, stringendo con una mano l’amuleto che aveva al collo. «Dovrei essere immune ai tuoi incantesimi!»
   La strega scoppiò a ridere di gusto.
   «Che sciocco! Non crederai davvero che un semplice sassolino possa proteggerti dalla mia magia? Al massimo, può difenderti da qualche fattucchiera. Ma, di certo, non da me.»
   Maleagant si guardò intorno per tentare di elaborare un piano, prima che la donna gli arrivasse troppo vicino. Ma non ci riuscì.
   «È tutto inutile, tanto non hai via di scampo. Arrenditi all’inevitabile. In questo modo, soffrirai di meno.»
   «Mai! Io sono un cavaliere di Camelot ed onorerò la mia carica fino alla fine! Vendicherò i miei compagni e porterò a compimento la missione affidatami dal mio re!»
   Di nuovo, la strega rise apertamente. Stavolta, forse, con maggior enfasi.
   «Ma davvero? E faresti tutto questo solo per il tuo re? Lo stesso che vi ha mandato qui a morire?»
   «Certo.»
   «Vortigern è un debole.» continuò la strega, accarezzandogli il viso. «Ma, devo ammettere, che mi ha fatto un grosso regalo nell’inviarvi qui da me, quest’oggi.»
   «Che vuoi dire?» chiese Maleagant confuso.
   «Vedi, oltre a farmi divertire un po’, voi piccoli ed insulsi omuncoli mi avete donato qualcosa di ben più grande di quello che mi sarei mai aspettata di ricevere. Qualcosa che mi mancava da tempo.»
   «Di che stai parlando?!»
   «Della speranza, mio caro.» disse lei con convinzione. «È da molto, ormai, che cerco un modo per impadronirmi di Camelot, ma, ahimè, senza riuscirci. Come puoi di certo capire, è un’impresa piuttosto ardua, anche per me, espugnare la roccaforte più illustre dei cinque regni. Devo ammettere che voi cavalieri ed il vostro stolto re siete stati fino ad ora una bella spina nel fianco. Ma tutto questo sta per finire.»
   La strega fece una pausa, osservando il volto di Maleagant come immersa in qualche pensiero. Dopodiché, riprese il discorso da dove lo aveva interrotto.
   «Puoi immaginare la mia sorpresa quando vi ho visto varcare i confini della mia magione. Come avrebbe potuto una misera manciata di cavalieri avere anche solo una possibilità di successo contro di me? Non me lo riuscivo proprio a spiegare. Infatti, all’inizio l’ho trovato offensivo. Ma poi ho capito. Per quanto rimanesse uno sbaglio tanto stupido quanto folle, questo gesto poteva giocare anche a mio favore. Così, mi è venuta in mente un’idea piuttosto… bizzarra, ma efficace.»
   Maleagant la fissò con un misto di paura e stordimento. Quella donna era completamente fuori di testa. Non solo per quello che diceva, ma più che altro per come lo diceva. La sua smania di potere trasudava da ogni fibra del suo corpo. Tuttavia, ancora non capiva bene di cosa stesse parlando.
   «In che modo tutto questo sarebbe a tuo vantaggio?»
   La strega, con un ampio gesto delle mani, fece apparire un braciere al centro della stanza. Intorno ad esso, comparvero stesi a terra anche i corpi dei sei cavalieri che avevano da poco perso la vita.
   «Quando vi ho visto arrivare, vi ho lanciato un incantesimo.»
   «C-che genere di… incantesimo?»
   «Uno che avrebbe fatto uscire la vostra vera natura. Perché vedendovi ho capito subito cosa eravate.» rispose lei, avvicinandosi ai cadaveri. «Sette cavalieri… per sette peccati.»
   «Superbia, lussuria, gola, …» disse, indicando prima sir Bagdemagus, poi sir Urien ed infine sir Hoel.
   «… ira, accidia, invidia…» continuò, puntando il dito contro sir Galehalt, sir Dagonet e sir Landevale.
   «E per ultimo, il mio preferito: avidità» concluse, additando sir Maleagant, ancora immobilizzato.
   «Non… non capisco…»
   «Vortigern vi ha inviato per sconfiggermi, ma in realtà diventerete la mia forza.»
   «Te lo puoi scordare!» esclamò Maleagant furibondo. «E poi, anche se gli altri sono rimasti soggiogati dai tuoi poteri, io non ne sono caduto vittima!»
   «Ne sei certo?» domandò la strega, allungando una mano verso la cintura del cavaliere. «Questa allora come ci è finita qui?»
   La donna prese tra le mani la pietra scarlatta che Maleagant aveva trovato nella stanza del tesoro. Con delicatezza, la rigirò sul palmo, di fronte agli occhi del cavaliere.
   «Allora? Non rispondi?»
   «… Non so perché l’ho presa, ma puoi riprendertela.»
   «Ah, no! Adesso temo che sia tua… mio caro.» ribatté la strega, spalancandogli la bocca e facendogliela ingoiare.
   «Gwwwaaah!» annaspò Maleagant, senza respiro. La pietra non era molto grande, ma rimaneva comunque abbastanza grossa per essere mandata giù. Ciononostante, con po’ di fatica, alla fine ci riuscì. «Anf!... Anf!... Perché diamine…Anf!... l’hai fatto?!»
   La strega sogghignò maliziosamente.
   «Tu non sai cos’era quella, vero?»
   «Era una pietra preziosa. Forse un rubino o un topazio…»
   «Nessuna delle due. In realtà, non è neanche una pietra preziosa. È qualcosa di più… speciale.»
   «Come?» chiese Maleagant, ancora con la voce rauca.
   «Conosci la fenice? È un uccello leggendario dai grandi poteri. Da sempre si narra di come non si estingua mai e rinasca dalle proprie ceneri. Tuttavia, di rado si accenna al fatto che il suo occhio abbia dei poteri… sorprendenti.»
   «Q-quali… poteri?»
   «Esso assorbe l’energia vitale di chiunque vi entri in contatto… come te, che l’hai appena ingoiato.» spiegò la strega toccandogli il petto. «Purtroppo, impiega diverse ore a nutrirsi delle sue vittime. Ecco perché, se non ti dispiace, con la mia magia, velocizzerò il processo.»
   La mano della donna s’illuminò, così come i suoi occhi, investendo di luce sir Maleagant. Dapprima, il cavaliere apparve disorientato, finché il suo viso non iniziò a impallidire, fino a diventare in pochi attimi bianco ed emaciato. Fu allora che il bagliore dell’incantesimo si dissipò e che il corpo dell’uomo, ormai privo di vita, cadde all’indietro, proprio di fianco ai suoi compagni.
   A quel punto, la strega sospirò confortata. Il suo piano stava finalmente per compiersi. Non restava che un ultimo gesto. Il più importante. Così, si avvicinò ai sette cavalieri, ormai defunti, e si accovacciò al loro fianco. Poi, si punse un polpastrello con una delle sue unghie lunghe e affilate.
   «Awacan!» pronunciò, inumidendo la fronte di sir Maleagant col suo sangue.
   Subito dopo si alzò e ripeté le stesse parole, segnando anche la fronte di sir Bagdemagus. Allo stesso modo toccò anche agli altri, finché tutti e sette non furono marchiati. Di seguito, la strega si alzò da terra e si posizionò al centro della stanza.
   «Cnihtas, eower sawlas sind min sawlas. Onwac and cum her. Rid ond forsleah. Gedo, Vortigern ond Camelot!»
   D’improvviso, un enorme fuoco si levò dal braciere, illuminando il suo sorriso maligno e soddisfatto. Poi, i sette cadaveri iniziarono lentamente a muoversi, finché non si sollevarono dal pavimento e non si alzarono in piedi.
   «Bentornati, miei cari.» disse loro la strega, osservandoli uno ad uno negli occhi. Nonostante fossero tutti e sette lì, di fronte a lei e completamente immobili, il loro aspetto non dava neanche per un istante l’idea che fossero ancora vivi. Tutto il contrario. Le ferite subìte prima di morire sembravano spiccare ancor di più in quella situazione. L’ombra dei cavalieri che erano stati in vita appariva solo come un lontano ricordo. Adesso non erano altro che marionette, al servizio della loro nuova padrona.
   «Vi confesso che ho atteso a lungo questo momento.» continuò la strega, leccandosi il dito insanguinato. «Ma grazie a voi, finalmente è arrivato.»
   Con un gesto della mano, la donna lanciò una magia sui cadaveri rianimati, facendo comparire ad ognuno una specie di maschera, che coprì interamente il volto, e un mantello nero col cappuccio.
   «Vortigern, già da tempo, ha osato sfidare la mia pazienza. Con l’aiuto dei suoi cavalieri mi ha negato ingiustamente la gloria della vittoria. Ma ora, anch’io ho dei cavalieri al mio servizio. Voi siete la mia nuova arma. Voi siete il mio nuovo potere. Voi sarete la mia vendetta verso il regno di Camelot che in ogni modo ha tentato di respingermi!»
   La strega scoppiò a ridere. La sua euforia sembrava crescere ad ogni parola che pronunciava, così come il suo ego. Intanto, i sette attendevano ancora fermi al loro posto.
   «I “figli di Vortigern” ora saranno i miei!» esclamò compiaciuta. «Il mondo vedrà finalmente di cosa sono realmente capace. Tremeranno al cospetto della più grande strega che sia mai nata! Avranno timore nel fronteggiarmi! Con voi sette al mio fianco nessuno potrà intralciarmi! Camelot cadrà sotto il mio potere e i posteri ricorderanno con paura e orrore la mia ascesa!»
   La donna allungò una mano verso i sette accoliti. Questi ultimi, senza indugiare, si inginocchiarono all’istante.
   «A lungo si narrerà del mito di Medhir, la potente strega del nord, e dei suoi più fidati guerrieri. Da adesso io vi nomino miei cavalieri! Perciò alzatevi, miei cari, e diffondete la mia volontà in tutto il regno! Alzatevi e distruggete Vortigern e Camelot una volta per tutte!»
   I sette annuirono all’unisono.
   La spedizione che avevano intrapreso li aveva portati fin lì, a fronteggiare la potente strega. Ma la sorte non era stata benevola con loro. Oltre ad aver incontrato la morte, da quel momento in poi nessuno li avrebbe più ricordati come i sette cavalieri che avevano servito fedelmente Camelot ed il suo re. Da quel fatidico giorno, tutti loro sarebbero passati alla storia con un altro nome. Un nome che sarebbe perdurato fino ai tempi di re Artù. Un nome che avrebbe alimentato molte leggende a venire.
   Nelle pianure settentrionali, i fuochi di Idirsholas bruciarono per la prima volta. I “Cavalieri di Medhir” erano pronti a servire la malvagia strega.
   
 
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