Anime & Manga > I cinque samurai
Ricorda la storia  |      
Autore: PerseoeAndromeda    25/11/2023    0 recensioni
"E sapeva benissimo che nome dare a quel pizzico al petto, inutile che fingesse di ignorarlo e di non capirlo, si illudeva che si trattasse di un mistero quando ormai gli era chiaro, limpido, come la luce…"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rowen Hashiba
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fanfic scritta per il writober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpsky
Prompt: 9. Fulmine
Titolo: Solo mai più
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Personaggi: Touma Hashiba, presenti tutti nei suoi pensieri. Riferimenti alla fivesome, ma con particolare riferimento a Seiji.
Rating: Verde
Genere: Introspettivo, malinconico, sentimentale, leggero angst, romantico
Avvertimenti: Cronologicamente da inserire nel periodo successivo alla seconda battaglia contro Arago, quindi la prima volta che si separano dopo tanti mesi assieme.


 
 
SOLO MAI PIÙ
 

Touma faticava a dare un nome a quella sensazione spiacevole che gli rodeva dentro: era qualcosa di sconosciuto…
O forse no…
In realtà era qualcosa di molto simile a quello che provava, da piccolo, quando i genitori lo lasciavano in casa da solo.
Accadeva molto spesso…
Accadeva quasi sempre.
Ben presto era diventata la normalità e quel rosicchio fastidioso aveva smesso di essere tale: in futuro non ci aveva più pensato.
Restarsene a casa senza nessun altro intorno era diventata una condizione piuttosto piacevole a dire il vero, tanto che qualunque altra presenza, fosse pure quella sporadica del padre che tornava ogni tanto a ricordargli la propria esistenza, rischiava di risultare fastidioso.
Poi c’era stata la convivenza forzata con quattro nakama, una ragazza più grande con velleità da sorella maggiore, un bambino chiacchierone e fastidioso… e una tigre che in realtà era uno spirito millenario e la sua vita tranquilla e solitaria si era mutata in un gran casino di battaglie, yoroi, condivisioni e qualcos’altro di molto più inconfessabile, perché il rapporto con quei quattro ragazzi era andato oltre, fin troppo oltre…
Straordinariamente oltre.
Il ritorno a Osaka, lasciandosi tutto, soprattutto loro quattro, alle spalle, si era rivelato strano.
Per lungo tempo, una parte di lui aveva pensato che non vedeva l’ora, che aveva bisogno del proprio isolamento, di tornare alle sue giornate senza seccature e gente chiassosa intorno. Quando, infine, il giorno dei saluti era giunto, si era trovato a piangere tra le loro braccia, come tutti loro…
Come uno scemo sentimentale…
Come se gli stessero strappando qualcosa dentro.
Giunto a Osaka, rientrato a casa si era chiuso la porta alle spalle e il silenzio che lo aveva accolto gli era sembrato un assordante urlo di agonia.
Si era detto che era normale, che doveva riabituarsi, come da piccolo si era abituato alle assenze dei genitori, che ben presto la sua vecchia vita sarebbe tornata a rivelarsi desiderabile e piacevole.
Ci stava mettendo un po’ troppo però, quel pizzico fastidioso non accennava ad andarsene, anzi, aveva la sensazione che peggiorasse giorno dopo giorno, ora dopo ora e gli impediva di concentrarsi su qualunque cosa, persino sulla lettura e lo studio.
Non che avesse tutto quel bisogno di studiare, avrebbe potuto non aprire neanche un libro per tutto il resto della carriera scolastica e avrebbe comunque ottenuto risultati brillanti.
Tuttavia, ne faceva una questione di principio.
Non accettava di non comprendere qualcosa.
Già, perché quel pizzico in petto non lo comprendeva.
Shin e Seiji gli avrebbero detto che non voleva comprenderlo, ma che in realtà sapeva benissimo di cosa si trattasse: quei due avevano il vizio di dare a lui, che era uno che sapeva tutto, lezioni su cosa dovesse provare.
In effetti avevano ragione, qualcosa da imparare la aveva ancora: tutto ciò che era rapportabile a quell’accozzaglia complessa e per lui troppo spesso indecifrabile che erano i sentimenti umani.
“Perché vuoi ragionare su tutto, a tutto vuoi dare una spiegazione” sentenziava, nelle sue orecchie, la vocina petulante di Shin. “Ma non è sempre necessario, basta semplicemente accettare di provare un’emozione”.
E Seiji annuiva, con palese ammirazione nei confronti di Shin.
“Ma io voglio dare un nome a questa emozione!” protestava lui.
E allora interveniva Shu, a dargli una spinta violenta sulla spalla, con aria visibilmente seccata:
“Amore, zuccone! Si chiama amore! E va solo accettato!”.
Ryo li osservava, accucciato sul tappeto accanto a Byakuen e sorrideva, con quell’espressione che era…
Anche a quell’espressione Touma aveva cercato di dare un nome ed era stato Seiji a spiegargliela:
“È solo il suo modo per abbracciarci tutti, è lo sguardo del suo amore per noi”.
Touma aveva sbuffato: sembrava così ovvio dalle loro parole.
Per tutti loro sembrava così semplice.
“Perché io non ci arrivo?” sbottava contro se stesso. “Perché non riesco ad arrivarci subito come voi?!”.
Dove finivano i suoi 250 QI quando si trattava di loro?
E perché, da quando aveva riconquistato la tranquillità della propria esistenza, quella che era stata la sua quotidianità per i primi tredici anni della sua vita, in realtà tale tranquillità non la sentiva per nulla?
Perché ogni istante della giornata, ogni particolare, ogni angolino recondito dei suoi pensieri, tornava a quei quattro?
Anche alla battaglia, era logico, aveva combattuto, si era trasformato in un samurai, l’irrazionale era piombato con prepotenza nella sua vita e aveva attraversato esperienze che non potevano lasciare un animo immutato.
Ma quei quattro…
La rivoluzione dentro di lui l’avevano provocata loro.
Le gambe incrociate sul tappeto della sua stanza, in quella posizione che gli era comune fin da bambino, quando si immergeva tra carta e sogni ad occhi aperti, sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo: niente da fare, quel piacere di un tempo non lo provava più.
E sapeva benissimo che nome dare a quel pizzico al petto, inutile che fingesse di ignorarlo e di non capirlo, si illudeva che si trattasse di un mistero quando ormai gli era chiaro, limpido, come la luce…
La luce…
“Seiji…” mormorarono le sue labbra.
Si chiamava solitudine quella sensazione…
Nostalgia, malinconia…
Vuoto…
Parola terribile.
Il vuoto di un cuore che, per riempirlo, non erano più sufficienti le pagine di un libro o gli occhi persi nel cielo notturno.
Richiuse il libro e si alzò, per dirigersi alla finestra: era piena estate e l’aveva lasciata aperta per contrastare la calura della sera di Osaka.
Appoggiò i gomiti al davanzale e guardò fuori.
Il buio era sceso sulle strade e le luci del centro abitato cominciavano ad accendersi.
Non le stelle.
L’inquinamento luminoso non avrebbe mai permesso di scorgerle.
Nonostante tutto, il richiamo della volta celeste era troppo forte e i suoi occhi salirono, alla ricerca di qualche frammento risparmiato dalle luci artificiali.
Le stelle non si sarebbero viste comunque, era nuvoloso, c’era aria di pioggia e una cappa di umidità rendeva l’afa ancora più soffocante.
“Tra poco scoppierà un temporale”.
Quando era piccolo non amava i temporali, soprattutto quelli notturni: In quei momenti, la solitudine gli pesava, correva a rifugiarsi nel letto che era stato di entrambi i genitori e si rannicchiava sotto le coperte per non vedere i lampi, si tappava le orecchie per attutire il rombo dei tuoni. E immaginava che le coperte fossero le braccia di mamma o papà.
Si rimproverava da solo, era consapevole che si trattava di un evento naturale e che avrebbe dovuto razionalizzarlo, come faceva con qualunque cosa, ma era più forte di lui, la sua mente non riusciva a controllare le reazioni fisiche, né quelle psichiche quando si trattava di tuoni e fulmini.
Non lo aveva mai rivelato a nessuno ed era cresciuto con quella paura tenendola dentro di sé ed affrontandola in solitudine.
Fino a una notte a casa di Nasty.
Un temporale notturno in montagna poteva fare anche più paura di un temporale notturno in città e lo aveva colto di sorpresa, mentre ancora si stavano rimettendo dai traumi lasciati dal primo scontro contro Arago.
Si era svegliato di soprassalto, trovandosi seduto sul letto, le orecchie ancora piene di quel rombo assordante che aveva fatto tremare le mura, mentre fuori il vento ululava e sferzava la foresta poco distante.
Collegare il frastuono a un nuovo attacco nemico era stato fin troppo facile, ma lui non poteva mentire a se stesso: anche se non avessero dovuto temere nessuna minaccia, anche se i loro nervi non fossero stati già tesi a sufficienza, la sola esistenza del temporale sarebbe bastata a scuotere il suo sonno e a farlo tremare, come tremava lì, seduto su quel letto, guardandosi intorno con aria sperduta.
Quella notte, però, aveva incrociato un paio di occhi, vigili come i suoi, ma privi di paura, un paio di occhi dal colore tanto assurdo quanto bellissimo, in quel momento illuminati da un fulmine che sembrò avvolgerlo, come fosse stato generato da lui.
Touma era arrossito, aveva abbassato di colpo il proprio sguardo, in imbarazzo perché non riusciva a nascondere il timore, a frenare i tremiti.
Poi Seiji era sceso dal proprio letto, si era avvicinato, si era seduto sul suo, appena sul bordo e gli aveva sfiorato la guancia con una carezza. E lo aveva accarezzato anche con le proprie parole, sussurrate nel buio:
“Va tutto bene…”.
Touma non ricordava, con esattezza, cosa fosse accaduto dopo. Si era sciolto, come raramente gli capitava e le parole erano fluite con una naturalezza che non conosceva freni, ogni inibizione lasciata chissà dove.
Aveva raccontato tutto a Seiji, gli aveva descritto quelle notti di bambino solo in un grande appartamento di Osaka, rannicchiato sotto le coperte del lettone, le mani premute sulle orecchie e gli occhi serrati, il corpicino minuscolo che tremava come una foglia.
Infine, si era reso conto di cosa stava facendo, si era bloccato, la consapevolezza di essersi messo così a nudo lo aveva terrorizzato. Ma non aveva avuto modo di retrocedere, perché si era ritrovato, senza sapere come né quando, tra le braccia di Seiji, che non avevano nessuna intenzione di lasciarlo scappare via.
“Hai paura se io ti stringo così?” gli aveva sussurrato, tanto vicino all’orecchio da lasciargli percepire il calore del suo fiato.
“N… no…”.
Paura decisamente no…
Solo quel po’ di imbarazzo che Touma non poteva mai accantonare del tutto quando si trattava di cuore…
Quando si trattava di Seiji.
Ma tra quelle braccia ci sarebbe rimasto in eterno, a quelle braccia il suo cuore lo avrebbe affidato tutto, così come la sua vita, come ogni parte di sé.
“Allora non è vero che hai paura del fulmine”.
Inizialmente colto di sorpresa, perché l’intimità del momento inibiva la sua proverbiale capacità di razionalizzare, subito dopo aveva capito.
Da quel momento, i temporali avevamo assunto tutt’altro significato: non aveva più tremato, non si era più tappato le orecchie.
 
Per questo, adesso, si era messo alla finestra, in attesa?
“Voglio sentirti” mormorò. “So che puoi arrivare da me”.
Come in risposta, la notte di Osaka venne squarciata da una saetta che tagliò il cielo in due, lasciando Touma a bocca aperta.
Dopo pochi istanti, un rombo assordante lo fece sussultare, ma senza paura, strappandogli, anzi, un sorriso.
“Volevi essere sicuro di farti notare, non è vero, Seiji?”.
Un tempo si sarebbe sentito stupido, non si era mai ritenuto un sognatore.
Ma forse, un po’, lo era diventato…
Anche quello grazie a loro.
Un altro fulmine, meno spettacolare del precedente, delineò di nuovo le sagome di nuvole e grattacieli, il secondo tuono fu più delicato e il sorriso di Touma si accentuò:
“Sì, ti ho sentito… ciao… ciao amore mio e stai tranquillo… non mi sentirò solo mai più”.
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > I cinque samurai / Vai alla pagina dell'autore: PerseoeAndromeda