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Autore: Shainareth    28/11/2023    1 recensioni
[Gundam SEED Freedom] Adesso però le cose erano cambiate. Lei era cambiata. Nel momento esatto in cui si era ritrovata da sola, aveva capito che non poteva appoggiarsi troppo agli altri, che avrebbe dovuto farsi forza e mettercela tutta contando perlopiù su se stessa. Non era un sacrificio insopportabile, perché quella era l’eredità di suo padre, perché quello era il sogno in cui tutti loro credevano fermamente.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athrun Zala, Cagalli Yula Athha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STRESS

 
Sapeva di aver bisogno di riposare, ma i suoi livelli di stress erano arrivati al punto che non riusciva più a rilassarsi. Non appena provava a chiudere gli occhi, le tornavano in mente le discussioni avute durante la giornata, le decisioni prese, i rapporti da leggere, il monitoraggio a Morgenroete, le situazioni in divenire che avrebbe dovuto trattare con gli altri Emiri, con i rappresentanti dei Paesi alleati, con i membri di Compass e con quelli di Terminal. Per non dimenticare le sue responsabilità verso Toya, al quale era certamente affezionata, ma che costituiva anche un punto di svolta per il futuro di Orb - e per quello personale, volendola vedere in maniera egoistica.
   Pensare però a quel momento era ancora troppo presto. Lui era solo un ragazzino e lei oberata a tal punto di lavoro da non potergli dedicare il tempo che avrebbe voluto. Tempo che, in verità, non aveva neanche per se stessa. Un paio di anni prima era riuscita a sfogare spesso la propria frustrazione grazie ad Athrun: aveva passato ore a piangere sulla sua spalla, mentre lui sopportava pazientemente e la sosteneva con tutto il cuore. Adesso però le cose erano cambiate. Lei era cambiata. Nel momento esatto in cui si era ritrovata da sola, aveva capito che non poteva appoggiarsi troppo agli altri, che avrebbe dovuto farsi forza e mettercela tutta contando perlopiù su se stessa. Non era un sacrificio insopportabile, perché quella era l’eredità di suo padre, perché quello era il sogno in cui tutti loro credevano fermamente. Non che dovesse per forza affrontare tutto da sola, ma non era giusto sobbarcare troppo qualcun altro della propria fragilità emotiva. Alla fine, anche lo stesso Athrun era esploso per conto suo, a modo suo, non appena si era ritrovato con le spalle al muro per colpa dei demoni del passato.
   Decidendo di abbandonare la stilografica sui fogli che aveva davanti agli occhi, perché ormai incapace di capirci qualcosa per via della stanchezza, Cagalli si portò le mani chiuse a pugno sugli occhi. Nel silenzio dello studio, e dell’ora tarda, alla mente riaffiorò il pensiero di quel diplomatico estremamente sfacciato, che si era complimentato con lei non soltanto per le sue doti in campo politico e internazionale. «Le immagini diffuse online non rendono giustizia al suo fascino», le aveva detto dopo i primi convenevoli, non appena si erano trovati a tu per tu. Il Delegato lo aveva subito rimesso al suo posto in modo signorile, ma fermo, facendogli capire immediatamente che non aveva tempo da perdere in certe sciocchezze. Lui non poteva saperlo, ma se lei avesse potuto, non si sarebbe certo rivolta al primo arrivato per sfogare lo stress o anche solo concedersi il lusso di abbandonarsi fra le braccia di qualcuno.
   Era in momenti come quelli, tuttavia, che avvertiva maggiormente la lontananza da Athrun. Perché non c’era nessun altro a cui lei si sarebbe concessa, nessuno con cui si sarebbe lasciata andare in modo completo da un punto di vista fisico ed emotivo. Ma quei pensieri non portavano a nulla, ne era perfettamente consapevole. Era stata lei, dopotutto, ad allontanarlo da sé sotto quell’aspetto e non certo perché non lo amasse o non lo desiderasse più. Anzi, in parte lo aveva fatto proprio per quello: non voleva pesare ancora una volta su di lui, né voleva costringerlo ad aspettare che lei fosse in grado di dedicarsi del tutto al loro amore, lasciandosi alle spalle le responsabilità con la coscienza tranquilla. Ci stava lavorando su, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo. Purtroppo. Era giusto che, nel frattempo, lui vivesse la propria vita come meglio credeva. E il fatto che fosse spesso via per lavoro, in fondo, non era poi un male: tenere lontane le tentazioni l’aiutava a concentrarsi maggiormente sul lavoro.
   Sospirò. Sbuffò. Pensare a lui e alla loro passata intimità non era salutare. Alla fine decise che avrebbe dovuto riprendere il lavoro, altrimenti avrebbe continuato a martoriarsi inutilmente. Prima, però, avrebbe fatto una pausa caffè. Doveva ricaricarsi.
   Si alzò e si infilò la giacca che aveva lasciato sullo schienale della sedia. Uscì dallo studio e si avviò lungo il corridoio, ma sobbalzò quando vide Athrun avanzare nella direzione opposta. Quando anche lui incrociò il suo sguardo, le sorrise con affetto e a sobbalzare, stavolta, fu il cuore di lei. Un conto era riuscire a imporsi di mantenere la distanza da qualcuno, ben altro era riuscire a farlo per davvero.
   «Non credevo fossi ancora sveglia», esordì il giovane, non appena furono l’uno di fronte all’altra.
   «Non ti aspettavo prima di domani», disse invece lei, ricordando come appena quella mattina le aveva comunicato che non sarebbe rientrato in giornata.
   «Le cose sono andate meglio del previsto», rispose Athrun, osservando nel frattempo i lineamenti del suo viso. Cagalli era tesa più del solito, lo si poteva intuire anche dalla sua postura e dal modo in cui tendeva a serrare le mascelle. «Farò rapporto domani.»
   «Immagino tu sia stanco.»
   «Non troppo. Ma preferisco lasciarti riposare.»
   Stupita e grata per quella premura, la ragazza gli sorrise, sia pure senza allegria. «Tanto non ci riuscirei comunque», ammise, evitando di fargli sapere che uno dei motivi della sua insonnia era proprio lui.
   «Qualche situazione spinosa?» si informò l’altro, sempre più preoccupato per lei. Cagalli si illudeva davvero che bastasse tuffarsi nel lavoro per innalzare un muro e cancellare tutto quello che c’era stato fra loro? Tutto quello che c’era ancora, a dispetto delle apparenze. Certi sentimenti non potevano svanire da un giorno all’altro. Non quando erano così forti, profondi e travolgenti.
   «No, è solo un po’ di stanchezza...» tergiversò il Delegato, ben sapendo che quel discorso era alquanto paradossale.
   Se avesse potuto, Athrun l’avrebbe abbracciata e le avrebbe chiesto di parlargli liberamente di ciò che l’affliggeva sul serio. In teoria poteva farlo comunque, ma temeva che lei fraintendesse le sue intenzioni. Voleva solo aiutarla. Come sempre. «Posso fare qualcosa per te?»
   Oh, sì. C’erano un mucchio di cose che avrebbe potuto fare per lei. Prenderla fra le braccia, ascoltarla, lasciarla piangere, aiutarla a sfogare lo stress persino in modi più profani. Cagalli si era però imposta di non cascarci di nuovo: sapeva che lui non le avrebbe detto di no, e lei gli voleva troppo bene per usarlo in quel modo.
   «Andiamo al poligono», stabilì allora. Poteva essere un buon compromesso, no? Avrebbe alleggerito la tensione svuotando qualche caricatore, si disse. Le mancava la sensazione di avere una pistola fra le mani, l’odore di acciaio e polvere da sparo sulle dita. Fare quel genere di cose con lui era anche soddisfacente perché, da soldato, Athrun capiva perfettamente cosa si provasse.
   Il giovane inarcò le sopracciglia scure. «A quest’ora? Temo sia chiuso.»
   «E indovina chi ha le chiavi per aprire tutto ciò che si trova a Orb?» gli ricordò lei, puntellandosi le nocche delle dita sui fianchi e impettendosi con fare teatrale.
   Divertito da quella messinscena, Athrun non ci cascò. Facendo un passo avanti, le circondò la vita con un braccio e l’attirò gentilmente a sé per stringerla al petto. La sentì sussultare e balbettare qualcosa di insensato prima che le riuscisse di tornare padrona di se stessa. «C-Che ti prende all’improvviso?!»
   «Scusa», le disse serafico, notando con soddisfazione come lei, anziché allontanarlo, si fosse aggrappata al suo spolverino scuro. «Dammi solo un momento, ne ho bisogno.» Ed era vero, perché Cagalli non era l’unica a soffrire per quella lontananza e lo stress emotivo - e fisiologico - che ne comportava. «Mi sei mancata.»
   Sapeva perfettamente che era una scomoda verità, eppure non seppe imporsi. «Athrun...» mormorò, preoccupata per quel che sarebbe potuto accadere se avessero ceduto alla tentazione.
   «Lo so», sospirò lui, serrando con calore la presa attorno alla sua esile figura per un ultimo istante. Si sentiva colpevole perché in quel momento le stava mettendo addosso quella stessa pressione che in passato aveva contribuito ad allontanarli e che lui aveva giurato di non farle più pesare. Doveva lasciarle i suoi spazi, doveva rispettare la sua volontà.
   Piano, allentò l’abbraccio affinché Cagalli potesse divincolarsi, ma lei rimase ferma, le dita attorno alla stoffa dei suoi abiti, gli occhi nei suoi. «Non... sarebbe giusto...»
   «Hai ragione, scusami.»
   «Sono io che dovrei scusarmi.»
   Athrun si lasciò sfuggire un sorriso. «Vogliamo davvero metterci a discutere su chi sia quello in torto?» La ragazza ridacchiò, dandogli amorevolmente dello stupido, e lui si sentì di nuovo soddisfatto. Questo gli diede la spinta per osare di più. «Capisco le responsabilità e il cercare di evitare in tutti i modi le distrazioni, e ti giuro che non voglio metterti fretta, ma...» Esitò, in attesa di un segnale da parte di lei che gli intimasse di tacere. Cagalli però lo stava guardando come se da ciò che avrebbe detto dipendesse il destino del mondo intero, e pertanto Athrun si sentì autorizzato a continuare. «Non potremmo essere soltanto due persone che si trovano bene sotto tutti i dannati punti di vista e che passano del tempo di qualità insieme?»
   La vide mordersi il labbro inferiore, principalmente per il divertimento. «Definisci tempo di qualità
   «Faccio prima a dimostrartelo, credo», ribatté il giovane, ormai lanciato nel perseguire il suo bieco - ma palese - obiettivo.
   Cagalli rise e, arrendendosi all’ineluttabilità del destino, lo tirò per lo spolverino e gli passò una mano dietro la nuca, costringendolo ad abbassarsi per baciarla. La tenerezza di quel gesto durò appena qualche attimo, perché subito lui tornò a circondarla con prepotenza fra le braccia, schiudendole la bocca con una passione trattenuta troppo a lungo.
   Fu questione di un attimo e lei si ritrovò consapevolmente con le spalle contro la parete, le dita affondate fra i suoi capelli scuri, le mani di lui attorno ai fianchi. Le tremarono le gambe nel momento esatto in cui lui accostò il bacino al suo e, costringendosi ad allontanare le labbra dalle sue, annaspò: «Potrebbe arrivare qualcuno...»
   Costretto a darle ragione, ma troppo impaziente per aspettare di raggiungere una delle camere da letto, Athrun la sollevò di peso da terra. «A-Aspetta!» gracchiò Cagalli, aggrappandosi al suo collo.
   «Ora come ora non credo di riuscire più a farlo», disse il giovane, prendendosi in giro da solo.
   Senza poterci fare nulla, la ragazza rise e si strinse a lui. «Dove stiamo andando?» domandò allegra, quasi fossero tornati ai primi tempi della loro relazione.
   «Una qualunque stanza andrà benissimo», fu la spiccia risposta che ricevette.
   «Non esiste», protestò accigliata. «Se dovesse entrare qualcuno, sarebbe oltremodo imbarazzante.»
   «Chi diavolo vuoi che giri per il palazzo a quest’ora?»
   «Mettiamola così, allora», scese a patti, inducendolo a fermarsi con quelle parole. «Preferisci qualcosa di frettoloso o qualcosa di molto più approfondito?»
   «Cagalli...» sospirò Athrun, cercando di portare pazienza. «Siamo entrambi talmente carichi che dureremmo comunque poco», constatò, suo malgrado. «Per i nostri standard, intendo», ci tenne a precisare, con un certo orgoglio.
   «Vero», si rassegnò a dargli ragione lei, senza tuttavia arrendersi. «Ma in una stanza qualunque ci fermeremmo lì, mentre in camera da letto avremmo la possibilità di rimanere insieme.»
   «E svegliarci vicini, domattina?» considerò con tenerezza il suo innamorato, accarezzandole la guancia con la punta del naso. Cagalli non rispose, vergognandosi di se stessa. Stupito dal suo silenzio, lui scostò il viso dal suo per guardarla negli occhi. Fu allora che comprese e rise. «Poi siamo noi uomini, quelli col chiodo fisso...» la prese in giro, ricominciando a camminare per raggiungere la zona notte.
   «Hai una vaga idea di quanto stress io abbia accumulato in tutto questo tempo?» tentò di giustificarsi la ragazza, piccata e deliziosamente rossa in volto.
   «In tal caso, è una fortuna che io sia un coordinator», osservò Athrun, tornando a far ridere anche lei.
   «Puoi mettermi giù», disse Cagalli, dal momento che ormai non mancava molto per raggiungere una delle loro camere da letto.
   «Lasciati viziare, ogni tanto.»
   «Guarda che ti prendo in parola, eh», lo provocò, prima di chiudere le labbra attorno al lobo del suo orecchio. Sentì l’altro trattenere rumorosamente il fiato.
   «Cagalli...» mormorò Athrun, con voce roca, a mo’ di avvertimento. «Giuro che se continui, anziché viziarti, te la farò pagare.»
   Non finì di dirlo che qualcuno li sorprese alle spalle. «Signorina!» Sobbalzarono, soprattutto per via della coscienza sporca, e il giovane ruotò di scatto su se stesso, facendo girare la testa alla ragazza che reggeva fra le braccia. «Cos’è successo?!»
   Dal modo in cui la povera Myrna accorse nella loro direzione, in vestaglia e ciabatte, si avvertiva tutta la sua preoccupazione per la Principessa. Come avrebbero dovuto spiegarle che in realtà la sua protetta stava fin troppo bene? Nel silenzio imbarazzato che seguì, Athrun tossicchiò e Cagalli decise di prendersi ancora una volta le proprie responsabilità. «Mi sono slogata una caviglia», inventò su due piedi. «Athrun mi stava accompagnando in camera per non farmi sforzare.»
   «Oh», saltò su l’altra, stringendo le mani al petto. «Lei è sempre così gentiluomo!» esclamò commossa, riservando al giovane uno sguardo pieno di stima. Athrun si sentì un verme, ma abbozzò comunque un sorriso di ringraziamento. «Venga, le apro la porta», si propose Myrna, «così poi metteremo su del ghiaccio e...»
   «Non ce n’è bisogno», le garantì Cagalli, temendo di aver appena distrutto la prospettiva di una nottata sì, insonne, ma pregna di risvolti interessanti. «Non fa così male come sembra. È Athrun che esagera.»
   «Ovviamente è colpa mia», sospirò lui con pazienza, seguendo la donna al servizio degli Athha e iniziando a rassegnarsi a dormire da solo come al solito.
   «In ogni caso, meglio essere prudenti», ribatté Myrna, varcando la soglia della stanza della padrona e lasciando passare loro per primi. «La adagi pure sul letto, al resto penserò io.»
   Athrun esitò, Cagalli uggiolò contro l’incavo del suo collo.
   «Forza, è già molto tardi e la signorina ha bisogno di riposare.»
   «La signorina sta bene», le fece il verso lei stessa, perdendo la pazienza. Non avrebbe rinunciato a quella serata per una sciocchezza del genere. Fece cenno al suo cavaliere di metterla giù e, non appena i suoi piedi toccarono terra, mostrò alla donna che era in grado di camminare da sola e che le sue preoccupazioni erano del tutto inutili. «Quindi vai pure a riposare», la pregò poi in tono gentile, poiché le premure di Myrna erano sempre capaci di commuoverla.
   «Ne è sicura?» volle sincerarsi lei, restia a lasciarla. «Se vuole posso comunque aiutarla a mettersi a letto.»
   Prima ancora che Cagalli potesse replicare per dissuaderla dal farlo, Athrun l’anticipò. «Ti lascio in buone mani. Vado a dormire anche io.»
   La ragazza si voltò a fissarlo, disperata per il suo abbandono del tutto inatteso; tuttavia, non appena incrociò il suo sguardo, lui le sorrise e lei comprese. Prendendo un grosso respiro, si fece forza. «Grazie», disse anzitutto, senza bisogno di fingere. «Aspetto il tuo rapporto domani, con calma.»
   «Non mancherò», rispose Athrun, augurando loro la buonanotte e allontanandosi verso la propria camera.
   Cagalli lo seguì con lo sguardo, mortificata. «È sempre stato un giovanotto a modo», commentò Myrna, ignara di tutto, mentre si apprestava a preparare il letto e gli indumenti per la notte per la sua signora. «Dovrebbe riconsiderare l’idea di sposarlo.» Sussultando per quelle parole, la ragazza la guardò in evidente imbarazzo. «Non faccia quell’espressione», riprese la donna, trascinandola dentro la stanza e richiudendo la porta alle loro spalle. «So perfettamente che siete ancora innamorati l’uno dell’altra ed è davvero assurdo che non possiate mostrarvi alla luce del sole», continuò nei suoi ragionamenti, iniziando a spogliarla come se Cagalli avesse avuto ancora cinque anni. «Ciò però non significa che non possiate comunque vivere intensamente i vostri sentimenti.»
   «M-Myrna...» balbettò la Principessa, troppo sorpresa per poter ribattere adeguatamente o ribellarsi alle azioni di lei, che adesso la stava spingendo in bagno per lavarla da capo a piedi. «Posso fare da sola», fu la protesta che seguì e che rimase ignorata.
   «Lo sa che non esistono più uomini del genere?» insisteva frattanto, frizionandole la pelle nuda con l’acqua di rose e, una volta finito tutto, infilandole a forza una camicia da notte molto graziosa che Cagalli neanche sapeva di possedere. «Sono sicura che lui sarebbe capace di aspettarla anche tutta la vita, se solo lei glielo chiedesse.» Di questo in realtà era convinta anche lei e sentire qualcun altro pensarla allo stesso modo la rassicurò ulteriormente. «Perciò, benché comprenda perfettamente la sua posizione a livello politico, la prego di non trascurare i suoi doveri nei confronti di quel ragazzo.»
   Credendo di aver capito male, Cagalli fissò Myrna attraverso lo specchio, davanti al quale ora era intenta a pettinarle i ribelli capelli biondi. «Non mi guardi così», tornò alla carica la donna. «Crede che sia nata ieri? Forza, si faccia coraggio e vada da lui. In tutti questi anni non sarebbe la prima volta, dopotutto.»
   Il Delegato si sentì sprofondare per la vergogna, perciò tacque quando l’altra le mise sulle spalle una vestaglia piena di trine e la contemplò con orgoglio. «Ora giuro che non vi disturberò più, ma, fra un impegno di lavoro e l’altro, la prego di pensare anche alla vostra felicità», disse con la serenità e la complicità di una mamma. «Vi auguro la buonanotte.»
   Tartagliando una risposta educata, sia pure sconclusionata, Cagalli la vide uscire dalla camera, finalmente. Il solo fatto che Myrna avesse concluso il discorso usando il voi anziché il lei, implicava una volta di più che sapeva perfettamente cosa sarebbe successo di lì a poco. Se da una parte la cosa la sconvolgeva e la imbarazzava tantissimo, dall’altro in qualche modo le faceva tenerezza, perché sottolineava una volta di più quanto la donna le fosse devota.
   Sospirò, prendendosi qualche attimo per calmarsi. Valutò l’idea di mandare tutto a monte, perché ormai i bollori erano sfumati e temeva oltretutto che nell’attesa Athrun si fosse addormentato per la stanchezza. Ma non voleva neanche rimanere con il dubbio di averlo lasciato così, con la convinzione che magari lei davvero non fosse più intenzionata ad andare da lui.
   Osservò un’ultima volta la propria immagine riflessa allo specchio e il morale le si risollevò al pensiero che l’amato la desiderasse ancora, come se fra loro non ci fossero mai stati incomprensioni né ostacoli di sorta. Non che non avesse fiducia in lui, anzi. Tuttavia alle volte lo sconforto per il futuro della loro relazione prendeva il sopravvento e lei avvertiva una vulnerabilità che detestava con tutta se stessa. Quando però era insieme ad Athrun, sembrava davvero che il tempo non fosse passato. Non si era mai sentita particolarmente femminile, ma ogni volta che era accanto a lui, avvertiva con prepotenza la sua presenza virile e ne rimaneva immancabilmente schiacciata. In positivo.
   Si mise in piedi e fissò la porta chiusa. Nel momento stesso in cui avrebbe varcato quella soglia, non sarebbe più tornata indietro. Lei e Athrun avevano vissuto una storia meravigliosa, fatta di alti e bassi non dipesi dalla loro volontà ma solo dalle circostanze avverse. Si erano illusi, nella loro ingenuità di ragazzini, che tutto sarebbe stato facile, che sarebbe bastato l’amore a tenerli insieme e a vincere contro i pregiudizi e l’ottusità del mondo che li circondava. Era stato un sogno. Lo era ancora. Stava a loro, adesso, cercare di realizzarlo. E se Cagalli stava lavorando sodo anche per questo da un punto di vista politico, era giusto che si impegnasse anche sotto altri aspetti, che non trascurasse proprio colui che le era sempre rimasto accanto, fedele nel corpo e nello spirito, e che la sosteneva in qualunque situazione.
   Ormai decisa nei propri propositi, oltrepassò l’uscio della camera e si diresse verso quella del giovane. Tentennò un solo istante, prima di bussare, ma poi lui le aprì e lei capitolò definitivamente.
   Con i capelli ancora umidi e degli abiti più comodi indosso, segno che anche lui doveva essersi concesso una doccia durante l’attesa, Athrun la fissò piacevolmente stupito dal suo aspetto curato. «Ne è valsa decisamente la pena, aspettare», commentò, sorridendole.
   Inaspettatamente, lei fece una smorfia e lo spinse dentro la stanza, entrando di prepotenza con lui. «Ho passato la mezz’ora più imbarazzante della mia vita», lo informò, mentre l’altro richiudeva la porta per consentire a entrambi un po’ di privacy. «Myrna mi ha fatto una ramanzina per raccomandarmi di renderti felice sotto ogni aspetto
   Senza che potesse farci niente, il giovane iniziò a ridere e lei protestò. «Scusa», rispose poi Athrun, cercando di non indispettirla ulteriormente. «Ma ammetto di essere davvero fortunato», aggiunse, mangiandosela con gli occhi.
   «Non guardarmi in quel modo», borbottò Cagalli imbarazzata, stringendosi nelle spalle, le braccia incrociate sotto ai seni. Senza volerlo, quel gesto glieli mise in risalto sotto il sottile strato della camicia da notte e lui trattenne il fiato. «In realtà, temevo stessi già dormendo.»
   «Con la prospettiva che tu potessi raggiungermi da un momento all’altro?» domandò in modo retorico, sollevando una mano per sfiorarle il viso. I loro sguardi si incrociarono e lui si chinò per abbracciarla e posare le labbra sulla sua tempia. La sentì irrigidirsi per un solo istante, ma poi la ragazza si aggrappò al suo collo e gli cercò la bocca con la propria, riprendendo quel bacio che avevano lasciato a metà nel corridoio. Athrun serrò la presa attorno ai suoi fianchi, l’altra mano che scendeva in una carezza ferma e calda dietro la schiena. Poteva sentire il profumo di rosa della sua pelle, ma soprattutto l’odore che lei emanava naturalmente e che lo ammaliava e gli obnubilava i sensi.
   Avvertiva la pressione dei suoi seni contro il petto e la sola idea di poterli vedere, di poterle toccare la pelle nuda, di poterla penetrare e fondersi con lei ancora una volta lo mandava in estasi. «Ho bisogno di te», le sussurrò sulle labbra, prima di baciarla ancora con impeto.
   Se solo gliene avesse lasciato modo, Cagalli avrebbe detto la medesima cosa. Sentire le sue mani calde e grandi sul corpo era una sensazione meravigliosa, capace di accenderla e stordirla allo stesso tempo. Mosse le proprie ed esplorò le spalle larghe di lui, le braccia forti. «Athrun...» biascicò quando lui le concesse di nuovo di riprendere fiato. Non aggiunse altro, non occorse. Il giovane le passò un braccio dietro le ginocchia, la sollevò da terra, come aveva fatto all’inizio di quella serata, e avanzò verso il letto, dove l’adagiò con gentilezza.
   Probabilmente sarebbe passato parecchio tempo ancora, prima che potessero vivere quell’amore alla luce del sole. Ciò nonostante, non si sarebbero arresi e avrebbero fatto di tutto per contribuire a creare quel futuro che sognavano non soltanto per loro.
   Avevano appena ripreso a baciarsi, che sentirono qualcuno bussare alla porta della camera. Si bloccarono di colpo. «Non rispondere», pregò sottovoce Cagalli, disperata per quell’ennesima interruzione.
   «Lo so che ci siete», si udì dal corridoio, con voce annoiata. Toya. Aveva visto la ragazza entrare senza che loro se ne accorgessero? Non fecero in tempo a prendere una decisione che l’altro continuò: «So anche che probabilmente sarete indaffarati, ma ho un problema che non riesco a gestire da solo.»
   Sebbene loro fossero molto giovani, e quel ragazzino fosse troppo grande per essere loro figlio, per un attimo entrambi si riscoprirono a capire le difficoltà dei genitori alle prese con la propria prole molesta. Inspirando a fondo, e armandosi di pazienza, Athrun si scostò da Cagalli, contemplandola un’ultima volta dall’alto e rimpiangendo di doverla lasciare così. Lei si mise a sedere e si riassettò gli abiti, masticando un’imprecazione e chiudendo la vestaglia in maniera pudica.
   Quando il giovane andò ad aprire la porta, si ritrovò davanti il protetto dell’amata e, volendola vedere in maniera egoistica, il loro investimento per il futuro: non appena lui fosse cresciuto abbastanza e fosse stato pronto per prendere il posto di Cagalli, lei avrebbe finalmente tirato il fiato e avrebbe vissuto la vita felice che suo padre le aveva augurato quando le era stato dato in dono l’Akatsuki.
   «Come sapevi che ero tornato?» domandò Athrun.
   «Ho sentito la tua voce in corridoio, prima», rispose Toya, facendo scivolare gli occhi oltre le sue spalle e scorgendo così la figura del Delegato, che se ne stava svogliatamente seduta sul letto con i gomiti sulle ginocchia e il viso fra i palmi delle mani. «Avresti almeno potuto fingere di nasconderti.»
   Arrossendo per l’ennesima volta, quella notte, lei decise di mordersi il labbro inferiore per non dire cose di cui si sarebbe sicuramente pentita. Lasciò dunque all’amante il compito di occuparsi di quel piccolo disgraziato. «Qual è il problema di cui parlavi?»
   Toya riportò la propria attenzione su Athrun. «Temo ci sia un guasto nell’impianto di riscaldamento. In camera mia si gela», spiegò. «Non sapevo a chi rivolgermi, vista l’ora, e mi sono ricordato che sei pratico di queste cose.»
   Non c’era davvero modo di rinviare quella seccatura. Sospirando di nuovo e volgendosi a lanciare uno sguardo di scuse alla ragazza, il giovane annuì. «Va bene, andiamo», disse allora, frugando fra le proprie cose accanto alla scrivania per munirsi di attrezzi da lavoro.
   «Scusa», mormorò comunque con una certa mortificazione Toya, all’indirizzo di Cagalli, che davanti a quell’espressione contrita e ancora infantile non poté che rispondere con un sorriso.
   Il ragazzino si avviò per fare strada ad Athrun e quest’ultimo si apprestò a seguirlo, non prima di rivolgere un’ultima frase alla Principessa. «Giuro che torno il prima possibile.» Con quella promessa, richiuse la porta alle proprie spalle, lasciandola sola. Lei si lasciò andare ad un verso esasperato e si tuffò all’indietro, sul materasso, domandandosi cosa avesse mai fatto di male per meritare quella tortura. Alla mente le tornarono con prepotenza tutte le azioni pestifere che aveva combinato nel corso dell’infanzia e della prima adolescenza, e non poté biasimare il karma. Si rammaricò però che anche il povero Athrun dovesse pagarne lo scotto.
   Decidendo di prenderla con filosofia, socchiuse gli occhi e si rannicchiò contro il cuscino di lui: sapeva di bucato per via della prolungata assenza del giovane, eppure riusciva comunque ad avvertire il suo odore virile. Vi affondò il viso contro, respirandolo a pieni polmoni e si lasciò cullare dalla sensazione che lui fosse ancora lì.
   Alla fine il guasto richiese poco meno di un quarto d’ora per essere riparato e quando Athrun riuscì ad augurare la buonanotte a Toya e a tornare in camera sua, trovò Cagalli appisolata. Provò a chiamarla e a scuoterla dolcemente, lei mugolò appena. «Prenderai freddo», si premurò di farle notare lui.
   «Allora riscaldami...» gli ordinò la ragazza, la voce impastata dal sonno.
   Il giovane quasi rise. «Non è il massimo dell’erotismo, se me lo dici dormendo...»
   Le labbra di lei si incurvarono in un sorriso e i suoi occhi dorati si schiusero per riempirsi della figura dell’amato. «Scusa, è solo che qui mi sento al sicuro...»
   Il tuffo al cuore provato da Athrun gli fece perdere la parola e la voglia di scherzare. Si mosse verso di lei e la sollevò fra le braccia di quel tanto che gli consentisse di metterla nel letto e tirare su le coperte dopo essersi steso accanto a lei. Subito Cagalli gli si accoccolò contro e, spenta la luce, il giovane la strinse a sé. Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo. Non andavano da nessuna parte.







 
  
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