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Autore: SilvanaFreesound    09/12/2023    5 recensioni
Il match tra i Black Jackals di Osaka e gli Adlers di Tokyo è terminato e Kageyama e Hinata si ritrovano faccia a faccia stringendosi energicamente la mano, divisi solo dalla rete.
***WARNING: SPOILER per chi non ha letto il manga ed è fermo all'anime ***
KAGEHINA POST TIME SKIP
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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E’ fatta.

Una serie di batti e ribatti al cardiopalma, di elettrizzanti capovolgimenti di fronte, ogni punto combattuto come se fosse l’ultimo, come se ne andasse della loro stessa vita ed i fottutissimi Black Jackals di Osaka avevano finalmente battuto in casa i metropolitani Adlers di Tokyo.

A dire il vero ultimamente si erano scontrati più volte durante gli ultimi tornei e lungo tutto il campionato.

Le due squadre erano abbastanza equilibrate, il bilancio degli scontri non volgeva a favore dell’uno o dell’altro team: un sostanziale pareggio, stesso numero di vittorie e sconfitte ed i match si svolgevano concludendosi senza troppi patemi d’animo per entrambe le tifoserie.

Ma stavolta era andata diversamente: stavolta, a detta di tutti, la partita era stata più estenuante e più emozionante del solito.

La palla non ne voleva sapere di cadere giù dall’altra parte del campo, forse perché al di là della rete c’era il nuovo acquisto dei MSBY a dare man forte alla difesa, distinguendosi sin da subito con le sue incredibili ricezioni.

Agonisticamente parlando la vita improvvisamente era diventata ancor più dura per il super prodigio Tobio Kageyama: tutto merito di ninja Shoyo.

Era a dir poco impossibile star dietro agli scatti imprevedibili e rapidissimi di Hinata, assistito da un palleggiatore di tutto rispetto come Atsumu Miya, che lo faceva sfrecciare in lungo e in largo fino allo stremo all’interno del proprio rettangolo di gioco.

Chiuderlo definitivamente con un kill block era un’impresa alquanto ardua anche per uno bravo come lui – neanche Tsukishima al massimo della forma avrebbe saputo fare di meglio - perché quelle alzate erano davvero difficili da leggere oltre che velocissime e Shoyo le schiacciava con straordinaria potenza, ricorrendo alla sua formidabile rincorsa, elevandosi con eccezionale atletismo sfruttando a pieno la spinta dell’intera pianta del piede tanto da sembrare che stesse spiccando il volo ad ogni salto.

Ebbene sì, Hinata era tornato e non c’era niente di più terrificante e di più affascinante al tempo stesso per Tobio che ritrovarselo davanti come avversario, nemmeno Oikawa, il Grande Re, gli faceva più quell’effetto.


 

**********


 

“Alla fine ce l’hai fatta!” esclama il palleggiatore degli Adlers, sfoderando per l’occasione un sorriso enigmatico mentre sotto rete stringe energicamente la mano al nuovo opposto dei Black Jackals.

“Già, in premier league ci sono anch’io! Ti ho battuto, Kageyama! E adesso sono 1.096 vittorie per me!”

“E mille e cento sconfitte!”

“Come, scusa? Avete giocato così tante partite?” chiede perplesso il super asso Bokuto, stiracchiando verso l’alto le braccia per poi strigliarsi zoticamente la folta chioma brizzolata.

“Fin dalle superiori teniamo il conto di tutte le sfide che abbiamo fatto…” gli spiega Shoyo come se fosse la cosa più naturale del mondo “Ci sfidiamo praticamente su tutto. Ehi, un attimo, Kageyama … mille e cento? Com’è possibile? Sei sicuro? Mille e cento ….”

“Ti dico che sono mille e cento sconfitte per te e quindi mille e cento vittorie per me.”

“Davvero perspicace!” bofonchia Sakusa, asciugandosi la fronte sudata con il lembo della maglietta.

“Ehi, ma così non vale! Il punteggio è fermo da due anni! Aspetta, dobbiamo conteggiare tutte le partite che ho vinto a beach volley!”

“Se la metti così, allora io aggiungerò tutte le mie amichevoli. Mettiti il cuore in pace, ti precedo come sempre, bokè.”

“Vaffanculo, Bakayama!”


 

**********


 

“Ehi, un attimo, non dicevo sul serio! La mano, così me la stritoli! Lasciami andare, parliamone, Kageyama-kun!”

Durante il loro puerile alterco, Kageyama non ha mai mollato, nemmeno per un istante la sua mano, presa che è divenuta via via più serrata con l’accendersi della discussione.

Senza indugio, lo afferra saldamente per un polso strattonandolo vistosamente e lo trascina fuori in direzione degli spogliatoi, dritto come un treno, del tutto incurante del clamore generale.

Il pubblico è in visibilio: c’è chi rimane attonito, chi applaude i due giovani campioni uscenti, chi si agita chiedendo spiegazioni in giro e chi fischia divertito perché pensa di aver già capito.

Che sta succedendo? Incredibile! Kageyama Tobio, il setter titolare degli Adlers e Hinata Shoyo, il nuovo opposto dei Black Jackals che abbandonano improvvisamente il campo!”

Per i telecronisti ciò che sta accadendo è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire: sanno da scheda tecnica che ai tempi del liceo i due bislacchi giocavano insieme nella stessa squadra per cui la realtà dei fatti passa in secondo piano, lasciando spazio a supposizioni verosimili su di una possibile ruggine che potrebbe esserci ancora fra di loro.

I due giocavano insieme già dai tempi del liceo, al Karasuno High School, Inumaki-san. Provengono entrambi dalla prefettura di Miyagi, un paesino vicino Sendai. Li ho seguiti per anni, sin dal loro primo esordio all’interliceale. Per le loro straordinarie capacità tecniche ed il loro atletismo fuori dal comune, direi che possiamo considerarli a pieno titolo parte della Monster Generation.”

Allora avranno tante cose da dirsi, in onore dei vecchi tempi. Che ne pensa, lei che li conosce bene, Fujiwara-san?”

Shoyo non è certo di cosa il suo ex partner di gioco possa volere da lui, e l’espressione imperturbabile che Kageyama ha stampata in faccia in quel momento – per quel poco che può vedere - non gli è molto d’aiuto.

Sarà sicuramente incazzato perché Tobio quando si arrabbia è una furia incontrollabile, un uragano che tutto spazza e distrugge, è come un vulcano in piena eruzione, un fiume in esondazione.

Continua a trainarlo senza sosta lungo quel labirinto di corsie infinite e Hinata incespica un paio di volte sui suoi stessi piedi, calpestando i lacci svolazzanti delle scarpe da volley, rischiando di cadere un paio di volte faccia a terra.

Se solo si fermasse un attimo, se solo avesse la possibilità di guardarlo negli occhi, se solo ne avesse il coraggio gli direbbe che non occorre usare la forza con lui, che se solo glielo chiedesse lo seguirebbe ovunque, in capo al mondo, anche all’inferno se necessario.

Ancora un corridoio, ancora un angolo da svoltare, ancora pochi passi e quella corsa forsennata si arresta davanti alla porta di un locale di servizio: abbassa la maniglia fino ad azionarla e quello scatto meccanico fa sobbalzare inevitabilmente il cuore affranto di Shoyo.


 

**********


 

“Lasciami Kageyama, lasciami, mi fai male! Che cazzo ti prende? Vuoi fare a botte per caso?” gli urla con tutto il fiato che gli è rimasto nei polmoni, costretto senza scampo spalle a muro, con entrambi i polsi bloccati all’altezza delle tempie.

“Che cazzo era quello?”

“Quello cosa?”

“Quello stronzo di Miya … ti ha abbracciato ...stretto.”

“E quindi, qual è il problema?”

“Ti sta troppo addosso quello là.”

“E’ un mio compagno di squadra, abbiamo vinto! Fammi capire, ci vuoi forse vietare di esultare, o mio Re? Hai perso ed io ho vinto! Dimmi un po’, ti rode, Osama?”

Parole ovvie, dure ma ovvie quelle di Hinata, parole che ai tempi del liceo lo avrebbero fatto incazzare di brutto.

Sappiamo tutti che avrebbe finito per strapazzarlo per bene afferrandolo violentemente per il collo, facendolo starnazzare come un’oca al macello finché il capitano o Sugawara non fossero intervenuti per calmierare i loro animi.

Parole che adesso stranamente rimbalzano una ad una nei timpani e nell’orgoglio ferito di Kageyama per poi scivolare via, nebulizzandosi inerti nell’angusto ambiente circostante.

“Ti ha detto qualcosa all’orecchio e tu ti sei messo a ridere, vi ho visti. Mi stavate prendendo per i fondelli, vero?”

“Ohi, chi ti credi di essere? Il mondo non gira per forza attorno a te, caro il mio Re!”

Era da tanti anni che non sentiva più quello stupido nomignolo.

Non sopportava quando Kindachi e gli altri delle medie lo chiamavano così, sparlando e ridacchiando vigliaccamente alle sue spalle.

Fu devastante quando i suoi sudditi si rifiutarono in partita di schiacciare le sue pretenziose alzate.

Perché si erano ribellati?

Perché lo avevano fatto?

Loro dovevano soltanto correre, correre più veloce che potevano e saltare, saltare ancora più in alto ad ogni palla ricevuta e poi schiacciare, obbedire semplicemente ai suoi ordini, niente di più perché al resto avrebbe pensato tutto lui.

Organizzare le azioni, variare gli schemi di attacco, eludere il muro avversario permettendo ai suoi compagni di finalizzare nel migliore dei modi - fare lui stesso punto quando necessario - erano parte delle responsabilità insite nel suo ruolo.

Andava su tutte le furie quando a chiamarlo Sua Maestà era quello spocchioso di merda di Tsukishima: la sua era una provocazione bella e buona che andava puntualmente a segno, toccando quel nervo scoperto da tempo tanto che la prima volta che lo incontrò al parco assieme a lenticchia, il suo tirapiedi, per poco non gli spappolò quella odiosissima faccia di culo.

Cosa che aveva ardentemente desiderato di fare anche le volte successive, se non fosse che nel corso dei mesi aveva imparato a domare maggiormente i suoi istinti, anche se il biondo spilungone non si risparmiava affatto quando si trattava di rompergli le palle.

Avrebbe dovuto ammettere però che quell’appellativo, Osama Re Kageyama, se proferito dalla bocca lucida di Hinata, non gli dispiaceva più di tanto, soprattutto da quando lo aveva platealmente incoronato durante il match di allenamento contro il Dateko, attorcigliandogli attorno alla testa un asciugamano con un buffo cagnolino ricamato su (in quell’occasione il gamberetto ci tenne a precisare che non era sua quella salvietta, ma che l’aveva presa in prestito da Natsu, giacchè la sua giaceva sporca dentro la lavatrice di casa).

Tobio era consapevole della profonda ammirazione che Shoyo nutriva per il suo straordinario talento, per il suo modo così perfetto di alzare la palla dritta dritta nel palmo della sua mano, nel punto migliore, precisa al millimetro, come se fosse telecomandata.

E’ indubbio che dalla bocca di Hinata quell’Osama assumeva un significato decisamente lusinghiero, sebbene il più delle volte malcelato sotto la sottile coltre dello scherno.

E se a questo ne volessimo aggiungere uno più squisitamente erotico?

Già, perché sentirsi chiamare Re, chiusi in quello sgabuzzino stretto e buio, i loro corpi sudati distanziati di qualche centimetro, il suo fiato denso e zuccherino sparato dritto in faccia, quei capelli ramati più corti, spuntati di fresco che gli lasciano libera la fronte spaziosa, gli suscita un groppo alla gola così forte da soffocare, da non riuscire più a respirare.

I padiglioni auricolari diventano incandescenti così come le gote rosse, infuocate per l’emozione ed i pensieri di Tobio si moltiplicano, si ammassano, si aggrovigliano, scrivendo e riscrivendo più copioni dall’unico finale scontato.

Lui è il sovrano indiscusso, un dio sceso in terra, inarrivabile, onnipotente, bellissimo ed il piccoletto è il suddito devoto del suo regno, unico e solo, nato e cresciuto, insomma fatto apposta per assecondare ogni suo primordiale desiderio carnale.

“Mollami, mi vuoi lasciare?”

Shoyo col suo sbraitare interrompe quei sogni osceni ad occhi aperti riportando presto l’ombroso setter alla cruda realtà.

“Giuro che non appena mi libero …”

E ci riuscirà, ci riuscirà facilmente senza dimenarsi più di tanto: non dovrà mordergli la mano come un cane rabbioso né tanto meno assestargli una poderosa ginocchiata nei testicoli perché Kageyama ha inconsapevolmente allentato la presa da un bel pezzo e Hinata si è adeguato perfettamente a quella pressione senza porre alcuna resistenza.

“Non appena mi libero, in un modo o nell’altro, ti pesto. Vuoi uscire da qui con un occhio nero, Kageyama? Vedi che qui fuori ci sono un casino di giornalisti e tu, bello mio, devi ancora farti intervistare. Come la metterai con loro? Che gli dirai di tutti quei lividi? Perché te ne farò, altro che se te ne farò, puoi scommetterci le chiappe!”

Tobio si decide finalmente a mollare la stretta – mantenere a lungo quella posizione china tentando di ammansire quel selvaggio pel di carota è faticoso anche per un ragazzone ben messo come lui - e rimane fermo come uno stoccafisso ad osservare il mandarino mentre si massaggia i polsi doloranti, lamentando un finto fastidio.

“Te ne sei andato … e non mi hai nemmeno salutato.”

Mugugna a denti stretti mentre le braccia si arrendono alla tensione e alle fatiche sportive cadendo inermi lungo i fianchi.

“Di che parli? Del Brasile?”

Il palleggiatore degli Adlers fa un cenno con il capo e mentre annuisce il suo sguardo mogio precipita di colpo verso il basso, puntando le sue scarpe da volley grigio fumo.

Shoyo sa che è fatta, che adesso è lui che lo ha in pugno, soprattutto da quando ha smesso di tenergli testa, da quando ha deciso di non fissarlo più dritto negli occhi, perché le sue iridi di fuoco sono luminose, bruciano e se non si sta attenti, sono accecanti come un sole in terra, perché Hinata è il sole, il suo unico sole, un sole potente in grado di sciogliere il ghiaccio sedimentato dentro il suo cuore triste e solitario, un sole che lo avvolge e lo ristora tornando finalmente a splendere nella sua vita inappagata e incompleta.

“E perché avrei dovuto? Noi non siamo amici, non lo siamo mai stati.”

Hinata sa che questo è il modo migliore per ferirlo, per fargliela pagare perché in tutti questi anni di liceo il bel palleggiatore non ha mai mosso un dito, mai un segnale, anche piccolo, quasi impercettibile che dimostrasse un minimo di interesse nei suoi confronti che potesse andare al di là della pallavolo.

Sì perché Tobio a quei tempi aveva le idee parecchio confuse: Hinata, la pallavolo, per lui era un tutt’uno imprescindibile.

Hinata era la pallavolo e la pallavolo era Hinata.

Alzare la palla con tutta la cura possibile per il corvetto dalla cresta arancione lo faceva stare bene.

Vedere quelle schiacciate supersoniche generate dai suoi gesti atletici di una precisione maniacale aggirare il muro avversario e andare ripetutamente a segno per lui era fonte di estrema soddisfazione, il suo massimo godimento.

Dalla vita non poteva chiedere di meglio.

Kageyama aveva vissuto a pieno quei tre anni al suo fianco, tra inutili battibecchi e azioni mirabolanti, partita dopo partita, come se il tempo si potesse in qualche modo cristallizzare, come se quei momenti si potessero perpetuare all’infinito, come se per qualche stramaledetto motivo loro due fossero gli unici dispensati dal diventare adulti, come eterni Peter Pan.

Ragionamento stupido partorito dalla mente di un incorreggibile idiota avrebbe sentenziato un disincantato Tsukishima o di un inguaribile sognatore, avrebbe invece teneramente sospirato la dolce Yachi.

E invece, compiuti i diciotto anni, il piccoletto aveva infranto quell’effimero idillio: aveva deciso di crescere, di diventare un uomo, di migliorare sé stesso, di scardinare ogni suo limite andandosene di punto in bianco lontano, dall’altro capo del mondo, via da tutti, dai suoi cari, dai suoi luoghi natii, dal Giappone, via da lui.

Per cosa poi?

Giocare tutto il giorno sotto il sole cocente un due contro due sentendo i granelli di sabbia dorata insinuarsi fastidiosamente tra le dita dei piedi appiccicandosi ovunque?

Ma quella non è pallavolo: è un banale passatempo per bagnanti, da fare tra un tuffo e l’altro, in attesa che il tramonto imporpori il cielo.

E’ un gioco, non è pallavolo.

La pallavolo è una cosa seria, è tutta la sua vita e quel cretino di Hinata aveva buttato tutto quello che avevano duramente costruito insieme, tutti i traguardi raggiunti, tutto quello che c’era tra di loro beatamente nel cesso, così, su due piedi, senza pensarci due volte, andandosene via alla prima occasione utile.

Cosa diavolo gli era passato per la mente?

Come aveva potuto farlo?

Lasciare il Giappone per andare in Brasile?

Ricominciare daccapo?

Senza il becco di un quattrino?

Uno scricciolo, una mezza tacca di un metro e sessanta che si spara un giorno e mezzo di volo per andare a giocare a volley in spiaggia con dei bestioni sudamericani.

Come si fa ad essere così incoscienti?

O meglio così teste di cazzo?

Lo aveva lasciato solo per uno stupido hobby estivo.

Un pazzo.

E lo aveva fatto per due lunghi anni.

Imperdonabile.

Deficiente.

Idiota.

Boké.

Da quel momento si era imposto di condurre la sua vita come se Shoyo non fosse mai esistito, evitando di ripercorrere quei luoghi che avevano frequentato insieme, senza mai dire una frase, una sola parola che potesse anche lontanamente ricondursi a lui.

Si vedeva ancora con alcuni ex compagni del Karasuno benché ultimamente le uscite con loro non erano più divertenti come prima, anche perché finiva per estraniarsi dalle discussioni quando si toccava inevitabilmente l’argomento “Hinata”.

Sugawara lo aveva notato subito e quando Kageyama era nei paraggi faceva spesso strane facce tirando delle occhiatacce fulminanti, soprattutto in direzione di Tanaka e Tsukishima tentando di bloccare sul nascere commentini indiscreti e inopportune provocazioni che potessero riguardare Shoyo.

Lo aveva dimenticato, c’era riuscito, o meglio, aveva finto così bene di dimenticarlo da riuscire quasi ad ingannare sé stesso.

In realtà c’era un angolino recondito del suo cuore che pulsava, pulsava ancora per lui, accelerando il battito non appena si imbatteva casualmente in qualche foto scema pubblicata dal rosso su Instagram o Facebook.

Non era un suo follower, non ne capiva un cazzo di social, si era guardato bene da cliccare il pulsante “segui” e di accettare la sua amicizia, perché in fondo loro erano tutto fuorché amici.

Poteva rimanere ore a fissare un suo scatto nella solitudine della sua camera da letto senza accorgersi minimamente dello scorrere delle lancette.

Un graffio sulla guancia: poteva aver preso una pallonata in pieno volto, distrattone com’è o aver strisciato la faccia a terra nel tentativo di recuperare in tuffo una palla difficile.

Lui era fatto così, era capace di buttarsi senza pensarci due volte con il rischio di rompersi il collo pur di salvare un pallone.

Una piccola macchia rossa sul colletto della T shirt poteva essere il segno di rossetto di un’ammiratrice particolarmente esuberante, o piuttosto uno schizzo di sugo, molto probabile, lui che è sempre stato così maldestro a tavola.

Ad ogni modo non erano questi i dettagli che più lo interessavano: Kageyama scrutava attentamente i suoi occhi, la luce che emanavano, cercava il suo sorriso, con le dita ne seguiva i contorni, sforzandosi di leggere gli angoli della bocca per capire se fosse davvero felice di stare là, a diciottomila chilometri da casa sua.

C’era pure una piccola parte della sua mente dedita a lui, che custodiva il suo ricordo vivido, che lo aspettava, lo aspettava pazientemente, che sperava, sperava che mettesse di nuovo piede in terra nipponica, che non vedeva l’ora di incontrarlo come avversario, per dimostrargli che tutti quei sacrifici, tutti quegli anni di lontananza, tutto quello che aveva fatto in Brasile non era servito a un benemerito cazzo, per rinfacciargli che l’unica cosa che avrebbe dovuto fare sin dall’inizio era continuare ad allenarsi con lui, schiacciare per lui, vincere con lui, stare con lui.

Per sempre.

Adesso però tutto questo per Kageyama non ha più importanza: adesso ciò che veramente conta è scoprire quanto questa vacanza prolungata abbia realmente giovato al suo fisico.

E per farlo avrebbe dovuto sfilargli la maglia – di colore diverso dalla sua – e costringerlo con la forza a girarsi, e spiaccicargli quel bel faccino d’angelo a muro, e contare ad una ad una tutte quelle efelidi caffellatte che prima non aveva e che aveva intravisto poco fa sotto le maniche della divisa quando a separarli c’era solo la rete, e appurare seriamente quanto quelle spalle si fossero allargate per scoprire se è vero che sono ancora abbronzate, e toccare quei muscoli dorsali guizzanti e scolpiti, e cingergli la vita per constatare con mano se si è davvero assottigliata come immaginava, e afferrarlo forte per sentire quella schiena forgiata dai duri allenamenti sotto il sole tropicale poggiarsi sul suo petto massiccio, e farlo suo, e fotterlo, fotterlo così, in piedi, con ogni cellula del suo corpo, come un animale, fino a farlo gemere, fino a sentirlo gridare di piacere, fino a fondersi in un’unica entità, fino ad essere una cosa sola.

Kageyama fino a quel momento non aveva la più pallida idea di cosa significasse fare l’amore, forse perché oltre a pel di carota non aveva conosciuto nessun altro per cui valesse la pena di darsi in modo così intimo e totalizzante.

In quei rari momenti in cui la sua mente non era occupata dalla pallavolo o da Hinata, gli capitava di avere dei seri dubbi sulla sua verginità, se l’avesse tecnicamente persa o meno.

Dopo la partenza del mandarino aveva fatto qualche esperienza, consumata per lo più nei bagni di pub o nei privé delle discoteche, un po' per noia, un po' per mettere a tacere le sue pulsioni divenute sempre più insistenti, un po' per provare a toglierselo dalla testa perché la vita va avanti: anche se a volte fa male, troppo male, deve andare avanti ed essere vissuta, anche se ciò significa stare senza Shoyo.

Farsi rimorchiare è comodo ed è facile, magari troppo per uno come lui perché Tobio nei suoi ventun anni da poco compiuti è bello, bello da morire, di una bellezza disarmante oltre ad essere la star emergente del firmamento pallavolistico giapponese.

Per Osama Kageyama ogni volta si ripete più o meno il solito squallido rituale: qualche superalcolico di troppo, buttato giù quasi come a volere inconsciamente dimenticare qualcosa o qualcuno, lo sguardo spento, annegato dentro il bicchiere, perso ad osservare i cubetti di ghiaccio sciogliersi lentamente e diventare un tutt’uno con il whisky ambrato mentre una voce che gli suona ovattata chiede curiosa, nel mezzo del frastuono generale, informazioni sul suo piatto preferito o un parere sull’ultimo film visto al cinema.

Le sue grandi mani rigide e fredde poggiate sul bancone rugoso del bar vengono dapprima timidamente sfiorate, poi accarezzate e strette, un sorriso forzato apparso per ricambiare ad un altro più sensuale ed ammiccante, i piedi del suo sgabello che ad un tratto stridono sul pavimento per raggiungere lo sconosciuto di turno, il passo strascicato che si fa varco tra la folla lungo il percorso fumoso, porte che si spalancano e che si richiudono bruscamente alle sue spalle.

E poi facce, tante facce, tutte uguali, tutte senza volto, baci frettolosi e voraci, dita vogliose che si ingarbugliano tra i bottoni della sua camicia, capezzoli leccati e strizzati, cinture slacciate, calzoni scesi quanto basta per farselo succhiare perché lui è il Re, dispotico ed egocentrico, e i suoi amanti occasionali sono dei sudditi sottomessi ed è dunque insito nella loro natura il dovere di chinarsi in religiosa devozione di fronte a Sua Maestà.

Il dubbio di Tobio era più che legittimo perché se essere vergine significava non aver mai concesso ad anima viva l’esplorazione dei suoi orifizi né tanto meno esser mai entrato dentro qualcuno, beh, in tal caso allora lui in qualche modo lo era.

E Hinata?

Si domandava spesso che cosa stesse combinando quel diavolo della Tasmania dall’altra parte del globo terrestre: chissà se lontano da lui e da occhi indiscreti si era finalmente dato alla pazza gioia, saltando di letto in letto con la stessa facilità e leggerezza di quando giocavano insieme nello stesso campo, facendosi sfondare il culo chiuso dentro le cabine sgangherate poste ai margini delle spiagge assolate di Rio.

Probabile che se Kageyama fosse stato magicamente lì, non avrebbe resistito alla tentazione di poggiare l’orecchio per ascoltare gemiti osceni uscirgli fuori dalla bocca, sempre che la stessa non fosse particolarmente impegnata a fare altro e forse avrebbe provato a sbirciare un po' nella speranza di intravedere qualcosa attraverso le intercapedini delle vecchie assi di legno fermate da chiodi arrugginiti, corrose dall’azione della salsedine, del vento e del sole.

Chissà se tutte quelle dicerie su di lui e quel bastardo di Oikawa erano vere oppure no.

Se c’ era andato a letto.

Conoscendo entrambi è impensabile che ciò sia realmente accaduto, anzi la cosa è a dir poco impossibile.

Garantito che Tooru non avrebbe perso occasione di fare lo splendido con lui, schifosamente affascinante com’è, incoraggiato dall’energia e dalla solarità di quel sempliciotto oltre che dalla sua pessima abitudine di fare battutacce sconce e a doppio senso.

Oikawa per quanto stronzo sia, è pur sempre un suo senpai e sa bene che non dovrebbe importunare né tanto meno provare a sedurre un kohai, è disdicevole e le regole sono regole anche se si trovano fuori dal Giappone.

E comunque, se sono stati insieme, lo saranno stati al massimo una volta, non di più, solamente per nostalgia o per scacciare via la solitudine.

Perché Oikawa è innamorato cotto di Iwaizumi e lo sarà per l’eternità, è innegabile, lo sanno pure i muri, se n’è accorto perfino lui ai tempi delle medie e ce ne vuole, tonto com’è in fatto di cuore.


 

**********


 

“Noi non siamo amici, non lo siamo mai stati”

Hinata strizza forte le palpebre e d’istinto gira la testa di lato: sa che l’ha detta grossa, che l’ha fatto incazzare, che un bel cazzotto è quello che si merita, che potrebbe arrivare nel giro di niente.

E se proprio le deve prendere, meglio buscarle sulla mascella che dritte in bocca, tra i denti perché potrebbe facilmente sanguinare, c’è già abituato, lo fa anche in partita.

Kageyama invece non fa nulla: si limita ad osservare incantato il movimento ipnotico del suo pomo d’Adamo accelerare freneticamente ad ogni deglutizione mentre i peli rossicci disposti lungo le braccia si intirizziscono all’improvviso: a memoria l’ultima volta che l’aveva visto era un ragazzetto carino pressoché glabro.

Senza alcuna esitazione si avvicina a lui azzerando completamente le distanze, gli afferra delicatamente il mento con due dita, lo allinea perfettamente al suo e lo bacia.

Lo bacia perché è vero che loro due non sono mai stati amici, perché erano stati rivali, compagni di squadra, compagni di scuola, tutto fuorché amici e lui in fin dei conti della sua amicizia non se ne fa un bel nulla.

Lo bacia perché vuole assaggiare disperatamente le sue labbra, sentire il sapore che hanno, sfiorarle con le dita sollevando una ad una le pellicine secche e ruvide, spaccate dal sole e dal vento, sepolte inutilmente sotto strati di burro cacao.

Lo bacia perché è un bisogno impellente il suo che non può più rimandare, un bisogno urgente e necessario, anche più di respirare.

Lo bacia perché non ce la fa più a mentire a sé stesso, perché lo desidera, lo vuole adesso, tutto per sé, perché è lui quello che vuole amare, che ha sempre voluto amare.

Lo bacia e Shoyo smette improvvisamente di tremare come una foglia e sgrana gli occhi che si fanno grandi e tondi come bianchi piattini da tè.

E’ una sensazione ambigua quella che si è appena impossessata di lui: un connubio indistinguibile di euforia ed incredulità, di membra intorpidite e formicolanti, di pensieri caotici ed annebbiati.

Il suo corpo ristagna per un tempo indefinito nel limbo dell’inerzia: non sa cosa fare, non fa nulla per assecondare o respingere quel bacio semplicemente perché in quel momento non è in grado di distinguere la realtà dall’immaginazione, ultimamente più fervida che mai.

Sua Maestà Osama Re Kageyama che scende dal suo piedistallo fatto di orgoglio e di ego, bello come un giovane dio greco, meraviglioso, con quei muscoli imponenti ed accaldati, che spasima d’amore per lui, che gli salta addosso in un lampo nel bel mezzo di un lurido tugurio - mentre fuori c’è mezzo mondo che li sta cercando – che gli molla un bacio a stampo e che vorrebbe fare chissà cos’altro con lui (sempre che non lo fermi prima): un sogno ad occhi aperti, inverosimile, appartenente a quelli più intimi e sfrenati si stava incredibilmente realizzando per davvero.

Mille cose gli passano confusamente per la mente offuscata: prova a pensare a quello che sta succedendo, alle conseguenze di quel gesto, a cosa direbbe sua madre, Natsu e i Black Jackals se lo venissero a sapere.

Bokuto sarebbe sicuramente il primo a congratularsi con lui: lo accoglierebbe di fronte a tutti con una grossa risata per poi stritolarlo in un abbraccio dei suoi, scassandolo di pacche a raffica ben assestate sulla schiena.

E poi chiamerebbe immediatamente Akaashi a telefono mettendolo in viva voce, il quale, balbettando imbarazzato, gli rifilerebbe qualche frase carina di circostanza per poi farsi passare il suo ragazzo cazziandolo platealmente a sangue.

In quanto a Sakusa, Kyiomi reagirebbe tirandosi su la mascherina com’è suo solito fare senza fiatare, poco ma sicuro perché lui è un tipo di poche parole che si fa sempre gli affaracci suoi, che si defila quando c’è da spettegolare, che al di fuori della palestra declina ogni invito, che preferisce di gran lunga una buona dormita piuttosto che far baldoria con loro fino a tarda ora.

E’ un professionista - o un robot - che pensa solo alla sua salute, alla giusta nutrizione e alla pallavolo: così può sembrare a primo acchito, in realtà è un attento osservatore, sensibile al mutamento degli stati d’animo dei propri compagni, che interviene quando necessario rincuorandoli a suo modo con le sue tipiche frasi ad effetto, argute e pragmatiche.

E infine ci sarebbe Miya: non sa come la potrebbe prendere Atsumu, lui che una mezza cotta per il mandarino ce l’ha da quando ha posato per la prima volta gli occhi su di lui, ai tempi del torneo primaverile, promettendogli a partita conclusa che prima o poi avrebbe alzato per lui.

(Kageyama ci aveva visto giusto, lamentandosi dei suoi abbracci un po’ troppo calorosi per essere un semplice compagno di squadra.)

Sarebbe destabilizzante per l’equilibrio dell’intero team se il rendimento del setter dai capelli ossigenati dovesse risentirne in qualche modo a causa di quel fulmine a ciel sereno, se Shoyo dovesse scegliere definitivamente Tobio invece che lui.

E se la sintonia tra di loro da poco collaudata in campo dovesse andare improvvisamente a farsi benedire?

E se Atsumu decidesse di non alzare più per lui?

Un attimo, e se invece stesse ingigantendo tutto?

Se si stesse facendo i suoi soliti film mentali?

Se Tobio non fosse realmente innamorato di lui?

Se lo avesse baciato così, giusto per allentare la tensione?

O per la rabbia della sconfitta?

Possibile che l’abbia fatto per riaffermare la sua supremazia?

Per passarsi uno sfizio?

“Ti amo, Shoyo.”

Gli sussurra lentamente alitandogli tra le narici, resettando in un secondo tutto quell’ammasso di deliri e di congetture angoscianti e Hinata non può che farsi risucchiare inesorabilmente da quel magnetico buco nero di nome Tobio Kageyama, annegando perdutamente nei suoi profondi occhi blu, scuri e misteriosi come il mare in perenne tempesta.

Non ha più senso arroccarsi in un passato di sciocche recriminazioni adolescenziali; rimuginare su antichi asti e sterili dissapori preclude la possibilità di vivere al meglio ciò che di bello il presente ha da offrire.

E la vita scorre troppo in fretta per tutti, anche per due giovani atleti promettenti come loro che hanno già il mondo ai loro piedi.

Resistergli è divenuta un’impresa non più attuabile: con le braccia gli cinge il collo possente, si fa scivolare i capelli neri zuppi di sudore tra i polpastrelli inspessiti dal cuoio consunto ed avvizzito dei vecchi palloni da beach volley, si solleva ben saldo sulle punte (il divario d’altezza tra di loro è rimasto inalterato) e infine lo bacia.

Le sue labbra fameliche si dischiudono in fretta e Kageyama accetta impetuosamente il suo invito: gli penetra prepotentemente la bocca, attorciglia la lingua morbida alla sua, gli invade il palato, vuole rubargli ogni anelito di vita, unico cibo di cui intende nutrirsi, ora e per sempre, vuole divorare lui, il suo corpo, la sua anima.

Le loro mani bramose si cercano freneticamente nell’oscurità di quel luogo appartato; le dita sollevano l’orlo della maglietta, disegnando linee lungo i solchi dei muscoli tesi, insinuandosi dentro l’elastico dei pantaloncini.

La pelle brucia trovando momentaneo sollievo al contatto con altra pelle, i loro bacini bollenti si sfregano e spingono senza sosta tentando invano di appagare il crescente desiderio.

“Ehi, un attimo, Kageyama, aspetta!”

Hinata ha dovuto necessariamente convogliare tutte le sue energie razionali e psicofisiche disperse nel suo “io” interiore per scostarsi da quel corpo sensuale e accogliente.

“Mhm…”

“Aspetta, c’è gente qua fuori!”

“Cazzo, i giornalisti!”

“Ci stanno cercando. Non possiamo più stare qui, Tobio-chan, se ci beccano insieme succede un casino.”

“E che facciamo?”

“Semplice: esci prima tu, fai calmare le acque e poi dopo un po’ esco pure io. Che te ne pare? Ci stai?”

Non è facile staccarsi dalle labbra di Shoyo, morbide e polpose come ciliegie mature e Kageyama finisce per atterrare col mento nell’incavo del suo collo robusto e abbronzato.

Lo annusa forte, incanalando quanta più aria possibile nei polmoni, inebriandosi degli effluvi emanati dalla sua pelle eccitata.

“Sai di buono.”

“Come, scusa?”

“Ho detto che sai di buono, che ne so, di fiori.”

“E’ frangipane.”

“Frangi…che?”

“Frangipane, la crema solare! Me n’è avanzata un bel po’ e la sto usando come idratante per farla fuori.”

“Interessante, molto interessante.”

“Potresti spalmarmene un po’ più tardi. Che ne dici? Casa mia o casa tua?”

“Baka, considerando che siamo ad Osaka, deve essere per forza casa tua!”

“Ohi, mica sono scemo! L’ho detto così, per vedere se stavi attento!”

 

 

**********


 

“Dì un po', quanti ne hai avuti?”

Tobio glielo chiede con artefatto disinteresse mentre continua a giocherellare con i suoi capelli ramati, insistendo nel voler disciplinare un ricciolo ribelle, arrotolandolo più volte tra le dita.

Faccia a faccia, sdraiato su di un fianco, gomito appuntato sul cuscino con la mano a sorreggergli la testa, vestito solo da lenzuola sottili e candide che gli lasciano scoperte le braccia e il petto, Hinata non intende staccargli gli occhi di dosso, nemmeno per un secondo.

Ha paura, una paura fottuta di chiudere anche per un solo istante le palpebre perché ciò che sta vivendo è troppo bello per essere vero, perché al suo risveglio il sogno potrebbe svanire come per incanto, piombando nuovamente nel grigiore della sua vita dissoluta.

C’è tempo, tanto tempo per dormire, c’è tutta l’eternità a disposizione – è da un bel pezzo che la pensa così - ed ora più che mai che finalmente l’ha ritrovato, vuole stare sveglio finché può per ammirare il più possibile la meravigliosa creatura di cui è innamorato, come se si potesse in una sola notte recuperare quei due anni trascorsi senza di lui.

"Quanti ne hai avuti?"

“Di che parli?”

“Andiamo, lo sai di che parlo, non fare il finto tonto.”

“Ha importanza?”

“No, per niente, è che sono curioso, tutto qua.”

Kageyama con la sua innegabile gelosia che distoglie ad un tratto lo sguardo e che, grande e grosso per com’è, mette un broncio di quelli che neanche i bambini dell’asilo è senza ombra di dubbio la cosa più tenera e adorabile che Shoyo abbia mai visto in vita sua.

Il suo istinto gli sta suggerendo di abbracciarlo, di riempirlo tutto di baci, di stringerlo forte a sé per proteggerlo dal dolore e dalla sofferenza che imperversano questa terra e invece decide di tenerlo un altro po’ sulle spine (perfido, ma un po’ se lo merita) continuando a mantenere un atteggiamento di finto distacco.

“Nessuno di importante.” gli risponde secco, sistemandosi il ciuffo in disordine. “E tu?”

“Nessuno di importante anch’io.”

“Ohi, così non vale, mi rubi le battute, mi rubi. Secondo me non ne hai avuto neanche uno. E quindi ho vinto io!”

“Vinto cosa?”

“Ti ho battuto, ne ho avuti di più di te, Bakayama.”

“Non sapevo che ci fosse una gara aperta anche su questo.”

“Su tutto, noi ci sfidiamo su tutto, ormai dovresti saperlo”.

“Vuoi che iniziamo ora questo genere di sfida? Non ti converrebbe, boké.”

“Ci hai ragione, sei troppo bello Tobio, mi stracceresti in men che non si dica.”

“Anche tu sei molto bello.”

E mentre glielo dice lo sfiora dolcemente, disegnando il profilo del suo corpo tonico con le lunghe dita.

Shoyo fa volare di colpo le lenzuola, issandosi a cavalcioni sopra di lui, dondolandosi sensualmente sopra il suo sesso eccitato.

“Dì la verità, mi hai aspettato ... per tutto questo tempo, intendo. Dico bene, Tobiuccio?”

“Piantala di chiamarmi così, mi dai i brividi”.

“Mhm, adesso chiudi gli occhi e rilassati, o mio Re. Ti fidi di me? Conosco un buon metodo per farti venire i brividi.”

“L’hai imparato là, in Brasile?”

“Ehi, questa era cattiva! E per punizione te ne farò venire così tanti che non te li scorderai finché campi!”

Un bacio sulle labbra, poi uno sul collo, la lingua umida che gli accarezza il lobo e che scende giù, lenta, stuzzicando in modo sapiente i suoi capezzoli duri, dritti come chiodi e Kageyama finalmente allenta la tensione, godendo beato delle attenzioni lussuriose del suo ragazzo.

Shoyo stringe ben salde le sue cosce d’acciaio all’altezza dei fianchi di Tobio e inizia a solleticarlo dappertutto prima di rifare l'amore.

Kageyama si dimena e scalcia come uno stallone imbizzarrito nel tentativo di disarcionarlo e poi si ferma, allarga le braccia e ride, ride come un pazzo, ride come non ha fatto mai in vita sua: ride di gusto, ride di pancia, ride di cuore.

“Ok, Ok, mi arrendo, hai vinto tu, Sho-chan.”

“Ti amo, Tobio.”



 

ANGOLO DELL’AUTRICE

Salve a tutti!

Eccomi con la mia prima Kagehina.

Prima di adesso non mi ero mai cimentata seriamente su questa ship, se non qualche drabble sporadica leggera e divertente.

Non vorrei esagerare ma secondo me la Kagehina è sacra e ci ho messo un bel po’ di tempo prima di decidermi di affrontarla.

A dire il vero devo ringraziare i miei due amici Khrenek e Drkraven che mi hanno supportata durante tutto questo periodo: sinceramente senza i loro incoraggiamenti non sarei riuscita a portare a compimento il lavoro.

A tal proposito Vi invito a sbirciare nel loro profilo perché troverete delle rare perle nascoste.

Di Khrenek vi consiglio di buttarvi a pesce sulle sue Kagehina, lui che è un profondo estimatore della ship, ma anche sulla raccolta di flash a tema “Capitani” che ancora è in corso e che contiene degli spunti interessanti ed originali.

Di Drkraven vi consiglio di leggere tutto come sempre e di non tralasciare la sua ultima long, “Passa il favore”, il cui penultimo capitolo, “tra i due litiganti” (una Kagehina), mi ha ispirato così tanto da riprendere i vecchi appunti di questa storia sepolti per codardia nei meandri del mio PC.

In tema di ispirazione Vi lascio con alcune fan art di un artista molto talentuoso, myrseyy su Instagram che disegna delle Kagehina davvero emozionanti, che mi hanno accompagnato nella scrittura di questa storia.

Eccovi alcuni esempi (clicca sul link)

fan art n. 1          fan art n. 2          fan art n. 3

 

Vi ringrazio come sempre di essere giunti fin qui e ci sentiamo presto.


 


 

   
 
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