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Autore: giancarlo    15/12/2023    1 recensioni
Afflitta da un disturbo ossessivo-compulsivo che la costringe a contare fino a sette, la protagonista si trova intrappolata in un vortice di visioni allucinatorie e atti dimenticati.
Genere: Drammatico, Noir, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Venerdì pomeriggio
 
 
In definitiva che cosa le manca, signora Fazio?
Nulla, dottore. Al contrario, credo di avere qualcosa di troppo, qualcosa che non vorrei avere.
Coraggio. Sarebbe in grado di descrivermelo questo qualcosa?
La donna sollevò con fatica lo sguardo e fissò il medico. Poi fissò i pupazzetti monster messi in riga nella scansia della libreria che occupava gran parte del muro alle spalle del medico. Dietro le lenti scuri, ogni movimento dell’occhio sinistro le provocava forti pulsazioni. Tuttavia passò in rassegna i pupazzetti contandoli uno alla volta, da sinistra verso destra. Con i loro denti storti, le pance enormi e gli occhi giganti riuscirono a strapparle un sorriso.
Carini, vero?
Cosa?
Quei mostriciattoli disse il dottore, indicandoli con il pollice senza voltarsi.
Sì, carini. Sette piccoli mostriciattoli.
Veramente sono dieci.
Davvero?
Può controllare da sé se lo desidera rispose il dottore con un mezzo sorriso.
Ma che importa se sono dieci? Io ne ho contati sette.
Capisco.
Non vedo davvero che cosa ci sia da capire.
Vede, signora, ci sono persone che devono contare mentalmente fino a un certo numero.
– Devono? Che significa?
È un meccanismo per calmare l’ansia.
Se lo dice lei...
 Coraggio, signora, mi dica che cosa c’è che l’assilla.
Ok. Il fatto è che… Ecco, sento come una forte pressione interna, sempre stabile.
E non è capace a liberarne la tensione, suppongo.
Proprio così. Questa cosa mi fa andare fuori di testa.
Mi dica, signora. Ha qualche incubo ricorrente?
Eccome. A volte vedo il volto di un essere terribile che mi fissa da un angolo della stanza. Ha persino le corna e due piedi che terminano con gli zoccoli fessi. In faccia ha sempre improntato un ghigno derisorio che sembra volermi dire: Non ce la farai, sei proprio una cretina.
Sembra un’immagine diabolica.
Be’, se ha le corna… E poi, quando mi appare, le pareti della stanza si allargano, si allontanano. La donna mima la scena descritta con il movimento delle braccia.
Non si preoccupi, possiamo porvi rimedio.
Davvero? E come farebbe a liberarmi di lui?
Seguendo una terapia. Non è certo del diavolo che lei deve liberarsi.
E di che cosa dovrei essere liberata, allora?
L’immagine che lei vede non è reale. È una proiezione del suo sub cosciente trasferita a una persona che lei deve conoscere molto bene. Se assume le sembianze di un malefico suppongo è perché lei la deve odiare in modo profondo, anche se in modo sotterraneo.
Non capisco. Perché esclude che sia il diavolo ciò che vedo?
Perché sono uno psichiatra, signora, non un santone. Mi parli della sua vita privata. È sposata?
Sposata e separata.
La causa?
Lui mi ha tradito con la mia migliora amica.
Il dottore la fissa, sembra studiarla.
Posso chiederle di togliersi gli occhiali?
Preferisco di no. La luce mi dà un sacco fastidio.
Ok… Lavora?
Sono un’impiegata statale.
Quell’occhio nero è la conseguenza di un pugno che qualcuno le ha sferrato?
Macché. Ho solo sbattuto contro l’anta di uno sportello.
L’anta di uno sportello…?
Non mi crede?
Guardi che se il nemico che la ossessiona nelle visioni è suo marito a me deve dirlo.”
Perché tira in ballo Mario, adesso?
Signora, temo che la sua psiche stia attraversando una fase drammatica. Dobbiamo portare alla luce certi angoli oscuri. E lo dobbiamo fare al più presto, o lei esploderà.
Trascorse un silenzio di riflessione, al termine del quale la voce della signora Fazio sovrastò quella del dottore, quando quest’ultimo fece il tentativo di parlare.
Okay, devo andare, ora! Mi sono ricordata di un impegno urgente.
 
Domenica mattina
 
La sveglia sul tavolo suonò in modo così assordante che la signora Fazio riuscì a malapena a trattenersi dal lanciarle il cuscino. Erano le sette.
Sola, in una casa fredda e priva di luce, faceva fatica a orientarsi.
Tutto era fuori dalla sua portata. Le pianelle, i vestiti, la colazione, il piccolo Tommaso, gli attrezzi per la palestra in casa… Mario.
Gettò le gambe oltre il bordo del letto e si alzò lentamente quando sentì squillare il cellulare da qualche parte. Lo individuò sul divano. Lesse sul display: ‘isp. Grasso’. 
Dimmi Leo.
Commissario, ha saputo le ultime novità?
Che succede?
Hanno trovato il corpo di Franco Tricomi dentro il cofano di una Punto rubata. Sette colpi. Calibro 45.
Dove?
In contrada Pigna, nel quartiere Zia Lisa.
Un’esecuzione?
Quasi certo. Avrà sgarrato con qualcuno… Ciò che conta è che quel grassone era un suo nemico giurato, commissario. Ora non dobbiamo più considerarlo. 
– Chi è intervenuto sul posto?
– I carabinieri e i vigili del fuoco.
– Che diavolo c’entrano i vigili del fuoco?
– Hanno dovuto forzare il cofano della macchina. Il cadavere l’hanno buttato lì. Usciva un olezzo di morte insopportabile.
– Okay, Leo. Organizzati con i ragazzi. Vai anche tu. Mi raccomando.
– Come sarebbe? Lei non viene?
– Non lo so, Leo. Non mi raccapezzo. Ho troppe cose da fare. Devo organizzarmi con la casa. Il lavoro per una volta può aspettare. Magari vi raggiungo più tardi.
– Vuole che venga a darle una mano?
– Con un caso di omicidio in corso? Non dire sciocchezze.
– A proposito, com’è andata con l’analista?
– Fa troppe domande intime.
– Be’, è il suo mestiere. Le ha spiegato perché lei vede spesso quel volto che la deride?
– Secondo lui è la proiezione del mio inconscio a materializzarla. Ha detto che dovrei seguire una terapia. Ma io non ne sono proprio convinta.
– Commissario, le rammento che per poco non mi strozzava, l’altro giorno.
– Mi spiace, Leo. Probabilmente ti avrò scambiato per lui. Quello della mia visione, voglio dire.
– Già, lei non ricorda quell’episodio. Ma potrebbe accadere di nuovo. E non sono affatto tranquillo.
– Storie. Grande e grosso come sei, saresti riuscito a cavartela.
– Con una cintura nera di karate che si dedica a esercizi giornalieri di sollevamenti alla sbarra, panca inclinata e bilancieri?
– Be’, lasciamo perdere. Alla fine non è successo nulla di troppo grave, giusto?
– Forse non dovevo parlargli di mia moglie, del fatto che mi sono innamorato di un’altra.
– Non dire stupidaggini. Che c’entra tutto questo con il fatto che ti ho aggredito?
 – Ci ho riflettuto. Fisicamente io somiglio a suo marito, lei stessa me lo ha fatto notare un giorno, ricorda? Be’, potrebbe avermi scambiato per lui.
– Stai fantasticando.
– Commissario, mi perdoni, ma io ci tengo a lei. È da anni che ci conosciamo. L’espressione del suo volto di quando mi ha aggredito non la dimenticherò mai. Era come si trovasse in una specie di catalessi, lo sguardo fisso, perso nel nulla. Forse è meglio informare lo psicologo della polizia. Anzi, sarebbe nostro dovere farlo. Potrebbe aiutarla.
– Ne abbiamo già parlato, Leo. Se mi rivolgo a uno psicologo proprio adesso, sicuramente mi metteranno a riposo. E io non sopporterei di starmene in questa casa maledetta senza far nulla. Ho un bisogno disperato di non pensare, capisci?
– Okay, ma se si ripete il fatto dell’altra volta, lei ci va dall’analista, giusto?
Giusto. Ma ora smettila di preoccuparti per me. Ci sentiamo dopo.
 
Ricordò che dovevano ancora installare lo scaldabagno, così dovette rinunciare alla doccia. Passò della pomata all’occhio pesto, un po’ di fard sul viso. Quando finì, scelse nell’armadio l’unico abito che gli sembrò meno stazzonato degli altri. Lo indossò insieme al soprabito e lasciò l’appartamento.
La strada sotto casa era deserta. Il suo taccheggiare risuonava amplificato sul marciapiede.
Lanciò un’occhiata davanti a sé: il chiosco-bar nella piazzetta era chiuso.
Niente caffè.
Fantastico.
Dovette far mente locale per ricordarsi dove aveva posteggiato l’auto la sera prima. Quando se lo ricordò, dovette tornare indietro, svoltare per via Trieste e imboccare la prima traversa a destra.
Trovò l’auto, ci saltò sopra e l’avviò. Ma non aveva nessuna voglia di andare in ufficio.
Doveva pensare. E non c’era meglio di un giro in macchina.
Partì per prendere la tangenziale.
Durante il tragitto il pensiero di Mario con l’altra la faceva diventare matta.
Imboccò la tangenziale con una sbandata che per qualche secondo gli sembrò di prendere in pieno il basamento di un lampione.
Aveva vinto la causa, il bastardo. Secondo la legge una donna come lei, commissario della Criminalpol, non può avere il tempo per gestire l’educazione del proprio figlio. Mentre il marito, capo della polizia, il tempo da dedicargli ce l’ha.
Le aveva portato via il piccolo Tommaso, la migliora amica, la casa. La vita, in poche parole.
Senza averne coscienza, era giunta a San Gregorio, proprio davanti a quella casa.
Si arrestò a una cinquantina di metri dal cancello d’ingresso, e rimase in attesa.
Se qualcuno le avesse chiesto che cosa fosse venuta a fare lì, non avrebbe saputo cosa rispondergli.
Si allungò attraverso il sedile per aprire lo scomparto nel cruscotto. Con le nocche spinse da parte la 45 e il pugnale da commandos che le aveva regalato Leo e tirò fuori un pacchetto di Merit. Ne accese una e rimase in attesa. 
Mario arrivò dopo dieci minuti a bordo della sua Mercedes. Probabilmente aveva fatto le ore piccole. Da Elena.
Lo vide scendere dalla macchina. Il doppio mento e la fronte da macrocefalo scomparsero dalla sua vista attraverso la porta il cui battente pesava qualche quintale.
Ancora una volta la signora Fazio frugò fra le pieghe del proprio subconscio, alla ricerca di una ragione plausibile che giustificasse il motivo per cui si era portata davanti all’abitazione di Mario. Quando la ebbe trovata, rimase ancora a pensare.
Il punto focale dei suoi pensieri era fermo sulla consapevolezza affiorata all’improvviso: Mario l’aveva picchiata sette volte da che erano insieme, e lei non aveva fatto nulla per difendersi. Gli poteva fare male, se solo avesse voluto. Del resto non voleva spedirlo in galera. Sarebbe stata la catastrofe anche per lei. La vergogna.
Quando tre giorni prima aveva scoperto il vero motivo perché voleva la separazione, tutto le era diventato chiaro. Aveva da tempo un’amante… Elena. La tradiva proprio con Elena. Quando lei gli rinfacciò di quanto bastardo fosse stato, Mario per giunta l’aveva centrata con un diretto in pieno occhio. Era la settima volta che la picchiava. L’ultima.
Aprì lo scomparto del cruscotto e tirò fuori la 45. Controllò il caricatore: vi era un solo proiettile. Ne mancavano sette!
Chissà chi aveva sparato con la sua pistola, pensò la donna, senza troppa convinzione di volerlo scoprire. Mollò la pistola nel cruscotto e prese il pugnale da commandos. Lo infilò nella tasca interna del soprabito e scese dalla macchina.
Un fantasma silenzioso. La morte che cammina.
Suonò il campanello. Intanto si tolse una scarpa e, tenendola in mano dalla parte della punta, rimase in attesa.
Poco dopo la pesante porta fu aperta e il faccione di Mario palesò tutta la sua sorpresa.
– Tu qui?
Lo colpì in fronte con il tacco della scarpa. Così forte, che ci fu un sinistro rumore di ossa schiacciate. Mario barcollò ma non cadde. La signora Fazio intanto entrò e chiuse la porta. Poi gli andò incontro e gli sferrò un altro colpo in piena testa: ancora con il tacco della scarpa. Mario si piegò su se stesso e cadde su un fianco. La signora Fazio si avventò su di lui e incominciò a sferrargli una gragnola di calci. Mario si rattrappì cercando di proteggersi il ventre, il petto e il viso. Nessuna pietà. Poi lei estrasse il lungo coltello da commandos. Lo sguardo di lui scivolò dalla faccia della sua assalitrice alla mano armata. La faccia era contrata dalla paura. Le sue pupille si muovevano senza sosta come se cercasse una via d’uscita. Fece un tentativo di gridare la sua disperazione, ma dalla bocca non uscì che un urlo muto. 
La signora Fazio girò alle spalle di Mario e, bloccatolo con il braccio stretto alla gola, gli affibbiò un fendente dopo l’altro tra le costole. Contò fino a sette.
Dovevano essere sette.
Al settimo fendente, estrasse la lama con un movimento secco, e mollò la presa. Mario grugnì dal dolore. Cercò disperatamente di respirare. Si distese lungo sul pavimento, e rimase in quella posizione.
La signora Fazio si avvicinò e lo guardò: dalla fronte fracassata partivano rivoli di sangue, la bocca aperta, lo sguardo fisso, fulminato. Non aveva più che alcuni fremiti di agonia.
Pulì la lama del coltello con il lembo della giacca di Mario, mise l’arma in tasca, indossò la scarpa e uscì.
 
Fuori la strada era calma della calma domenicale. Alzò gli occhi al cielo. Soltanto nuvole.
 
   
 
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