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Autore: InvisibleWoman    18/12/2023    0 recensioni
Irene e Alfredo | Un po' invidiosa dell'hurt-comfort che hanno avuto Matteo e Maria, quindi ho voluto scrivere qualcosina io e nel frattempo unire il momento in cui Irene scopre del secondo lavoro di Alfredo. Spero vi piaccia, mi vergogna tantissimo scrivere cose così sdolcinate, spero non sia troppo stucchevole lol
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Irene camminava a passo spedito verso il magazzino. Mezz’ora prima aveva riordinato il riassortimento dei guanti che, con l’arrivo del freddo, andavano sempre più a ruba, ma di Alfredo o del signor Armando nessuna traccia. Oh, l’avrebbe sentita, adesso. Il suo ruolo di capocommessa le imponeva che tutto fosse in ordine in galleria e che nessun reparto rimanesse sfornito e non poteva attendere ulteriormente che i due magazzinieri facessero quanto lei aveva richiesto già da tempo. Così aveva chiesto ad Elvira di tenere d’occhio la galleria, mentre lei andava a riprendere Alfredo. L’amica le aveva chiesto di essere clemente, vedendola tanto irritata e Clara aveva rivolto uno sguardo preoccupato verso l’entrata del magazzino, una volta che Elvira le aveva raccontato della ramanzina che presto Alfredo avrebbe ricevuto.

Nell’ultimo periodo aveva notato che le cose in magazzino non sembravano in ordine come al solito e già pochi giorni prima era stata fatta confusione con il riassortimento del reparto maschile occupato da Delia. Non si poteva andare avanti così, pretendeva più professionalità. Come un leone pronto a caricare e saltare sulla sua preda, Irene spalancò le porte irrompendo nel magazzino.
“Alfredo!” strillò tenendo stretta in una mano la sua cartelletta rossa. “Alfredo?” chiese poi fermandosi di colpo nel vedere il suo fidanzato seduto sulla sedia del signor Armando, addormentato sopra la scrivania. In mano teneva una penna e sotto la sua faccia probabilmente delle bolle di accompagnamento o la lista dei riordini da effettuare. 
“Alfredo” disse di nuovo, stavolta più piano, mettendogli una mano sulla spalla. Se lo avesse trovato così il signor Armando gli avrebbe fatto una bella ramanzina, in aggiunta a quella che di lì a poco avrebbe ricevuto anche da lei stessa. Alfredo era da sempre stato piuttosto lavativo, ma addirittura dormire durante l’orario lavorativo? Questo sembrò proprio inaccettabile a lei, figurarsi al signor Ferraris.
Solo quando sentì la mano di Irene sulla sua spalla, Alfredo balzò in piedi dalla sedia e si guardò intorno con aria spaesata. 
“Irene” disse colto alla sprovvista. “Non… non stavo dormendo, ero solo molto concentrato su…” sollevò con una mano la lista dei riordini su cui aveva addirittura sbavato un po’. “Questa, vedi?”
“Ma chi vuoi prendere in giro” commentò lei stringendo le braccia al petto. “Dormivi talmente profondamente che ti ho dovuto chiamare per ben tre volte.”
“Ma no, ma va…” provò ancora a dissimulare. “Mi sarò solo appisolato giusto un attimo” minimizzò, provando ad allontanarsi per fingere di essere parecchio impegnato tra gli scaffali. 
“Cosa ti avevo chiesto?” Irene lo mise alla prova.
“Cosa mi avevi chiesto?” ripeté Alfredo.
“I guanti” gli ricordò.
“I guanti!” Alfredo si portò entrambe le mani alla bocca con fare sorpreso. 
“Ecco, appunto” Irene prese per il polso e lo riportò verso la scrivania per farlo sedere. Aveva delle profonde occhiaie che gli solcavano il viso e, forse era la luce, ma le sembrò anche un po’ pallido. “Mi vuoi dire che succede?” gli domandò. Da qualche settimana lo vedeva strano, scostante, silenzioso, poco partecipativo, disattento. Persino con lei. Non avevano mai più tempo per uscire e stare insieme la sera e iniziava ad avere il timore che si fosse stancato di lei. Non la guardava più con la stessa aria innamorata di sempre, non cercava più costantemente occasioni per stare un po’ da soli, nemmeno a casa ragazze. Si inventava sempre impegni con la famiglia, una volta con Salvo, una volta era stanco. Certo, con la cena al Circolo di qualche tempo prima aveva guadagnato punti, e avevano avuto modo di trascorrere una serata stupenda insieme. Ma dopo quella era tornato a essere persino più assente di prima. 
Alfredo si sedette, ma nel farlo tirò anche Irene per farla sedere sulle sue gambe. Appoggiò la testa contro il suo petto e la strinse a sé, chiudendo gli occhi, sperando di non addormentarsi di nuovo. Non sapeva come dire a Irene di quel doppio lavoro che iniziava a stremarlo ogni giorno di più. Aveva ragione il signor Armando, quei due lavori così faticosi insieme non poteva continuare a farli ancora a lungo. Il signor Armando diceva che il suo amore doveva bastarle e Irene gli aveva confermato di volere stare con lui e di accontentarsi di quello che lui poteva darle. Ma lui non voleva che lei si accontentasse, che sentisse di rinunciare a qualcosa per stare con lui. Voleva darle tutto quello che desiderava. Quello che meritava. E se Alfredo non poteva renderla felice con i suoi mezzi, allora avrebbe continuato più che poteva con quei due lavori, almeno fino a pagare le rate della moto. Irene non poteva saperlo, che figura ci avrebbe fatto?
“Alfredo, se scopro che stai mentendo non sarò tanto clemente. Ti conviene parlare adesso” lo minacciò, mentre lui continuava a tenere la testa sul suo petto ed evitare il suo sguardo. 
“Sto solo dormendo male, sai, pensieri, il lavoro…” alzò gli occhi su di lei e le lasciò un bacio sulla guancia. “Forse il cambio di stagione, sarà questo” annuì con convinzione.
“Non stai più bene con me?” gli domandò allora lei di punto in bianco.
“Ma che dici” rispose Alfredo prendendole il viso con le mani. Se solo avesse saputo che tutto quello che faceva, lo faceva per lei. “Ti amo” aggiunse dandole un bacio sul collo. 
Quando si allontanò da lei, Irene continuò a scrutarlo per giudicare se fosse abbastanza convincente. Non lo era. Ma non ebbe modo per indagare oltre perché il signor Armando arrivò d’un tratto con la sua voce possente a richiamarli entrambi all’ordine.
“Fate pure come se foste a casa vostra” commentò dopo essersi messo il camice. 
“Scusi, signor Ferraris” Irene si rimise in piedi e Alfredo la seguì a ruota. “Ero venuta a…”
“I guanti, giusto” Alfredo si allontanò per soddisfare quella richiesta che avrebbe già dovuto assecondare oltre mezz’ora prima. In quel frangente Irene si avvicinò ad Armando.
“Va tutto bene?” gli sussurrò lanciando poi un’occhiata verso Alfredo. Dato che il suo fidanzato non si decideva a parlarle, magari il signor Armando lo avrebbe fatto al posto suo. 
Ferraris sospirò profondamente, cercando di capire quale fosse la strada più giusta da intraprendere. Tradire Alfredo per il suo bene, o lasciare che fosse lui a sbrigarsela da solo? 
“Non le ha detto niente?” chiese lui, indagando su quanto sapesse la capocommessa.
“C’è qualcosa che dovrebbe dirmi?” continuò Irene, incrociando le braccia al petto.
“E’ che Alfredo…” cominciò Armando, ma Alfredo fece capolino portando tra le mani un piccolo pacchetto contenente l’ultimo rifornimento di guanti. 
“Eccoli, ma vanno riordinati. E’ l’ultima confezione” li informò.
“Che è esattamente quello che ti avevo chiesto di fare prima” rispose Armando andando a prendere il foglio con la lista dei riordini. Foglio che trovò spiegazzato e inumidito. Lo sollevò con aria perplessa.
“Sì, stavo…”
“E’ colpa mia, signor Armando” rispose subito Irene. “Ho rovesciato prima un po’ di acqua. Mi dispiace” disse lei, mentre Alfredo con riconoscenza le circondava il fianco con un braccio. 
“Questo è il motivo per cui il magazzino non è il luogo ideale per le coccole e gli amoreggiamenti” sbuffò Armando, sventolando il foglio affinché si asciugasse. L’inchiostro non si era sciolto, dunque non ritenne necessario riscrivere da zero quella lista. 
“Ha ragione, signor Armando” disse Alfredo.
“Va bene, io torno in galleria” intervenne Irene. “Noi due non abbiamo finito” sussurrò poi piano ad Alfredo. Adesso che il signor Armando le aveva messo quella pulce nell’orecchio, di certo non si sarebbe arresa facilmente finché non avesse scoperto di cosa si trattasse. Perché ormai che ci fosse qualcosa che Alfredo le stava nascondendo, era diventato non più un sospetto ma una certezza. 
Proprio per quel motivo anziché tornare subito in galleria, provò a rimanere appostata qualche istante dietro la parete, nella speranza che Alfredo e Armando parlassero subito dell’accaduto e la aiutassero a scoprire la verità.
“Irene le ha chiesto qualcosa?” difatti chiese subito Alfredo, avendo notato quello scambio tra la sua fidanzata e il capo magazziniere mentre lui andava a recuperare la merce.
“Alfredo, devi parlarle. Anche lei ha iniziato a capire che le stai nascondendo qualcosa” commentò infatti Alfredo. “Non può andare avanti così.”
“Lo so, lo so” chinò la testa. “Ma non le ha detto niente,  vero?”
“No, non le ho detto niente” lo rassicurò Armando. “Ma solo perché sei arrivato prima tu, perché io avevo tutta l’intenzione di dirle la verità. Prima o poi verrà a galla, fidati.”
“Infatti Clara lo sa già.”
“Vedi? Cosa aspetti a dirglielo? Che lo scopra da sola?” lo rimproverò Armando. “E guarda quanto sei sciupato” gli tirò uno schiaffetto sul volto. “Ho capito, siediti e finisci questa lista. Gli scatoloni li controllo io.”
“Grazie, signor Armando.”
“Sì, ma tu parlale. Presto.”
Alfredo annuì, andandosi a sedere mesto sulla sedia, mentre con la bocca soffiava aria sul foglio ancora umido. Era un disastro. Aveva ragione il signor Armando, doveva dire la verità a Irene. Dopotutto poco prima gli aveva detto di voler stare solo con lui, che non le importava nulla del Circolo. Eppure la presenza di quel Leonardo che continuava a ronzarle intorno non lo faceva stare tranquillo. Se le avesse detto quanto poco fosse capace a soddisfare persino i suoi più piccoli desideri, forse avrebbe iniziato ad aprire gli occhi e rendersi conto che tra Alfredo e Leonardo, la scelta era più scontata di quanto sembrasse. 

 

Irene girava distrattamente il sugo di pomodoro nella padella, mentre la sua testa era affollata di tanti pensieri. Per fortuna quella sera Clara si stava allenando e da casa non era neppure passata, altrimenti non era sicura di come sarebbe riuscita a non usare quella padella in modi impropri, pensò mentre con una mano teneva quel manico in acciaio. Notando il malumore di Irene, Maria aveva provato a convincerla a raggiungerla dai suoi genitori o persino a rimandare quella cena di famiglia con Vito per stare con lei e farsi spiegare cosa ci fosse che non andava, ma Irene si era lamentata a tal punto che alla fine Maria aveva deciso che forse sarebbe stato meglio lasciarla stare e farla sbollire un po’, prima di ritentare un altro approccio. Così Irene era rimasta a casa da sola a fare la cosa che più odiava al mondo: cucinare. 
Dopo un po’ spense il fuoco e si appoggiò al lavello con le braccia conserte mentre aspettava che l’acqua bollisse. Purtroppo Alfredo e Armando non avevano detto a chiare lettere quale fosse il grande segreto che nascondevano. Il fatto che anche Clara ne fosse a conoscenza e lei no la mandava fuori di testa. Clara doveva essere amica sua, si diceva amica sua, allora perché continuava a prendere le parti di Alfredo? E lui perché non si fidava a tal punto di lei da rivelarle cosa lo preoccupava? Eppure Irene aveva cercato di essere il più sincera possibile con il suo fidanzato. Aveva iniziato ad aprirsi a lui, confidarsi. Dopotutto Alfredo era rimasta una delle poche persone a capirla e comprenderla senza giudicarla. In momenti come quelli Stefania le mancava terribilmente e quando Alfredo qualche giorno prima le aveva detto che non sarebbe stata più sola, lei gli aveva creduto. Certo, un fidanzato non era come un’amica, ma era comunque una figura importante nella sua vita. Una vita che Alfredo le aveva stravolto con la sua presenza, il suo affetto, il suo amore. Irene aveva iniziato a porsi delle domande, a cercare di riunire i punti per capire cosa lui le stesse nascondendo. Di solito era brava a farlo ed era sempre la prima a dedurre quello che gli altri non immaginavano nemmeno. E alla fine qualche risposta era anche arrivata a darsela. Risposte che non le piacevano affatto. 
Un paio di colpi alla porta la portarono a trasalire dallo spavento, tanto era persa tra i suoi pensieri. Andò ad aprire con aria scocciata, pensando che Clara potesse essere per qualche motivo già di ritorno e avesse dimenticato le chiavi in spogliatoio come aveva fatto la settimana prima. Ma quando aprì la porta si ritrovò davanti Alfredo. 
“Non eri troppo impegnato per vederci stasera?” commentò lei con freddezza, spostandosi per farlo entrare. Le passò davanti con aria un po’ strana e Irene aggrottò le sopracciglia. 
“Mi sono liberato” si voltò lui, rivelando delle ferite sul viso.
“Oddio” commentò Irene avvicinando le mani alle sue guance. “Ma che hai combinato?”
“Sto bene, tranquilla” disse facendo una piccola smorfia di dolore mentre si appoggiava al tavolo. Non sapeva nemmeno lui perché fosse andato da Irene proprio in quel momento, conciato in quel modo. Avrebbe potuto aspettare l’indomani per dirle la verità, sarebbe tornato a casa a darsi una ripulita e il giorno dopo, con tranquillità e senza più le prove di quella sera, le avrebbe confessato tutto. Ma era come mosso da un impulso che non riusciva a spiegarsi. Doveva dirglielo. Ora. Prima che l’adrenalina scemasse e il coraggio si dileguasse a sua volta il mattino seguente.
Irene gli intimò di sedersi, mentre lei andava a prendere la cassetta di pronto soccorso, che era stata usata più in quelle ultime settimane, che in quattro anni che abitava lì. Avrebbe preferito toccasse a qualcun altro aiutare Alfredo, non era la persona adatta a prendersi cura degli altri, ma sfortunatamente quella sera non c’era nessuno in casa a parte lei e non poteva di certo lasciarlo così. La appoggiò allora sul tavolo e iniziò a tirare fuori le medicazioni. 
“Irene, devo dirti una cosa…” provò lui, mentre lei gli iniziò a toccare le escoriazioni sul viso con una garza imbevuta di disinfettante, che lo portò istintivamente a ritrarsi indietro per il bruciore. Ma non si lasciò scoraggiare dal fastidio, inconsapevole che rivelare la verità proprio in quel preciso istante non fosse esattamente la scelta più sensata, dato che Irene aveva un’arma tra le mani. 
“Si può sapere intanto cosa ti è successo?” lo interruppe lei. 
“Ma va, niente, un piccolo incidente” commentò minimizzando. La verità era che quelle settimane fatte di fatica e notti insonni gli erano piombate addosso proprio nel momento più cruciale. La stanchezza aveva rallentato i suoi riflessi, non aveva proprio visto la macchina di quel folle contro cui era finito, senza nemmeno avere il tempo di frenare. Per fortuna, essendo in città, non si erano raggiunte velocità esagerate, e se l’era cavata cadendo rovinosamente per terra insieme alla bicicletta, senza nessun danno serio. Certo, era indolenzito in più punti e si era escoriato il viso sul cemento, ma nessuna ferita permanente o importante come il braccio che si era rotto l’anno prima.
“Che incidente?”
“Una macchina mi ha tagliato la strada e…” disse. “Il punto è che…” ci riprovò, cambiando discorso.
“Una macchina lo chiami un piccolo incidente? Hai visto cos’è successo a Tancredi di Sant’Erasmo giusto poco tempo fa?” lo rimproverò. “Dove ti fa male?” Irene iniziò a scrutarlo con attenzione, prendendogli il mento con due dita per ruotargli il viso. “Hai battuto la testa?” fece per alzarsi per prendere del ghiaccio dal congelatore. 
“Irene” le prese il polso per fermarla.
Tancredi era pure finito in coma per quello scontro, pensò preoccupata.
“Forse dovevi andare in ospedale, non venire qui” disse lei passandogli la garza sul sopracciglio dal quale usciva un po’ di sangue. Quella vista non le faceva particolare effetto, ma non le piaceva nemmeno l’idea di stare lì a medicarlo neanche fosse una crocerossina. Agata non doveva studiare da infermiera? si ritrovò a pensare. Forse poteva provare a bussare accanto e chiedere aiuto a lei? No, non aveva nemmeno iniziato perché non era portata, ma forse la signora Concetta…

“Lavoro ai magazzini generali” vuotò allora lui, di colpo, dato che Irene non lo lasciava parlare. 

Lei dapprima si bloccò con la garza a mezz’aria, sorpresa dall’interruzione di quel flusso di pensieri sconnessi, poi tornò a sfiorargli il viso, questa volta con meno delicatezza. Dopotutto me lo merito, pensò Alfredo, mentre sopportava in silenzio il fastidio. 
“In che senso?” gli chiese lei senza nemmeno guardarlo più negli occhi, eppure aveva già capito, nonostante facesse la finta tonta e volesse farselo spiegare per bene.
“Inizio dopo cena e vado avanti fino all’alba. Dormo quelle tre, quattro ore se sono fortunato, e poi ricomincio la giornata al Paradiso” le spiegò, mentre Irene continuava a pulirlo con fare quasi un po’ sadico. “Ti stai divertendo, vero?” chiese infatti Alfredo, tra un sorriso e una smorfia di fastidio. 
“Sì, guarda, questo era esattamente il modo in cui intendevo passare il mio venerdì sera” commentò sbuffando. “Tra la cucina e te, non so cosa sia peggio.”
Alfredo abbassò lo sguardo e si mordicchiò il labbro inferiore. 
“Da quanto va avanti?” chiese Irene richiudendo la cassetta. 
“Ha importanza?” domandò Alfredo seguendola con lo sguardo fino alla credenza dove ripose quella scatola. 
“Lascia decidere a me se ha importanza, o intendi decidere da solo anche su questo?”
“Da quando ho preso la moto” ammise a fior di labbra. Quanto si sentiva stupido in quel momento. Alla fine la verità era comunque venuta a galla e sapeva che se non avesse confessato lui, lo avrebbe capito da sola, o avrebbe indagato, curiosa com’era, specialmente quando iniziava a sospettare di qualcosa come aveva fatto quel pomeriggio in magazzino. 
Irene non rispose e andò dritta ai fornelli per gettare la pasta nell'acqua che ormai bolliva da un pezzo, nonostante le fosse ormai passata la fame. Quello sciocco poteva farsi male sul serio e solo quando gli era diventato praticamente impossibile mentire, aveva deciso di confessarle tutto. Possibile si fidasse così poco di lei? Iniziò a chiedersi se fosse stata eccessivamente pretenziosa, se in qualche modo fosse stata lei inconsciamente a indurlo a spingersi a tanto. Eppure non era stata lei a chiedere esplicitamente tutte le cose che Alfredo le aveva regalato in quell’ultimo periodo. Clara aveva fatto menzione alla moto, alla cena al circolo e all’abito di Botteri che aveva acquistato e Irene aveva preferito non farsi troppe domande, perché in fondo lo sapeva che le risposte non le sarebbero piaciute. Era quindi complice di quello che era successo e di quello che, soprattutto, sarebbe potuto succedere? Lo aveva rassicurato qualche giorno prima, gli aveva detto di volere lui e lui soltanto, da quando si erano rimessi insieme era sempre stata sincera con lui, si era sempre confidata, gli aveva chiesto consiglio perché il suo parere per lei aveva importanza. Non gli aveva nascosto nulla. Mentre lui.. e Clara…
“E in tutto questo tempo non ti è venuta nemmeno per un secondo in mente l’idea di parlarmi chiaramente? Non ti fidi di me?” si voltò allora, mantenendo la distanza. 
“No, non è questo…” provò a rassicurarla Alfredo.
“Mentre di Clara sì” aggiunse seria. 
“Che c’entra Clara?”
“Armando lo sapeva, Clara lo sapeva. Chi altri? Stavate lì a commentare tra di voi su quanto io fossi egoista, esigente, capricciosa, giusto? Mi dispiace di non essere virtuosa come Clara” disse mogia. Erano mesi che subiva le ramanzine della sua coinquilina, che la accusava e le puntava il dito ogni qualvolta la narrazione non aderiva alla perfezione ai suoi ideali di vita, come se quelli fossero gli unici corretti, come se solo lei detenesse la verità assoluta sulle più adeguate norme di comportamento. Un esempio di rettitudine, cosa che Irene evidentemente non era. Non perdeva occasione di farle notare ogni sua mancanza, specialmente in relazione ad Alfredo. E Irene spesso la ascoltava, perché le sue parole la facevano sentire in difetto ma, tuttavia, la portavano anche a ragionare sul suo ruolo. Ma adesso si sentì una sciocca per essersi fidata. Di entrambi.
Alfredo si alzò, dolorante e zoppicante cercò di avvicinarsi a lei, ma Irene lo respinse, fingendo di dover fare qualcos’altro di infinitamente più importante, come apparecchiare la tavola.
“Ma io non voglio Clara, io voglio te” provò a dire lui.
“E perché? Lei si accontenterebbe della tua bicicletta, non vorrebbe altro. Non ti ridurrebbe così, non dovresti spendere soldi. Due cuori e una capanna, che romantico” commentò con sdegno. Iniziò a domandarsi cosa amasse Alfredo di lei. Perché l’aveva scelta, perché si era innamorato di lei, se erano così diversi e non si fidava nemmeno un minimo di lei, tanto da mentirle per mesi. Adesso volevano farla anche sentire in colpa per volere di più dalla vita e non accontentarsi, come se l’unico modo di vivere fosse il modello scelto da Clara, da Armando, da Alfredo. Come se ambire a elevare la propria posizione fosse un peccato degno della santa inquisizione.
“Non si sceglie chi amare, Irene” commentò lui cercando nuovamente del contatto fisico che Irene continuava a negargli. 
Forse con Clara sarebbe stato tutto più semplice, forse con lei non si sarebbe sentito così inadeguato. O magari alla fine avrebbe trovato il modo di rovinare tutto anche con lei, spostando l’obiettivo dalle richieste di Irene, agli allenamenti, alle biciclette, qualcos’altro per dimostrare di essere all’altezza delle sue aspettative l’avrebbe certamente trovato. Perché il problema non era Irene, il problema era lui. E le sue insicurezze sarebbero venute fuori con qualunque altra ragazza si fosse trovato davanti. E poi a lui non interessava di come sarebbero potute andare le cose con Clara. Non era lei che amava. 
“E comunque non ti ho chiesto niente” Irene aggiunse dopo un po’, le braccia strette al petto. Non era propriamente vero. Sì, era esigente, capricciosa, viziata, e forse aveva spinto un po’ troppo su uscite, ristoranti, ma quando gli aveva detto che si sarebbe accontentata di quello che lui poteva darle e delle scarpe consumate, lui l’aveva sorpresa con la moto. Quando gli aveva detto che non le interessavano il Circolo o i ristoranti di lusso, ma voleva solo stare con lui, si era presentato in casa sua ammaccato e stanco da quel secondo lavoro che le aveva nascosto di avere.
“Il problema non sei tu. Sono io che non sono all’altezza, Irene” abbassò lo sguardo. “Sono io che non posso darti quello che meriteresti. Mentre là fuori c’è qualcun altro che potrebbe.”
Si riferiva a Leonardo Crespi? Irene non negava che un tempo quel ragazzo sarebbe stato tutto quello che lei aveva sempre detto di sognare. Era alto, bello, ricco, di buona famiglia e, per qualche motivo, faceva la corte proprio a lei. Non negava che tutto ciò la lusingasse. Era troppo vanitosa perché i complimenti le scivolassero addosso. Ma non era interessata a Leonardo. Lo aveva spiegato più volte sia a Clara che ad Alfredo. Era lui che voleva. Anche se in quel momento non ne era più nemmeno così certa. 
“Mi credi così superficiale?” si lasciò scappare con una smorfia. Credevano davvero che i suoi sentimenti per Alfredo fossero così deboli ed effimeri da disintegrarsi alla vista di un uomo che rispecchiava quei famosi ideali? Che lo avrebbe messo da parte adesso che era arrivato un partito migliore?
“Sì, hai ragione, Leonardo Crespi potrebbe darmi tutto quello che desidero” rispose amareggiata, come quando Alfredo aveva pensato male di lei il Natale scorso, accusandola di volerlo solo tenere in pugno, e lei, offesa, glielo aveva lasciato credere. 
“Ecco, appunto” Alfredo sospirò, facendo qualche passo indietro.

Irene scosse la testa, ma non fece in tempo a rispondere che sentì la porta aprirsi alle sue spalle. Clara e Maria erano rientrate insieme relativamente presto, la prima di ritorno dal suo allenamento serale, la seconda perché preferiva lavorare qualche ora prima di andare a dormire.
“Irene, sono le dieci, devi ancora mangiare?” chiese d’istinto Clara, rendendosi conto qualche secondo dopo che in realtà non era da sola. “Oddio, che ti è successo?” gli domandò subito avvicinandosi per controllarlo. 
“La gatta ha graffiato?” scherzò Maria, suscitando solo un’occhiataccia da parte di Irene.
“Sto bene, sto bene” rispose Alfredo accennando un breve sorriso per non farle preoccupare.
“Ci ho già pensato io a lui” sottolineò Irene con durezza mentre Clara, che non capiva perché le rispondesse con quel tono così aggressivo, annuì. 
Maria seguì la conversazione in silenzio con aria interrogativa, avvicinandosi solamente ad Alfredo per sincerarsi delle sue condizioni. 
“Vieni qua, siediti, Alfredo” gli disse spingendolo verso la sedia. “A me non pare che tu stia tanto bene, eh” commentò la siciliana.
“Sono solo un po’ ammaccato, ma si è presa cura di me la migliore infermiera di Milano” provò ad adularla, ma Irene sapeva bene che quella era semplicemente l’ennesima bugia. Non era stata per niente delicata, non che lui se lo meritasse.
“Addirittura” sorrise Maria, voltandosi per guardare Irene che scolava la pasta.
“Va bene, vi lascio mangiare da soli, sono stanchissima” rispose la ciclista a disagio. 
“Anche Alfredo lo è. E tu lo sai perché, no?” lanciò una frecciatina. 
“Ah, te l’ha detto” Clara deglutì a fatica. “Scusami, Irene, è che…”
“E posso saperlo pure io?” intervenne Maria, subito coperta dalle voci di Irene e Clara che battibeccavano tra di loro urlandosi in codice senza mai menzionare il nocciolo della questione. Maria aggrottò le sopracciglia e osservò Alfredo che si nascondeva il viso tra le mani con aria colpevole. Era colpa sua se stavano litigando, era stato lui a mettere Clara in una posizione difficile, costringendola a scegliere tra lui e la sua amica, e mentire a sua volta solo perché lui non era stato capace di essere sincero. Sarebbe voluto intervenire, ma non aveva la forza di interromperle e mettersi in mezzo e conosceva abbastanza bene Irene da sapere che se avesse difeso Clara, le sue ire si sarebbero abbattute su entrambi, e non aveva voglia di provocarla ulteriormente. Le avrebbe spiegato in seguito il ruolo di Clara, che intanto se n’era andata nella sua stanza sbattendo la porta. 
“Mi dispiace” disse piano a Maria. “E’ colpa mia.”
“Ma mi volete spiegare cos’è successo o no?”
“No” rispose secca Irene, piazzando il piatto di pasta al pomodoro davanti ad Alfredo senza tante cerimonie, né senza chiedergli se restasse a cena. “Fattelo dire da Clara, che tanto è sempre la prima a sapere le cose che mi riguardano.”
Maria guardò il piatto con aria interrogativa per qualche istante.
“Hai usato il sugo di mia madre, vero?” chiese per sincerarsi non stesse inferendo altri possibili danni fisici al povero Alfredo.
Ma seriamente di tutta la questione, ciò che più le stava a cuore era la sua cucina? Irene la guardò torva. 
“Senti, intendi rimanere qui a dare fastidio o…?” 
“No, no, per carità. Vado di là che ho del lavoro da finire” disse Maria, scuotendo la testa. Quando Irene era in quello stato emotivo, era impossibile parlarle e ottenere qualcosa da lei. E, le dispiaceva per Alfredo, ma se davvero era lui la causa di quel malumore generale, allora avrebbe lasciato che fosse lui ad accollarsi le ire di Irene, mentre lei si rintanò in camera per lasciarli a chiarire da soli.

In realtà non ci fu alcun chiarimento. Irene, doppiamente arrabbiata, sia con lui che con Clara, passò quasi tutta la cena in silenzio. Alfredo, che normalmente non diceva mai di no a un pasto, girava distrattamente la pasta nel piatto. Tra il suo stato fisico e quello emotivo, gli si era chiuso lo stomaco. Tuttavia cercò di mandare giù bocconi in silenzio, senza sapere cosa dirle per risolvere la situazione. Forse sarebbe stato meglio se fosse andato via, o non fosse andato affatto da lei quella sera. La verità avrebbe potuto dirgliela in un altro momento, con più calma, senza aggiungere anche il fastidio di doversi prendere cura di lui, quando era convinto che in quel momento Irene sopportasse a malapena la sua presenza.
“Forse è meglio se vado” provò a dirle dopo un po’. Irene fissava un punto imprecisato davanti a sé e teneva tra le dita un bicchiere con del vino. 
“Mettiti un po’ sul divano” gli rispose secca, senza nemmeno guardarlo. Si alzò e iniziò a sparecchiare, mentre lui sospirò profondamente. Nonostante tutto Irene non poteva lasciarlo andare via in quelle condizioni, anche se la dipingevano sempre come una cinica senza cuore, quello purtroppo lo aveva eccome, sebbene ogni tanto avrebbe voluto privarsene. Sarebbe stato tutto molto più semplice. Invece tirò fuori del ghiaccio dal congelatore, lo avvolse in un panno e glielo mise sulla tempia. Per qualche istante si sedette al suo fianco, tenendoglielo ferma lei. Gesto che Alfredo prese come un segno di apertura nei suoi confronti. Si sbagliava di grosso. Perché quando lui tentò l’ennesimo approccio per farsi perdonare, Irene lo esortò a tenere fermo il ghiaccio da solo e si allontanò per lavare i piatti. Di solito li avrebbe lasciati lì sul lavello fino a che Maria o Clara non l’avessero obbligata, il giorno successivo, ad adempiere ai suoi doveri di coinquilina. Se l’avessero vista in quel momento, avrebbero chiamato un medico. O un esorcista.
Purtroppo nella testa di Alfredo ad atrofizzarsi era solo lo strato esterno della pelle, mentre all’interno continuava a frullare quello che Irene gli aveva risposto su Leonardo Crespi. Lo avrebbe lasciato a breve? Si era finalmente resa conto che era un’idiozia che tra lui e quell’altro lei potesse scegliere lui? Era stato proprio intelligente, gliel'aveva servita su un piatto d’argento, pensò mentre le palpebre si facevano pesanti e, cullato dal suono dell’acqua corrente, senza nemmeno rendersene conto si appisolò sul divano. Solo quando Irene sentì il leggero rumore della busta col ghiaccio che cadeva sul divano, non più sorretta dalla mano di Alfredo, si voltò e si rese conto che si era addormentato. 
In quelle ultime settimane aveva notato quell’aria sfinita, quelle profonde occhiaie e quella sbadataggine sempre più persistente. Ma per quanto nutrisse dei dubbi su ciò che le stava raccontando, mai avrebbe immaginato quella che poi si era rivelata la realtà dei fatti. Non sapeva nemmeno lei cosa avesse ipotizzato in prima analisi, forse in realtà non ci si era soffermata nemmeno troppo, fidandosi delle sue parole, delle sue scuse. Di lui. Solo negli ultimi giorni aveva iniziato a sospettare di qualcosa e adesso, col senno di poi, si rese conto di essere stata proprio stupida a non essere riuscita a unire i puntini con più facilità. 

“Si è addormentato?” Maria la strappò dai suoi pensieri mentre Irene si asciugava le mani con uno strofinaccio. Anche Clara stava dormendo e Maria non voleva più disturbarla tenendo la luce accesa in camera loro per poter disegnare, così si era affacciata in cucina, incuriosita dal silenzio che regnava tra quei due, e un po’ preoccupata che non fosse segretamente finita in tragedia.
Vide l’amica annuire pensierosa. “Adesso me lo vuoi dire cos’è successo? Anche perché deve essere grave visto che hai pure lavato i piatti.”
Irene roteò gli occhi al cielo, quanto erano prevedibili. “Alfredo ha un secondo lavoro” rispose sedendosi sconsolata su una delle sedie. Appoggiò il gomito sul tavolo e vi adagiò la testa con aria stanca. 
Maria avrebbe voluto infierire, come al suo solito, ma vedendo l’amica così giù di morale, decise che forse quello non era il momento delle prese in giro e dei giochetti.
“E non ne sapevi niente?” le chiese sedendosi di fronte a lei e appoggiando una mano sul suo avambraccio in segno di vicinanza.
“Certo che no, non gliel’avrei permesso!” si difese lei, mentre Maria le ricordava di abbassare la voce per non svegliarlo. “Non gli ho chiesto io la moto o il Circolo, lo giuro.”
“Lo so. Lo so che tieni a lui” le accarezzò il braccio. “Ma a volte con le tue richieste, vere o finte che siano, puoi mettere in difficoltà una persona che ti vuole bene e che vorrebbe solo renderti felice.”
“Ma lui mi rende felice già così” si lasciò scappare, mordendosi poi il labbro per quella dichiarazione troppo spontanea. E troppo sdolcinata visto che in quel momento doveva essere arrabbiata con lui. Molto arrabbiata.
Maria sorrise. Quanto era bello vederla finalmente così innamorata. Perché lei lo vedeva quanto gli volesse bene, nonostante le sue battutine, le sue pretese, i suoi discorsi, Maria la conosceva talmente bene da trovare palese l’affetto che la sua amica provava per quel ragazzo. 
“E lui lo sa?” le chiese allora.
“Certo che lo sa” le rispose di getto. O almeno avrebbe dovuto saperlo, ma adesso iniziava a dubitare di tante cose. Gli aveva dimostrato abbastanza di essere innamorata di lui? Aveva accentuato lei le sue insicurezze? Era stata troppo egoista da non comprenderle? Ma ce n’era una ancora più spaventosa che le frullava per la mente e che faticava a pronunciare ad alta voce: erano troppo diversi per poter stare insieme?
“E allora perché si sente in dovere di fare tutte queste cose per te? Te lo sei chiesta?”
“Adesso è colpa mia?” rispose Irene un po’ indignata, mettendosi sulla difensiva ogni volta che qualcuno le faceva notare i suoi errori. Lei poteva farsi tutte le domande che voleva, poteva mettersi in discussione, ma quando erano gli altri a farlo con lei, si chiudeva a riccio.
“Non sto parlando di colpe, Irene, sono sicura che Alfredo ha le sue. Però cosa gli hai ripetuto per un anno intero prima di mettervi insieme?”
“Ma gli ho anche detto altro da quando insieme ci stiamo davvero” disse Irene, imbronciandosi. Maria aveva ragione, per mesi e mesi non aveva fatto altro che rifiutarlo perché non rispecchiava il suo ideale di uomo, perché non poteva darle ciò che lei pretendeva. Ma erano solo scuse, era solo un modo per tenerlo a distanza, perché quello che provava per lui la spaventava, perché non si fidava e quella giustificazione era la più credibile per non cedere al suo incessante corteggiamento. Però, da quando aveva capito di amarlo davvero e di non poter più fare a meno di lui, aveva cercato a modo suo di rassicurarlo, di fargli capire che voleva stare solo con lui e nessun altro. Che sì, forse una macchina, una moto, una lavatrice, un’uscita in un ristorante elegante, li desiderava ancora, ma desiderava molto di più lui, con tutto quello che poteva e che non poteva darle. Non aveva fatto abbastanza? Non era stata abbastanza convincente? 
“E forse ha solo bisogno di sentirselo dire un poco di più” Maria si strinse nelle spalle. “Così come tu hai bisogno che lui ti dedichi tutte le sue attenzioni per dimostrarti che non si è stancato di te.”
Irene arricciò le labbra con fare mortificato. Forse aveva ragione. Entrambi avevano preteso troppo l’uno dall’altra, dimenticandosi qual era la cosa più importante: stare bene insieme.
“Ora ha smesso con quel lavoro, vero? Sembra sfinito” disse Maria, voltandosi a osservare Alfredo.
“Sì” Irene rispose, sebbene non ne avesse ancora parlato con Alfredo. Ma non gli avrebbe permesso in alcun modo di continuare, quindi tanto valeva darlo già per scontato. “Magari lo aiuto io a pagare le rate della moto.”
“Quanta magnanimità” Maria ridacchiò. 
“Guarda che…” iniziò a dire offesa.
“Lo so” la interruppe. “Lo so che sai essere la persona più generosa di tutte. Quando vuoi” sottolineò, sfiorandole il naso con un dito. 
Irene spostò lo sguardo su Alfredo che continuava a dormire e realizzò che non poteva farlo tornare a casa così. Non sapeva in che condizioni versasse la bici, se fosse in grado di funzionare ancora. Ma di certo, pure se non avesse subito danni, zoppicante e a notte fonda non si sarebbe sentita tranquilla a mandarlo via. C’era un precedente, adesso, a cui poteva appigliarsi.
“Alfredo resta qui questa notte” disse a Maria, ponendola non come una domanda ma come un’affermazione. 
“Irè, ma…” Maria provò a protestare.
“Matteo può e lui no?” si impuntò.
“Ma era un’emergenza!” Maria roteò gli occhi al cielo. Sapeva che prima o poi quello che era successo con Matteo la sua amica avrebbe trovato il modo di rinfacciarglielo.
“Anche questa lo è. Guardalo” disse Irene indicando il suo fidanzato. Avrebbe dovuto rimettergli il ghiaccio addosso, ma l’arrivo di Maria le aveva fatto dimenticare quel piccolo particolare e così era rimasto a gocciolare e bagnare il divano.
Maria cercò di trattenere un sorriso. “Guardala com’è diventata premurosa. Cos’è, il senso di colpa?” la punzecchiò.
“Ma quale senso di colpa, le sue scelte sconsiderate non sono causa mia” disse tornando a rivestirsi di quella facciata di strafottenza e superficialità che per un po’ aveva lasciato cadere davanti alla sua amica. Solo con lei e poche altre persone.
“Certo, certo. Fino a poco fa dicevamo diversamente” commentò Maria con una smorfia. “E va bene, ora prendo la coperta in più che ho nell’armadio.”
“Può stare in camera mia” disse Irene mordendosi la guancia dall’interno con aria imbarazzata.
“Irene” la riprese Maria.
“Che c’è? Il divano non è comodo per dormirci tutta la notte. Io di là ho un letto in più vuoto” le spiegò, mentre Maria continuava a guardare un po’ lei e un po’ lui, che di quella conversazione non aveva sentito nemmeno una parola, ma che non avrebbe stentato a immaginare si sarebbe mostrato molto d’accordo. “Tu non hai dormito con Matteo?”
“Eh, ancora con ‘sto Matteo” sbuffò Maria. “Era diverso. E poi no, non ho dormito con Matteo” aggiunse con disagio.
“Va bene, nella stessa stanza, è uguale. Domani è sabato, non dobbiamo lavorare, può riposare più a lungo. Se dormisse qui lo sveglieremmo preparando la colazione.”
Maria cercò di soppesare quelle informazioni e doveva ammettere che Irene aveva le sue ragioni. La cucina era certamente più rumorosa e il divano non era esattamente il luogo ideale dove riposare, specialmente acciaccato com’era.
“E va bene, ma letti separati” le puntò le dita contro.
“Ma ti pare, non ho alcuna intenzione di dormire insieme a qualcuno. Le nottate passate con Stefania mi sono bastate” disse ricordando le volte in cui la sua migliore amica, eccessivamente espansiva, al contrario suo, si era rintanata nel suo letto, per un motivo o per un altro, e Irene non aveva avuto cuore di mandarla via. Segretamente quelle notti erano tra i suoi ricordi più belli insieme. Il solletico, le risate, le chiacchiere fino ad addormentarsi, testa contro testa. Quanto le mancava.
“Va bene, allora vi lascio” disse Maria. “Sono fiera di te” aggiunse stampandole un bacio sulla testa, prima di allontanarsi per raggiungere Clara nella sua stanza, mentre di tanto in tanto si voltava per tenere d’occhio Irene, come se non fosse ancora convinta che quella fosse la decisione più corretta. Ma in fondo aveva ragione, lei aveva fatto lo stesso con Matteo, e per giunta senza nemmeno prendere in considerazione il loro parere. Almeno Irene con lei ne aveva parlato. Non aveva niente da recriminarle, né motivazioni per opporsi. 

 

Irene si andò a sedere piano sul divano e diede qualche colpetto sulla gamba di Alfredo. Lo guardò per qualche istante, seguì con lo sguardo i contorni del suo viso e si sentì tremendamente stupida a sentire quella rabbia affievolirsi sempre più. Perché aveva ogni motivo per avercela con lui, eppure… il discorso con Maria aveva un po’ spento quel fuoco che fino a poco prima avrebbe usato per accendere la pira su cui mettere al rogo Alfredo. L’amore l’aveva proprio resa una pappamolle. Avvicinò una mano ai suoi capelli e iniziò a toccarglieli piano, mentre con la voce tentava di svegliarlo. Nonostante la delicatezza di lei, Alfredo si svegliò quasi di soprassalto, guardandosi intorno con aria spaesata.
“Mi sono addormentato, scusa” si piegò in avanti e iniziò a stropicciarsi gli occhi. Irene prese il ghiaccio e lo poggiò sulla tavola: il divano era già zuppo.
“Me ne sono accorta” commentò lei con tono decisamente più addolcito, il che attirò subito l’attenzione di Alfredo che si voltò a guardarla. Lei incurvò un angolo della bocca per qualche istante, poi si alzò.
“Resti qui, stanotte” anche a lui, come a Maria, non diede possibilità di scelta. Era così, perché così lei aveva deciso. E a Irene era impossibile dire di no. Gli allungò una mano affinché la usasse per aiutarsi ad alzarsi, lui continuò ad assecondarla con fare confuso. 
“Hai male?” gli chiese Irene notando la smorfia che aveva fatto Alfredo mentre si rimetteva in piedi.
“Un po’” minimizzò lui alzando le spalle e provocandosi un’altra fitta proprio alla spalla destra che aveva battuto per terra. 
“Bene” commentò allora Irene con un sorriso, il che portò anche Alfredo a ricambiare. Cos’era successo in quel breve lasso di tempo in cui aveva chiuso gli occhi? Come mai Irene si era addolcita tutta a un tratto?
“Vieni o no?” gli allungò nuovamente la mano e stavolta Alfredo non la lasciò, ma si fece trascinare fino in camera da letto. Con uno sguardo lo invitò a sedersi. Lo aiutò a sbottonare dapprima il cardigan blu, poi i bottoni della camicia. Alfredo non aveva né la forza e né motivo di contestare, quindi rimase in silenzio e la lasciò fare, osservandola con un’aria un po’ confusa, ma divertita.
“Guarda che posso tornare a casa sulle mie gambe, Irene. Non sono invalido, sto bene” aprì finalmente bocca. “La bici forse avrà bisogno di qualche aggiusto, ma…”
“Se non ti sei reso conto, è quasi mezzanotte, Alfredo. Non ti lascio tornare così a piedi a quest’ora” commentò lei mentre frugava dentro il suo armadio.
“Si può sapere cosa stai cercando?” chiese Alfredo. Irene non rispose ma continuò a cercare fino a che non trovò la boccetta voleva e si rialzò con aria contenta. Lo aiutò a sfilarsi tutto finché non restò in canottiera. Poi aprì la boccetta e prese un po’ di quel contenuto e iniziò a spalmarlo sulla spalla di Alfredo. 
“Dio, è tremendo, Irene” disse lui facendo una smorfia per l’odore. “Mi stai mettendo del letame per vendicarti?”
“Te lo saresti meritato” commentò lei senza guardarlo in faccia, ma continuando a spalmare con le sue mani fredde che fecero rabbrividire Alfredo. Era inverno, ma nonostante ci fossero i riscaldamenti in casa, in canottiera il freddo si faceva comunque sentire. “E’ un unguento che mi aveva fatto avere…” disse mordicchiandosi la guancia. 
“Chi?”
“L’ha fatto la signora Agnese. Un po’ di tempo fa, però. Forse è per questo che fa questo strano odore” fece una smorfia divertita. Era stato Rocco a farglielo avere ormai tre anni prima. Quando gli aveva detto che aveva mal di schiena per le sue nottate in magazzino, lui le aveva consigliato il rimedio miracoloso di sua zia e nei giorni seguenti glielo aveva fatto trovare proprio in magazzino. “Magari funziona lo stesso” aggiunse mentre spostò le mani vicino alla cintura dei pantaloni e gli sollevò la canotta per metterne un po’ anche sul fianco destro. 
“Irene” disse Alfredo dopo qualche istante di silenzio passato a osservarla mentre, nonostante tutto, si prendeva cura di lui. “Mi dispiace.”
“E ci mancherebbe altro” rispose lei richiudendo la bottiglietta per poggiarla poi sul comodino. “Da oggi hai chiuso con quel lavoro.”
“Non credo di avercelo più quel lavoro, Irene” commentò lui, stringendosi le mani infreddolito. “Non mi sono presentato oggi, per ovvi motivi” aggiunse. “Posso…?” accennò poi alla coperta sistemata ai piedi di quel letto. Era la coperta a quadretti di Stefania, e lei aveva deciso di lasciarla lì per Irene. Ogni tanto, quando sentiva la sua mancanza, la stringeva. Ma in genere cercava di non sgualcirla troppo: se si impegnava un po’ riusciva ancora a sentire sopra il suo profumo.
Irene allora si allungò e la tirò a sé, posizionandola poi sulle spalle di un Alfredo infreddolito. Forse da quel momento in poi ci avrebbe sentito il suo profumo. O quello dell’unguento rancido della signora Agnese, pensò con una smorfia schifata.
“E comunque meglio così. Anche perché mi stavi trascurando troppo ed era semplicemente inaccettabile” aggiunse Irene, cercando di mantenere un’apparenza fiera e algida pur di non dire apertamente che si era preoccupata per lui. 
“Senza, però, non posso pagare le rate della moto” le rivelò allora, come se fosse un segreto inconfessabile di cui lei non poteva essere a conoscenza. Lei lo osservò, notò ancora una volta lo sguardo stanco, le occhiaie che gli solcavano il viso, e adesso quei graffi. Avvicinò una mano al suo viso e gli sfiorò la guancia con le dita. 
“Vorrà dire che ti aiuterò io a pagarle.”
“No, non posso, Irene” commentò lui con aria triste.
“Perché? Perché sei un uomo? È quasi il 1965, Alfredo” rispose lei con una smorfia. “E poi così quella moto sarà anche un po’ mia e potrai insegnarmi a guidarla” concluse con disinvoltura.
Alfredo le rivolse il primo sorriso ampio della serata. “E da quando ti interessa guidare la moto?”
“Da adesso. Perché no? Elvira può guidare la macchina e io non posso imparare a guidare la moto?” chiese fiera. No, non le interessava minimamente guidarla, ciò che non le andava giù era che lo dessero per scontato, come se lei non potesse esserne in grado. Lo era eccome. Glielo aveva detto anche Maria una volta: era in grado di fare qualsiasi cosa si fosse prefissata.
“Riesci sempre a stupirmi” le disse Alfredo dopo qualche istante trascorso a guardarla in silenzio.
“Forse sei tu che mi sottovaluti” rispose lei, riferendosi non solo a quel momento, ma anche a quel segreto che le aveva nascosto per settimane. E Irene aveva proprio ragione. Aveva sottovalutato la sua capacità di comprensione, aveva sottovalutato l’importanza che lui aveva per lei, aveva dato per scontate troppe cose, lasciando che fossero le sue insicurezze a parlare per lui. Avrebbe dovuto dare ascolto ad Armando quando gli aveva detto di parlare subito con Irene, forse si sarebbe evitato quelle settimane di fatica inutile. Forse, se le avesse parlato da subito o si fosse fidato di più delle parole che lei gli aveva rivolto, quella moto non l’avrebbe neppure comprata.
“Hai ragione” abbassò lo sguardo e poi prese le mani di Irene tra le sue. 
Lei ne liberò una per sollevare il mento di Alfredo e spingerlo a guardarla. “Ti amo” sussurrò mettendogli una mano dietro la nuca. “Hai capito?”
“Perché?” rispose lui d’istinto, portando Irene ad aggrottare le sopracciglia.
“Che vuol dire perché?” rispose accarezzandogli la guancia con il pollice. “Non si sceglie chi amare, l’hai detto tu prima, no?”
Alfredo annuì, poco convinto, e a Irene tornarono alla mente le parole di Maria di qualche istante prima. E forse ha solo bisogno di sentirselo dire un poco di più.
“Perché mi rendi felice, Alfredo” ammise con un sorriso. Non era da lei essere così diretta e così sdolcinata, eppure nell’ultimo periodo si era ritrovata a fare spesso dichiarazioni di quel tipo, che ormai nemmeno le pesavano più. Un tempo sarebbe stata una tortura riuscire a cavarle dalla bocca quello che provava, ma Alfredo l’aveva aiutata a liberarsi anche da quella gabbia, da quell’insicurezza, rendendola una persona capace di amare non solo a gesti, ma anche a parole. “Perché sei generoso, altruista, perché sei disposto a spaccarti la schiena e finire sotto una macchina…”
“Sopra” la interruppe lui per puntualizzare.
“Sopra, va bene, il punto è che faresti di tutto per rendermi felice. Ma io non ti voglio né sopra, né sotto a una macchina, ti voglio intero. A me basti tu, Alfredo. E mi dispiace se con le mie richieste ti ho fatto credere di non essere abbastanza per me, non è così.”
Le dispiaceva non aver capito prima il suo disagio, di essersi, un minimo, anche lei approfittata di quelle attenzioni eccessive che lui le rivolgeva, di non aver realizzato prima che non aveva bisogno di nient’altro, se non di lui. 
“Non ti merito” Alfredo le sorrise mesto. 
“Forse. Ma ora che hai avuto questa fortuna ti direi di non sprecarla” rispose lei con ironia, ma con aria fiera, dandogli un bacio sul naso. “Anche perché posso perdonare una volta, ma non ce ne sarà una seconda. Non sono mica Gesù Cristo” affermò liberandogli il viso dalla sua presa. Alfredo arricciò le labbra e si lasciò stringere da lei. Rimasero per qualche istante entrambi abbracciati ad occhi chiusi nella penombra, a bearsi del respiro caldo di Alfredo sul suo petto e delle mani di Irene che gli accarezzavano la schiena. Alfredo quasi non voleva staccarsi quando Irene lo allontanò e si rimise in piedi. 
“Mettiti sotto le coperte, io vado a cambiarmi in bagno” gli disse prendendo la propria camicia da notte dall’armadio. Lei lo aveva già visto in biancheria intima alle terme, ma lui non aveva fatto altrettanto con lei e, nonostante le malelingue, Irene era una ragazza per bene e non era decoroso che si spogliasse proprio davanti a lui. Già la famiglia di Maria che abitava accanto, ma pure suo padre se l’avesse saputo, avrebbero gridato allo scandalo se fossero venuti a conoscenza della presenza di Alfredo quella notte. E non sapevano ancora di Matteo, pensò Irene con un sorriso.
“Grazie, Irene” le disse prima che lei se ne andasse. 
Quando poi tornò in camera, illuminata solo dalla luce della sua lampada, Alfredo era talmente stanco che si era già riaddormentato. Si avvicinò a lui e gli sfiorò per un istante i capelli, dopo avergli sistemato sopra anche la coperta di Stefania che aveva lasciato ai piedi del letto. Poi, infreddolita, si rintanò sul suo letto e, sdraiata su di un fianco, continuò a osservarlo mentre dormiva. 
Soltanto perché si era addolcita, spinta anche dalla situazione e dalle parole di Maria, non voleva dire che era tutto risolto. Perché non lo era. C’erano questioni importanti da affrontare. Irene aveva fatto dei grandi passi avanti in quella relazione, aveva imparato a fidarsi di lui, ad affidarsi a lui, a confidargli le sue insicurezze così che lui potesse aiutarla a trovare la forza di affrontarle, e così aveva fatto, soprattutto nell’ultimo periodo. Alfredo, invece, si era tenuto tutto dentro per mesi, lasciando che quel sentimento di inadeguatezza si gonfiasse fino ad arrivare a quello che quella sera sarebbe potuto essere il punto di non ritorno. Doveva imparare anche lui a fidarsi di lei, accettare il suo giudizio. Era consapevole di aver contribuito ad alimentare le sue insicurezze. Ogni  tanto Irene non prestava attenzione ai sentimenti altrui, specialmente se riteneva innocue le sue esternazioni. Non immaginava che, invece, queste fossero continua benzina su quel fuoco che alimentava le insicurezze di Alfredo. Non lo sapeva perché lui non si era confidato con lei. Avevano sbagliato entrambi, ma per crescere insieme le cose sarebbero dovute cambiare. Non bastava chiedersi scusa o stringersi in un abbraccio. Era necessario un cambiamento serio. 
Ma per il momento era solo felice di averlo lì di fronte a lei e che stesse bene, per quanto strana fosse quella situazione. Al resto avrebbero pensato domani, dopo una lunga notte di sonno.

  
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