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Autore: ifearthereaper    20/12/2023    0 recensioni
Il testo che state per leggere è la trascrizione di una registrazione digitale… Ma io non sono Rick Riordan. E infatti non vi sto parlando dalle pagine di un tomo voluminoso pubblicato da una prestigiosa casa editrice, ma da un sito di fanfiction. Già, sono sorpresa quanto voi, ma quando mi sono ritrovata sulla porta un pacco con un mangianastri non immaginavo certo che fosse da parte dei fratelli Kane. In effetti, il mio primo pensiero è stato qualcosa tipo "Hannah Baker, io ti denuncio".
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bast, Carter Kane, Julius Kane, Sadie Kane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il testo che state per leggere è la trascrizione di una registrazione digitale… Ma io non sono Rick Riordan. E infatti non vi sto parlando dalle pagine di un tomo voluminoso pubblicato da una prestigiosa casa editrice, ma da un sito di fanfiction. Già, sono sorpresa quanto voi, ma quando mi sono ritrovata sulla porta un pacco con un mangianastri non immaginavo certo che fosse da parte dei fratelli Kane. In effetti, il mio primo pensiero è stato qualcosa tipo Hannah Baker io ti denuncio. Ora, io non voglio sapere se Carter e Sadie hanno litigato con zio Rick per la divisione delle royalties o se è successo qualcosa di più allarmante che li ha costretti a cambiare destinatario, ma ad ascolto finito mi sono ritrovata in mano un bel po’ di materiale interessante. Sfortunatamente, come ho già chiarito, non solo non sono il Sommo, ma non possiedo nemmeno le sue capacità di scrittore allenato a sbobinare registrazioni (e non sono manco studentessa di medicina, insomma, uno sfacelo); peggio ancora, Carter e Sadie discorrono nella lingua della perfida Albione, e io manco di traduttori abbastanza discreti e che lavorino per cifre modiche – cioè gratis, date le mie precarie finanze.

Insomma, il risultato che potrete leggere in queste pagine è una traduzione raffazzonata e alla buona della roba che Carter e Sadie (o due attori molto convincenti) hanno registrato – colluttazioni, colpi e imprecazioni a parte, as usual. Senza indugio, quindi, vi lascio al testo: buona lettura.
 
P. S. Per quelli di voi che non hanno voglia di leggersi un mattonazzo sghembo e maldestramente tradotto dalla sottoscritta, tranquilli: il mondo questa volta non sta finendo, e le cassette contengono dei resoconti delle avventure dei nostri fratelli preferiti pre-esplosione del British Museum. Vi ricordate lo scoiattolo che cita Sadie? Eccolo qua. Assieme alle avventure di Carter e suo padre in giro per le tombe egizie, i boxer del povero Dylan Quinn e qualche altra chicca.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
SADIE

Lotta libera con uno scoiattolo: trofeo in palio,
un paio di mutande da uomo



 
Qui Sadie Kane. Se questo nome non ti fa suonare almeno qualche campanello in testa, possibilmente accompagnato da una scritta che recita PERICOLO a luci fosforescenti, spegni subito il registratore e porta le cassette alla biblioteca della tua città, lì sapranno cosa fare.
Se invece ti sono venute in mente cose tipo dèi egizi, una maga straordinaria e incredibilmente coraggiosa e un ragazzo dalla testa di cane molto sexy, beh, sei la persona giusta a cui mandare questo pacco. [Carter, è inutile che alzi gli occhi al cielo, non è colpa mia se fai schifo a morra cinese e ho in mano io il microfono.]

Niente panico, il mondo non sta per essere inghiottito dalle spire di un enorme serpente mangia-soli… Almeno non questa volta. Lo so, lo so, non è più così emozionante ascoltare una tizia che ti parla di mitologia egizia quando dalle sue parole non dipende il destino della civiltà umana: è praticamente quello che fa Carter tutti i sabati pomeriggio per rilassarsi. Giuro, non capisco come documentari dal titolo Mito e archeologia: un’analisi delle scritture geroglifiche degli ultimi secoli della civiltà egizia possano suonare come un buon investimento del proprio tempo, ma ehi, a ciascuno il suo, immagino. [Ahi! D’accordo, arrivo al punto, non c’è bisogno di pizzicarmi il braccio, sai. Incivile.]

Insomma, qui alla Brooklyn House stiamo ancora insegnando ai nostri giovani discepoli come praticare la magia senza farsi accidentalmente esplodere mentre si tenta di cucinare una tortilla, ma sappiamo che non abbiamo reclutato tutti i ragazzi con sangue di faraone là fuori. Un conto è leggere qualche storia su gente che salva il mondo, un altro è rendersi conto di fare parte di quel genere di persone che può schioccare le dita ed evocare tigri, spostare palazzi e convincere i pinguini ad obbedire ai tuoi ordini (in ordine di difficoltà). Ma da grandi poteri deriva soprattutto un grande pericolo: se puoi diventare un mago, rischi di attirare l’attenzione di gente intenzionata a distruggerti, e ogni minuto che passi senza essere addestrato è un minuto in più in cui rischi grosso.

E qui entriamo in gioco noi: in questa registrazione parleremo di tutto quello che ci è successo prima – prima del British Museum, di Set e dell’arrivo di Apophis. I maghi attirano problemi e stranezze di ogni genere, e se qualcosa di quello che è successo a noi ti suona familiare, sbrigati a raggiungerci, perché la Brooklyn House ha le porte spalancate ed è pronta ad accoglierti.

La prima storia è la mia, e posso dirti senza falsa modestia che è senz’altro la più emozionante: sicuro, le tombe egizie sono uno spasso, se sei un nerd a cui piace sfogliare libri di mitologia per hobby, ma quello che davvero piace a tutti sono le storie di spionaggio.
Storia che inizia con la mia amica Emma che tira la madre di tutti gli starnuti proprio sulla mia felpa.

— Cavolo, che schifo! — protestai energicamente, per poi spostare il braccio sinistro in un disperato tentativo di riguadagnarne la sensibilità. Il mio gomito urtò contro qualcosa di tenero e soffice.

— Ahia! — La voce di Liz mi sfregò il timpano destro come unghie su una lavagna di gesso. — Era la mia guancia, quella…

— Sssh! Afht intenfhione di farfhi senfhire da Moffhiolo? — Emma voleva probabilmente usare un tono esasperato, ma tra il buio pesto del ripostiglio e il fatto che aveva il viso spiaccicato contro la mia felpa era difficile capire che diamine stesse dicendo.

Mi spostai all’indietro, sfregando contro il muro dello stanzino, quanto bastava per liberare la mano sinistra e sfilare il mio cellulare nuovo fiammante dalla tasca dei jeans. Il display segnava le cinque e cinquantasette del pomeriggio. Via libera, probabilmente, considerando che il custode Mocciolo (non fate domande, è abbastanza ovvio) staccava volentieri una buona mezz’ora prima del previsto dal giro di routine delle aule della Nottingham High.

Mi piegai il più possibile per avvicinarmi allo zaino schiacciato tra il mio piede e una cassa di legno e infilai il braccio destro all’interno. Torcia, torcia, torcia… Beccata. La tirai fuori e la puntai verso il soffitto prima di premere il pulsante di accensione. Il ripostiglio si illuminò quanto bastava per vedere le mie amiche: Emma aveva ancora la faccia affondata nella mia sciarpa, mentre Liz si stava sfregando la guancia con aria indignata con un braccio infilato sotto la mia schiena e una gamba in precario equilibrio sopra una pila di scatole di detersivi e pacchi di carta igienica.

— Mocciolo sarà già sulla sua bicicletta scalcinata a quest’ora — Alzai il telefono e mostrai alle mie amiche il display. — Forza, usciamo da questa gabbia puzzolente e iniziamo a cercare.

— Non capisco perché abbiamo pensato che nasconderci qui dentro fosse una buona idea — piagnucolò Liz, per poi allungare il braccio libero verso la maniglia della porta, che si piegò con uno scricchiolio. La mia povera amica rotolò fuori dalla porta aperta e si chinò sulle ginocchia a respirare la prima aria che non era stata già del tutto trasformata in anidride carbonica da quasi due ore a questa parte. Si sfilò la giacca in tutta fretta e si passò una mano sulla fronte con aria disgustata: — Credo di aver toccato un topo, là dentro… Era tutto peloso e ispido, che schifo! —

— Ehi, eri tu la mano sui miei capelli, allora! — Emma si pulì gli occhiali sulla felpa rosa shocking e si aggiustò le calze e la gonna. Eravamo un po’ stropicciate e Liz aveva perso uno dei suoi orecchini per colpa di una mia manata, ma nel complesso la prima parte del piano era filata piuttosto liscia. Mi sistemai meglio lo zaino sulle spalle e mi girai verso di lei.

— Chiavi? — chiesi, tendendole la mano, e lei fece un gran sorriso nonostante la faccia paonazza per l’umidità dello stanzino. Si infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un mazzo di chiavi che mi porse con un inchino. — Et voilà! Stamattina nessuno si è accorto di nulla giù in bidelleria, è stato un lavoro da maestro.

Sorrisi e afferrai il mazzo. Ve l’avevo detto, no, che le mie amiche sono non sono delle smidollate? Se per vincere una scommessa avremmo dovuto intrufolarci nella scuola oltre l’orario consentito rubando un mazzo di chiavi di scorta, l’avremmo fatto, senza tante storie. Anche se la scommessa comportava anche entrare nello spogliatoio maschile per recuperare i boxer del battitore più figo della scuola.

— Continuo a pensare che non sia una grande idea — borbottò Emma con le braccia conserte. — Insomma, solo perché Julie ti dice che non hai il coraggio di fare una cosa non significa che devi farla.

— Non è per lei — mentii spudoratamente, cosa che di solito mi riusciva piuttosto bene. —È solo che ormai quei boxer sono una leggenda, e lei spergiurava di averli visti incastrati nella ventola quando è entrata di nascosto a dare un’occhiata… Se davvero riusciamo a recuperarli sarà la storia più emozionante dell’intero anno scolastico. E poi cinque sterline fanno sempre comodo.

Okay, alla luce degli anni passati che mi hanno conferito una certa maturità, mi sento di dire che in effetti lo stavo facendo anche per dimostrare a Julie che sì, ero io la più tosta delle ragazze undicenni della scuola, ma di sicuro non era perché erano tre mesi che non riuscivamo a battere la sua classe a palla prigioniera. [Carter, ti vedo che sogghigni, e sappi che ho sulla punta delle dita un bel ha-di.] In ogni caso, quei boxer erano oggetto di leggende straordinarie e infiniti aneddoti negli spogliatoi femminili, e noi dovevamo averli. Possibilmente senza nessuno tra i piedi a gridarci cose noiosamente istituzionali, tipo “che diavolo ci fate nello spogliatoio maschile?” o “perché diamine avete in mano un paio di mutande?”, motivo per cui ci eravamo attardate a scuola un po’ oltre l’orario normale.

— Diamo il via all’Operazione Mutandoni! — annunciai con un dito puntato verso il corridoio, e giusto per sottolineare quanto fossi tosta e assolutamente non desiderosa di provare nulla a Julie Roberts mi infilai il cappuccio della felpa in testa. Lanciai la torcia a Liz, che la afferrò al volo molto meglio di come non facesse con i palloni durante l’ora di educazione fisica, e iniziai ad avviarmi verso la rampa di scale che portava al primo piano: Liz mi trotterellò dietro ad un’andatura un po’ meno baldanzosa, mentre Emma sospirò e si avviò strisciando i piedi nella nostra stessa direzione. Le luci a led sul soffitto erano spente, e siccome eravamo ai primi di novembre era già calato il buio, quindi i corridoi erano piuttosto scuri, luce della torcia a parte. Le aule erano tutte chiuse, cortesia di Mocciolo e della sua ronda, ma a noi interessava solo una porta.

Rabbrividii e mi sfregai le mani gelate. Il riscaldamento era spento da almeno due ore e il freddo iniziava a farsi sentire. Liz si rimise la giacca bianca con un brivido, guardandosi intorno con aria preoccupata. In effetti tra i corridoi deserti, la temperatura gelida e il vento che aveva iniziato ad ululare fuori sembrava di stare in un film horror. L’idea non mi spaventava, d’accordo (dopotutto ero la quasi-dodicenne più tosta della scuola), ma non ero intenzionata a passare tra le mura scolastiche più tempo dello stretto necessario.

Arrivammo alla fine del corridoio del secondo piano e iniziammo a scendere giù per le scale. I nostri passi ticchettavano nel silenzio tombale della scuola in maniera un po’ troppo inquietante per i miei gusti, ma presi a fischiettare un motivetto per rilassarmi un po’. Cercare mutande da uomo nello spogliatoio della propria scuola media, un’altra giornata normale da adolescente normale. Liz scendeva i gradini a due a due, abbracciandosi la giacca con le mani mentre batteva i denti.

— Fa un freddo cane… Vi prego, muoviamoci, sto congelando! —

— Ma se fino a cinque minuti fa ti lamentavi del caldo soffocante nel ripostiglio — la rimbeccò Emma, prima di tirarsi su gli occhiali ancora del tutto appannati. — È mai possibile che non riesca a… Aaaaaaaah! —

Per poco non scivolai giù dall’ultimo gradino, ma dovetti afferrare Liz per un braccio per impedirle di sfracellarsi sulle mattonelle della Nottingham High. Mi girai verso Emma, che era, beh, non esattamente pallida come uno spettro, data la sua carnagione in condizioni normali, ma aveva di sicuro l’aria abbastanza sconvolta.

— Ho visto qualcosa muoversi su per le scale… Sembrava un animale grosso, come un gatto enorme — Rabbrividì e si strinse le spalle. — O forse era un uomo accucciato? —

Sospirai e rimisi in piedi Liz, che si sistemò la giacca stropicciata e tirò un’occhiataccia ad Emma. — Bello scherzo, davvero. Se credi che cascherò ancora nei tuoi trucchetti dopo quel cinghiale rabbioso alla festa di Amir all’acquapark stai fresca.

Emma pestò un piede sul pavimento. — Ho visto davvero qualcuno! Se Mocciolo fosse tornato indietro per recuperare qualcosa dal suo stanzino? O se… — Rabbrividì e si strinse le spalle. — Se fosse entrato un ladro?

— Già, chi non si intrufolerebbe a scuola per rubare la preziosa lavagna di ardesia che decora la classe di Mr. Wilson — Alzai un sopracciglio. — Oltretutto, se ci fosse qualcuno saprebbe sicuramente che siamo qui anche noi, dopo l’urlo che hai cacciato. Andiamo, avrai visto una finestra sbattere o qualcosa del genere.

D’accordo, in quel momento suonavo come una di quelle ragazze che vengono uccise a colpi di ascia dai pazzi maniaci degli horror che guardavo di nascosto dai nonni, ma l’unica cosa che poteva essere a scuola in quel momento a parte noi erano gli scarafaggi che proliferavano nei bagni delle ragazze (vedere per credere). Liz puntò la torcia verso i gradini che avevamo appena sceso, rivelando un sacchetto di patatine sfuggito alla pulizia meno che maniacale di Mocciolo; Emma diede un’ultima occhiata nervosa in direzione del fascio di luce e poi ci superò con due rapidi saltelli in direzione della palestra.

— Va bene, ma sbrighiamoci… Non voglio passare in questa scuola un minuto di più.

In cuor mio iniziavo a concordare con lei, anche perché le dita delle mani stavano perdendo la sensibilità al tatto… Perché cavolo in Inghilterra all’inizio di novembre dovevano esserci la bellezza di tre gradi sopra lo zero? Era in momenti come questo che invidiavo Carter in giro tra le bancarelle del Cairo con papà. Cioè, non solo in questi momenti, ma insomma. Mi infilai le mani in tasca per non perdere qualche dito e cercai di non pensare a cose poco piacevoli. Dopotutto ci eravamo sentiti per telefono solo qualche giorno fa… Certo, aveva dovuto farmi chiamare dalla segreteria della scuola per farsi dare il mio nuovo numero perché il nonno gli aveva sbattuto la cornetta in faccia, ma sarebbe potuta andare peggio.

Girammo l’angolo alla fine del corridoio dei laboratori di scienze naturali e ci trovammo la porta della palestra sulla sinistra, con tanto di cartello per chi avesse difficoltà ad orientarsi. Sfilai il mazzo di chiavi dalla tasca della felpa e iniziai a far passare tutte le targhette delle chiavi: aula A-1, aula A-2, laboratorio di fisica… Eccola! La infilai nella serratura e spinsi la porta, che si aprì sulla palestra con uno scricchiolio. Da vuota appariva persino più grande del solito, e i canestri da basket appena visibili nel buio sembravano dei totem devoti a qualche strana divinità.

Mi diressi in tutta fretta verso la porta degli spogliatoi maschili, tallonata da Liz e da Emma. I miei anfibi avrebbero probabilmente lasciato qualche traccia di fango sul pavimento lucido, ma non puoi fare una frittata senza rompere qualche uovo, giusto?

Davanti alla porta degli spogliatoi impugnai la chiave con la targhetta “Sp. ♂”. Scoccai un’occhiata a Liz ed Emma.

— Pronte a fare la storia della Nottingham High? — Senza aspettare la loro risposta infilai la chiave nella serratura e mi trovai davanti lo spogliatoio maschile in tutto il suo splendore. Era parecchio più grosso di quello femminile, con almeno tre file di armadietti, quattro cubicoli per i bagni e un sacco di panche e ganci per appendere le sacche da allenamento. Alzai gli occhi al soffitto, li strizzai per vedere meglio nell’oscurità e… bingo! A tre metri dalla mia faccia c’era una ventola spenta di un colore che qualche decade fa probabilmente corrispondeva al bianco. Nello spogliatoio femminile avevamo qualche luce in più, ma solo un minuscolo ventilatore per aerare la stanza, cosa che a fine giugno risultava alquanto sgradevole, credetemi.

— Non so se sono pronta a toccare quell’agglomerato di polvere e insetti morti — tossicchiò Liz, che mi era scivolata davanti per sbirciare gli armadietti. — Ehi, anche gli armadietti sono più belli dei nostri!

— Non sarà necessario — Buttai su una panca il mio zainetto tempestato di sticker e iniziai a frugarci dentro. Libri di scuola inutili, una caricatura di Ms. Strawson con sei lingue biforcute e quattro occhietti porcini (avevo appena preso un’insufficienza parecchio grave in francese, va bene?) e un ombrello mezzo rotto finirono in successione sul pavimento, ma finalmente tastai il pezzo forte: tirai fuori dallo zaino il retino telescopico che usava il nonno in gioventù per la sua collezione di farfalle [Lo so, lo so, fratellone, anch’io non potevo crederci quando l’ho scoperto.].

— Grazie a questo tecnologico reperto degli anni Trenta non dovremo prenderci una brutta malattia per sfilare il nostro tesoro dalla ventola più sporca di Londra. Avrò solo bisogno di qualcuno che mi faccia da scala…

Emma mi fece un okay con il pollice, probabilmente più per velocizzare l’operazione di recupero che per reale entusiasmo, e si chinò per prendermi sulle spalle. Salii sulla panca più vicina e mi issai con qualche difficoltà sulle sue spalle, con i piedi a penzoloni lungo i suoi fianchi.

— Ci sei?
Le diedi una pacca sul collo. — Al galoppo!

Emma sbuffò e si sistemò appena sotto la ventola. Liz puntò la torcia verso le pale, che illuminate apparivano persino più sporche del previsto. Sul serio, c’erano cicche che dovevano risalire all’anteguerra, per non parlare della quantità di insetti morti che mi guardai bene dal fissare a lungo. Allungai il retino al massimo e lo infilai nel buco tra una pala e l’altra, tastando l’interno. Sentii che stavo urtando qualcosa di morbido e sfregai con il retino per spostarla.

— Trovati? — chiese Liz saltellando da un piede all’altro. Le sue lentiggini erano scomparse sotto il colore paonazzo della sua faccia, e si stava ancora sfregando le mani l’una contro l’altra nonostante stesse indossando un paio di guanti.

— Ancora — sbuffai mentre avvicinavo la cosa soffice al bordo della pala — un — diedi una spinta secca con il retino — momento…

I presunti boxer caddero dritti nel retino. Alzai il braccio libero in segno di vittoria e feci scivolare il contenuto dritto nella mia mano. Be’, erano decisamente dei boxer. Dei boxer con dei piccoli cuoricini rossi ricamati sopra, ciascuno infilzato da una freccia che presumevo essere quella di Cupido. Sull’elastico c’era scritto “MOMMY’S GOOD BOY”.

Sogghignai e li sollevai con la mano sinistra in modo che il disegno fosse visibile anche a Liz, che si piegò in due tendendosi la pancia con due mani.
— Non posso credere che… che — Alla luce della torcia la sua faccia era di un rosso paonazzo. — Dylan Q–Quinn — Non riuscì a finire la frase e crollò su una delle panche che costeggiavano gli armadietti.

— Ehi, che razza di boxer sono? Fa’ vedere! — Emma mi tirò per una manica della felpa.

Iniziai ad allungare in basso il braccio sinistro quando un’ombra gigantesca balenò sugli armadietti. La risata convulsa di Liz divenne uno strillo di sorpresa, mentre Emma si voltò di scatto, quasi mandandomi a sbattere contro una delle pale della ventola.

Davanti a noi si parò la più spaventosa delle creature della natura, il predatore alfa di qualsiasi catena alimentare, il non plus ultra del regno animale: uno scoiattolo grigio, intento a sfregarsi la faccia con le zampine.

Sospirai di sollievo (errore), mentre Emma fece un piccolo risolino isterico e si chinò per farmi scendere (secondo errore).
— Chissà come ha fatto ad entrare qua questo scoiatt…

Sulla mia faccia si spiaccicò qualcosa di soffice e peloso. Aprii la bocca per urlare, ma riuscii solo ad ingoiare una considerevole quantità di peli prima di sentirmi cadere all’indietro per la forza dell’impatto. Mi schiantai sul pavimento di testa, e per qualche secondo mi si appannò la vista. Distinsi un paio di occhietti maligni al centro del mio campo visivo, finché un cilindro nero non mi passò davanti alla faccia, sfiorandomi appena la punta del naso.

— Brutto ratto troppo cresciuto, se TI PREND… ARGH!

Mi puntellai sui gomiti nonostante il ronzio insistente che mi punzecchiava un orecchio e vidi il retino appena di fianco a me. Lo strinsi di scatto, mentre una massa grigiastra mi sfiorò il gomito. Alzai la testa e mi trovai davanti Liz china su di me, con una mano premuta sul naso e l’altra tesa verso di me.

Guel ratto mi ha borso il daso — Afferrai la mano di Liz e saltai in piedi, mentre il mio cranio si preparava a coltivare un bel bernoccolo proprio in cima, a giudicare dal pulsare ritmico che mi stava scavando il cervello.

La scena che mi si parò davanti agli occhi sarà probabilmente per sempre impressa sulle mie retine. Non sto scherzando, scommetto che quando avrò novant’anni e l’Alzheimer galoppante sarà questa l’unica storia che racconterò ai miei nipoti, altro che l’arrivo di Apophis. [No, Carter, non sto esagerando. Tu non eri lì, non puoi capire.]

La luce della torcia per terra illuminava Emma, premuta contro la porta chiusa dello spogliatoio, tra le mani una mazza da baseball e a penzoloni per un orecchio i suoi enormi occhiali, con una stanghetta piegata in una posizione strana e una lente mancante. La furia omicida nei suoi occhi era impossibile da fraintendere: quello scoiattolo era un roditore morto.

Il peggio è che non era nemmeno lei la cosa più spaventosa in quello spogliatoio. Di fronte a lei si ergeva lo scoiattolo grigio più terrificante concepito da madre natura: grosso almeno il doppio di uno scoiattolo normale, con il pelo ritto e una luce crudele negli occhi… Nonché con un paio di boxer a cuoricini tra le zampe. Sicuro, potete pure pensare che io la stia facendo un po’ drammatica, ma vi ricordo che me la sono vista con Faccia d’Orrore, e non sono così sicura di chi vorrei riaffrontare, col senno di poi.

Tirai su la torcia da terra e la puntai contro il roditore malefico mentre nascondevo il retino dietro la schiena. La diplomazia non è mai stata il mio forte, ma dovevo tentare.

— Ehi, piccolino… — La bestiola si girò verso di me e scoprì i dentini in un ghigno crudele, come a dire “ehi-sorella-tu-sei-la-prossima”. Mi acquattai sulle ginocchia e feci la faccia più invitante che riuscii a spalmarmi sul viso dopo essere stata centrata da uno scoiattolo assassino in piena faccia. — Perché non posi quelle mutande a terra, che ne dici? Non preferiresti invece una succulenta, uhm, pigna tutta per te? —

Non ero esattamente aggiornata sull’alimentazione degli scoiattoli grigi americani e avevo la sensazione che lui l’avesse capito piuttosto bene. Strinse più forte i boxer nelle sue zampette pelose e fiutò l’aria, come a cercare di capire l’entità della minaccia che tre ragazzine dodicenni potessero rappresentare per l’equivalente londinese di una tigre dai denti a sciabola.

Qualsiasi punteggio avessimo ottenuto in quegli attimi era destinato a salire di almeno qualche tacca quando Emma cercò di sferrargli una mazzata in pieno cranio. Lo scoiattolo rotolò di lato e si infilò tra le gambe aperte di Liz, che con una mano ancora premuta sul naso tirò la sua miglior impressione di un calcio rotante. Non sarà stato incredibile a vedersi, ma di sicuro lo scoiattolo fece un volo di almeno mezzo metro prima di schiantarsi contro la fila degli armadietti di destra, i boxer ancora ben stretti tra gli artigli.

— Prendete quel — Emma sciorinò una serie di imprecazioni che avrebbero fatto arrossire il più navigato degli scaricatori di porto. — Voglio la sua testa! —

Quel [epiteti irripetibili] si era nel frattempo arrampicato sopra gli armadietti, una zampetta appoggiata sopra quella che sembrava essere una teca di vetro. La luce della torcia illuminò i suoi occhietti maligni che mi fissavano con l’aria di chi ha scoperto che il Natale degli scoiattoli quest’anno si celebra una volta al mese. Puntai gli occhi sul cerchio di luce che illuminava la teca di vetro e la mia bocca si aprì in un “oh”.

L’allarme antincendio.

— Ma non può sapere che… — Liz spalancò gli occhi e fece un mezzo passo indietro.

In quel momento ero certa che quel dannato scoiattolo aveva capito benissimo in che razza di guaio ci avrebbe cacciate se avesse premuto quel pulsante. Perciò, feci l’unica cosa che potevo fare in queste circostanze: mi trasformai in un ninja.

Alzai lentamente il braccio con in mano il retino e sbarrai gli occhi verso Emma, cercando di comunicare che distrazione, mi serve una distrazione. Non ero sicura che avesse capito che cosa volessi dire o se fosse semplicemente in berserk, fatto sta che la mia amica iniziò a sbattere la mazza da baseball in mano e ringhiò allo scoiattolo con le sopracciglia aggrottate e i denti scoperti. — Brutto bastardo!

Lo scoiattolo concentrò la sua attenzione su di lei per una frazione di secondo, che era tutto quello che mi serviva. Piegai all’indietro il braccio, tirai un urlo da guerriera e lanciai il retino verso il roditore. Il retino descrisse un perfetto semicerchio prima di calare attorno allo scoiattolo, che annaspò e perse la presa sulle mutande di Dylan Quinn.

Alzai il pugno in segno di vittoria, giusto in tempo per vedere una zampina grigia che si allungava e colpiva il pulsante il rosso prima di crollare sugli armadietti.

Un suono lacerante iniziò a risuonarci nelle orecchie. Liz si mise le mani sulle orecchie, mentre Emma lasciò cadere a terra la mazza da baseball e si guardò attorno con gli occhi sgranati. — E ora che facciamo?

Ricordandomi del malefico roditore mi affrettai verso gli armadietti ed estrassi il retino contenente la pelosa calamità che scalciava e si dibatteva. Avrei potuto farmi prendere dalla compassione e liberarlo, ma quando tentò di affondare i dentini nel mio indice sinistro l’impulso evaporò: aprii l’armadietto più vicino e ce lo ficcai dentro, sbattendogli la porta sul muso. Non era chiuso a chiave, ma almeno l’avrebbe trattenuto per un po’.

NEE-NOO, NEE-NOO! L’allarme antincendio non sembrava interessato a darci tregua.

Liz iniziò a raccogliere la roba che avevo estratto dal mio zaino. — Dobbiamo muoverci o qualcuno verrà a controllare che cavolo è successo!

Afferrai il mio zainetto e iniziai anch’io a buttarci dentro la roba estratta prima. Libro di storia, libro di chimica, libro di non-so-che-diamine-sto-studiando… C’era tutto! Allungai una mano verso i boxer e li infilai nella tasca davanti, premuti contro il mio astuccio preferito (sigh). Mi sistemai lo zaino sulle spalle mentre cercavo di non pensare alla sirena che stava trapanando il mio cervello.

— Forza, sbrighiamoci! — Emma era già sulla porta, gli occhiali tra i capelli e l’aria di chi avrebbe preferito trovarsi nel bel mezzo di un test di geometria avanzata piuttosto che in quello spogliatoio.

Mi fermai a valutare la situazione (lo so, lo so, incredibile ma vero). Avremmo dovuto scendere di un piano a piedi e uscire dall’ingresso principale senza farci vedere, possibilità che diminuiva ad ogni secondo che passavamo nello spogliatoio a fissarci. D’altra parte, se avessimo avuto una via di fuga alternativa… Passai in rassegna le file di armadietti, le panche e il soffitto lurido finché il mio sguardo non si posò sulla finestra.

Emma doveva aver intercettato il mio pensiero prima ancora che potessi dire “buttiamoci dal primo piano della nostra scuola media”, perché incrociò le braccia e mi fissò con aria severa. — As-so-lu-ta-men-te n…

Mi portai una mano al polso e picchiettai un orologio invisibile. — O saltiamo da qua e ce ne torniamo a casa in tempo per cena o dovremo spiegare ad una squadra di pompieri che cosa ci facciamo nell’edificio scolastico dopo la chiusura e perché abbiamo intrappolato uno scoiattolo negli armadietti dello spogliatoio maschile. — Mi avvicinai alla finestra, spalancai l’anta sinistra e saltai sul davanzale. L’aria gelida di novembre mi sferzò la faccia mentre fissavo l’erba del cortile un piano sotto di me.

Mi voltai verso Liz e Emma e feci una V di vittoria con la mano destra. — O la va o la spacca — dissi, e poi mi buttai.

Naturalmente quello che avrebbe dovuto essere il momento più fico della mia carriera da teppistella dodicenne venne rovinato dal fatto che il peso dello zaino mi fece atterrare con la faccia dritta nell’erba. Con gli occhi ancora pesti per l’impatto, alzai la testa e mi passai una mano sul naso, che stava iniziando a pulsare di dolore, prima di sputacchiare due o tre fili d’erba sul prato.

Due tonfi in rapida successione mi segnalarono che anche le mie amiche avevano deciso che il cortile della Nottingham High sembrava un luogo più sicuro del suo piano terra. Mi puntellai sulle mani e iniziai a rialzarmi.

— Uuuuuuf! — Liz era supina, le mani premute sul retro della testa dove si stava probabilmente formando un bel bernoccolo. Emma si spolverò via del terriccio dalle ginocchia, si sistemò gli occhiali rotti sulla testa e mi puntò contro un dito accusatore.

— Promettimi che non faremo mai più una cosa del genere.

Alzai le mani in segno di resa: effettivamente avevamo esagerato, persino per i nostri standard di generica insofferenza nei confronti dell’autorità. Nel frattempo il costante fischio dell’allarme mi stava ancora penetrando il cranio con una certa precisione, ricordandomi che avremmo fatto meglio a trovarci quanto più lontano dalla scuola possibile quando qualcuno sarebbe venuto a controllare la presunta emergenza.

— Forza, andiamo — Allungai una mano verso Liz, che la afferrò tenendosi la testa con l’altra e si tirò su in piedi con un gemito. — È il momento di sparire nella notte con il nostro tesoro.

Iniziammo ad allontanarci a passo deciso verso la ringhiera del cortile. Nella penombra Liz continuò a gemere mentre si sfregava la testa e il naso ferito, che aveva probabilmente raggiunto lo stesso colore di una mela ben matura. Lanciai qualche occhiata furtiva alle nostre spalle, ma sembrava che ancora nessuna macchina stesse parcheggiando nelle vicinanze. Le mie spalle si rilassarono e feci un bel respiro, che creò una piccola nuvoletta di vapore attorno alla mia faccia.

Era fatta: avevamo i leggendari boxer e domani mattina avremmo potuto raccontare una storia che sarebbe rimasta sulla bocca di tutti per mesi. E Julie mi avrebbe persino pagato cinque sterline, che dato lo stato disastroso della mia paghetta settimanale (sospesa da tre mesi per, ehm, un accumulo di infrazioni) mi avrebbero di sicuro fatto comodo.

Nemmeno il dolore sordo proveniente dalla mia faccia acciaccata poteva rovinare questo momento… Ma naturalmente, il mio destino cosmico prese questa considerazione sul personale.

— Sadie Kane.

Per vostra informazione, quando si sta scappando dalla propria scuola per un cortile buio e deserto in una sera con poca luna, sentire una voce inquietante che chiama il tuo nome a pochi metri di distanza non è un’esperienza che consiglio. Anzi, se potete, evitate di trovarvi in questa situazione, perché farete per forza una figura da idioti.

La mia personale figura da idiota fu lo squittio che mi uscì dalla bocca, accompagnato da un saltino che mi mandò a sbattere contro la povera Liz appena dietro di me, che si affrettò ad accendere la torcia e a puntarla davanti a sé.
Un tizio in pigiama era in piedi di fronte a noi, una mano alzata a schermarsi la faccia dalla luce improvvisa e l’altra che sorreggeva un lungo bastone piantato a terra. Appena sotto la spalla penzolava un marsupio di fibre intrecciate che sembrava sul punto di straripare, e al collo portava una collana con incastonato un simbolo irriconoscibile – sembrava un po’ uno di quegli strani geroglifici che papà mi indicava nei musei, incastonato in un rettangolo. L’effetto complessivo era quello di un Gandalf apprendista biondo e muscoloso.

Biondo e muscoloso… Le rotelline del mio cervello iniziarono a girare. Quel tizio non era un matto qualsiasi intrufolatosi in un edificio scolastico, era Dylan Quinn!

La mia intuizione venne confermata non appena il ragazzo abbassò la mano e mi fissò dritta negli occhi. Non solo era davvero il battitore quindicenne (aveva ripetuto un paio d’anni, pare) più popolare della scuola, ma non sembrava affatto sorpreso di vederci qui. Anzi, se avessi dovuto descrivere la sua espressione in quel momento mi sarei affidata alle parole “puro disgusto”.

— Ehm… Perché sei in pigiama?

Col senno di poi, non era la domanda più pressante che avrei potuto fare in quel momento. Ma eravamo appena scampate ad uno scoiattolo assassino e ad un salto dal primo piano della scuola, quindi il mio cervello aveva chiare difficoltà ad interpretare tutto quello che ci stava capitando.

Quinn arricciò le labbra come se avesse appena visto uno scarafaggio particolarmente grande e si rimboccò la manica sinistra di quella che sembrava sempre di più una camicia da notte per vecchie signore single.

— Molto divertente. Vedo che siete persino riuscite a sbarazzarvi di Sir Marcus… Sei davvero forte come dicono, Sadie Kane. Ma adesso… — Quinn allungò la mano libera verso di me e mi inchiodò con uno sguardo gelido. — Voglio ciò che vi siete prese.

Oh, cavolo. Gli ingranaggi del mio cervello avevano messo la quarta. Quinn sapeva della nostra mission impossible, e di sicuro non sembrava contento all’idea che i suoi imbarazzanti mutandoni diventassero un trofeo da esibire in pubblico. Non che potessi biasimarlo, ma perché mai tenderci un’imboscata vestito da elfo dei boschi? E chi diamine avrebbe dovuto essere sir Marcus? Sperai ardentemente che non fosse un compagno di giochi di ruolo appostato qua vicino.

Emma mi lanciò uno sguardo allarmato e io mi decisi a tentare la via della diplomazia. Non potevo lasciarmi scappare l’unica occasione per entrare nella leggenda della Nottingham High!

— Senti, Quinn, non so che cosa ci fai qui a quest’ora, ma noi siamo appena tornate da, ehm, un progetto scolastico. Molto importante e molto, uhm, serio. Quindi, se vuoi scusarci, ce ne andremmo per la nostra strada.

Okay, fu un tentativo patetico. Ma tra la mia testa che pulsava ancora al ritmo dell’allarme antincendio e le mie mani congelate sentivo crescere in me il bisogno di una cioccolata calda e un letto, di sicuro non di un acceso dibattito sulle motivazioni della nostra gita fuoriporta.

Quinn si irrigidì, riuscendo nell’impresa di sembrare persino più grosso di prima, nonché più spazientito. — Non ho intenzione di farmi prendere in giro da te, Kane. So benissimo perché eravate a scuola a quest’ora della notte e non ho nessuna intenzione di farvela passare liscia!

Ebbi la sensazione che in bocca a lui il mio cognome dovesse suonare come un insulto e incassai le spalle. Iniziavo ad essere un po’ seccata con questo gorilla in tenuta da cosplayer, eppure un insolito campanello d’allarme in testa mi suggeriva di andarci piano.

Certo, Dylan era alto il doppio di me e largo forse tre volte tanto, ma non era solo quello a preoccuparmi. Sembrava, ecco, potente. Nonostante il pigiama e il marsupio da ottantenne, il bastone che impugnava non sembrava solo quello che Bruce Lee dava in testa ai cattivi per buona parte dei suoi film. [Senti, Carter, la cosa più magica che avevo visto fino a quel momento era stata la ciabatta della nonna, quindi non avevo chissà che termini di paragone.]

— Davvero, Quinn, non so di che cosa stai parlando. — Allungai le mani aperte davanti a me e feci l’espressione più innocente che riuscì ai miei muscoli facciali ancora tumefatti. — Ascolta, la verità è che eravamo dentro senza permesso. Avevamo fatto una scommessa stupida con Julie su chi avrebbe avuto il coraggio di rimanere a scuola dopo l’orario scolastico. Solo per vedere chi era la più tosta delle ragazze.

Sentii Liz fare dei suoni di assenso molto vigorosi appena di fianco a me. — Ma ci siamo spaventate e nel buio abbiamo urtato l’allarme antincendio. — Indicai in direzione della sirena che non accennava a zittirsi. — Quindi ora vorremmo andarcene prima che qualcuno venga a controllare che cosa è successo – non so che cosa ci fai qua e non so che cosa ti hanno detto, ma che ne dici di metterci una pietra sopra e salutarci?

Per un microsecondo mi convinsi di averlo fregato. Poi Quinn alzò le sopracciglia e mi fece un sorriso a trentadue denti del leone che ha avvistato la gazzella più succulenta del branco.

— Se credi davvero che mi farò fregare dalle tue scuse sei più stupida di quello che credevo. Ti ho vista parlare al telefono con tuo padre a scuola, sai? L’irreprensibile dottor Julius Kane. So benissimo che razza di gente siete e che cosa ti ha chiesto di fare — Dylan tirò su col naso, le sopracciglia aggrottate in una maschera di rabbia. — L’hai nascosto a scuola, eh? Proprio sotto il mio naso… Ma ora rivoglio quello che ci avete rubato!

Liz si schiarì la gola. — Sadie, che cavolo sta dicendo?

Mi rendo conto che a questo punto avrei dovuto fare un passo indietro e riconsiderare la situazione con calma e compostezza. Forse avrei dovuto chiedere a Quinn perché mai avesse tirato in ballo la mia famiglia, o cosa intendesse con quel “ci”, o forse avrei dovuto semplicemente lanciargli i boxer e mettermi a correre nella direzione opposta.

Ma nessuno, e intendo dire nessuno, insulta mio padre e mio fratello e la passa liscia. Nessuno.

Strinsi i pugni, mandai al diavolo la vocina nella mia testa che strillava pericolo! pericolo!, e feci un passo avanti. Avevo già deciso che Quinn sarebbe uscito da questo cortile con almeno un occhio nero, a costo di farmi ricoverare in ospedale.

— Che c’è, Kane, vuoi sfidarmi? — Quinn sembrava divertito a vedermi fumare di rabbia. Aveva quello sguardo che avevo visto spesso ai bulletti al parco giochi di quando ero piccola, appena prima che gli arrivasse la mia scarpa dritta sul muso. — Spero per te che tu sia già ben addestrata!

Mi aspettavo che avrebbe mollato il bastone per tirarmi un pugno, invece lo strinse con entrambe le mani e si mise in una posa da karateka. Alzò il bastone in aria e improvvisamente uno zaino si spiaccicò sulla sua faccia.

— Ma cosa…

Alla luce della torcia distinsi Emma in piedi di fianco a lui, nonché sette chili di zaino che si ritraevano dal suo viso. — Non azzardarti — ringhiò prima di tirargli un calcio — ad insultare — altro calcio — la MIA AMICA! — Sferrò un ultimo colpo che probabilmente fece più male a lei che a quelle tre tonnellate di muscoli che colpì e cercò di ritrarsi.

Ma Quinn, pur essendo ginocchia a terra e con l’aria di chi si è visto piombare addosso un tifone, era tutt’altro che KO. Con uno scatto serpentino avvinghiò entrambe le mani alla caviglia di Emma e la tirò verso di sé, lasciando cadere il bastone a terra. Emma lanciò uno strillo e scalciò all’indietro mancandolo di un soffio.

Quinn allungò una mano verso il cappuccio della felpa di Emma e io caricai a testa bassa. Non ero sicura di che cosa avrei potuto fare contro un quindicenne dall’aspetto di un gorilla di taglia media, ma di sicuro non sarei rimasta a guardare mentre rompeva l’osso del collo alla mia amica.

Chiusi gli occhi un millisecondo prima dell’impatto e aspettai il conk della mia testa contro quella di Quinn… Ma anziché sentire il cranio che mi si spezzettava in tre punti diversi venni spinta all’indietro con violenza. Sentii l’aria crepitare, come se attorno a me stessero bruciando qualche decina di bastoncini di incenso, e spalancai gli occhi mentre cadevo.

Atterrai col sedere in mezzo all’erba bagnata, ma come cercai di riprendermi distinsi solo qualche lucina fluttuante ai lati del mio campo visivo. Socchiusi gli occhi, il trapanare distante dell’allarme ancora pulsante in testa, e distinsi a diversi metri da me una sagoma distesa nell’erba con la testa tra le mani.

— Sadie! Stai bene? — Una chioma rossa mi si parò davanti e mi offrì una mano. — Forza, dobbiamo andare!

Afferrai la mano di Liz, mi rimisi in piedi e ciondolai verso la ringhiera alla massima velocità con cui le mie gambe di budino me lo consentirono. Emma era già dall’altra parte, le mani premute sulle sbarre e un’espressione terrorizzata sul viso.

Liz mi passò la torcia e risalì le sbarre con una velocità sorprendente. Non appena la vidi gettare la gamba oltre il limite infilai la torcia tra le sbarre, aspettai che Emma la recuperasse e mi tirai su fino al punto più alto. Alzai la gamba sinistra per scavalcare e sentii un laccio annodarsi attorno alla mia caviglia. Gettai un’occhiata verso il basso e distinsi dei rovi aggrovigliati attorno al mio anfibio. Diedi uno strattone senza successo, poi un altro, e iniziai a sudare freddo. Che razza di scuola lascia delle erbacce lunghe sei metri nel suo cortile?

— Non provarci nemmeno!

Quinn si stava rialzando in piedi, una mano stretta attorno al bastone. I rovi sembrarono stringersi ancora più saldi attorno al mio piede. Con un ringhio ferino lanciai la mia gamba dall’altro lato della ringhiera, conficcandomi almeno due o tre spine nella caviglia nel processo. Saltai giù giusto in tempo per vedere il battitore-gorilla che si slanciava verso le sbarre della ringhiera per afferrarmi.

Liz, Emma ed io ci scapicollammo giù per la strada. I lampioni illuminavano la via piuttosto bene e sapevo che nessuna di noi viveva a più di dieci minuti dalla scuola, ma dovevamo allontanarci in fretta. In lontananza il rombo di un’automobile segnalò che qualcuno aveva finalmente deciso che quel fischio martellante meritava un’indagine approfondita – avremmo avuto giusto il tempo di sparire dietro l’angolo per non farci scoprire da chiunque fosse nei paraggi.
— Quinn è f–fuori di testa! — sbuffò Liz mentre mulinava le braccia, la faccia ormai simile ad un pomodoro maturo. — Rischiava di ammazzarci per un p–paio di mutande!

— Hai visto com’era vestito? Probabilmente fa rievocazioni di guerra nel tempo libero — Emma cercò di ruotare gli occhi al cielo, ma vista l’andatura a cui stavamo correndo le uscì uno sguardo a metà tra l’assatanato e lo strabico. — Dobbiamo considerarci fortunate se…

Piantai i piedi a terra e frenai, alzando le braccia per fermare anche le mie amiche. Davanti a noi c’era, naturalmente, Dylan Quinn. Bastone alla mano e con la camicia da notte ricoperta di fango ed erbacce riusciva comunque a sembrare terrificante, se non altro perché se avesse potuto il suo sguardo mi avrebbe carbonizzato sul posto.

Liz mi strinse il braccio con entrambe le mani e sentii il gelo di novembre scavarmi un po’ più a fondo nelle ossa. Dietro di noi sentivo già un vociare confuso e qualcuno che strillava: non avevamo possibilità di tornare indietro senza farci scoprire – ma l’alternativa era prendersi un bastone in faccia da un fanatico dei giochi di ruolo medievali.

Emma si schiarì la gola, probabilmente per dirgli qualcosa come grazie molto gentile ecco i suoi boxer a cuoricini ora noi ce ne andiamo, quando un miagolio stridulo risuonò ad un passo da Quinn. Dylan girò la testa di scatto e una palla di pelo gli si schiantò sulla faccia.

Quinn lanciò un urlo soffocato e mollò il bastone per tentare di prendersi la faccia con le mani, ma tutto quello che riuscì a fare fu affondare le mani in una pelliccia giallognola e ispida da piccolo giaguaro.

— Muffin! — Non potevo credere che la mia gattina mi avesse seguito fin qui. Per tutta risposta mi giunse un basso gnaulio, prima che Muffin riprendesse ad affondare i suoi artigli nella faccia di Quinn.

Liz era già in fondo alla strada e stava agitando le mani come a dirigere il traffico londinese nell’ora di punta. Emma mi strattonò una manica della felpa. — Sadie, dobbiamo andare!

— Ma Muffin… — iniziai a protestare, ma la mia gattina scelse proprio quel momento per emettere uno strillo che suonava come un andatevene, ci penso io a questo teppista troppo cresciuto (o qualcosa del genere, immagino).
Mi girai verso Emma e misi il turbo: in quattro falcate eravamo all’angolo della strada, e qualche minuto dopo ci ritrovammo appena sotto casa di Liz, una villetta ben illuminata dai lampioni abbastanza lontano dalla Nottingham High e da potenziali battitori assassini.

Le prime parole di Emma non furono quelle che ci si aspetterebbe da una ragazza appena passata attraverso il nostro battesimo del fuoco. — Ve l’avevo detto che avevo visto l’ombra di un gatto!

Le battei una mano sulla spalla. — D’accordo, d’accordo, avevi ragione. Non posso credere che Muffin ci abbia davvero seguite fino a scuola! È sempre stata una gatta tanto pigra… Chissà che cosa le è preso.

— Con… siderando che ci ha s–salvato la vita, non mi… la–lamenterei troppo. — fece Liz, aggrappata al lampione più vicino nel tentativo di recuperare il fiato. — Ma S–sadie, come diamine hai fa… fatto… a…

Di fronte al mio sguardo perplesso Emma, un po’ meno affannata, le venne in soccorso. — Quando Quinn mi ha afferrata e tu gli sei corsa contro… Beh, ha fatto un volo di almeno due metri. Sembrava che tu non l’avessi nemmeno toccato.

Emma mi fissava con aspettativa, ma io mi ricordavo a malapena che cosa fosse successo a me. Avevo solo sentito una spinta fortissima, come se avessi liberato in aria un mucchio di energia, e poi ero caduta nell’erba – non sapevo davvero spiegare cosa avessi provato appena prima dell’impatto.

Scrollai le spalle. — Immagino che l’adrenalina mi abbia fatto tirare fuori una forza che non sapevo di avere. Spero solo che mi capiti anche la prossima volta che dobbiamo lanciare il peso a ginnastica! — Sorrisi e cercai di mascherare il disagio con un pollice in su. Non mi piaceva che le mie amiche si preoccupassero per me.

Emma non aveva l’aria convinta, e sapevo che avrebbe voluto parlarmi di quello che Quinn aveva detto su mio padre, ma sia lei che Liz sembravano sfinite – decisi di soprassedere sui dubbi che stavano iniziando a rigirarsi nella mia testa ancora dolorante. Però, dopo esserci salutate con la promessa di non scambiare una parola con nessuno di quella vicenda, sul vialetto da percorrere verso casa dei nonni ero ancora inquieta.

D’accordo, magari Quinn era solo un bulletto con una strana passione per la ricostruzione storica, però sembrava davvero fuori di sé per un paio di boxer. E perché mai aveva spiato la mia conversazione con papà a scuola? Non mi piaceva affatto essere tenuta all’oscuro sul suo lavoro, ma dalle conversazioni che ero riuscita ad origliare tra i nonni sapevo benissimo che papà non era solo un archeologo. Aveva appuntamenti con gente losca, spariva per settimane, correva da uno Stato all’altro… Non sapevo che cosa facesse, ma di sicuro non era solo interpretazione di vecchi manoscritti polverosi.

E se fosse stato invischiato in una setta, di quelle che si vestono in modo strano, fanno sacrifici umani e ballano durante le notti di luna piena? Rabbrividii e sentii l’impulso di girarmi per vedere se qualcuno mi stesse seguendo. In qualunque cosa fosse coinvolto Quinn, ero abbastanza sicura che c’entrassero i Kane. O forse mi stavo solo inventando una cospirazione segreta per trovare qualcosa che mi legasse a papà.

Tirai un calcio alla lattina di fronte a casa con più violenza del necessario e centrai in pieno la buca delle lettere. Non ero così brava a gestire i sentimenti quando si trattava di papà, di Carter, o della mia famiglia in generale [Carter, ti vedo. Piantala.].

D’altra parte, ero ufficialmente la ragazza undicenne più tosta della scuola. Non pensavo davvero che ci sarebbero stati ostacoli oltre le mie possibilità, giusto? Per non parlare del fatto che ero amica delle ragazze più forti che conoscevo. Qualunque cosa sarebbe successa nei prossimi mesi, l’avrei affrontata e basta.

Sfilai le chiavi di casa dallo zaino e mi preparai a ricevere la madre di tutte le lavate di capo dalla nonna. Quasi quasi iniziavo a rimpiangere lo scoiattolo assassino.
 

***
 

Non che avessi idea di che razza di problemi mi sarebbero capitati di lì ad un anno e mezzo, ovviamente. In ogni caso Quinn venne ritirato dalla scuola il giorno dopo dai suoi “genitori preoccupati” (nonché punito per il suo errore da scemo, immagino… Come se una ragazzina delle medie potesse rubare qualcosa alla Per Ankh) e io ottenni cinque sterline da Julie – prontamente sequestrate dai nonni per il mio ritardo imperdonabile. Mi ritengo ancora molto fortunata per essere scampata all’incontro con un mago della Casa della Vita con la faccia ammaccata ma gli arti ancora tutti al loro posto… Sì, anche contro uno con una strana passione per i famigli scoiattoli. E posso annerire l’ennesima casellina sulla mia Lista delle Volte in cui Bast ha Salvato il Posteriore alla Famiglia Kane.

Va bene, Carter, va bene, ora ti passo il microfono. Lo so che non vedi l’ora di raccontare la tua storia…

   
 
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