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Autore: Florence    22/12/2023    4 recensioni
Questa storia partecipa alla challenge "25 days of ficsmas", indetta dal gruppo fb Non Solo Sherlock.
PROMPT: Antichità, Pianto, Vigilia, "Non sembra neanche l*i", "Era conosciuto come..."
Post Time Skip. E' il primo compleanno di Kageyama da solo, a Roma, in un inverno che entra nelle ossa e raffredda il cuore. Ci vorrebbe proprio un raggio di sole caldo, arancione, "molto molto Hinata", per tornare a sorridere! ;-)
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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22/12




 

«Tanti auguri, Tobio!» Gli occhi di Hinata brillano, difficile dire se per la gioia o l’amarezza di non essere lì con lui.

«Grazie, Sho… Mi manchi, sai?» Kageyama abbassa lo sguardo, sullo schermo del telefono ora si vedono solo i suoi capelli neri. Ha imparato ad accogliere i suoi sentimenti e lasciarli liberi solo da poco, solo con lui. In passato mai si sarebbe sognato di essere così schietto con qualcuno, ma Shouyo era… era stato un faro, niente di meno, che, nel tumulto della tempesta di insoddisfazione e fame che lo animava fin da bambino, era riuscito a indicargli una strada. La strada di casa, probabilmente. La strada per sentirsi libero, per essere se stesso in un modo che nemmeno lui sapeva di essere.

 

«Te li sei tagliati?» 

Kageyama alza di nuovo la testa e fissa la telecamera del telefono. I suoi occhi blu bucano lo schermo di Hinata, a tredicimila chilometri lontano da lui.

«I capelli. Li hai tagliati?»

«Beh, ho dovuto… per quella cosa che ti ho detto… La pubblicità…»

«E io dove le infilo le mani?» Anche se ha venticinque anni, Shouyo riesce sempre a metter su quel musetto sbarbatello da quindicenne. 

Kageyama ce l’avrebbe una risposta al dilemma, ma risparmia di dirla. È per strada e lo sa come vanno a finire poi quelle conversazioni. Sorride sotto ai baffi e vede specchiato sul display un altro sorriso che si apre, appena sghembo.

«Che ore sono là?» Sono passati quasi due anni e Hinata ancora non l’ha capito. Non ha mai voluto capirlo, nemmeno quando era lui quello sfasato, dall’altra parte del mondo, come se non accettasse la notte mentre poteva avere il giorno o chiedesse un riposo, insieme a lui, mentre invece doveva stare sveglio.

«Le quattro del pomeriggio, più o meno…»

Il faccione di Shouyo occupa tutto il display. È rosso, sul punto di scoppiare.

«Idiota! Sono un idiota! Ancora una volta il più idiota del pianeta! Ho messo la sveglia per farti gli auguri appena fosse scattato il tuo compleanno, ma ho sbagliato ancora fuso orario! Scusami!!! Amore mio, scusami! Sei stato finora senza sentirmi, senza i miei auguri di buon compleanno. Sono una merda! Come hai fatto a resistere!?»

Il boke gliel’ha servita su un piatto d’argento. Tobio solleva un lato delle labbra: anche se un brivido gli è scivolato sulla schiena quando ha sentito le parole ‘amore mio’, è troppo radicato in lui il desiderio di dargli filo da torcere.

«Nessun problema, boke. Mi sono dato da fare con degli amici di qua. Mi hanno fatto una bella festa… Sai… abbiamo mangiato, bevuto, ballato… ho avuto dei bei regali, proprio piacevoli…»

«Come!? Che regali? Perché piacevoli e non “belli”, “simpatici”, “utili”??? Mi hai tradito? Con chi? Quando? Dove? Guarda che vengo lì e…»

 

Ok, l’ha presa bene.

 

«Allora vieni.»

 

Le guance di Shouyo, sullo schermo, avvampano, le pupille diventano due spilli, le palpebre le coprono, poi è solo pelame rosso a occupare tutta la visuale.

 

Non doveva pronunciare quelle parole… cazzo… Tobio lo sa che Shouyo è inchiodato a Osaka e che avrà una partita tra quattro giorni. Deve imparare a mettere un filtro, anche se un filtro, con lui, adesso non esiste più.

 

«Hai fatto lo stronzo, Tobio?» Gli domanda Hinata, senza mostrare il viso. La voce non vorrebbe tremare, ma un po’ lo fa.

 

Kageyama sta per rispondere che no, non scherziamo: ci ha messo dieci anni a capire che ama solo lui, non butta di certo tutto al cesso dopo un così breve tempo, ma Shouyo lo anticipa.

 

«Perché non sei tornato tu, allora? Il campionato si ferma da voi a Natale, no?»

«Sei duro, eh! Ci hanno inchiodati con questa storia della pubblicità, non posso partire adesso!»

«Ma non avete già finito le riprese?»

«Sì, ma ci hanno detto di stare sul chi va là in caso debbano aggiungere pezzi o ripetere delle scene. Guarda, hanno mandato solo oggi la bozza del video, ma il responsabile del marketing non è convinto e ci ha già chiamati per»

«E cosa aspetti a giramela!?»  Vuole vederlo, anche solo in un video promozionale per la sua squadra di volley, ma Shouyo vuole vedere Tobio oltre quelle ridicole videochiamate in cui, a parte il viso, non appare mai altro. Gli manca troppo il suo corpo, vorrebbe abbracciarlo, sentirsi stretto e coperto da quelle spalle così grandi, rifugiarsi sotto al suo braccio, camminare insieme così e poi tornare a casa e stare fermi, seduto a cavalcioni sulle sue gambe lunghe e muscolose, mentre gli sfiora il viso a un soffio dal suo e affonda le mani tra i capelli lisci. 

Tobio lo capisce: quante volte anche lui gli ha domandato di allontanare il telefono, durante le loro videochiamate, perché voleva osservarlo, capire se e quanto fosse in forma, se avesse preso o perso peso, e poi avrebbe tanto desiderato stringerlo e farne un fagotto dentro il suo giaccone, mentre gli baciava quella testa rossa e scarmigliata.

«Mandami il video, baka.» 

La sente, Tobio, la punta di rabbia nella sua voce, eccome se la sente. Ha il sapore della disperazione, è condita dall'amarezza di essere lontani.

«Sarebbe vietato…»

«E chi se ne frega! È vietato anche part… Oh, accident! Ma vuoi tenermi un po’ di più in considerazione!?»

«Che stavi dicendo?»

Shouyo arrossisce e allontana il telefono da sé. Dietro di lui c'è un ambiente al chiuso, gremito di gente, che Kageyama non riconosce.

«Dove sei, a quest'ora?»

La scena si sposta, adesso c'è solo un muro giallo ocra alle spalle di Hinata. I suoi capelli ci si perdono in un lento degradare dal giallo al rosso del suo viso.

«Sono… in pasticceria…»

Tobio abbozza un sorriso. Detesta l'indulgenza di Shouyo su certe cose, ma ama la felicità sul suo volto quando si trova circondato da dolci di ogni tipo.

«Non mangiarne troppi…» Lo ammonisce.

«Allora! Mandami immediatamente quel video!» Comanda il suo fidanzato, dall'altro capo del mondo.

«È in italiano, non lo capisco nemmeno io… e poi siamo ridicoli! Sul serio!»

«Non importa, voglio vederlo subito lo stesso!»

È una richiesta che Tobio non si sente di rifiutare, anche lui lo pretenderebbe.

«Devo chiudere la chiamata, però…»

«Eddai è uguale. Lo guardo e ti richiamo subito.»

«Non mandarlo in giro… Mi aprono il culo sennò!»

Shoyo mette su un sorrisetto storto e alza le sopracciglia. Chi vuol intendere, intenda. Butta un bacio al suo telefono e chiude la chiamata.


Passano cinque minuti, il video ne dura uno più quarantasei secondi. 

Tobio passeggia avanti e indietro senza una meta, ricontrolla di aver preso tutto nella borsa della spesa. Non vuole allontanarsi troppo, sa che si perderebbe, ma aspetta anche a rincasare, perché se Shouyo richiamasse mentre sta salendo le scale del suo palazzo, cadrebbe la comunicazione, perché lì non c'è segnale. Quindi sbuffa, prosegue, butta un occhio alle luminarie che tra poco si accenderanno e apre Instagram, per vedere quali astruse novità abbia pubblicato quell'elettrone impazzito del suo fidanzato. Stranamente non ci sono aggiornamenti recenti, l'ultimo è del giorno prima e lo aveva già visto. Riguarda ancora una volta il video: è Shouyo che saltella allegro davanti all'enorme albero di Natale che hanno allestito nell'androne della palazzina dove vive, nel piccolo villaggio dedicato alle abitazioni dei giocatori della sua squadra. Presto il display si ricopre di piccole gocce d'acqua, quindi lo asciuga sulla gamba dei pantaloni e mette il telefono in tasca.

 

Ne sono passati otto, di minuti. 

Che compleanno di merda, dal nulla si è pure messo a pioviscolare e lui è in giro come un randagio. In Italia direbbero che è “la nuvola di Fantozzi”, ma Tobio non ha mai capito che volesse dire e perché tutti ridessero ogni volta. Sa solo che ha aspettato tutto il giorno che il suo boke gli telefonasse, immaginava una lunga videochiamata mentre se ne stava sul divano a casa e invece era dovuto uscire per comprarsi almeno la cena. Si è preso anche un mini panettone e una candelina: festeggerà da solo, si farà una foto e la manderà a Shouyo, con scritto “Mi sei mancato tanto, amore mio, boke della mia vita”. Poi, forse, andrà a dormire presto e aspetterà a lungo il sonno, rigirandosi  nel letto vuoto.

Nessuno della sua squadra sa che è il suo compleanno, non che gli importino gli auguri degli estranei o di avere una festa come quella che ha inventato solo per fare arrabbiare Sho, ma in effetti si è sentito solo, anche se ormai si è abituato a quella sensazione. Se la trascina come uno zaino sulle spalle da quasi due anni. È uno zaino che gli offre tante soddisfazioni e molti soldi da mettere da parte per il futuro, però… è pesante. Gli unici momenti di luce, in quella città che risplende per otto mesi l'anno sotto il sole cocente e la brezza leggera, l’ha provata soltanto le tre volte che il suo sole è venuto a trovarlo. Solo allora tutta la luce dell'Italia e del Giappone si è concentrata dentro il suo bilocale in via della Madonna dei Monti, a due passi dai più bei siti storici del mondo, che Shouyo non ha mai voluto visitare.

In quelle occasioni si sono ubriacati di coccole, parole, pizza a domicilio e sesso. Solo questo volevano e solo questo ha impiegato quei ritagli di calendario, incastrati tra un match e l'altro, conquistati a suon di bugie nei confronti dei rispettivi staff tecnici e farciti da così tanti strappi alla regola che solo a pensarci si sente ancora colpevole. 

Lui, invece, non è mai tornato in Giappone, perché sa che, se lo facesse, dopo non avrebbe la forza di ripartire.

 

Sono passati undici minuti, ora richiama lui, che cazzo!

Sicuramente il boke si è perso dietro alle vetrine della pasticceria tormentandosi su quale schifezza scegliere. Già lo vede, con il pollice premuto sulle labbra e l'espressione seria. Avrà ordinato due mochi e un dorayaki, può scommetterci. Forse nel frattempo ha anche caricato le foto su Instagram e per questo non ha ancora richiamato. 

Si incammina lungo via dei Fori Imperiali, rabbrividendo quando passa davanti al punto preciso dove avevano montato il set per quelle riprese indecenti.

“Cosa non si fa per soldi…” pensa. Sì, perché non si era mai vergognato così tanto in vita sua, mezzo nudo, coperto solo da una tunica leggera e un gonnellino di strisce di cuoio, a morire di freddo su quei quattro sassi che il resto del mondo chiama “preziose antichità”. Di prezioso, per lui, ci sono solo due cose: Shouyo e la pallavolo, in quest'ordine. 

Ma gioca per la squadra della Città Eterna, dove tutto, gira e rigira, alla fine sembra incagliato nel ricordo del passato. Un po’ come lui, a pensarci bene.

 

Il telefono vibra, eccolo, finalmente!

Perché Shouyo lo sta richiamando via line

Risponde alla chiamata e gli appare il display diviso in quattro quadrati scuri, in attesa che si avvii la connessione.

«Boke, che cazzo hai fatto!?» Strilla, appena appare il viso che vorrebbe baciare, leccare, perché adesso sarà sicuramente tutto sporco di zucchero intorno alla bocca.

«Solo amici intimi!» Risponde Shouyo dall'alto capo della linea, quindi appaiono le facce di Bokuto, Sakusa e Miya.

Amici intimi? Non sono amici suoi, quelli! Sono soltanto stati avversari, per lui, uno addirittura l'avrebbe voluto ammazzare, quando ancora non aveva avuto il tempo di chiarire con Shouyo e riprendersi quello che era suo da sempre!

Kageyama è tentato di riattaccare, ma viene preceduto dal quartetto che si mette a cantare per lui.

«Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri al Re di Roma, tanti auguri a te!»

«Ma che cazzo…!?»

Adesso ha capito perché quel cretino di Hinata ci ha messo tanto a richiamare: ha inoltrato il video a quei tre deficienti e, dal conto alla rovescia che stanno facendo, gli sembra che…

 

«”I più forti. I più determinati. I più risoluti…”» Inizia Bokuto, con un sorriso ebete sul viso e la voce impostata da doppiatore di colossal storici. 

Quei quattro coglioni, il video, non solo l'hanno visto, ma si sono anche messi a tradurlo! Che minchioni megagalattici. Undici minuti…

«”Hanno assoggettato per primi l'Italia intera, hanno portato un nuovo mondo e un pensiero innovativo tra popoli villici…”» Prosegue Sakusa. Hanno scelto lui per quella frase complicata, non si meraviglia, è l'unico con un po’ di senno in testa.

«”Hanno fatto la storia: sono i Sette Re di Roma!”» Conclude Miya e solo a guardare la sua faccia, Tobio vorrebbe lanciare il telefono in mezzo alle rovine romane al di là del recinto lungo la strada, giù in basso.  

«”Tra loro spicca Tobio Kageyama, l’alzatore più bravo della storia: era conosciuto come Re del Campo, è volato in capo al mondo per diventare anche Re di Roma!”» È la degna chiusura che scandisce Hinata, stavolta inventata di sana pianta. Tobio lo vorrebbe strozzare con le sue mani, se fosse lì vicino. Prima lo strozza e poi ci fa l'amore. Può andare.

 

«Un video pazzesco, Kageyama! Degno di Ridley Scott! Anche se avrei da ridire sul fatto che tu sia l’alzatore più brav»

«Sta’ zitto Atsumu, non essere invidioso! E poi lo sai che fine fa il gladiatore, no?» Bisbiglia Sakusa, guardando a sinistra.

«Ma lui è un re, Omi, hai capito, no? Non un semplice gladiatore! Mica li fanno fuori, i re!»

«E poi fa un personaggio più antico di Massimo Dieci Melidio

«Decimo, Bokuto: Dieci semmai era Chibi-Chan!»

«Ma lo vedete quant'è bello il mio Kags? Con il gonnellino di strisce di cuoio e la corona in testa! È bello come…»

«Non sbavare sul telefono, Sho, che poi ti tocca ricomprarlo!»

«E poi, tanto bello non mi pare… non sembra neanche lui! Quanto trucco ti hanno messo in faccia, Kageyama? Sembri una geisha sotto testosterone…»

«Tobio è bello. Punto. L'avete visto com'è regale, com'è sexy, com'è»


«Ma la volete piantare, tutti e quattro!? Guardate che io sono in linea e li sento i vostri commenti idioti!» 

Un turista incrociato all'altezza della biglietteria dei Fori Imperiali devia appena, prima che quel tizio alto un metro e novanta con gli occhi a mandorla si metta a sbraitare anche contro di lui.

 

«Hai ragione. Comunque, Kageyama, ancora auguri e complimenti per lo spot pubblicitario!» Sakusa non aspetta replica: saluta e si disconnette.

Ricompare un attimo dopo nel riquadro di Miya. Lo abbraccia da dietro e gli dice qualcosa all'orecchio. Quei due sono privi di qualunque senso logico e praticità. Dovrebbe ringraziare Kiyoomi, per aver messo il guinzaglio a quel maledetto di Atsumu, che continuava a ronzare sempre troppo vicino a Shouyo, nonostante si fossero… Aaah! Ma detesta anche Sakusa, maledizione! Un mostro nella pallavolo, ma troppo viscido, troppo… troppo vicino a Shouyo anche lui!

«Mi dicono dalla regia che devo chiudere. Di nuovo buon compleanno, bambino ubbidiente! Salutami Hinata!» Dice Miya e gli fa pure un ghigno! Mentre la sua immagine si dissolve, Tobio fa in tempo a notare che Sakusa ha preso la sua testa giallognola come una palla e l'ha colpita come per schiacciare una veloce. Quei due sono privi di senso logico, praticità e decenza. Ma almeno Sakusa sa come trattare il suo degno compagno…

«Semmai siete voi che dovreste salutare Hinata per me, visto che lo vedete tutti i giorni…» Borbotta Kageyama al riquadro nero che svanisce, per lasciare più spazio agli ultimi due. Il suo tono lugubre non sfugge a Koutarou.

«Come te la passi a Roma? Intravedo una strada interessante alle tue spalle… Cos'è quel palazzo tondeggiante dietro di te?»

Kageyama non capisce e si volta. 

«Dici il Colosseo?»

«Sì, il Colosseo.»

«È… il Colosseo…» Tobio è perplesso.

I deficienti, Dio li fa a gruppi di tre e poi si diverte a smistarli nella stessa squadra di volley, non c'è dubbio.

Hinata è distratto, ha una punta di lingua di fuori, mentre la sua immagine si muove, come se stesse scrivendo qualcosa sul telefono, oltre a videochiamare. Per un po’ sparisce dal video, come se lo avesse chiuso.

Un biribip rimbalza fino all'altoparlante del cellulare di Kageyama. Anche Bokuto inizia a spippolare sul suo telefono. Ma che, stanno chattando tra loro!?

 

«Quindi… com'è stato fare l'attore, Tobio?» Domanda l’asso, tornando a guardare dritto in camera.

«Beh… come dire… imbarazzante…»

«C'era davvero Ridley Scott?» Chiede ancora Bokuto, eccitato come un cane davanti a un bastone.

«Ma no! Figurati! Non so chi fosse il regista, a dire il vero… Hanno tutti facce uguali qua, nomi uguali…»

«È quello che gli stranieri dicono generalmente di noi…»

«Assurdo…»

«Già…»

«Già…»

«Scusa… SHOUYO, che fine hai fatto?» 

A Kageyama proprio non va di fare conversazione con Bokuto in quel momento. Cazzo, è il suo compleanno, sta vagando da quasi mezz'ora, deve mettere in frigo il latte che ha comprato e inizia a fare fresco.

«Ci sono! Scusa sto pagando… e poi… devo andare a fare pipì, un attimo!» Gli arriva la voce del boke, c'è un gran casino attorno a lui. In quella pasticceria devono avere il pienone, deve ricordarsi di andarci con lui quando… No, tanto non andrà a trovarlo a Osaka…

 

«Ehi, re, che ti piglia? Hai fatto una faccia!»

Tobio tira le labbra in un sorriso sforzato.

«Niente… mi pareva di aver visto uno che conosco…» Inventa sul momento. 

Le sopracciglia di Bokuto scattano in su. «Lo sai che ieri, mentre passeggiavo vicino al palazzetto dello sport, anche a me è parso di vedere uno che conoscevo, anzi, mi sa che lo conosci anche te. Quello piccoletto, con i capelli completamente decolorati, praticamente bianchi, che anni fa giocava nella squadra del Kamomedai. Lì per lì ho temuto lo avessero preso nei Jackals… No, perché sai… già c'è Shoyo in agguato a soffiarmi il posto, ci manca solo un altro nano che salta come un»

«Ma che cazzo dici!? Guarda che ci giocavo insieme a Hoshiumi: vi abbiamo stracciato nel girone di ritorno, l'anno scorso e lui ha un contratto di cinque anni con gli Adlers… Ti sei fumato il cervello, Bokuto?»

«Sì. No. Vedi… è che mi sono sbagliato con quella volta che…»


Sono almeno dieci minuti che quel rincoglionito di Bokuto parla a ruota libera e in tutto quel tempo Shouyo ha detto sì e no due parole, sempre a camera oscurata. Basta, Kageyama non ce la fa più a fare avanti e indietro per strada. Ora torna a casa.

 

«Stai cagando e sei caduto nel cesso, BOKE?» Esplode.

 

«No, scusa… eccomi!» Hinata riapre la telecamera, piantandoci la faccia sopra. È così vicino che Tobio può vedere la grana della sua pelle, gli pare perfino di intravedere qualche pelo sparuto. 

«Non dirmi che ti è spuntata…!» È quasi emozionato.

«Cosa? La coda?»

«Boke, la barba!»

«No no, te lo posso assicurare io: il viso di Hinata è più liscio del culo di un neonato!»

«Kou!»

«Bokuto!»

Tobio si rende conto che il suo sguardo è a metà tra l'invidia di non essere lì e la voglia di mandarli entrambi a cagare.

Sospira. 

Shoyo alza le sopracciglia, le alza un po’ troppo e poi si schiarisce la voce una, due volte. Stira le labbra, spalanca gli occhi. Alza il pollice davanti al viso. Annuisce. Poi fa uno sguardo truce, assassino, pensa Tobio. Finalmente a Bokuto spunta una lampadina in testa, almeno sembra, dall'espressione che fa.

«Oh! Ok, sì…», borbotta. «Sì. Ora deeevo proooprio lasciarvi... Tanti auguri Re del campo e di Roma, buon Natale a tutti e due!» Si disconnette.

 

«Menomale che Bokuto si è levato… Era l’ora…» Borbotta Kageyama.

Lo schermo è ora tutto dedicato a Shouyo, che lo guarda col faccino colpevole.

«Scusa, c'era la fila alla cassa… Per quanto riguarda il video… l'ho mandato solo a loro tre, giuro!» Anticipa.

 

Tobio butta fuori l'aria. Anche la tensione lo abbandona.

«Va bene, ma ora… fatti guardare, allontana il telefono dal viso, Sho…» Finalmente sono soli, per modo di dire. Soli e distanti quanto il diametro stesso della Terra.

Shouyo conosce quel tono, a metà tra il borbottio e l’ansito, è il tono che Tobio fa quando è notte, lì in Italia, e vorrebbe che fossero nel letto insieme. Ubbidisce e trema, dietro di lui non c'è più il muro giallo, Tobio non capisce dove possa essere, si intravedono ciuffi di piante. Una luce a neon si riflette sui capelli rossicci, facendoli apparire bianchi, in alcuni punti.

 

«Allarga il campo anche tu», gli chiede Shouyo, «Dove sei esattamente?»

 

Perché si distrae con quelle richieste idiote? Che gliene frega dov’è, l'unico fatto rilevante è che non è dove vorrebbe essere! 

«Sono per strada, dovevo comprare da mangiare, sto tornando a casa.»

«Fammi vedere il mondo intorno a te…»

Stavolta è Tobio che trema a quella voce roca a cui non riesce a dire di no.

Inverte la telecamera e mostra la grande via immersa nella luce rossa del tramonto. Ha smesso di piovigginare e il sole ha sfondato il muro di nuvole giù in basso, non se n'era nemmeno reso conto.

«Cos'è quel palazzo bianco, laggiù in fondo?» Domanda Shouyo.

«Non ricordo il nome… un monumento intitolato a un re…»

«Monumento a Re Tobio Secondo.»

«Non sono un re!»

«Sei un re: ti hanno anche messo la corona in testa…» 

Kageyama alza gli occhi al cielo.

«Perché “Secondo”...?» Un brivido anticipa la risposta che riceverà, qualcosa gli dice che ancora una volta il suo mostro impazzito lo sorprenderà.

«Tobio Primo è morto quando ci siamo detti addio, prima che io ti abbandonassi per andare in Brasile. Tobio Secondo è il miracolo che ho avuto in dono al mio ritorno a casa, nonostante tutto il dolore che ti ho causato…»

Shouyo chiude gli occhi, Kageyama non le può vedere, ma sa che ci sono due piccole lacrime che lottano per scivolare giù dalle ciglia chiare. Vorrebbe baciarli, i suoi occhi, e portare via tutto il male che si sono fatti a vicenda in passato. Vorrebbe cancellare il Brasile, Oikawa, la sua cocciutaggine, Atsumu Miya, la gelosia, l'odio e recuperare soltanto il tempo perso. Menomale che non sta più inquadrando se stesso, ma la strada, altrimenti Shouyo vedrebbe che anche lui ha gli occhi lucidi.

Fa così male essere lontani in quel momento, è un dolore profondo e sordo, che strazia e graffia il petto, lo comprime fino a bloccare il respiro. Adesso è lui a essere lontano da casa, la colpa è sua e non sopporta di vedere quegli occhi così belli velati dalla tristezza. Deve farlo reagire, anche se significa mettersi a sparare cazzate da solo, per strada.

«Guarda», gli dice voltandosi nella direzione opposta, «Quello laggiù è il Colosseo, lo stadio dell'antica Roma. Dice che non ci facevano soltanto le lotte dei gladiatori, ma che è qui che è stata giocata la prima partita di volley della storia. Sotto il cielo al tramonto, in una sera di settembre dell'anno dieci, con tutti gli spalti gremiti di pubblico che inneggiava agli eroi in campo.» 

Tobio cammina verso l'anfiteatro, per riprenderlo meglio, le casse del telefono gli rimandano una risata sommessa.

«Al video che ti ho mandato manca l'ultimo pezzo, non lo avevano ancora finito di montare. L'abbiamo girato proprio lì, dentro al Colosseo, noi sei titolari più il libero, e facciamo davvero due scambi in gonnella e corona. Dovevi esserci… Ci avevano dato un pallone dorato che sembrava di metallo, solo che era bagnato e schizzava da tutte le parti e poi avevamo delle spade che penzolavano al fianco. Non ti dico a fare i salti: quella maledetta spada mi è rimbalzata dritta sul malleolo, un dolore! E poi la corona! Mi scivolava ogni volta, volevano fissarla con le mollettine che si mettono le ragazze! Avrei tanto voluto…»

Shoyo sorride. «Vai verso il Colosseo, voglio vederlo da vicino», comanda e Tobio ubbidisce. Ormai l'unico Re che è rimasto è Shouyo e lui sarebbe disposto a servirlo fino alla morte.

«Com'è che quando sei venuto qua a Roma non ti interessava affatto tutta questa roba?» Domanda, perché il silenzio in quel momento gli fa paura.

«Avevo altri impegni…» Ridacchia Hinata, poi cambia discorso. «Tu chi eri tra i sette re di Roma? Ho guardato su Wikipedia prima di fare la video chat di gruppo, mi sono scritto i nomi.»

«Mica ci siamo dati i ruoli! E poi… io sono l'ultimo arrivato, non posso decidere io per»

«L'ultimo: quindi Tarquinio il Superbo. Ti si addice... Ti chiamerò Tobio il Superbo, d'ora in poi!»

«Tu rimani il solito boke, invece!»

«Guarda dove cammini, hai quasi investito una vecchietta!»

 

Mi scusi!”

 

«Dillo anche a me.»

«Cosa?»

«Parla in italiano per me. E guarda dove cammini!»

«Ma non lo so l'italiano, boke! So solo buongiorno, buonasera, vorrei una pizza col prosciutto, grazie, prego, scusi…»

 

“Tornerò…!”

 

«Chi era?»

«Un'altra vecchietta. Qua è tutto vecchio… Davvero vuoi che arrivi al Colosseo? Volevo tornare a ca»

«Sì. Arriva più vicino che puoi e fammi vedere il sole che muore dietro i suoi archi.»

Tobio sorride… dovrebbe essere lui quello malinconico, solo, nel giorno del suo compleanno, in una città che conosce appena, e invece è il boke a fare il sentimentale.

Butta un occhio allo schermo, vede il primo piano del suo viso, i capelli ramati si muovono, sta camminando in fretta.

«Dove vai?»

«Sono uscito dalla pasticceria. Sono in una galleria nuova di pacca. Ci sono anche gli alberi dentro», gli risponde Shouyo, senza guardare verso la videocamera.

 

Stanno in silenzio per molti secondi. Tobio è arrivato a pochi passi dal Colosseo.

 

«Ci sono quasi. Lo vedi il tramonto dietro gli archi, in alto?»

«È bellissimo…»

«È tutto rosso… mi ricorda tanto te…»

 

«E allora vai più vicino, Tobio. Toccalo. Vedo una breccia, in alto. Vai là sotto e tocca la pietra, ma tieni il telefono puntato verso l'alto, continua a farmi vedere il tramonto.»

 

La richiesta non ha senso, nulla ha senso di quella chiamata interminabile e malinconica, se non che la voce di Shouyo vibra, ha frequenze diverse dal solito, gli arriva più confusa, sarà per la nuova galleria.

 

«Guarda, Sho: sono a venti metri dal Colosseo e ho sbattuto contro tre turisti mentre camminavo guardando in alto. Ora guarda tu. L'ultimo raggio di sole dentro l'arco sotto la breccia.»

«Oh…»

 

È svanito. La luce rossa è stata oscurata dall'ombra del Colosseo. La magia di quell'attimo non c'è più. Tobio sospira e il vento si porta via il suo respiro.

 

«Cammina ancora, per favore», sente provenire dal telefono, «Guarda sempre in alto, anche se non è più tutto rosso. Cammina a testa alta, Re Tobio, sempre a testa alta anche senza i colori del tramonto sul tuo viso…»

 

Tobio Ubbidisce. La voce di Shouyo è come il canto di una sirena, svela ogni più piccolo significato non detto. Vuole che vada avanti sempre, anche lontano da lui. Vuole che lo faccia per se stesso. Lo farà per lui.

 

Scusi!

 

Ha sbattuto contro un altro turista: ecco cosa succede a camminare senza guardare in uno dei luoghi più affollati al mondo, sotto Natale. Per poco non gli cade il telefono di mano, si volta a controllare di non aver fatto male a chi ha preso a spallate, ma due mani gli serrano le braccia, una nuvola rossa, un lampo, un attimo.

 

Due labbra sulle sue. 

 

Ed è come se il sole avesse invertito il suo corso e fosse sbucato prepotente, affacciandosi di nuovo all'arco del Colosseo, inondandolo di fiamme, bruciando tutto.

 

«Buon compleanno, Tobio.» Questa volta non viene dall'altoparlante del suo telefono, ma è sussurrato sulla sua bocca.

 

Shouyo… è lì!? Non è possibile, ma… 

 

«Sho! Sho come…? Cosa ci…?» Non riesce a finire nemmeno una frase, il cuore batte troppo forte, il cervello è in tilt, davanti a lui Shouyo è una macchia arancione confusa e luminosa e bellissima.

Sente le sue mani fredde sul viso, con i pollici Shouyo gli asciuga le lacrime. È una sorpresa immensa, troppo di più di quanto mai avrebbe solo osato accantonare tra i sogni irrealizzabili.

 

Anche Shouyo piange, è un fuoco d'artificio di commozione e gioia, con quello zaino pesante che gli pende da una spalla e il trolley abbandonato dietro di lui. 

 

«Andiamo a casa…» Sussurra sul suo petto.

«Sì, ti porto a casa…» Anche se non è il bilocale in affitto a Roma, che Tobio può chiamare casa. Casa sua non è un luogo, non ha pareti di legno o di pietra, non è in Giappone, non è in Italia e nemmeno in Brasile.

Casa è un'idea, casa è quella stretta salda e tremolante che sente attorno a sé, casa è un guizzo d'occhi, una vibrazione nella voce, l'odore della sua pelle che finalmente può sfiorare.

Casa è camminare abbracciati lungo la storia, baciarlo tra i capelli mentre il cuore galoppa e le parole si incastrano in gola, sopraffatte dall'emozione. Casa è fermarsi in un francobollo di mondo grande quanto una lastra di pietra dell'antica strada e guardarsi negli occhi, mentre gli ultimi bagliori del tramonto gli incendiano i capelli, e poi baciarlo, sentire il suo calore, emozionarsi per quel regalo inatteso.

Casa è percorrere abbracciati un chilometro a piedi in una vita intera, raccontandosi momenti, aspettando momenti, ricordando momenti, esorcizzando momenti.

Come quando Sho se n'era andato e per la prima volta Tobio aveva capito quanto davvero tenesse a lui; come quando aveva imposto un muro tra loro e si erano persi per due lunghi anni; quando aveva scoperto che lui era caduto, ma poi era riuscito a rialzarsi, con le sue sole forze; quando lo aveva rivisto e nei suoi occhi non c'era più il fuoco, ma un ghiaccio ostile, come fango congelato da un inverno senza fine; quando lo aveva sostituito con Miya in campo e nel cuore e lui aveva creduto di averlo perso definitivamente e poteva anche morire; quando finalmente si erano ritrovati ed era stato per sempre.

 

«Quanto rimani?»

«Due giorni. Avrei voluto passare il Natale qua, ma devo ripartire proprio per la vigilia… Non ci sono aerei a Natale e il ventisei devo essere in campo, o davvero mi cacciano dalla squadra…»

«Due giorni basteranno.»

 

E mentre le stelle bucano squarci tra le nuvole che si sono diradate, un piccolo sole brilla in basso, certo che non si spegnerà per molto tempo ancora. 

Per sempre, sarà davvero per sempre, come il più antico dei monumenti di Roma, come il più prezioso dei diamanti sulla terra. Il tempo non farà più male come in passato: il tempo, Tobio lo sa, concederà l'immortalità al loro amore.

   
 
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