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Autore: Jeremymarsh    23/12/2023    4 recensioni
[Modern!AU]
Dove per una volta Inuyasha dice la cosa giusta al momento giusto.
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il 'Ti Amo' sbagliato

 

 

 

 

“Come diamine hai fatto?” esclamò Inuyasha quella sera, entrando in cucina, mentre si precipitava da una Kagome dolorante e con la caviglia gonfia tanto quanto un pallone da calcio.

La ragazza stava tentando in ogni modo di attraversare la stanza con le proprie forze, ottenendo come risultato dei gridolini che, in circostanze normali, sarebbe stata troppo imbarazzata da emettere di fronte al proprio coinquilino – sebbene fosse certa che suddetto coinquilino l’avesse vista in situazioni più compromettenti anche senza il suo permesso; in biancheria intima, per dirne una.

Sbuffando di fronte a quei maldestri tentativi, Inuyasha ignorò le sue lamentele e la prese in braccio prima che potesse continuare ad affaticare la caviglia, poi assentì alle sue richieste di metterla giù solo quando furono davanti al piccolo divano nel soggiorno. Infine, sorrise sghembo nel guardare il suo broncio mentre, sdraiata e chiaramente scomoda, incrociava le braccia come una bambina testarda.

“Allora? Mi spieghi cos’è che hai combinato stavolta? Hai dimenticato come si cammina per caso?” scoppiò a ridere.

Il colorito roseo che le guance di lei ottennero lo bloccarono per un istante, prima di realizzare che forse aveva fatto centro.

“Sul serio?” ripeté. “Hai dimenticato come si cammina?” continuò ricominciando a ridere più fragorosamente.

“Hmpfh. Sono solo inciampata nei miei piedi,” bofonchiò a bassa voce ma non abbastanza per l’udito fine del mezzo demone.

“Da non credere.” Inuyasha riuscì a dire non appena ebbe ripreso fiato, facendola incavolare ancor di più. “Aspetta che la racconti a Miroku questa.”

Sempre ridendo, le passò il ghiaccio che aveva appena recuperato in cucina, continuando a ignorare il suo broncio e l’espressione contrariata, così che quando lo stesso gli tornò indietro colpendolo con una precisione invidiabile tra gli occhi ne rimase abbastanza sorpreso da zittirsi.

Solo per alcuni secondi, però, prima che ricominciasse a ridere e le bloccasse il piede così da poter essere lui stesso a poggiarci il ghiaccio.

“Incredibile,” continuò a mormorare tra sé e sé. “Se non ci fossi dovrebbero inventarti.”

“La smetti?” gli chiese allora Kagome, che cominciava ad averne abbastanza e allo stesso tempo aveva abbandonato il broncio in favore di un sorriso che tutta quella ilarità gli aveva suscitato suo malgrado.

Inuyasha scrollò le spalle. “Forse.” Poi come se un’illuminazione lo avesse appena colpito sorrise ancora di più. “Mi sa proprio che quest’anno le decorazioni natalizie dovranno aspettare. Non credo riuscirai a montare tutto entro la Vigilia,” affermò con finto dispiacere.

Il sorriso fermo di Kagome, però, lo prese in contropiede, annullando il suo.

“Ne sei proprio sicuro?”

Deglutì, annuendo titubante. Lo sguardo di lei lo preoccupava; avevano vissuto abbastanza insieme da riconoscere che non presagiva mai nulla di buono.

“Non vorrei mica privarti di questa particolare gioia,” continuò Kagome, che ben sapeva quanto Inuyasha mal sopportasse il suo esagerato spirito natalizio e tutte le decorazioni con cui ricopriva l’appartamento che condividevano a partire dal primo di Dicembre.

“Non c’è bisogno di preoccuparsi per me.”

“Oh, insisto e, anzi, ho deciso di condividere il mio spirito da elfa di Babbo Natale con te quest’anno,” sorrise perfida mentre Inuyasha sbiancava. “Il che vuol dire che sarai tu a rendere la nostra casa un piccolo Polo Nord mentre io resterò qui comoda a controllare che nulla vada storto.”

Inuyasha scosse immediatamente la testa. “Tu hai perso la testa oltre all’uso delle gambe,” le disse, pronto a scappare.

Lei si accigliò, prima di utilizzare subito il proprio asso nella manica. “Puoi dimenticarti del tutto dei biscotti al cioccolato e alle arachidi, allora.”

“Keh,” sbuffò il mezzo demone, che pure si era bloccato in mezzo alla stanza. “E come dovresti farli se non riesci nemmeno a stare in piedi senza urlare dal dolore come una ragazzina?” la provocò, sebbene il suo istinto gli stesse dicendo che non era la migliore delle idee… e infatti l’ennesimo sorrisetto di Kagome gli diede ragione.

Deglutì di nuovo, sempre più spaventato da una donna di a malapena un metro e cinquantacinque, una donna che al momento non era, appunto, nemmeno in grado di stare in piedi.

In che razza di debole si era trasformato? E soprattutto, quand’è che aveva commesso l’errore di mostrarle le sue vulnerabilità? Pregò che suo fratello Sesshomaru non lo venisse mai a sapere.

“Ho i miei modi,” rispose sicura Kagome. “Ne sfornerò anche più del solito e non te ne toccherà nemmeno uno.”

“Non è che potrai stare a fare la guardia, quindi non potrai mai sapere se e quando li sgraffignerò,” continuò Inuyasha con la stessa aria di sfida, cercando di provare a se stesso che era più forte di un ricatto simile – e fallendo miseramente. Sapeva di dover smettere, di non doverla provocare oltre, ma era più forte di lui.

“Di nuovo… ho i miei modi,” lo contraddisse con lo sguardo assottigliato. “E meglio per te che non scopra che ne hai mangiati di nascosto, oppure…” Si bloccò per osservarsi la manicure con nonchalance, sapendo di averlo in pugno.

“Oppure?” ripeté Inuyasha dopo un interminabile silenzio, riavvicinandosi e cadendo del tutto nella trappola.

Fingendo di essere sorpresa che fosse ancora lì, Kagome rialzò lo sguardo su di lui, scrollò le spalle e infine ricominciò a guardarsi le unghie per nascondere il ghigno vittorioso. “Oppure potrei informare mia madre, per puro caso, che quest’anno non ci sarà bisogno di aggiungere il ramen sul menù natalizio.”

La reazione di lui non si fece attendere. “Non oseresti,” la accusò, tirando il fiato, colpito da tanta crudeltà.

Altra scrollata di spalle. “Chissà. La vera domanda è…” si bloccò per incontrare i suoi occhi spaventati, “ci scommetteresti?”

Continuarono a guardarsi per altri interminabili secondi in una battaglia di sguardi che nessuno dei due voleva perdere che, però, aveva già un vincitore – e lo sapevano entrambi.

“Incredibile come tu riesca a mascherare ogni giorno la tua crudeltà con quel finto sorriso da santarellina,” sospirò infine Inuyasha ammettendo la sconfitta.

“Non sei fiero di ciò che mi hai insegnato?” lo provocò sorridente e ben consapevole che sebbene avessero messo in piedi quel teatrino, anche senza, Inuyasha avrebbe acconsentito alla sua richiesta.

“Gne, gne, gne,” fece una smorfia, incapace di trovare una risposta adeguata e meno infantile. “Dov’è la lista?”

Il sorriso ancora più brillante che gli rivolse rese il compito meno arduo di quel che sembrava e gli fece saltare più di un battito.

“Inuyasha?” lo chiamò Kagome.

“Uh?”

“Inuyasha, ma che ti sei imbambolato? Ho detto che sta nella mia borsa, quella bordeaux che trovi nell’entrata. Se me la porti la prendo e puoi andare già oggi a comprare tutto quello che manca.”

Sbattendo le palpebre un paio di volte e rendendosi conto di essere rimasto a fissarla come un ebete per un secondo di troppo, Inuyasha scattò per recuperare la borsa e, di conseguenza, la lista.

Era meglio se per quel giorno si dileguava.


 

🎄

 

Una settimana dopo, Inuyasha non aveva ancora concluso con gli acquisti e si ritrovava, di nuovo, a occupare il poco tempo che gli rimaneva dopo il lavoro a fare file interminabili al centro commerciale.

Più di una volta aveva dubitato che ne valesse davvero la pena, ma poi aveva scosso la testa e ricordato lo sguardo di lei quando aveva acconsentito.

Sospirando e maledicendo la sua debolezza per un particolare paio di occhi marroni, ripercorse la corsia numero 11 nello stesso momento in cui il suo cellulare cominciava a squillare.

Dopo una fugace occhiata al nome sul display si armò di pazienza e cliccò su accetta.

“Inuyasha, meno male che hai risposto!” arrivò trafelata la voce di Kagome dall’altro lato, come se avesse appena corso una maratona o le sorti del mondo dipendessero dalla sua risposta.

“Hai chiamato per aggiungere qualcos’altro alla lista?” il mezzo demone andò dritto subito al sodo dato che stavano recitando lo stesso copione da una settimana.

“Non proprio; volevo ricordarti di prendere il set di riserva per le luci dell’albero. Ieri ti sei dimenticato.”

Le braccia colme di mille inutili cianfrusaglie natalizie, Inuyasha si bloccò nel bel mezzo della corsia beccandosi non poche occhiatacce da chi gli stava intorno; ricambiò prima di poggiare tutto a terra e prendere la lista dalla tasca posteriore dei jeans e constatare che l’ultima richiesta di Kagome non era stata segnata – ergo era stata appena aggiunta.

“Di riserva? Per che diamine ti servono altre luci di riserva? Ne abbiamo mille a casa già appese, per non parlare di quelle che riempiono il ripostiglio e non sono mai state utilizzate,” rispose piccato cercando di non perdere la presa del cellulare in bilico tra la spalla e il collo mentre con la mano destra afferrava un’altra delle cose indispensabili che la sua coinquilina aveva inserito in quella dannata lista.

Sentì Kagome sbuffare rassegnata in risposta. “Mi pare ovvio, Inuyasha. Cosa faremmo se quelle che stiamo utilizzando si fulminassero all’improvviso proprio prima della visita dei tuoi genitori? Dove ne troveremmo altre?”

“Nel ripostiglio forse?”

Altro sbuffo. “Quelle sono le luci di riserva per il balcone, la porta di ingresso, le finestre e–”

“Ok, ok, puoi smetterla; ho capito,” la interruppe alzando gli occhi al cielo. Dopo anni di convivenza aveva imparato a riconoscere le battaglie perse in partenza e, soprattutto, quando gli mancava la voglia di combatterle comunque.

“Ottimo, Inuyasha. E quando hai fatto al centro commerciale ricorda anche che devi passare da quell’altro per ritirare il regalo di Rin. La commessa con cui ho parlato è stata categorica: se non passi entro le 15.00 venderanno anche le bambole prenotate.”

Il mezzo demone sospirò pensando che quella tortura sarebbe durata per sempre, ma non osò lamentarsi perché in realtà sapeva quanto Kagome fosse dispiaciuta per non essere lì in persona e perché si era data tanto da fare anche per le persone vicine a Inuyasha, addirittura pensando al fratellastro – che non lo meritava – e alla sua famiglia.

Solo quello gli aveva fatto risparmiare tempo, ragionò.

“Va bene, vado lì appena riesco a raggiungere una cassa,” aggiunse lanciando un’occhiata davanti a sé e sospirando di nuovo vedendo la fila. E dire che mancavano ancora due settimane a Natale; aveva sperato di trovare meno persone. Che fine avevano fatto tutti coloro che non si muovevano dagli uffici e ordinavano tutto su Amazon?

“Non litigare con nessuno,” lo raccomandò ancora Kagome, che sapeva quanto si innervosisse in mezzo alla folla.

“Perché dovrei? Ok, ok, non c’è bisogno di elencare i motivi per cui potrei effettivamente farlo,” la bloccò prima che potesse ricominciare – stare bloccata a letto la rendeva più logorroica del solito. “Sarò di ritorno il prima possibile, se non muoio prima sepolto sotto tutta questa roba che mi hai fatto comprare. Tu pensa a non muovere quel piede, piuttosto. A dopo, ti amo,” attaccò.

Ripose il cellulare nella tasca anteriore del jeans e aggiustò meglio gli scatoloni che aveva tra le braccia, prima di allungarsi verso la corsia accanto e afferrare le luci di riserva per l’albero e poi fare lo slalom tra i tanti carrelli stracolmi per trovare la cassa più libera.

E fu davanti a questa, finalmente fermo, che sembrò realizzare per la prima volta con quali parole aveva salutato Kagome, la sua coinquilina da cinque anni, della quale era innamorato da ben sette, che lo considerava come un semplice amico – peggio, un fratello – e non aveva la benché minima idea dei suoi sentimenti.

Beh, almeno non l’aveva fino a dieci minuti prima.

La consapevolezza di ciò che era accaduto fu come una doccia fredda.

“Ti amo,” ripeté, senza accorgersi della coppia accanto a sé che lo guardò storto prima che il ragazzo trascinasse la propria fidanzata alla cassa più lontana possibile. “Ti amo,” ripeté una seconda volta, stavolta stranendo la mamma con il bambino e ottenendo una risatina dall’anziana signora con i baffi. “Oh, merda!” esclamò, facendo infuriare le suddette, “ma come diamine mi è saltato in mente.”

“Ehi, lei, bada a quello che dice,” lo castigò la madre coprendo le orecchie del bambino.

Inuyasha non sembrò nemmeno sentirla, era troppo impegnato a calcolare quanto sarebbe stato difficile trovare un nuovo appartamento a Dicembre e spostare tutti i suoi averi senza che Kagome se ne accorgesse.

Trasferirsi, infatti, sembrava molto più allettante che affrontare il risultato di ciò che aveva appena confessato.

 

 

🎄
 

 

Ore dopo, Inuyasha era fermo nella macchina parcheggiata all’angolo del condominio in cui abitava con Kagome, lo sguardo assente mentre sudava copiosamente nonostante i finestrini aperti e l’aria fredda di Dicembre.

Sarebbe dovuto tornare a casa da tempo, ma ciò che era successo gli impediva di farlo – non che lei lo avesse richiamato o si fosse preoccupata anche solo mandandogli un messaggio.

Come l’avrebbe affrontata al ritorno? Dopo tutto, sapeva di non potersi nascondere all’infinito né sarebbe potuto andare a dormire da qualcun altro senza dare spiegazioni.

Si asciugò la fronte imperlata di sudore cercando ancora di calmare il battito accelerato e gli fu impossibile non ritornare con la mente ai tanti momenti che aveva condiviso con Kagome, momenti che, negli anni, avevano solo rinforzato i suoi sentimenti per lei.

Ma era troppo codardo, nonostante tutte le arie che a volte si dava, e non aveva mai avuto il coraggio di confessarglieli, sebbene sapesse che in quel modo avrebbe potuto risparmiarsi momenti di agonia.

Come i tanti piani che lei aveva fatto ma che non includevano Inuyasha.

I baci che aveva scambiato con altri che non erano lui.

I gemiti che aveva sentito provenire dalla sua stanza quando credeva di essere sola nell’appartamento con il fidanzato del momento.

Le lacrime di rabbia o tristezza versate a causa di uomini a cui Inuyasha avrebbe voluto solo darle di santa ragione.

No, aveva sopportato tutto ciò perché l’idea stessa di un suo rifiuto – e di non vederla più tutti i giorni – era troppo per lui e ora che si rendeva conto di non avere più un’alternativa faticava a respirare.

Non voleva nemmeno contemplare l’idea che quella dichiarazione avesse lasciato le sue labbra per disperazione, un’azione inconscia volta a smuoverlo da quella comfort zone in cui era stato raggomitolato per troppo tempo.

Perché l’idea di un rifiuto di Kagome era inconcepibile, lei tra le poche persone che avevano sempre accettato Inuyasha per quel che era.

Tuttavia, qualcun altro stava per decidere al posto suo.

La suoneria del cellulare rimbombò improvvisamente nell’abitacolo, facendolo sobbalzare e scuotendolo dai ricordi. Con le mani ancora sudate lo prese in mano e non riuscì a nascondere il moto di delusione quando lesse il nome della persona che lo stava chiamando.

Delusione mista a sollievo; non sapeva nemmeno lui se avesse voluto davvero che fosse stata lei a cercarlo.

“Pronto?” gracchiò incerto.

“Ehi, amico, dove ti sei cacciato?”

Inuyasha si ricordò improvvisamente della cena che avevano organizzato da lui e per la quale era più che in ritardo.

“Miroku, ehi, scusa, ma Kagome mi hai riempito di commissioni da fare e ho finito da poco. Sto per strada,” mentì con difficoltà, sperando che l’amico non percepisse nulla di strano.

“Sicuro?” gli chiese ancora Miroku, che allo stesso tempo stava guardando con sospetto Kagome, apparentemente indaffarata con gli altri ospiti. Osservò Sango bloccarla prima che potesse alzarsi inutilmente mentre Ayame controllava per l’ennesima volta pietanze pronte già da una vita. “Qui ti stiamo aspettando tutti e Kagome non ci ha saputo dire dove fossi.”

Il mezzo demone rise nervoso. “Beh, perché mi ha mandato da così tante parti che non poteva sapere esattamente cosa stessi facendo al momento, no?”

“Mmm,” annuì l’altro per nulla convinto. “Beh, sbrigati. Qui abbiamo tutti fame e potremmo decidere di non lasciarti nulla.

“Arrivo, arrivo,” mettendo finalmente in moto la macchina. “Voi cominciate pure,” gli disse prima di staccare, pensando che, per la prima volta, l’idea di mangiare non lo allettava minimamente. Almeno, però, la presenza di altri lo avrebbe salvato ancora per un po’ da una conversazione che più passava il tempo e più temeva.

 

🎄


 

Le successive ore non furono prive di tensione, nonostante Inuyasha avesse fatto finta di nulla appena rientrato e salutato tutti, compresa Kagome, nel solito modo. Per quanto tentasse di comportarsi come sempre, infatti, il suo umore e i pensieri che continuavano a turbinargli nella testa gli impedirono di essere spensierato come avrebbe voluto né gli interessò molto litigare con Miroku o Koga.

Tutto ciò fu notato naturalmente da tutti i commensali, i quali però ebbero abbastanza riguardo da non indagare oltre, soprattutto dato che Inuyasha continuava a restare impassibile davanti a tutti i tentativi dei due amici di provocarlo. Così, dopo un’occhiata significativa a Kagome, che si limitò a scrollare le spalle, lasciarono stare.

Con un po’ di fortuna Inuyasha sarebbe tornato a essere normale il giorno dopo, anche perché in quello stato faceva un po’ paura.

Lui non si accorse di nulla né di certo si rese conto che i suoi tentativi di apparire normale stavano ottenendo il risultato opposto e continuò a mangiare cibo che sulla sua lingua sembrava carta e una volta nello stomaco mattone. Quando, però, ebbe ingoiato anche l’ultimo boccone del dolce sembrò risvegliarsi da quella trance.

“Ve ne andate già?” alzò gli occhi notando gli amici con in mano cappotti e sciarpe. “Non vi va di restare a giocare un po’?” chiese, non ancora pronto a restare solo con Kagome.

Non lo sarebbe mai stato di questo passo.

“Nah, è tardi e domani la sveglia non farà sconti,” rispose Koga. “E tu non sei poi di tanta compagnia stasera. Passiamo,” continuò, cercando un’ultima volta di punzecchiarlo – e riuscendoci solo in parte.

“Oi, che vorresti dire?” il mezzo demone si accigliò. “Dillo che hai paura di perdere per l’ennesima volta.”

“Oh, affatto. Anzi, con te in questo stato sarebbe una vittoria assicurata ed è per questo passo. Quando ti batterò non avrai scusanti.”

“Koga,” lo rimbeccò Ayame.

“Keh. Sì, certo, scappa pure. Ci vediamo,” chiuse il discorso, alzando la mana a mezz’aria in segno di saluto e poi voltandosi per cominciare a sparecchiare mentre Kagome si attardava ancora un po’ accanto all’ingresso.

Sentiva il cuore in gola battere sempre più forte ogni secondo che passava e per ognuno di quelli temeva il momento in cui Kagome l’avrebbe raggiunto per chiedergli spiegazioni. Il rumore era così forte e lui così concentrato da non accorgersi che gli amici se ne erano andati e che lui aveva pulito tutto senza che della coinquilina se ne vedesse l’ombra, almeno fino a quando non sentì un rumore di passi lenti che andava nella direzione opposta e la porta del bagno chiudersi.

A quel punto si raddrizzò solo per afflosciare immediatamente dopo le spalle. Grattò con un artiglio un residuo di sporco dal piatto che aveva in mano – l’ultimo – prima di posarlo nella lavastoviglie senza aver strofinato via i restanti. Poi lasciò la cucina.

Gli era chiarissimo ciò che era successo: Kagome aveva tanta voglia di parlare di ciò che era accaduto quanto lui.

Forse era meglio così, disse la parte di lui che stava cercando una flebile scusa per non vedere la realtà così com’era, cioè che Kagome non aveva accolto con piacere la sua dichiarazione e aveva voluto ignorarla; forse era meglio di un rifiuto esplicito.

Ma per quanto potesse ripeterselo, sapeva che in realtà così faceva ancora più male e una volta nella sua stanza rifletté che l’idea di traslocare ora non sembrava più così malsana.

Se aveva rovinato del tutto il suo rapporto con Kagome, allora, non valeva nemmeno più la pena rimanere lì.

 

🎄

 

Le settimane che seguirono furono per Inuyasha le più difficili di sempre, superavano anche la sua adolescenza travagliata e tutti gli anni di bullismo, perché vivere quelle giornate andando avanti come se nulla fosse accaduto, sapendo che in realtà era tutt’altro, era tra le cose più complicate che avesse mai fatto – e sapeva che non avrebbe resistito un giorno di più.

Così, quando in realtà avrebbe dovuto affrontare Kagome e non lasciare che anche lei si nascondesse dietro qualche scusa, occupava il tempo libero tra lavoro e decorazioni che ancora aspettavano di essere appese, cercando su internet annunci per appartamenti da affittare, stanze libere che sarebbero state disponibili dal prossimo gennaio. Era consapevole di quanto fosse da codardi, ma poi si scusava dicendosi che Kagome non lo era meno di lui.

Se avesse voluto avrebbe potuto bussare alla sua porta e chiedergli di parlare. Non credeva, infatti, che lei fosse contenta di quella situazione e andandosene avrebbe fatto un favore anche a lei.

O almeno così aveva scelto di pensare.

Forse, se avesse avuto il coraggio di confessare a qualcuno ciò che era accaduto o cercare consiglio si sarebbe risparmiato altrettanta agonia – compresa quella che comprendeva la ricerca di un appartamento quanto meno decente –, ma cose del genere non erano nel suo vocabolario. E se doveva sbagliare, doveva farlo bene.

Fu così, quindi, che dovette aspettare la mattina della Vigilia prima che le cose cambiassero un minimo, concludendo infine quelle due settimane di sorrisi e parole vuote.

La giornata era iniziata con giusto una dose di ansia in più, tanto che si chiedeva come mai non fosse ancora piegato sul water, ma di certo lo stomaco era chiuso, tanto da vanificare le iniziali minacce di Kagome che ora sembravano lontane anni luce. Siccome in programma c’era il pranzo da suoi, aveva trascorso i giorni scorsi a cercare delle soluzioni per non far capire alla madre ciò che stava accadendo, addirittura esercitandosi allo specchio e provando diverse espressioni, ma era stato tutto vano e aveva contribuito solamente a renderlo più nervoso.

Avrebbe dovuto riconoscere subito che era una causa persa – a sua madre non scappava mai niente – ma aveva tentato comunque pur sapendolo.

Così, con l’aria di un condannato a morte la mattina della sua esecuzione, Inuyasha stava rallentando il momento in cui sarebbero dovuti partire per casa dei suoi, riconoscendo anche che presentarsi in ritardo non avrebbe migliorato la situazione, anzi. Ma, ancora, era più forte di lui.

In più, l’idea di restare in macchina solo con Kagome per più di venti minuti non aiutava per nulla. Anzi, ad essere sincero era proprio il viaggio che avrebbe voluto rimandare il più possibile. Infine, però, dovette abbandonare ogni illusione e lasciare il bagno.

Aveva sentito Kagome prepararsi e cominciare a scendere già minuti prima e non volendo che aspettasse troppo fuori al freddo si affrettò a concludere le ultime cose, facendo scorrere lo sguardo lungo tutta la stanza per localizzare cappotto e portafoglio prima di uscire.

Un pacchetto lasciato al centro del letto e che era sicuro non fosse stato lì prima di andarsi a lavare catturò la sua attenzione. Si avvicinò e con le dita strattonò nervoso il fiocco, ben consapevole che il mittente non poteva essere altro che Kagome.

Doveva averglielo lasciato mentre era in bagno.

Mentre contemplava quel gesto improvviso e del tutto differente da ciò che si sarebbe aspettato dalla Kagome delle ultime settimane, qualcosa all’interno del pacchetto cominciò a squillare. Inuyasha lo scartò subito, i suoi artigli non lasciarono scampo alla bellissima carta natalizia, e aprì con ancora più ansia la scatola, trovando al suo interno un cellulare nuovo di zecca e già funzionante: la fonte della suoneria.

Riconobbe sul display il numero di Kagome e, stranito, dalla finestra le lanciò un’occhiata fugace prima di rispondere. “P-pronto?” balbettò, cercando poi di nascondersi dietro un attacco di tosse.

“Ehi, Inuyasha.” La vide agitare la mano, appoggiata lì accanto alla macchina, per farsi riconoscere – come se ne avesse avuto bisogno. “Ho già portato tutto giù, ma ho dimenticato il regalo per tuoi. Andresti in camera mia a prenderlo per favore?”

“Oook,” le rispose, arcuando il sopracciglio destro e continuando a trovare tutto molto strano. Cosa diamine aveva in mente? Che quello fosse solo un pretesto per farlo andare in camera sua e trovare altro? Kagome non era mai stata tipa da sotterfugi.

“Perfetto. Mi raccomando, sbrigati; meglio non fare tardi. A fra poco, ti amo anch’io.”

Inuyasha continuò a fissare il cellulare nuovo anche dopo che la chiamata era finita, prima di riposarlo nella tasca del cappotto. Si recò nell’entrata e infilò le scarpe, per poi guardarsi allo specchio e sgranare gli occhi una volta che le ultime parole di Kagome si erano finalmente fatte strada nel suo cervello.

Scese le scale di corsa, facendo lo slalom tra altri che le stavano salendo e rischiando di sbattere il viso contro la porta di vetro quando la tirò dal lato sbagliato, ma quando infine si ritrovò di fronte Kagome si bloccò.

Lei lo guardò con un sorriso soddisfatto, un mezzo ghigno, che sembrava volergli dire“beh, allora?”, ma lui ignorò la domanda implicita e passò direttamente ai fatti, prendendole il viso tra le mani e baciandola.

In seguito, avrebbe detto a tutti che quel bacio era stato così carico di passione e di tutta la tensione sessuale accumulata in quegli anni che le aveva mozzato il fiato e che, una volta staccatosi, aveva dovuto anche sorreggerla tanto era stata l’emozione. Kagome avrebbe roteato gli occhi e poi glielo avrebbe lasciato credere, solo perché amava la sua espressione quando lo raccontava. La realtà, però, non sarebbe potuta essere più diversa; due adolescenti al primo bacio avrebbero ottenuto di certo un risultato migliore.

Fu un bacio incerto e goffo; Inuyasha le tirò più di un capello, lei lasciò le mani penzoloni, colta di sorpresa, e finì anche troppo presto.

“Che hai aspettato a dirmelo?” le chiese, ancora incredulo, sapendo che non poteva trattarsi di uno scherzo; sperava almeno non fosse un sogno.

Kagome scrollò le spalle. “Non sei l’unico fifone quando si tratta di sentimenti.”

“Oi,” la contraddisse, ma un’occhiata esplicativa lo fece desistere dal commentare oltre. Poi sospirò. “Cavolo, ti prego facciamo in modo che nulla del genere ricapiti mai; sono state due settimane tremende.”

Alzando le dita guantate a sfiorargli la guancia, Kagome lo guardò dritto negli occhi prima di annuire. “Perché non facciamo, invece, che non ci sia più occasione per farlo ricapitare? Tu mi ami, io ti amo, di cos’altro dobbiamo più avere paura?”

“Da quanto? Da quanto mi ami?” le chiese, non potendo più aspettare. Sapeva di non poter tornare indietro nel tempo e correggere la sua codardia, ma voleva saperlo comunque.

“Non so esattamente quando sia successo, ma quando me ne sono accorta era già troppo tardi e ogni volta avevo un’ottima scusa per non provare a dirtelo.” Abbassò il capo, mortificata, ma Inuyasha glielo rialzò con due dita sotto il mento.

“Ehi, inutile giustificarsi ora, abbiamo sbagliato entrambi, ma almeno per una volta ho fatto bene a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato,” ghignò ancora.

“Io direi invece che era proprio la cosa giusta al momento giusto,” ammiccò, prima di alzarsi in punta di piedi e ricominciare a baciarlo, stavolta per bene.

Si staccarono solo per prendere aria e allora arrivarono alle loro orecchie il suono dei fischi misti alle urla indignate dei loro vicini e scoppiarono a ridere insieme, per poi accorgersi di quanto tardi fosse.

“Continuerei a baciarti per ore e chi se ne frega del pranzo della Vigilia,” cominciò Inuyasha.

“Ma meglio non metterci contro tua madre, vero?” continuò Kagome.

Il mezzo demone annuì, sospirando e stringendo la presa sui suoi fianchi invece di allentarla.

“Inuyasha?”

“Dobbiamo proprio?” Lo baciò sulla punta del naso gelido, poi si tolse un guanto per accarezzargli un orecchio. “E va bene,” concordò alla fine, aprendo la macchina e facendo per entrare dal lato del guidatore.

“Inuyasha?” Kagome lo chiamò una seconda volta.

“Che c’è?”

“Hai dimenticato il regalo per i tuoi.”

 

 

   
 
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