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Autore: TheSlavicShadow    26/12/2023    0 recensioni
Yorktown, Ottobre 1781
Per quasi un mese era rimasto accampato fuori Yorktown. Per quasi un mese si erano dati battaglia ed erano rimasti poi in attesa. Una attesa lunga. Una attesa logorante. C’era una parte di lui che non desiderava altro che tornare a casa. Tornare ai luoghi dove era cresciuto. Tornare a lavorare i campi e andare a caccia.
Fic che partecipa al HURT/COMFORT ADVENT CALENDAR 2023 indetto da https://www.facebook.com/groups/337102974212033 ; prompt: 55. Non l'ho dimenticato
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Say something, I'm giving up on you
I'll be the one, if you want me to
Anywhere, I would've followed you
Say something, I'm giving up on you
And I am feeling so small
It was over my head
I know nothing at all
And I will stumble and fall
I'm still learning to love
Just starting to crawl

Yorktown, Ottobre 1781

 

Per quasi un mese era rimasto accampato fuori Yorktown. Per quasi un mese si erano dati battaglia ed erano rimasti poi in attesa. Una attesa lunga. Una attesa logorante. C’era una parte di lui che non desiderava altro che tornare a casa. Tornare ai luoghi dove era cresciuto. Tornare a lavorare i campi e andare a caccia. 

C’era una parte consistente del suo cuore che voleva tornare al passato, a solo qualche anno prima. Non pretendeva nemmeno di tornare a decenni e decenni addietro. Non serviva. Era stato felice anche solo pochi anni addietro.

Aveva dei fratelli. Aveva una famiglia.

Ora li aveva persi entrambi per quello che il maggiore aveva definito un capriccio. 

Se ne stava seduto fuori dalla propria tenda, osservando il profilo della città assediata. Lo aveva preso alla fine. Aveva usato mezzi davvero bassissimi per farlo, ma ci era riuscito. Lo aveva infine battuto e ora aspettava solo il momento in cui ci sarebbe stata una formale resa. 

Ma non ne era felice. 

Non ne era affatto felice. Tutta quella sensazione gli faceva venire voglia di piangere e di correre tra le braccia del fratello per farsi consolare.

Succedeva così quando era piccolo. Anche se non lo vedeva spesso, anche se le visite erano sempre troppo brevi, quando aveva bisogno di conforto quelle braccia glielo davano sempre.

E ora non lo avrebbe più avuto. Ora che sentiva di averne bisogno come mai prima non avrebbe più avuto il conforto di Arthur.

“Se devi aspettare la vittoria con quella faccia, faresti meglio ad andare da lui subito prima che se ne vada.” Non si era nemmeno accorto che il Francese era arrivato vicino a lui tanto era assorto nei propri pensieri. 

“Non posso. Non vuole vedermi mai più, su questo è stato molto chiaro.” Non aveva tolto lo sguardo dal profilo della città. Vedeva le navi inglesi ormeggiate ed era sicuro che si stessero preparando a salpare. E una volta salpate non lo avrebbe più rivisto.

“Oh, penso di conoscerlo meglio di te quell’inglese incattivito dalla sua ottima cucina. Quello dice una cosa, ma ne pensa l’esatto contrario. L’ha sempre fatto.” Francis gli aveva scompigliato i capelli come se fosse stato ancora un bambino. Come aveva fatto quando effettivamente era un bambino. Ricordava bene il periodo in cui avevano vissuto loro quattro come se fossero stati una famiglia. Era stato un breve periodo, e aveva sempre invidiato il Francese per il ruolo che aveva avuto nella vita dell’Inglese. A lui non sarebbe mai toccato quell’onore. Non sarebbe mai stato amato allo stesso modo in cui Arthur aveva amato Francis. 

“Tu sei diverso. Sei sempre stato un suo pari. Io sono il suo fratellino, l’ha ripetuto allo sfinimento.” Non era giusto. Aveva fatto di tutto per essere considerato da Arthur come suo pari, o come un adulto, o come diavolo avrebbe voluto l’altro pur di farsi accettare. Pur di fargli capire che i suoi sentimenti erano sinceri e non un capriccio.

Crescendo si era reso conto che i sentimenti che provava per l’Inglese erano ben diversi da quelli che provava suo fratello Matthew. L’amore fraterno che aveva provato da bambino aveva lasciato spazio a qualcosa di molto più profondo, qualcosa che lo aveva lacerato nell’anima quando si era reso conto che per l’oggetto del suo desiderio non era lo stesso. Perché si era dichiarato. Da stupido ragazzino quale fosse, lui si era dichiarato. Credeva che alla fine della guerra contro i francesi avesse dimostrato di essere diventato abbastanza grande. Preso dall’enfasi si era dichiarato e tutto era precipitato alla velocità della luce per farli arrivare a farsi la guerra tra di loro. 

Aveva sentito Francis sospirare prima di sedersi accanto a lui. Loro due si erano fatti la guerra per secoli. Eppure si erano amati tantissimo. Alfred aveva osservato a lungo il modo in cui Arthur guardava Francis, e ne era invidioso e geloso.

“Vai da lui. Adesso. Digli ancora una volta tutto ciò che provi per lui e poi torna qui a farti consolare da me.”

“Permettimi di rifiutare l’ultima parte, grazie.” Si era alzato in piedi guardando ancora verso la città. Seguire il consiglio del Francese sarebbe stata una vera pazzia. “Se non dovessi tornare, vieni a recuperarmi tu perché ho già fatto perdere la vita a troppi uomini per un capriccio.”

“L’amore non è mai un capriccio, ragazzo mio. Ha fatto più morti l’amore che le guerre.”

Voleva dissentire a quelle parole, ma Francis lo stava cacciando con un gesto della mano. Non riusciva a capirlo in realtà. Lui non avrebbe mai spinto un altro verso quello che era stato il suo compagno, o lo era ancora, o non capiva mai la reale natura della relazione tra i due. Era sicuro che durante gli ultimi anni Francis avesse incontrato almeno un paio di volte Arthur. Perché per Francis quello era un gioco, il loro solito gioco a farsi la guerra per poi fare la pace tra le lenzuola. O così lo aveva sentito dire ridendo mentre una sera beveva con il Prussiano. Il Prussiano aveva solo scosso la testa, ricordava, mentre d’un fiato svuotava il boccale di birra. E anche quei due non gliela raccontavano giusta.

Forse era davvero solo un ragazzino come continuava a ripetergli Arthur. C’erano troppe cose che non capiva. C’erano troppe cose che gli erano sconosciute. Per questo Arthur gli aveva sempre detto che non poteva essere amore quello che provava per lui. Poteva essere soltanto un abbaglio di una giovane mente, ma non poteva essere amore.

Con passi sicuri si era diretto in città. Sapeva come aggirare le guardie e sapeva esattamente dove trovare l’Inglese. Lo aveva osservato per giorni, a volte anche da fin troppo vicino contro il parere di chiunque. 

Era entrato nel palazzo da una porta secondaria che si era accorto nessuno controllava e aveva fatto le scale con il fiatone. Fare buona parte della strada di corsa non era stata una buona idea, ma aveva fretta. Aveva troppa fretta e il tempo che gli rimaneva era troppo poco. 

“Fai un altro passo e sparo.” Non aveva fatto in tempo a fare l’ultimo scalino che una pistola era puntata alla sua fronte. Arthur se ne stava in piedi e lo guardava negli occhi. “Ora voltati e vattene prima che io chiami i miei uomini, America.” Aveva pronunciato l’ultima parola con disprezzo, quasi fosse una bestemmia che si rifiutava di dire a voce alta.

“Volevo solo parlarti.”

“Guarda a cosa ha portato il tuo volermi parlare.” Con un gesto teatrale Arthur aveva aperto le braccia. “Sei venuto per umiliarmi ulteriormente?”

“Questo non l’ho mai voluto. Non volevo nemmeno arrivare a farti la guerra. Volevo solo essere tuo pari.” Aveva fatto l’ultimo scalino e la pistola era di nuovo puntata al suo viso. Quando era diventato più alto di Arthur? Da quando non doveva più alzare la testa per poterlo guardare negli occhi?

“Non un passo, traditore.”

Aveva morso le labbra con forza a quella parola. Non voleva essere odiato dall’inglese. Non voleva in alcun modo essere guardato con tanto disprezzo. Non da qualcuno che lui amava così tanto.

“Io ti amo.”

“Stai zitto.”

“Io ti amo, maledizione.” Aveva fatto un passo nella sua direzione, mettendo entrambe le mani sulle sue spalle. Lo aveva visto in quel momento fare una smorfia di dolore e sapeva di esserne lui la causa. Il corpo di Arthur doveva essere pieno di ferite guarite o meno, proprio come lo era anche il suo. 

Ferite che lui gli aveva provocato e che sembravano non voler guarire. E si detestava per questo. Lui voleva proteggerlo. Voleva amarlo. Non voleva essere la causa del suo dolore.

“Non mi toccare, Alfred.” Arthur aveva stretto una mano attorno al suo polso guardandolo negli occhi con disprezzo. Troppo disprezzo per poter essere sopportato. Tutto il suo corpo vomitava quell’odio che provava per lui.

Lo aveva spinto all’interno della stanza, sbattendo la porta alle proprie spalle. Doveva stare ad ascoltarlo. Non voleva altro. Voleva essere ascoltato.

Ma tutte le parole gli morirono in gola quando vide la camicia di Arthur macchiarsi di sangue all’altezza della spalla, proprio dove lui aveva stretto le mani.

Era lui la causa. Lui e il suo amore. Aveva davvero il diritto di amarlo se aveva finito per ferirlo.

“Io non volevo arrivare a questo, te lo giuro. Non avrei mai voluto farti la guerra. Volevo solo essere tuo pari. Volevo che tu mi guardassi come guardi Francis.”

“Di cosa stai parlando? Francis è diverso.”

“Appunto! Volevo questo!” Aveva mosso qualche passo verso di lui per poi fermarsi di colpo. Non avrebbe mai ottenuto nulla. Quella guerra aveva solo rovinato tutto. Non aveva più nemmeno speranza di poter riaverlo nella sua vita come fratello. “Posso…” Aveva deglutito e si era morso le labbra. “Posso almeno medicarti la spalla, come facevo una volta?”

Aveva notato Arthur spalancare lievemente gli occhi, preso con molta probabilità in contropiede da quella domanda. Ma aveva solo annuito come risposta, indicandogli con una mano delle bende che erano già pronte sulla scrivania. 

Non aveva aspettato oltre, muovendosi subito mentre l’Inglese si sedeva sullo sgabello. Sapeva che lo stava osservando con attenzione. Aveva ancora anche la pistola ben salda in pugno, perché non si sapeva mai, no? In amore e in guerra tutto era lecito, così gli aveva detto ridendo Francis più di una volta. 

Aveva preso un altro sgabello sedendogli di fronte. Con mano tremante gli aveva sciolto il nodo che teneva chiusa la camicia lasciandola cadere sulla spalla. Era una cosa che in passato aveva fatto diverse volte quando l’Inglese combatteva in mare contro lo Spagnolo. Lo aveva medicato più e più volte, ma questa volta era completamente diverso. Questa volta era lui che gliele aveva procurate. Questa volta anche solo lo sfiorare la sua pelle gli dava emozioni contrastanti. Era emozionato. Era terrorizzato. 

“Non l’ho dimenticato come mi guardavi quando eri piccolo.” Arthur aveva parlato, ma non lo guardava. E del resto nemmeno lui aveva il coraggio di guardarlo in quel momento. Avevano passato anni sui campi di battaglia, per adesso ritrovarsi nella stessa stanza in un momento di apparente stallo. “Mi hai sempre guardato con adorazione, come se io fossi un dio sceso in terra.”

“Lo eri. Lo sei ancora per me.” Con destrezza e delicatezza gli stava pulendo la ferita che sembrava fin troppo vecchia per non essere ancora guarita. Ma succedeva così per loro. C’erano ferite banali che ci mettevano anche mesi a guarire alcune volte. “Ho sempre voluto diventare come te. Grande. Potente.”

Arthur lo aveva guardato, e per la prima volta in tanti anni non aveva visto odio nei suoi occhi. C’era tristezza. E questo aveva fatto più male di tutte le volte in cui lo aveva guardato con disprezzo. 

“Non possiamo tornare indietro a quei giorni. Mi hanno ordinato di tornare a casa e lasciarti fare quello che vuoi. Sei libero, Alfred. Congratulazioni.”

Si era sentito morire a quelle parole. Era davvero questo ciò che voleva? Voleva davvero sentirsi così svuotato? Come se gli avessero tolto ogni vera motivazione per quella guerra? Perché quelle parole sembravano un addio. E ora si rendeva conto che quella ferita che stava cercando di medicare non poteva guarire. 

Era lui quella ferita. 

Arthur soffriva tanto quanto lui. Con molta probabilità per motivi ben diversi, ma stava soffrendo. E non era per aver perso la guerra. Era per aver perso lui

“Io non volevo questo. Volevo solo essere amato da te.”

“Non si ottiene così l’amore di qualcuno, idiota. Ecco perché sei ancora un moccioso.” L’Inglese aveva increspato le labbra in quello che aveva la parvenza di un sorriso. “Tu sei il mio fratellino, hai sempre dovuto essere solo questo. Il mio compito era crescerti e farti diventare la parte migliore del Regno Unito. E forse ti ho cresciuto in modo fin troppo inglese. Guarda quanto sei diventato bravo nel fare la guerra.”

“Sono stato aiutato, sennò non sarei mai arrivato fino a qui. Mi avresti battuto al solo inizio.”

“Questo perché sei solo un ragazzino, ma sei stato bravo a sceglierti gli alleati. Devo farti i miei complimenti. Stai diventando un vero uomo che sa badare a sé stesso, e quindi il mio compito qui è finito.”

Alfred lo aveva guardato e quel momento era davvero pietoso. Si erano fatti la guerra per anni, solo per arrivare ad un momento in cui Arthur gli diceva quello che avrebbe voluto sentirsi dire dall’inizio. Sarebbe stato tutto molto più semplice se glielo avesse detto subito. Non sarebbero mai arrivati a farsi così tanto male. Lui non lo avrebbe mai ferito.

“Potrò rivederti un giorno? Non ti chiedo di perdonarmi subito, so che non puoi. Ma potrò rivederti ancora? Perché quello che provo per te non cambierà facilmente e non posso accettare di aver fatto tutto questo inutilmente.”

L’Inglese aveva sbuffato, appoggiando finalmente la pistola sulla scrivania.

“Sei davvero insistente, ragazzino. Mi fai venire mal di testa con tutte queste parole.” Si era fermato per guardarlo, e l’Americano si era perso in quei occhi verdi. “Dammi tempo, Alfred. Dammi il tempo di guarire e accettare tutti questi cambiamenti. Anche perché il nostro amico comune mi ha fatto notare che probabilmente sono arrabbiato perché tu hai avuto il coraggio di fare il passo che io non avrei mai fatto.”

Si era ripetuto le sue parole più volte nella testa. Aveva capito male. Aveva sicuramente frainteso ciò che Arthur gli stava dicendo. Arthur lo aveva rifiutato a male parole. Arthur lo aveva respinto con disprezzo quando gli aveva rubato un bacio. Arthur gli aveva dato le spalle e se ne era andato. Gli aveva ripetuto che erano solo fratelli, di togliersi dalla mente una cosa simile. Non era accettabile, gli aveva detto. Ed era per questo che l’Americano gli aveva dichiarato guerra. Non voleva essere suo fratello. Non voleva essere visto così. Matthew era suo fratello. Arthur no. Aveva smesso di considerarlo così da diverso tempo.

“Mi stai confondendo.” Aveva ridacchiato, mettendo una benda pulita sulla ferita ancora aperta. Non smetteva di sanguinare e aveva subito macchiato la stoffa bianca. Voleva guarirla subito quella ferita. Voleva guarire tutte le sue ferite. “Mi stai dando una speranza che non sia stato tutto inutile.”

“Forse devo solo fare pace con me stesso, ma dammi tempo.”

Aveva annuito. Aveva annuito con forza credendo nelle sue parole. Era la prima conversazione senza urla che avevano avuto da molto tempo e voleva avere speranza. Gli avrebbe dato tutto il tempo che gli serviva. Lo avrebbe aspettato anche fino alla fine del mondo se fosse stato necessario. Sarebbe rimasto ad aspettarlo per tutto il tempo che fosse stato necessario perché per la prima volta aveva speranza. 

E aveva preso coraggio, un coraggio diverso dalla prima volta in cui lo aveva fatto. La prima volta era stato spinto dalla disperazione del rifiuto. Ora era diverso. Si era sporto pieno di paura, ma contemporaneamente pieno di quel coraggio che solo gli amanti possono avere. 

Lo aveva baciato con delicatezza. Aveva solo appoggiato le proprie labbra su quelle dell’altro. E Arthur non aveva ricambiato, ma andava benissimo così. Non lo aveva respinto. Non lo aveva disprezzato.

Aveva accettato la sua manifestazione di affetto, di amore. Per la prima volta aveva riconosciuto l’esistenza di quell’amore senza respingerlo o denigrarlo. 

“Vai ora prima che ti trovino qui.”

Si era alzato dallo sgabello sorridendo. Il suo cuore era pieno di una gioia travolgente per la prima volta. Anche se quello era un addio e non sapeva quando lo avrebbe rivisto, per la prima volta se ne sarebbe tornato al proprio accampamento con il cuore leggero. 

Aveva speranza. Una stupida piccola speranza, ma questa volta c’era.

 
   
 
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