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Autore: Queen of Superficial    29/12/2023    0 recensioni
“C’è qualcosa di strano, qui,” disse il Carro, infilandosi la t-shirt alla rovescia.
“Il tuo senso estetico,” ribatté l’Eremita.
“Qualcos’altro. È nell’aria. È come se ci trovassimo fuori dal tempo canonico.”
“Quanta tequila ha bevuto?”, si informò prosaicamente il Sole.
“Non abbastanza, evidentemente,” ribatté Brian.
“Finitela, sono serio.”
“E da quando tu credi ai fantasmi, Zacky?”
Il Carro sfilò pensieroso dalle mani di Jimmy il romanzo russo e lo aprì ad una pagina a caso: quindi, diceva il libro, ieri agli stagni Patraršie lei ha incontrato Satana.
“Da tutta la vita,” rispose.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: The Rev
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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— Cercò di ricordare il freddo, il silenzio e quella preziosa sensazione di essere i padroni della terra, di avere vent’anni e la vita davanti, di amarsi tranquilli, ebbri dell’odore di bosco e di amore, privi di passato, senza pensare al futuro, con l’unica, incredibile ricchezza di quell’istante presente in cui si guardavano, si odoravano, si baciavano, si esploravano, avvolti nel mormorio del vento tra gli alberi e del rumore vicino delle onde che si  frangevano contro le rocce a picco della scogliera, esplodendo in un fragore di schiuma profumata, e loro due, abbracciati sotto la stessa coperta, come fratelli siamesi in una stessa pelle, ridendo e giurando che sarebbe stato per sempre, convinti di essere gli unici in tutto l’universo ad avere scoperto l’amore. —

La donna arcigna spalancò la porta di legno intarsiato, li squadrò uno ad uno e disse: “Portate la morte con voi.”
Il Sole sorrise: “Portiamo anche i dolci, però.”
Matthew Sanders sollevò con ostentata serenità il vassoio di pasticceria incartato verso la figura spettrale che gli aveva aperto la porta e aggiunse: “Le dispiace se entriamo?”
La figura si fece da parte senza ricambiare il sorriso; li lasciò sfilare oltre l’ingresso, guardò Viola senza stupore: “Allora l’ha fatto davvero.”
“Sì.”
La vecchia fece un rapido cenno con il mento, indicando Jimmy.
“Per lui?”
“Per me.”
“Non ti ho chiesto perché Sasha sia morto. Ti ho chiesto perché sei qui.”
Viola, confusa, arrossì. “Per lui, sì.”
L’altra la fulminò con lo sguardo. “Allora Sasha è morto per lui.”
Zacky si era immaginato casa di nonna Ananke come una capanna nel deserto, invece quella era una villa coloniale appena fuori Puerto Escondido e la signora, magrissima e con un paio di penetranti occhi scuri, gli ricordava uno di quei quadri nei corridoi dei manieri che fanno paura dopo il tramonto. Un uccello crudele. Passò in rassegna gli ospiti senza calore né dolcezza: “Ananke sarà subito da voi.”
Il chitarrista ritmico si confuse: “Lei non è…?”
“Io sono Natasha,” si qualificò la donna-uccello, sfilando dalle braccia di Shadows l’incarto con i dolci, “e questi li prendo io. Aspettate nel salone degli smeraldi, il tè verrà servito tra trenta minuti.”
Sparì alla loro destra, lasciandoli al silenzio. Viola li recuperò prima che iniziassero a vagare a naso in su osservando l’improbabile arredamento di quel posto.
“Venite, vi porto al salone degli smeraldi.”
“Perché si chiama così?” Si informò Johnny, insospettito dal quantitativo di marmo.
“Sul camino sono incastonati quattro smeraldi indiani. Li portò mio nonno da un viaggio in Sri-Lanka.”
“Il che ci suggerisce, inoltre, che c’è più di un salone,” intervenne Shadows, inquisitivo.
“Ce ne sono tre, in questa parte della casa. Due nell’altra.”
“Che se ne fa la gente di cinque saloni?”
“Organizza tornei di bridge,” rispose una morbida voce da poco lontano.
La signora era apparsa dal nulla ai piedi di una scalinata. Aveva gli occhi verdi, una lunga treccia bianca, un’elaborata tunica di broccato e le mani piene di anelli. Età: indefinibile. Zacky si stupì del suo stesso clamoroso errore quando posò lo sguardo su di lei; era inequivocabile, lei doveva essere Ananke. Lei e nessun altro. Viola fece qualche passo incerto e la abbracciò.
“Mi dispiace per Sasha, piccola mia, ma sai com’è fatto. Comunque è più contento così. Ha guadagnato del tempo prezioso, inoltre; nelle carte ho visto una notte molto buia. Ma venite, abbiamo tante cose da dirci.”
Il soffitto del salone degli smeraldi era a volta, decorato con una mappa del cielo; tutto, lì dentro, ricordava l’interno di una torre di astronomia. Le pareti, arazzi e file di scaffali e teche ingombri di libri e misteriosi manufatti, sembravano emanare energia pura ed un vago profumo orientale.
“Che cazzo di posto…” sibilò Brian tra i denti, ma Zacky non lo stava ascoltando; guardava Ananke che guardava Jimmy, attratto da un elefante ornamentale con pietre preziose al posto degli occhi. No, non un elefante. Un dio. “Ganesh,” sussurrò di rimando a Brian, “una divinità indù associata alla saggezza e all’acume.” Brian fissò l’amico come se non l’avesse mai visto prima. “Dunque non il tuo dio, Brian,” sospirò Zacky. Jimmy allungò le dita per accarezzare la proboscide della scultura.
“Prendo il tuo interesse per Ganesh per un buon auspicio,” lo informò Ananke, “i suoi fedeli lo chiamano il distruttore di ogni ostacolo.”
“È bello. No, non bello. È forte. Tu porti anche il nome di una divinità indù, vero?”, sussurrò poi a Viola, continuando ad accarezzare la proboscide dorata.
Lei gli si fece accanto, languida: “Sì. Come fai a ricordartelo? Devo avertelo detto mezza volta, ed eravamo ubriachi.”
“Mi ricordo tutto quello che mi dici.”
“Vogliamo sederci?”, li interruppe Ananke, il cui sguardo — che a Zacky ricordò quello di alcune raffigurazioni sacre, ma non riuscì a identificare quali — non li perdeva di vista un attimo. “Farò servire il tè.”
Il tè arrivo in un servizio di porcellana cinese che mandò Shadows in un breve panico per il timore reverenziale che gli instillò la prospettiva di dover maneggiare oggetti di così chiaro valore; i dolci erano stati disposti su un vassoio smerigliato con intarsi in oro puro. Chiese di nuovo alla sua memoria uno sforzo di volontà per risalire al momento in cui Viola e Jimmy si erano conosciuti e innamorati e, come al solito, quella gli restituì l’eco distante di una pernacchia. Per quanto ci provasse, proprio non riusciva a ricordare.
 Viola appoggiò la tazza sul piattino con mani tremanti e parlò ad Ananke senza introduzione alcuna, come se nessuno di loro fosse lì.
“Non ho la minima idea di cosa devo fare, non voglio perderlo, non posso, ma i segni si confondono sulle pagine e non so più dove è il nord e dove è il sud, se sono ancora viva, se qualcosa di tutto questo è reale.”
Jimmy la guardò, preoccupato, farsi violenza per interrompere il flusso fuori controllo di parole che le era emerso da dentro e accoccolarsi ai piedi dell'anziana signora in poltrona.
“Mi dispiace, nonna,” disse poi, in quel silenzio cortese che l’aveva avvolta, “Anche tu hai perso Sasha. Soprattutto tu.”
Ananke ribatté con una giovialità che li spaventò tutti: “Nessuno si perde e nessuno si trova, bambina mia: le persone non sono mazzi di chiavi. Quante volte te l’ho già detto?”
“Molte.”
“E ancora non mi credi.”
“No.”
Brian, che affondava nei cuscini verdi di seta, ebbe la netta sensazione di aver avuto accesso immeritatamente ad una conversazione tra persone fatte di un’altra pasta, rispetto a lui e ai normali esseri umani che ogni giorno parcheggiavano male e affollavano la terra con i loro piccoli pensieri e le loro piccole azioni.
“Hai portato i tuoi libri?”
“Certo.”
“Brava. Non è detto che serva sempre una domanda precisa per trovare una risposta da qualche parte, anzi.”
“Una risposta a che cosa?”
“Ma all’eterno enigma del presente, è ovvio.”
A beneficio degli altri, che non avevano alcuna speranza di aver capito il senso del discorso, spiegò: “In genere queste vite legate a doppio filo iniziano con un patto di sangue, ma mi sembra evidente che nel vostro caso non sia stato necessario: voi siete anime affini. Viola, Jimmy, quando è iniziata la vostra relazione?”
Viola si era alzata, aveva fatto marcia indietro e preso posto sul vecchio divano bordeaux accanto a Jimmy; lo guardò con mistero e dolcezza.
“Mi riferisco alla vostra relazione fisica” specificò Ananke, senza tradire alcun imbarazzo.
Lo sguardo di lei cambiò e si fece perplesso: “Oh. Non abbiamo ancora… non abbiamo mai…”
Sua nonna parve incredula: “Non avete mai…? E posso sapere perché?”
“Perché Viola temeva che… eseguire il legame avrebbe affrettato l’avverarsi della profezia.”
Shadows si sorprese a pensare che Jimmy era bellissimo, con le braccia tatuate e gli indumenti d’adolescente, mentre, disinvolto, beveva tè da porcellane cinesi che probabilmente avevano qualche anno in più degli Stati Uniti d’America.
“Un’accortezza comprensibile ma inutile, ritengo", concluse Ananke, inappellabile, "la profezia procede sui vostri sentimenti, non sui vostri scambi di fluidi.”

La casa di Ananke, spalancata su uno dei polmoni dei Tropici, non aveva un senso architettonico; però aveva un sentimento. Jimmy riusciva a intuirne il respiro perfino nel labirinto dei corridoi, nei colori tenui delle mura, negli spazi aperti. La vecchia signora aveva dato a lui e Viola una stanza da condividere che affacciava sull’immenso giardino; dal terrazzo privato si indovinava in lontananza il moto incessante del mare. Lui stava fermo, fissava gli arredi e la notte che, passo dopo passo, inondava di ombre il profilo delle cose. Tutto era delicato e neutro come la calma. Il letto, troppo grande e bianco, sembrava morbido ed era pieno di cuscini. Viola uscì dal bagno in accappatoio e si sciolse i capelli con un sorriso; non avrebbe dovuto. Lo guardò indecisa per un istante e, visto che lui non diceva niente, prese dalla cassettiera sotto lo specchio una camicia da notte con la chiara intenzione di indossarla dove lui non potesse vederla. La decisione fu presa prima ancora di capire. Alzando gli occhi nello specchio, Viola quasi sussultò; non si aspettava di trovarsi Jimmy alle spalle. Lui si sporse piano per respirarle i capelli. “Jimmy, se Ananke si sbagliasse…” protestò flebilmente lei, ma le mani dell’uomo alle sue spalle già armeggiavano con la cintura del suo accappatoio. “Jimmy, aspetta…”
“Stai zitta.”
Il letto era soffice e solido, come Jimmy se l’era immaginato guardandolo; lei gli dischiuse le gambe e lasciò che le si stendesse addosso, ma all’ultimo a lui venne quasi da esitare. “Solo se lo vuoi anche tu,” le disse con la voce frustrata dall’eccitazione, ma lei lo guidò dentro di sé con una tale urgenza che restarono a fissarsi, sorpresi e annebbiati, per un lungo istante. Si andarono incontro senza freni né ragione finché l’ultima goccia di quella sensazione ferale non si fu esaurita. Restarono fronte contro fronte a riprendere fiato. La baciò ancora e ancora, piccoli assaggi di labbra ed un tenue sorriso. “Non ho capito cos’è successo,” le disse. “Neanch’io ho capito cos’è successo,” sorrise lei sulla sua bocca. Finì di spogliarlo con delicatezza, attenta a non rompere l’incantesimo del contatto; quando ripresero, lo fecero con una calma e un’intensità che nessuno dei due ricordava di aver mai provato prima. I vetri che avevano dimenticato di oscurare non poterono opporre alcuna resistenza all’irruzione dell’alba, ma tanto il nuovo giorno li trovò ancora lì, insieme.
“Forse dovremmo dormire un po’,” osservò Viola tra i sospiri, leccando via dal collo di Jimmy qualche goccia di sudore salato. “Sai di buono…”
“Tu sai di miele. E non ho alcuna intenzione di dormire, voglio starti addosso finché non verrà qualcuno a prenderci per costringerci a fare colazione. O finché non entra un cazzo di pterodattilo del malaugurio dalla finestra, non lo so. Non so mai cosa aspettarmi, quando sono con te.”
Viola sorrise e lo afferrò alla base della schiena per spingerlo più a fondo in lei.
“Si sono estinti, gli pterodattili,” disse.
“O così pensavamo, poi è apparsa l’assistente di tua nonna.”
La baciò con dolcezza e si perse negli occhi lucidi e accesi di lei, nella sensazione del corpo di Viola sotto il suo, le sue gambe che tremavano leggermente intorno ai suoi fianchi. Si scostò un po’ per guardarla meglio in viso: “Abbiamo davvero fatto l’amore?”
“Stiamo ancora facendo l’amore, Jimmy,” sussurrò la donna, affondando i denti in una delle manette tatuate. Lui ringhiò piano e si mosse d’istinto in lei, strappandole un gemito limpido.

Con la pace dei sensi nel corpo e nell’anima e le occhiaie più scure che Shadows avesse mai visto, Jimmy crollò a sedere al tavolo della colazione e gettò la testa all’indietro per prendere fiato.
“Nottata movimentata?”
“Nottata molto dolce.”
“Forse era il caso di rimandarla di un giorno ancora. Stamattina era meglio farvi trovare riposati.”
“Tra il sollievo e il riposo scegli sempre il sollievo, Matt: è un consiglio fraterno.”
Il Sole sorrise sardonico dietro il succo di frutta: “Prendo nota.”
Natasha servì a Jimmy un caffè nero forte e uno sguardo inquisitore, poi sparì verso le cucine.
“Quella donna sembra un uccello preistorico,” osservò Shadows, pensieroso.
“Una gallina cattiva, per la precisione.”
La rettifica di Carro Vengeance gli giunse dalla porta che dava verso l’androne; in pigiama ed occhiali da sole, il chitarrista ritmico gettò sul tavolo una copia gualcita di Santa Barbara dei Fulmini di Jorge Amado e disse: “Ora, non voglio dire di essere un esperto di divinità Orisha, ma…”
“Tu, un esperto di divinità Orisha? Non me lo aspettavo di certo, ma in realtà nemmeno mi stupisce.”
Fosse dove fosse, occupata in quel che fosse, Santa Barbara, quella dei Fulmini, avrebbe finito per udire ed esaudire.”
Jimmy e Matt si scambiarono uno sguardo interdetto. “Ok…?”
Zacky non diede segni di cedimento. Impassibile, afferrò una tazza, versò il latte e il caffè, diede un sorso e proseguì: “Il nome si ode e si dimentica, giammai si ripete, nessuno lo ritiene nella memoria, solo la madre e la figlia, la iyá e la yawó, ne conoscono la pronuncia.
“No, non so che significa,” sussurrò Jimmy nel pallone. Su un lato del salone delle colazioni (c’erano quattro diversi saloni adibiti ai pasti, le cui nature e circostanze apparentemente richiedevano un mobilio apposito) c’era l’ingrandimento di una foto di Viola e Ananke; lei ragazzina, in un vestito di primavera, con una corona di fiori, e l’altra più giovane, ma sempre con la treccia candida ed uno dei suoi ricercati caftani da passeggio. Il luogo in cui era stata scattata a Jimmy sembrò il Passaggio.
“La madre e la figlia, la iyá e la yawó. Le iyá sono le donne che, a Bahia, si prendono cura del culto degli Orishas.”
“Cosa sono gli Orishas?”
“Maledizione, Matthew,” lo rimproverò Zacky con impazienza, “Sono divinità elementali africane, più precisamente Yoruba. Con ogni probabilità, esportate dall’Africa Occidentale attraverso le navi negriere ed approdate infine sulle coste di questo continente vanesio. Nei secoli il culto a loro dedicato si è mischiato con quello dei santi; in molti casi iconografia cristiana e Yoruba si sovrappongono; da cui, i sincretismi. Hai presente? Santa Barbara, per esempio, è Yansã, la divinità dei fulmini e dei venti. Tra le altre cose.”

Il Sole non ci stava capendo il becco di un cazzo.
“Mi ricordo di Yansã…” sussurrò Jimmy.
“Dovresti. Credo che Viola ne abbia un’effigie da qualche parte in quella villa del mistero in cui abita. Forse in cucina.”
“Chi è che tiene il quadro di una… ehm, divinità Yoruba in cucina?”, osservò analitico Matt.
“Io, caro, ad esempio.”
Gli uomini si alzarono al suono della voce di Ananke, sfoggiando un’insospettabile cavalleria.
“Buongiorno, signora.”
“Non chiamarmi signora. Chiamami Ananke, o nonna. Ma non mi chiamare mai signora.”
“Ricevuto.”
L’anziana donna aveva l’effetto ipnotico di certe maestre su tutti loro, che pure bambini non erano più (e da un po’); prese posto al tavolo e sorrise, rivelando due file di denti bianchi come perle. I suoi occhi verdi saettarono tra l’uno e l’altro con una punta di maliziosa curiosità mentre si versava un infuso carico di mistero e bergamotto.
“Passato una bella nottata?”
“Io ho dormito molto bene, grazie, s… ehm, nonna,” incespicò Shadows.
“E quanti tra noi non hanno dormito, invece? Come stanno?”, si informò ancora lei, guardando Jimmy.
“Molto bene. Grazie.”
Viola scese le scale cantando una melodia che aveva imparato da bambina, musicò un “buongiorno” planando nella sala in cui erano tutti e infine, svolazzando nel vestito lungo piena di vita e di energia, scelse un mango dal cesto della frutta e si sedette alla destra di sua nonna.
“Zacky ci stava tenendo una breve lezione sulle divinità Yoruba,” la informò Shadows.
“E come mai?”
“C’è una donna,” zittì tutti la voce d’acqua di Ananke, “che vive in un posto un po’ fuori mano, un posto chiamato Le Dune. Natasha lo conosce bene, ci va a prendere i mirtilli che coltiva lei. La chiamano la Santa, perché nessuno le vede mai il volto; è truccata da Santa Muerte tutti i giorni e indossa un pesante velo, tutto l’anno. Si vocifera che quelli sul viso siano tatuaggi, non disegni, e che in realtà sia cieca. Ha una certa età, ma nessuno sa quale sia. Le leggende del luogo raccontano che c’è sempre stata e ci sarà sempre.”
Viola, che stava sbocconcellando il mango con fare assente, rivolse a sua nonna due occhi più profondi del mare; lo sguardo non sfuggì a Jimmy ma, dal momento che lei non diceva nulla, non si azzardò a chiederle se andasse tutto bene. Piuttosto, fu subito attratto da Ananke, che guardava sua nipote con l’ombra di un sorriso: “Due giorni fa mi ha mandata a chiamare, ha detto che doveva parlarmi urgentemente. Sono andata da lei, com’è naturale; e lei mi ha raccontato di un’ombra.”
La stanza era fredda, così fredda che sembrava inverno. Viola guardava la tazza di caffellatte con il miele che Natasha le aveva appena messo davanti come se dentro vi stesse leggendo l’insondabile trama del futuro; si arrabbiò infinitamente, — Jimmy se ne accorse benissimo, — ma chissà con chi.
“Tu sei una brava ragazza, Viola. Piena di bontà e coraggio,” proseguì Ananke, allungando sul tavolo una mano che sua nipote non prese. Viola non sembrava sorpresa, né delusa; soltanto fredda, come l’aria intorno a loro: “Con l’inganno. Tu ci hai spinti a fare l’amore con l’inganno.”
“Mi dispiace, bambina, ma la ruota del fato non si può bloccare, solo spezzare. L’universo se ne accorge se lo prendi in giro, se metti un destino in catene; ora tutto è di nuovo in movimento ed avete una speranza più concreta di vincere questa mano di carte con la morte.”
“Se l’ho ucciso perché quadrassero i conti nei vostri mazzi di carte del cazzo giuro che nessuno di noi avrà più un minuto di pace finché avrò vita. E io vivrò a lungo, come sai. Così è scritto.”
Maktub.”
“Già, maktub. È stata la Santa a darti questa idea di merda, nonna?”
Jimmy, Shadows e Zacky sussultarono, perché molto di rado il linguaggio di Viola si macchiava di qualcosa che non fosse puro mistero.
“Mi ha detto che l’ombra si allunga e si ritrae, aspetta. Che una donna della nostra famiglia sta facendo arrabbiare molte entità, che oppone resistenza al corso naturale delle cose. E che, se quell’ombra non si muove, se quasi non lo ghermisce, non c’è modo di spezzare la catena che lo sta trascinando verso l’altrove. Andate a parlare con la Santa, bambina.”
“Perché, la Santa ha una santa soluzione?”
“Perché lei vede più in là del futuro, Viola. Lei vede ogni futuro possibile.”
“Come tutti quanti, Ananke.” La voce di Jimmy sovrastò le altre, per un momento. Viola e Ananke si voltarono a guardarlo; se ne stava tranquillo, seduto a quel tavolo da pranzo come un bambino ribelle, e non sembrava impressionato dalla mistica condanna a morte che gravava su di lui. “Tutti quanti vedono ogni possibile futuro; è precisamente questo il motivo per cui ci alziamo dal letto la mattina. Ma se secondo te l’opinione insondabile di una vecchia pazza nel deserto può riuscire a tranquillizzare Viola, anche solo per un po’, allora carichiamo il fuoristrada e partiamo. Adesso.”
Viola abbassò gli occhi sul mango mangiato a metà. “Piccola,” la chiamò lui, sporgendosi per prenderle la mano — la sua, Viola, la afferrò subito, a differenza di quanto aveva fatto con sua nonna. “Ascoltami bene. Non mi pento di niente. Né di quello che abbiamo fatto, e che continueremo a fare, né di quello che faremo da qui in poi perché tu possa vivere in pace. Non so neanche se ci credo in questa storia del cazzo, non so se devo morire e se posso evitarlo. Ma so che tu sei l’unica cosa che conta, e farò tutto quello che mi chiedi, tutto quello che ti serve.”

Fammi sentire le tue dita dietro il collo ancora una volta. Le tue dita che mi rendono strumento, che  estraggono la musica dal cumulo di ossa e nervi che io sono. Tormento e assoluzione, il desiderio ineludibile di un po’ di dolore, estasi e condanna.
Viola non riusciva a stare ferma e composta; tutto in lei gridava il suo nome. L’hacienda in cui si erano fermati a pranzare non aveva camere da letto; lo trascinò nei bagni e lo spogliò feroce, con lui che rideva e cercava di contenere la sua impazienza. Ignorandolo, si tolse gli slip e se lo tirò addosso contro il muro. “Va bene,” sussurrò Jimmy sulle sue labbra, e la prese lì dove erano, costretto dalla posizione scomoda a spingere a fondo ogni volta.
“Ti sto facendo male.”
“Sì. No. Non fermarti.”
Viola non sapeva cosa voleva. Voleva restare incinta. Voleva diventare lui. Voleva una tregua dal tempo, dal dolore, dalla paura. Lo amava così tanto e così profondamente che non riusciva più a pensare; lei, che del pensiero aveva fatto un’estensione del suo stesso nome; lei, che di parole era piena fino a scoppiare, non riusciva a trovarne neppure una che potesse rendere giustizia all’abisso traboccante di fiori che averlo vicino le apriva dentro. Sapeva solo dimostrarglielo nell’unico modo che le veniva in mente, cioè dargli quello che troppo a lungo gli aveva negato e darglielo d’avanzo, che non ne potesse più di riceverlo. E lo voleva, Dio… lo voleva sempre. Solo sfiorarlo la faceva sentire come un filo scoperto, carica di elettricità. La sostenne contro la parete quando finirono, fronte contro fronte a riprendere fiato come la prima volta e tutte le successive: “Scusa,” gli disse lei, “ti sto facendo fare gli straordinari.”
“Non c’è bisogno che ti scusi, sono a tua disposizione.”
“C’è il rischio concreto che io resti incinta.”
“Lo so. Ne sarei molto felice.”
Lo baciò, perché non c’era altro di sensato da fare. Si separarono dolcemente, e controvoglia.
L’aria ferma del Messico li colpì in pieno quando uscirono nel patio per riunirsi agli altri, un’onda lunga di risate e tintinnio di bicchieri intorno al tavolo da pranzo.
“Sono stata troppo lontana dalla vita troppo a lungo,” disse, guardando quello spettacolo d’arte varia di ordinaria quotidianità.
“Che tu ci creda o no, Viola,” disse Jimmy, “io e te siamo stati molto fortunati.”
“A me non sembra,” rispose, sollevando lo sguardo su di lui, che era l’unico spettacolo a cui non si sarebbe mai stancata di assistere, “ma se ti fa stare meglio raccontartela così, sappi che è un tuo diritto insindacabile.”
Lui fece un sorriso obliquo, un po’ stanco: “Non mi fa piacere, è ovvio, ma non mi spaventa poi così tanto.”
Si riferiva all’eventualità di morire.
“Io l’ho vista la vita senza di te, e non ha nessun senso. Credimi.”
“Sei chiaroveggente?”
“Non serve.”
Lui le prese la mano.

La casa della Santa non solo era una strana costruzione di pietra chiara, ma era anche l’unica nel raggio di chilometri; Le Dune, nonostante il nome, erano dune solo per metà, puntellate da scoppi di vegetazione variopinta e grossi alberi frondosi che non si sapeva come facessero a resistere in quel clima incomprensibile. La Santa li aspettava seduta sulla soglia, coperta dai suoi pesanti veli. Viola smontò dal fuoristrada prima degli altri e le si piantò davanti, in attesa, senza dire una sola parola. La vecchia la guardò, o così le parve: “Bene. La ruota è di nuovo in movimento. Forse possiamo fare qualcosa. Stai scatenando il panico in un universo fragile, Viola Grail. Ma sei fortunata. L’universo ha sempre avuto un debole per i suoi figli ribelli.”
Jimmy le si fece accanto, i capelli sconvolti dal vento del Messico e gli occhi azzurri in balia degli scherzi del sole. “Tuo marito,” osservò la Santa, sempre rivolta a Viola.
“Mio marito, sì.”
Sotto la coltre di veli, la vecchia sembrò sorridere: “Viola Grail parla, il Cosmo la sente.”
La ragazza afferrò d’istinto la mano di Jimmy e lo scostò un po’ dalla traiettoria del presunto sguardo della strega, mettendosi tra loro; un gesto che piacque alla loro ospite, anche se nessuno dei due avrebbe saputo dire perché.
“Voi entrate,” sibilò la Santa, alzandosi in piedi. Non era molto più alta che da seduta. “Voi entrate, gli amici aspettano qui.”
Viola fece un cenno vago a Zacky, che gliene fece uno di rimando. Provò a cercare dentro se stessa la eco di una qualsiasi emozione, ma non trovò niente.
L’interno della casa era ingombro di oggetti della più varia foggia, e rosso, e scuro; da qualcosa che bolliva sul fornello saliva del fumo denso, odoroso di spezie. L’aria era immobile, né calda né fredda. Viola ebbe appena il tempo di rivolgere a Jimmy uno sguardo interrogativo quando sentì una mano adunca arpionarle il ventre. “Non avere paura, bambina,” sussurrò la vecchia, “sei forte. Qui c’è la vita. Da qualche parte, tutto intorno a noi, la morte. Cos’hai fatto, ragazzo, per piacerle tanto?”
“L’ho ascoltata, credo.”
“Non a lei. Alla morte. Cos’hai fatto per piacere tanto alla morte?”
Jimmy osservava, calmo e diffidente, la mano decrepita che dal ventre di Viola stava salendo verso il seno. “Un cuore forte, bambina. Daresti il tuo cuore per il suo?”
“Sì,” rispose lei, senza esitare né pensarci. “No,” la sovrastò Jimmy. Ne aveva avuto abbastanza. La strappò dalla presa della donna e se la tirò al petto. “Adesso basta. Perché siamo qui?”
La Santa cantilenò qualcosa, poi andò al fornello e riempì due tazze con il liquido che bolliva. “Bevete questo,” disse loro, porgendogliele, “poi andate di là. C’è un letto. Fate quello che avete fatto stanotte, e poco fa quando siete andati a pranzo con gli amici, nei bagni.”
Guardando che Viola esitava, Jimmy sorrise, sbuffò e buttò giù velocemente il contenuto della sua tazza: “D’accordo. D’accordo, vediamo un po’ se ho capito bene: mi tocca scoparti davanti a una vecchia strega con una maschera tatuata sul viso nel bel mezzo del Messico indigeno? Va bene, facciamolo.”
La Santa li sorpassò vivace, dando un colpetto di approvazione sul petto di Jimmy con la mano ossuta: “Il ragazzo mi piace, è sveglio. Pratico.” Stava raccogliendo una serie di strumenti, candele ed alcuni fasci d’erba essiccata. “Non farete neppure caso a me. Non spaventatevi e non vi fermate, qualsiasi cosa accada. Sarà un po’ più intenso del normale, e non vi capiterà mai più. Bevi, bambina.”
“Cos’è?”
“Sa di topo. Bevi,” la incoraggiò Jimmy.
“Perché, tu sai che sapore abbia un topo?”
“No, ma immagino che sappia di questa cosa qui. È viscosa, sembra aloe. Né amara né dolce. Dai, piccola, facciamo in fretta.”
Viola sorrise. “I topi non sanno di aloe,” sussurrò alla tazza. Il terrore se ne andava, quando lo aveva davanti così, scanzonato ed eterno, che faceva il cretino con l’imponderabile ed accettava con sorprendente serenità qualsiasi assurdo risvolto avesse in serbo la giornata. In quei momenti le sembrava invincibile, immortale. Effettivamente, il liquido sapeva di topo.
La stanza in cui li scortò la vecchia — ma senza entrare con loro — era un poligono di cui Viola non fece in tempo a contare i lati; si sentì la testa leggera ed urtò contro il giaciglio rotondo che doveva fungere da letto, crollandoci sopra. Non vide i drappi, né le candele già accese, né gli acchiappasogni e le offerte appese ai muri. Non registrò neppure il fatto che la camera non avesse finestre. Nella nebbia tiepida che le stava intorpidendo i sensi, vide Jimmy che si toglieva la maglia e le rivolgeva uno sguardo famelico. Ayahuasca, disse, o forse si limitò a pensarlo. Si strappò l’abito leggero di dosso come se le stesse bruciando la pelle e aprì le gambe, invitandolo, improvvisamente inquieta e bisognosa di lui, il prima possibile. Lo sentì dentro di lei senza aspettarselo, come un coltello nel burro fuso, e si mosse con una tale frenesia che perse il conto dei sospiri; rovesciò la loro posizione e inarcò la schiena, gettando la testa all’indietro mentre le mani di lui le cercavano il seno e i fianchi. Un lampo di luce squarciò il buio sopra la sua testa, e per un attimo le parve di vedere qualcosa. Il piacere era insopportabile. Lo tirò a sedere sotto di sé e lo baciò a lungo, piena di fame; desiderò, ben lontana da qualsiasi controllo della propria ragione, che morissero insieme, in quell’istante, facendo esattamente quello che stavano facendo. Jimmy le disse qualcosa, ma lei non poté sentirlo perché stava guardando la figura nel cappello a cilindro dietro le sue spalle; cercò quelli che secondo lei erano gli occhi del dio dei morti e affondò le unghie nella schiena di Jimmy, come a sfidarlo a strapparglielo dalle mani. È mio. Non smise di muoversi neppure quando l’elegante ombra le si fece così vicina che Viola temette che volesse baciarla; schiacciò Jimmy il più possibile contro il suo corpo e lo avvolse protettiva con le braccia, e si sentiva così unita a lui che avrebbe fatto fatica a credere che potessero essere stati, nel recente passato, due persone distinte e separate.
Le crollò tra le braccia, come svenuto, non appena ebbero finito; in realtà dormiva sereno nell’aria nuova della camera, che sembrava un altro luogo da quanto era limpida e leggera. Viola lo coprì con il lenzuolo e poi, malferma sulle gambe, si buttò addosso il vestito e cercò la Santa nell’unica, enorme altra stanza della casa. La vecchia era seduta su una poltrona a dondolo e fumava una lunga pipa.
“Ci hai dato dell’ayahuasca,” commentò, cercando qualcosa per sedersi. La vecchia le indicò con la pipa una sedia di vimini che, nella penombra, non aveva notato. “Non è una medicina delle vostre parti. È del cuore dell’Amazzonia.”
Cercò la borsa di paglia che aveva lasciato da qualche parte vicino all’ingresso e ne estrasse una sigaretta, che accese. Era altera e sottile, come tutte le donne della sua famiglia, e riluceva di sudore e calma. “Perché ci hai dato la liana degli spiriti?”, la incalzò ancora.
La vecchia sbuffò alcuni cerchi di fumo verso il soffitto e sembrò assaporare quel momento tra donne; solo allora Viola si rese conto che i veli che di solito le coprivano il viso erano alzati fino agli occhi, e che la pelle era davvero coperta di intarsi d’inchiostro che simulavano l’anatomia di un teschio. “I suoi demoni danzano ostinati, ragazza. Cos’hai visto?”
“Non mi hai risposto. Perché la liana degli spiriti? È un rimedio sciamanico. Provoca allucinazioni. Cosa importa quel che ho visto?”
“Hai visto lui, non è vero? Se tu hai visto lui, lui ha visto te.”
Viola si lasciò cadere sulla sedia che la Santa le aveva offerto poco prima; tirò su un ginocchio, vi appoggiò il viso, e fumò per riprendere il controllo del respiro.
“Tua nonna dice che sai tante cose, e non si sbaglia. Non è facile riconoscere l’ayahuasca. Sei molto giovane per tutti questi pesi. Sicura che lo vuoi salvare? Il prezzo è alto.”
“Il prezzo è niente, in confronto al valore di lui.”
“Non sai di cosa parli.”
“Tu non sai di cosa parli.”
La Santa non se l’aspettava. Si voltò a guardarla — sempre che potesse vederla — con un certo intrigato mistero. “Ti appartiene. Così è scritto. Ti apparterrà anche se passa oltre. Che differenza fa?”
“Non so niente di questo oltre, Madre.”
Alla Santa toccò sorprendersi di nuovo; la ragazza l’aveva chiamata madre, e con il giusto accento. Ma non ebbe il tempo di indagare, perché Viola non aveva finito: “So che quelli che ho amato e se ne sono andati non li ho mai più visti, mai più abbracciati, non ci ho mai più preso un treno o un caffè. Non dirmi che è uguale, che un letto vuoto è la stessa cosa di un letto pieno. Se è vero, come dici, che lui mi appartiene, è qui con me che deve stare. Sveglio con me.”
La vecchia rise piano. “C’è troppa scienza, in quella testa. Troppa scienza e poco stupore. Ma non puoi salvarlo senza un po’ di stupore, bambina. La donna bionda che è qui con voi…”
“Val?”
“… Lei ha la chiave. Falle leggere quei tuoi libri. Per quanto riguarda la spezia sacra, invece… vi ha dato tempo. Dovevate vedervi, dichiararvi. Dovevi sfidarli, Viola. Ora la sfida è lanciata, e lui è il premio. Ma tu sei sola. Loro sono tanti e forti. Ti batti da sola, con qualche anima di buona volontà dalla tua parte. E un universo che fa il tifo per te. Non è detto che basti.”
Viola tacque, persa nei suoi pensieri. Si sentiva molto stanca.
“Un tempo non serviva una terza persona per un matrimonio. Bastavano quelli che lo contraevano, e le intenzioni con cui si univano. Così è stato per me e mio marito. È lui che fa crescere gli alberi qui, dove non può crescere niente.”
La ragazza alzò due occhi antichi su di lei, e comprese ancor prima che le dicesse qualcos’altro.
“Quello che hai già in grembo lo perderai. Se lo prenderanno loro in cambio del tempo in più che vi hanno concesso oggi. Quanto tempo, non lo so, ma abbastanza per attrezzarvi. Dovrai essere veloce quando accadrà, è sempre vita contro morte. È sempre lo stesso braccio di ferro. Ed è un peccato, perché sarebbe stato la nuova vita del vecchio Mangrove. Potrebbe anche andargli bene così, accontentarsi di prendersi i tuoi bambini uno dietro l’altro e lasciarti il tuo compagno, oppure proveranno a prendersi lui, che è quello che veramente vogliono. E se proveranno a prendersi lui, come penso accadrà, non lo faranno all’improvviso, perché non giocano così; ci saranno piccoli segni, avvertimenti, difficilissimi da vedere. Ma tu dovrai vederli. Perché dovrai essere pronta. Se riesci a strapparglielo nel momento della verità, non potranno più riprovarci. È la legge.”
Viola aveva ascoltato tutto con estrema attenzione; il mozzicone ormai spento le fumava debolmente tra le dita.
“È un maleficio?”, chiese, anche se non ci credeva, se non lo voleva sapere.
“No, o sarebbe facile disfarlo. È un destino. È scritto così da quando è nato. Ma tu… tu hai cambiato le cose. Non c’era niente nel suo futuro, prima di te; solo il silenzio eterno.”
Un flebile rumore nell’altra stanza le avvertì che lui si era svegliato; le gambe di Viola anticiparono il pensiero e gli andò incontro, incerta su cosa aspettarsi. Lo trovò che si stava rivestendo, e sembrava più in salute di quanto non fosse mai stato da quando lo conosceva. Quando la vide, le sorrise con tutto se stesso: “Dio, che botta assurda. Mi sento un leone. Cos’era, e soprattutto dove la ritroviamo?” Si infilò la maglia al contrario e Viola si affrettò ad aiutarlo a rigirarla per il verso giusto. “Calma, tigre… è ayahuasca, ma te lo spiego meglio mentre torniamo a casa.”
“Abbiamo finito? Dovevamo solo fare sesso?”
“Pare di sì.”
“Pensavo molto peggio.”
“Lo so.”
La Santa si alzò dal suo trono; mentre Viola raccoglieva le cose che aveva lasciato sparse per quel luogo delirante, si avvicinò a Jimmy, lo tirò giù all’altezza del suo viso e sollevò i veli dagli occhi, fissando le orbite vuote dentro le sue. Quel che vide lì dentro non lo spaventò, ma lo sorprese. La vecchia gli diede una piccola borsa di tela: “Gli unguenti sono per lei, le compresse per te, e le foglie per entrambi. Non vi fermate. Non c’è energia più potente e più pura di quella che sprigionano due innamorati.”
“Così però lo fai sembrare un lavoro.”
“Ma è un lavoro. È il lavoro più antico del mondo, il tentativo di sopravvivere alla propria fine perpetrando la specie. Mettile un anello al dito e seguila nei suoi viaggi. Avrai tempo per scoprire tutte le altre parti di te che ancora non conosci, accanto a lei.”
Viola gli era apparsa accanto; gli prese la sporta dalle mani e la infilò nella borsa di paglia, poi gli sorrise.
“Abbassati, ragazza; anche tu devi guardare,” le ingiunse la Santa.
“Oh, ma lo so,” la stupì lei, “io so cosa sei. Non ho bisogno di guardare. Ci aspettano. Grazie.”
“Tua nonna ti conosce bene, ma non bene quanto pensa. Sa che sei uno strano demone, e una monade ostinata, ma non sa che sei anche un potente amuleto.”
“Gli amuleti non si preoccupano. Io, invece, tendo a farlo spesso.”
“Sì che si preoccupano, o non funzionerebbero. Prendete la strada dei monti. Non vi fermate. E non tornate più qui.”
Si lasciarono la casa alle spalle senza voltarsi. Jimmy aveva un’infinità di domande da porle, ma lei era si era già arrampicata sul sedile posteriore della Jeep e il Sole aveva messo in moto; le guardò le gambe nude, le piccole macchie di sangue sul vestito strappato.
“Zacky,” disse Viola, all’improvviso, “lo sai che al mondo ci sono circa diciannove miliardi di polli? Noi siamo solo otto miliardi di persone.”
“Dici che se domani mattina i polli decidono di farla finita con la razza umana siamo in un mare di guai?”
“E vedi tu.”
“Sì, ma che vi ha dato questa Santa? Qualcosa di utile?”, si intromise Shadows, regolando il retrovisore.
“Speranza,” rispose, soltanto, Viola. “Ci ha dato speranza.”
Trovarono il maniero di Ananke avvolto dal sopore del tardo pomeriggio. Brian era sul dondolo nel portico, uno strano sceriffo, con di fianco una birra e un posacenere che traboccava di mozziconi e incertezza.
“Bene,” sussurrò a Val, “sono ancora tutti e quattro, e tutti interi. Fammi un favore e vedi se la gallina preistorica riesce a rimediarci dell’alcool, hanno tutta l’aria di averne un gran bisogno.”

   
 
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