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Autore: FluffyHobbit    31/12/2023    0 recensioni
[Il giovane Montalbano]
Salvo, Mimì, una camicia rossa e io che non so fare le introduzioni.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Salvo Montalbano
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Vigata quel mattino faceva il caldo.
 
Il caldo, sissignore, perché quello non era un caldo qualsiasi, magari piacevole, che rende l'inverno un ricordo lontano e fa felici i bambini perché è finita la scuola, no! Quello era il caldo, che trasforma l'aria in un fumo a cui non si può rinunciare, ma che ti brucia dentro ad ogni boccata, e le strade in incendi senza fiamme.
 
Era il caldo, quello, e lasciava ben poche vie di fuga a chi incrociava il suo incedere: chi poteva se ne andava al mare, sperando di trovare nell'acqua, nemica naturale e giurata del fuoco, un riparo ed un sollievo; tutti gli altri, invece, limitavano le uscite al minimo indispensabile e se proprio erano costretti a lasciare le case in cui ventole e ventilatori erano diventati stabili inquilini, tiravano avanti con l'idea che sarebbe venuta la sera, poi la notte, e che il caldo sarebbe andato a dormire.
 
Illusi.
 
Ciononostante, il vice commissario Mimì Augello non aveva intenzione di rinunciare a quella che, a tutti gli effetti, considerava la propria divisa: non era come quella degli agenti semplici, fatta di stoffa di second'ordine e tanto simbolica di risultare anonima, eh no!
 
Mimì Augello, praticamente da quando aveva cominciato a lavorare in un ufficio più che in strada, non aveva mai rinunciato ad indossare un completo, neanche in quelle giornate -esattamente come l'odierna- in cui sembrava che l'Inferno avesse spalancato porte e finestre per far arieggiare. Camicia, pantaloni, giacca, ed ovviamente l'immancabile cravatta, un accessorio tanto banale quanto fondamentale, un immediato biglietto da visita che, senza neanche il bisogno di pronunciare mezza parola, comunicava immediatamente eleganza e, di conseguenza, precisione ed affidabilità, due qualità fondamentali nel proprio mestiere. E poi piaceva anche parecchio alle signore, quel pezzo di stoffa colorato, che forse si divertivano a fantasticare su come l'avrebbero usato quando i vestiti sarebbero stati superflui...e chi era lui per negare un po' di fantasia a qualche signora, e magari anche trasformarla in realtà?
 
Così, vestito di tutto punto e perfettamente pettinato come sempre, guidò fino al commissariato, avanzando nel caldo torrido che per qualche motivo doveva averlo preso in simpatia, dato che per pura e semplice fortuna genetica non aveva catastrofici effetti su di lui -a parte qualche gocciolina di sudore sul collo che di tanto in tanto tamponava con un fazzoletto di stoffa altrimenti accuratamente riposto nella tasca interna della giacca- e lì si diresse nel proprio ufficio, rivolgendo a tutti un saluto cordiale o una battuta di spirito, come ogni giorno.
 
Vide il povero Catarella, sudato da capo a piedi tanto che la camicia blu della sua divisa era diventata quasi nera in alcuni punti, che annaspava attaccato al telefono, recependo informazioni che avrebbe senz'altro riportato male, in quel suo modo particolare di dire le cose, e non riuscì a trattenere un sorriso divertito, quasi un ghigno, al pensiero di come avrebbe reagito Salvo, il commissario Montalbano, quando avrebbe ascoltato l'ennesimo nome storpiato e ricomposto alla meglio.
 
Giusto lì accanto, in una stanzetta dalle pareti trasparenti che definire ufficio sarebbe stato come chiamare Ferrari una Cinquecento scassata, se ne stava Fazio, in piedi in un angolo, a leggere e rileggere un foglietto stretto tra le mani, di cui poi ripeteva il contenuto ad occhi chiusi, muovendo soltanto le labbra come uno scolaretto alle prese con una poesia, e non ci voleva molta fantasia per capire il motivo di tale sforzo di memoria: voleva evitare l'ennesimo rimprovero da parte del commissario per i suoi pizzini tanto poco sopportati dal superiore. Mimì, però, sapeva che il povero Fazio non ce l'avrebbe fatta e che, per amor di accuratezza, avrebbe comunque sfoderato il foglietto davanti a Salvo, ed anche in questo caso non trattenne un sorrisetto immaginando la sua prevedibile reazione.
 
Ecco, il commissario Salvo Montalbano non aveva un carattere facile: burbero e scontroso, poco paziente e ligio al dovere ai limiti dell'accanimento, esigeva che tutto si facesse nel modo in cui voleva lui -perfino se su un piatto di spaghetti alle vongole ci si arrischiava a spargere un cucchiaino o due di formaggio, era capace di montarti un capo d'accusa come con il peggiore dei criminali-, ma al tempo stesso era il primo a ribellarsi quando gli ordini che provenivano dall'alto non gli andavano bene. Insomma, chiunque ci avesse trascorso più di due minuti insieme non esitava a definirlo un solenne scassaminchia, se non peggio.
 
Mimì, che era il suo vice, ma praticamente avevano lo stesso grado, era stato tentato qualche volta di dirgli che i poveri Fazio e Catarella erano fatti così, che non aveva senso accanirsi tanto contro i loro difetti -del resto, chi non ne aveva?- e cercare di cambiarli, ma si era sempre detto che anche Salvo era fatto a modo suo e che non aveva senso cercare di cambiarlo. Per di più, lui che lo conosceva da molto più di due minuti -erano trascorsi due anni e una manciata di settimane dal proprio arrivo a Vigata-, aveva imparato che il commissario, sotto quella corazza scorbutica e permalosa, nascondeva un animo buono e perciò, anche se restava un solenne scassaminchia, lo considerava il proprio migliore amico e nutriva nei suoi confronti un affetto sincero che, in poche ma preziose occasioni, aveva anche avuto prova che fosse ricambiato.
 
Lui, invece, dal canto proprio, era molto più accomodante e riteneva che essendo anche lui non del tutto privo di difetti -anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce-, sarebbe stato ipocrita scagliarsi contro quelli degli altri: adesso, ad esempio, vedeva che l'agente Gallo, seduto alla scrivania tra il proprio ufficio e quello di Montalbano, stava dedicando tutta la sua attenzione alla lettura di un giornale sportivo, il che non era certo una bella immagine per il commissariato, questo lo riconosceva. In qualità di suo superiore avrebbe potuto e dovuto richiamarlo, ma non lo fece, perché sapeva che Gallo non si tirava indietro quando c'era da accorrere per un'emergenza, quindi poco importava che, in un momento di calma, si dedicasse ad un'amena lettura -attività in cui, per dovere di sincerità, si dedicava talvolta anche lui nel privato del proprio ufficio, pur prediligendo un tipo di letture di tutt'altro genere-.
 
Mentre fingeva, dunque, di non vedere Gallo che si intratteneva con il giornale dalle pagine rosa, non fece nemmeno in tempo ad abbassare la maniglia della porta del proprio ufficio che venne richiamato dalla voce squillante e lamentosa di Catarella, che gli si era materializzato accanto senza che lui se ne accorgesse.
 
"Dottori scusasse, ma il dottori Montarcano mi ha detto di dirvi che appena vi vedevo vi dovevo dire di andare nel suo ufficio, dice che è urgente. Io vi vidi ora e ora ve lo dissi, dottori. Feci bene?"
 
Disse l'agente, concitato.
 
Mimi ebbe un leggero sussulto, non l'aveva sentito arrivare, ma quando ascoltò la sua richiesta sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso sghembo.
 
'Ah, Salvo, non sai proprio resistere senza di me!', pensò, soddisfatto.
 
"Hai fatto benissimo, Catarella, vado subito! E tu vatti a prendere una boccata d'aria, che tra poco ti dobbiamo raccogliere con il cucchiaino!"
 
Replicò, allegro, dando una pacca sulla spalla dell'agente, gesto di cui si pentì istantaneamente perché la trovò umidiccia.
 
Si avvicinò immediatamente alla porta dell'ufficio del commissario, con passo misurato per non tradire alcuna emozione, bussò un paio di volte con le nocche sul legno, ma non attese una sua risposta ed entrò così, senza invito, sfoderando un sorriso.
 
"Buongiorno Salvo, mi hai fatto chiam-"
 
Cominciò a dire, ma le parole gli si spensero in bocca ed il sorriso si trasformò in un'espressione di stupore, trovandosi davanti ad una visione decisamente inaspettata.
 
Il commissario Montalbano sollevò lo sguardo dal foglio che stava leggendo, che venne immediatamente messo da parte, e rivolse al proprio vice un sorriso aperto e luminoso, che scopriva i denti ed arrivava fino agli occhi.
 
"Oh Mimì, eccoti qua! Mi perdonerai se ti ho fatto chiamare, ma ho proprio bisogno del tuo parere. Vieni qua, siediti, siediti!"
 
Esclamò allegro, indicando con un gesto ampio del braccio la sedia di fronte a sé, oltre la scrivania.
 
Mimì, dopo essersi forzatamente costretto a riprendere in mano se stesso, percorse a passo rapido la breve distanza fino alla scrivania e si accomodò sulla sedia, come faceva sempre. Si schiarì la voce.
 
"Sì, Catarella mi ha detto che era urgente..."
 
Soffiò, con la voce che gli uscì più flebile di quanto si era augurato.
 
Salvo aprì un cassetto della scrivania e ne tirò fuori un foglietto ripiegato in due, che allungò all'altro sulla superficie piana del tavolo.
 
"Dimmi che ne pensi."
 
Disse, pratico, ma senza perdere la sfumatura gentile nella voce.
 
Mimì si schiarì di nuovo la gola e, con le sopracciglia leggermente aggrottate per la curiosità, raccolse il foglietto e prese ad esaminarlo: sul lato esterno non c'era scritto nulla, mentre all'interno, in una grafia lineare, elegante ma senza fronzoli, c'era quello che aveva tutta l'aria di essere un pezzo tratto da un testo sacro, ma oltre al suo significato più immediato e palese non avrebbe saputo cos'altro ricavarci.
 
Un'ulteriore difficoltà era data dal fatto che i propri occhi, ogni due o tre parole, non riuscivano a non sollevarsi dal pezzo di carta, che non aveva attrattiva, e a posarsi su Salvo, esattamente come due piccoli magneti non riescono a resistere ad una calamita molto più grande. Il problema, ed era tale soltanto perché costituiva una fonte di distrazione, era che il commissario Montalbano stava indossando una camicia, e fin qui non ci sarebbe stato nulla di strano dato che era solito indossarle, ma la camicia era rossa.
 
Non si trattava del solito colore spento e smorto degno del copridivano polveroso di una nonna molto anziana che di solito caratterizzava le camicie di Salvo, quello era un rosso acceso, brillante, che giocava con i raggi del sole e ne catturava la luce trasformandosi in una fiamma viva e vibrante, e Mimì si sentiva scottato. In più, quella stessa camicia era stata allentata di un paio di bottoni, e lasciava intravedere il petto del commissario -morbidamente mosso dal ritmo del suo respiro- come le quinte di un teatro poco prima della rappresentazione, e Mimì, unico spettatore ed in primissima fila, si sentì morso da una curiosità irrefrenabile di spalancare, anzi strappare, quel tendone a mani nude e salire sul palcoscenico, perché assistere non gli bastava.
 
A questa già dura prova di resistenza si aggiungeva anche il fatto che il commissario, come in realtà spesso e volentieri accadeva, aveva i capelli imperlati da qualche piccola goccia d'acqua -evidentemente perché aveva fatto un bagno in mare prima di arrivare in commissariato, come da sua abitudine- che scivolava lenta ed irregolare fino alla sua guancia, dove si incastrava tra la barba ispida, e Mimì, senza vergogna perché non aveva al momento le facoltà per vergognarsi, si ritrovò a desiderare di essere una di quelle goccioline, solo per poter accarezzare quella pelle e poi spegnersi lì, gli sarebbe andata bene un'esistenza di quel tipo. E poi, infine, c'era quel sorriso che sembrava voler far concorrenza -e poteva- al Sole che illuminava tutta la stanza, così raro sul viso dell'amico: solitamente Salvo non sorrideva nel vero senso della parola, si limitava a stirare un po' le labbra con fare ironico o beffardo, non si lasciava mai sorridere, e secondo lui era un peccato. Certo, c'erano delle eccezioni, e di solito avevano il nome di Livia, ma qualche volta anche Mimì si era visto rivolgere uno di quei preziosi sorrisi, e li ricordava tutti con grande affetto misto ad una punta d'orgoglio.
 
Era quindi davvero, davvero, davvero difficile per lui concentrarsi su quel foglio, su quelle parole che nemmeno dimenticava perché tanto a stento le leggeva: Salvo era un bell'uomo, Mimì non aveva problemi ad ammetterlo, come del resto non faceva fatica a dire che un quadro o una statua erano belli, dunque perché sarebbe dovuto essere diverso per una persona? Soltanto perché quella persona era un uomo?
 
Si era accorto da tempo che faceva girare la testa a mezza Vigata senza alcuno sforzo ed era inoltre personalmente convinto che se l'amico si fosse impegnato un po' di più nel modo in cui si presentava avrebbe fatto girare la testa anche all'altra mezza...eppure non era mai stato più bello di così. E lui non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.
 
Per l'ennesima volta da quando era entrato in quella stanza, si schiarì la voce.
 
"Sono...sono versetti, no? Mi sanno di Bibbia..."
 
Biascicò giusto per dire qualcosa, posando il foglietto sulla scrivania e sostituendolo repentinamente con il fidato fazzoletto che teneva in tasca e che si passò rapidamente sul viso e sul collo.
 
Salvo soffiò una risatina, che gli rimase sul volto nella forma di un sorrisetto sornione.
 
"Vangelo di Luca, per l'esattezza. Certo che da un vice commissario di Polizia mi aspettavo qualcosa di più, specie da uno capace come te..."
 
Replicò ironico, ma senza perdere la sfumatura di gentilezza nella voce che trasformava quella che poteva essere una critica, un insulto quasi, in un incoraggiamento.
 
Mimì sbuffò, un po' per il caldo -quell'ufficio sembrava un forno- ed un po' perché si sentì ferito nell'orgoglio. Anche lui sapeva che avrebbe dovuto esaminare meglio quei versetti, che probabilmente non erano solo e semplicemente tali, ma al momento proprio non riusciva a concentrarsi.
 
"Si vede che non sono così capace come dici, mi dispiace, ma del resto il commissario sei tu, non io."
 
Ribatté, piccato, incrociando le braccia serrandole contro il petto, un muro dietro il quale proteggersi.
 
Salvo sospirò, pazientemente.
 
"Eddai, Mimì, non fare il permaloso. Ti arrendi così facilmente?"
 
Mimì scrollò le spalle, ancora chiuso in se stesso, e voltò il capo, orgoglioso, da un lato, anche se con gli occhi non poteva fare a meno di guardare Salvo.
 
"Facciamo che me lo dici tu quello che c'è da dire, tanto sicuramente l'avrai già capito, altrimenti non l'avresti chiesto a me."
 
Rispose, con un tono tagliente che non gli piaceva usare con Salvo, non dopo due anni di amicizia, ma che non aveva lo scopo di ferire lui, quanto se stesso. Era innervosito dalla propria incompetenza, dalla propria incapacità di superare quel momento degno di un adolescente in piena crisi ormonale e non di certo di un uomo adulto a cui, tra l'altro, piacevano le donne.
 
Salvo, che non sembrava minimamente colpito da quella lama, raccolse il biglietto e, tenendolo tra indice e medio di una mano, lo porse nuovamente a Mimì.
 
"È vero, io l'ho capito, ma voglio che lo capisca anche tu. Ti chiedo solo di fare un piccolo sforzo, su."
 
Disse, con voce calma e morbida, e l'angolo delle labbra sollevate in un sorriso incoraggiante.
 
Mimì sbuffò, scuotendo il capo.
 
"E se l'hai già capito, a che serve che te lo dica io? È un teatrino inutile!"
 
Sbottò, con voce forse un po' troppo alta di cui si pentì subito, mordendosi un labbro, ma ormai era tardi.
 
Salvo fece una risatina, intenerita più che di scherno, e scosse appena la mano, così da rimarcare la presenza del biglietto, un po' come se fosse stato un amo a cui Mimì doveva abboccare.
 
"E si vede che oggi mi sento attore."
 
Replicò scherzoso, ma di nuovo da lui non traspariva la minima intenzione di prendere in giro il proprio vice, perché non c'era.
 
"Dai, fallo per me..."
 
Aggiunse con voce più morbida, carezzevole, tenendo gli occhi fissi sull'altro, in speranzosa attesa.
 
Mimì, che non aveva smesso di guardarlo, seppur di sottecchi, si maledisse per non essere proprio in grado di resistere a quello sguardo così simile a quello di un cane che da un lato ti richiede attenzioni e che dall'altro ripone in te la sua completa fiducia -Salvo sapeva davvero essere un ottimo attore quando voleva, estremamente convincente- e raccolse il foglietto con un gesto di stizza. La verità, non così dura da ammettere, era che per quell'uomo sarebbe saltato volentieri davanti ad un proiettile.
 
"Ripeto che secondo me stiamo facendo un teatrino inutile."
 
Si lamentò, a bocca stretta.
 
Salvo sorrise soddisfatto, con gli occhi che brillavano gioiosi, e tornò ad adagiarsi contro la sedia, come a volersi godere lo spettacolo.
 
"Leggi ad alta voce."
 
Suggerì, ignorando del tutto le proteste del proprio vice.
 
Mimì rivolse un ultimo sguardo dubbioso a Salvo, poi spostò lo abbassò sul pezzo di carta.
 
"Da mmoltoo tmpo llo aveva proomessso pe bocca..."
 
Cominciò a leggere, ma si interruppe immediatamente. Scorse con gli occhi, rapidamente, i restanti pochi righi vergati in penna nera da una scrittura corsiva decisa e lineare, e si accorse di un dettaglio che a prima vista non aveva notato.
 
"Ma è pieno di errori!"
 
Esclamò, facendo una smorfia.
 
Salvo annuì, facendo un solo cenno del capo.
 
"Esatto, e questo che cosa ci dice?"
 
Mimì sbuffò, facendo spallucce.
 
"Che l'ha scritto un ignorante."
 
Rispose svogliato, con ben poca convinzione.
 
Salvo ridacchiò di gusto, e quella risatina profonda sembrò riecheggiare in tutto l'ufficio, facendosi strada, leggera e senza sforzo, nell'aria afosa e pesante.
 
"Mimì, adesso stai prendendo in giro la tua intelligenza, però."
 
Commentò bonario, mentre gli occhi, puntati su Mimì, brillavano divertiti e furbi.
 
"Si tratta di un messaggio in codice."
 
Aggiunse, accennando al foglietto con il capo.
 
Mimì si accigliò, perplesso.
 
"Un messaggio in codice? E che siamo, in un film americano?"
 
Esclamò, scettico.
 
Salvo sorrise sghembo.
 
"E che ti devo dire, forse non sono l'unico, oggi, che si sente attore. Ti faccio vedere."
 
Con un movimento rapido ed improvviso scostò la sedia dalla scrivania e si portò alle spalle di Mimì, sulle quali poggiò le mani con una presa forte, vigorosa, ed iniziò a muoverle in un lento massaggio.
 
Mimì sussultò, o almeno l'avrebbe fatto se Salvo non l'avesse tenuto così tanto stretto da impedirgli di muoversi
 
"Salvo, ma...ma che fai?"
 
Domandò con voce incerta, buttando fuori una risatina nervosa. Conosceva Salvo abbastanza da sapere che non era un tipo che si lasciava andare facilmente al contatto fisico.
 
Salvo sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso sghembo e furbo, anche se Mimì non poteva vederlo.
 
"Sei troppo teso, così mi ascolti meglio."
 
Spiegò tranquillo, come se nulla fosse.
 
"Allora, gli errori, come li chiami tu, sono troppo precisi per essere dovuti a banale ignoranza, quindi sono lì per un motivo. Ci mancano delle lettere, le vedi? Dimmi quali sono."
 
Continuò, con il tono secco, pratico e sbrigativo che assumeva sempre durante un'indagine.
 
Mimì deglutì, ma ben poco poté fare quel sorso di saliva contro la propria gola secca, e tornò a concentrarsi sul foglio, o almeno ci provò. Non era un'impresa facile perché nonostante avesse sia la giacca che la camicia a fargli da corazza, per così dire, sentiva le mani di Salvo con distinta chiarezza, come se lo stessero toccando sulla pelle nuda, ed erano infuocate. Avrebbe voluto asciugarsi almeno il viso, sentiva il sudore scorrergli a gocce lungo le guance, la nuca e giù fino al collo, ma il fazzoletto gli era caduto in terra poco prima e muoversi, con Salvo che lo teneva così stretto, era un'impresa impossibile. Si schiarì la voce con un flebile suono gutturale e riprese a rileggere, stavolta in mente per risparmiare fiato, il foglietto che gli tremava tra le mani.
 
"Manca...una e, poi una r, una o..."
 
Cominciò a dire, e quanto gli era difficile parlare con la lingua che sembrava pesante ed impastata. Fortunatamente, arrivò subito a comprendere la parola cifrata.
 
"Eroina."
 
Mormorò, con voce appena appena più sicura.
 
Salvo, dietro di lui, annuì soddisfatto.
 
"Oh, e questo è l'oggetto del nostro messaggio. Adesso manca il dove e il quando."
 
Replicò, estremamente pragmatico come al solito, con l'atteggiamento di chi stava volutamente ignorando gli effetti che stava avendo sul proprio vice. Lasciò andare all'improvviso le spalle di quest'ultimo, ma solo per spostarsi e sedersi a cavalcioni sulle sue gambe.
 
Mimì lo lasciò fare, e non avrebbe potuto fare altrimenti dato che non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire, e quando, per forza di cose dato che gli stava letteralmente addosso, spostò lo sguardo su Salvo, si sentì mancare l'aria dai polmoni.
 
"Ma...ma quando te la sei tolta la camicia?"
 
Balbettò, colto alla sprovvista. Salvo, infatti, era improvvisamente a petto nudo. Non che Mimì non l'avesse mai visto così, anzi spesso -a volte per comunicargli gli ultimi urgenti sviluppi di un caso, a volte soltanto per fargli un saluto- l'aveva raggiunto a casa sua e lo aveva trovato intento a farsi una nuotata oppure appena uscito dall'acqua, ma in quei casi si limitava a formulare un apprezzamento, che teneva strettamente per sé, e di certo non rimaneva sconvolto. Adesso, però, le circostanze erano ben diverse: ora, infatti, erano vicini come non erano mai stati, Mimì sentiva su di sé il corpo di Salvo, pesante e leggero al tempo stesso, ed il calore che emanava, e riusciva soltanto a pensare a quanto desiderasse toccarlo, accarezzarlo, baciarlo, sensazioni ed immagini che non gli erano mai passate per la testa e che adesso gli apparivano come la ragione ultima della propria esistenza.
 
Salvo soffiò una risatina bassa e gutturale, rivolgendo a Mimì uno sguardo furbo, con occhi che luccicavano maliziosi. Poi, come se avesse letto nella mente dell'altro, gli afferrò la mano libera, quella che non stringeva il foglietto, e se la portò su un fianco, mantenendola ben ferma con la propria.
 
"Ma come, non è così che mi vuoi? Se preferisci, me la rimetto..."
 
Mormorò con voce morbida e calda, guardando Mimì dritto negli occhi come un gatto che ha appena acciuffato la propria preda.
 
Mimì, a quella prospettiva, si sentì mancare la terra da sotto ai piedi e allora si aggrappò con più forza a Salvo, come se fosse stato uno scoglio e lui un naufrago in mezzo ad una tempesta, e lo tirò a sé di prepotenza.
 
"No, no, non ti azzardare..."
 
Replicò affannato, ma con voce così alta che probabilmente lo sentirono in tutto il commissariato, sostenendo il suo sguardo con il proprio, quello languido di un topolino che era stato appena catturato, ma che andando contro natura si fidava del gatto ed era ben felice di stare esattamente dov'era.
 
Salvo ridacchiò di nuovo, soddisfatto, e fece un piccolo cenno d'assenso con il capo. Lasciò andare la mano di Mimì, che tanto sapeva sarebbe rimasta ancorata a sé, e sollevò le proprie per portarle al suo collo, sfiorandogli la cravatta.
 
"Che dici, questa la togliamo?"
 
Mimì si limitò soltanto ad annuire e a sollevare leggermente il capo, così che Salvo potesse liberarlo dall'accessorio, che finì sul pavimento. Gli sbottonò anche i primi bottoni della camicia, e a Mimì sembrò di poter tornare a respirare.
 
"Grazie..."
 
Sussurrò appena, abbassando di nuovo il capo.
 
Salvo fece una risatina carica di divertito affetto, che rimase impressa in un sorriso sghembo e furbo.
 
"Ma che fai, mi ringrazi? E da quando ce n'è bisogno?"
 
Replicò retoricamente, poi accennò con il capo al biglietto, senza però guardarlo perché teneva gli occhi fissi sul viso dell'altro.
 
"Adesso, se noti, nelle parole del biglietto ci sono delle lettere in più. Me lo potresti dire, per favore? Puoi farlo per me, Mimì?"
 
Domandò, mellifluo, accarezzando il collo appena liberato del vice con misurati movimenti del pollice.
 
Mimì annuì meccanicamente e, ammansito da quelle carezze, tornò a posare gli occhi sul foglietto, non senza sforzo, e riprese a leggerlo.
 
"C'è una m...poi una o...e una l..."
 
Cominciò ad elencare, ma dovette interrompersi quasi subito, perché la voce gli morì in un rantolo a causa dell'ennesimo gesto improvviso del commissario: Salvo, infatti, si era avventato sul suo collo e aveva preso a baciarlo con foga, facendo scorrere la bocca su ogni millimetro di pelle che riusciva a raggiungere, e Mimì ne fu completamente travolto. Avvertiva su di sé il calore umido delle sue labbra e della sua lingua che lo accarezzava, la ruvidezza della sua barba incolta che lo stuzzicava, le goccioline che di tanto in tanto cadevano dai suoi capelli ancora bagnati che lo solleticavano e il suo profumo, l'odore salato del mare, che lo investiva come un'onda; ogni sensazione, poi, era centuplicata dal desiderio che gli ardeva in petto come mai gli era accaduto prima. Il ricordo di tutte le donne che aveva avuto impallidiva fino a svanire, al confronto.
 
Salvo sorrise sulla pelle dell'altro, morbidamente.
 
"Hai proprio un buon profumo, lo sai?"
 
Sussurrò piano, senza smettere di baciarlo.
 
Mimì soffiò una risatina fremente, nervosa ed eccitata, ma al tempo stesso libera e genuina.
 
"Eh, sarà il dopobarba..."
 
Replicò appena, con un filo di ironia.
 
Salvo scosse il capo, strofinando la punta del naso contro il suo collo e respirandone a pieni polmoni l'odore dolce e leggermente acre che lo stava mandando in visibilio.
 
"No, è il profumo tuo, della pelle tua. Non sai quanto desiderassi sentirlo così da vicino..."
 
Mormorò affannato, quasi come se stesse pregando, e con uno scatto di reni si fece ancora più vicino, se possibile, aggrappandosi allo schienale della sedia.
 
Mimì, senza possibilità di controllarsi, si sentì percorso da un fremito, come una scarica elettrica, che lo attraversò fino ad uscirgli dalle labbra con un gemito roco.
 
"E perché non l'hai fatto prima, allora?"
 
Soffiò, con un filo di voce.
 
Salvo non rispose direttamente alla domanda, ma si strofinò di nuovo contro il suo bacino e, con una scia di baci, raggiunse il suo orecchio.
 
"Dimmi le lettere, Mimì."
 
Concluse quell'imperativa richiesta con un morso, un morso deciso, poco più sotto.
 
Mimì mugolò, flebile e roco. Sapeva cosa stava accadendo, l'aveva già capito da un pezzo -non era certo così ingenuo o inesperto da non essere in grado di riconoscere dei preliminari quando li vedeva e soprattutto quando li viveva- e alla parte più razionale di sé veniva da chiedersi perché all'improvviso Salvo, senza aver mai dato segni di interesse prima d'ora, avesse deciso di saltargli letteralmente addosso, per di più in ufficio, con tutto il resto del commissariato appena fuori la porta, ma subito veniva messa a tacere dalla parte più istintiva, alla quale sembrava che non ci fosse nulla di più naturale e giusto di loro due che stavano per dare sfogo a desideri troppo a lungo soppressi, con buona pace del decoro dovuto all'ufficio in cui si trovavano.
 
La tentazione di buttare via quel foglio stropicciato era forte ma sapeva che, anche in quella circostanza così assurda, l'indagine rimaneva fondamentale per Salvo e così lo tese davanti a sé, con la mano che tremava, mentre con il braccio libero teneva Salvo ancorato. Quel morso così inaspettato, ma altrettanto gradito, fu per lui una spinta, un invito a fare di più e al tempo stesso una promessa di un premio che sarebbe arrivato presto, doveva soltanto esaudire la richiesta che il superiore gli aveva fatto, e così tra gemiti strozzati e sospiri soffocati riprese a leggere, scosso da continui brividi di piacere, mentre Salvo continuava a dedicarsi a lui, mordendogli la pelle e subito dopo passando le labbra e la punta della lingua sul punto che aveva appena morso, dando vita a scariche sottili e fiamme morbide che si susseguivano rapide fino ad unirsi e a confondersi, mandando Mimì in visibilio. Individuò presto le lettere mancanti di quel codice la cui decifrazione, a dire il vero, non era poi così complessa, e la frase che formavano gli apparve chiara davanti agli occhi appannati.
 
"Molo sei ore due."
 
Esclamò affannato, come se stesse correndo.
 
Salvo sorrise soddisfatto sulla pelle del vice, dopo un ultimo bacio sollevò il capo e gli mostrò un sorriso orgoglioso, guardandolo con occhi che brillavano.
 
"Bravissimo, Mimì, bravissimo."
 
Sussurrò dolcemente, accarezzandogli il collo a cui, evidentemente, non voleva smettere di dare attenzioni nemmeno per un attimo.
 
"Sai che cosa significa?"
 
Chiese, di nuovo con il tono pragmatico da poliziotto, ma indorato da una morbida gentilezza.
 
Mimì scosse appena il capo, affranto. Il senso del messaggio era chiaro, evidente, ed in un altro momento non avrebbe avuto problemi a rispondere, ma ora non ce la faceva più. Aveva usato le ultime energie che aveva per decifrare il biglietto e adesso si sentiva la testa immersa nella lava, totalmente incapace di ragionare. Era esausto, sudato oltre l'inverosimile ed i pantaloni avevano cominciato a stringergli e tirargli prepotentemente e dolorosamente, e non voleva altro che finire ciò Salvo aveva iniziato e che adesso aveva insopportabilmente messo in pausa. Lo guardava con occhi imploranti, chiedendogli silenziosamente di ricominciare, ma al tempo stesso senza riuscire ad imporsi: era totalmente nelle sue mani.
 
Salvo sorrise pazientemente, sollevando solo l'angolo delle labbra, come un maestro farebbe con un alunno un po' cocciuto.
 
"Significa che stasera al porto, al molo due, arriverà un carico di eroina. Qualcuno ci voluto avvisare, non so perché. Forse una vendetta, o qualcosa del genere."
 
Mimì mandò giù un bolo di saliva caldo e pastoso, sforzandosi di annuire. Certo, ora era lampante.
 
"E secondo te ci possiamo fidare?"
 
Soffiò con un filo di voce, quasi mugolando.
 
Salvo annuì con un gesto secco del capo, senza perdere il sorriso di chi aveva perfettamente sotto controllo la situazione.
 
"Io dico che vale la pena rischiare."
 
Rispose deciso, avvicinando di poco il viso a quello di Mimì, ma quanto bastava a soffiargli quelle parole in faccia, lascivo.
 
Bastò questo premio, quei pochi ma preziosi centimetri di vicinanza che erano stati di nuovo ottenuti, per far tornare Mimì in sé, almeno in parte, e fargli ricordare di essere un vice commissario con un'indagine letteralmente in mano.
 
"Dobbiamo avvisare l'antidroga."
 
Suggerì, con una sicurezza che venne immediatamente meno, pentendosene seduta stante. Si morse un labbro, contraendo il viso in una smorfia di disappunto: ma come gli era venuto in mente di suggerire una cosa simile? Se si fossero messi, o meglio se Salvo si fosse messo, a fare telefonate a destra e a manca, oppure peggio se avesse deciso di andare di persona a parlare dal corrispettivo collega dell'altra branca, lui avrebbe potuto dire addio a quella passione che così tanto generosamente gli era stata offerta e che lui, ingrato, stava rifiutando. E poi cosa avrebbe fatto? Sarebbe corso nel bagno del commissariato e si sarebbe affrettato a farsi una sega, così da trovare finalmente sollievo -anche se in modo molto meno soddisfacente rispetto a quello prospettato- a quel fastidio, come un ragazzino adolescente colpito da una crisi ormonale nel mezzo di una lezione che finge un mal di pancia per avere qualche minuto di libertà?
 
Salvo ridacchiò, di nuovo quella risatina gutturale e complice che scosse Mimì come un terremoto, e si passò la lingua sulle labbra. Poi, come ad interpretare per una seconda volta i pensieri e i desideri del proprio vice, raccolse delicatamente il foglietto dalla sua mano e se lo mise nella tasca dei pantaloni con un gesto fluido.
 
"Ci pensiamo dopo all'antidroga, Mimì."
 
Ribatté calmo e pacato, ma con un ardore nascosto che, se non traspariva del tutto dalla voce, veniva fuori dagli occhi. Smontò di scatto dalle gambe di Mimì e gli porse la mano, accompagnata da uno sguardo furbo che non aveva bisogno di tante spiegazioni.
 
Mimì avvertì distintamente il contraccolpo, si sentì come se gli avessero violentemente staccato una parte di sé -avvertiva un fastidioso vuoto dove fino ad un istante prima c'era il corpo di Salvo-, alla quale tuttavia si riunì subito. Si aggrappò alla mano di Salvo con tutto se stesso e, con un certo sforzo, si rimise in piedi, piuttosto barcollante. Probabilmente non sarebbe riuscito a fare nemmeno un passo da solo, dato che le gambe a stento sembravano in grado di reggerlo, ma fortunatamente non ne ebbe bisogno.
 
Salvo, infatti, lo tirò a sé e gli cinse il busto con le braccia, così compì un mezzo giro e fece indietreggiare Mimì fino alla scrivania ora dietro di lui, con una forza tale che lo costrinse a sedersi sul ripiano. Senza troppe cerimonie, gli sfilò con un movimento brusco la giacca, che finì a far compagnia alla cravatta, e si avventò famelico sul suo petto, che prese a baciare scendendo sempre più giù man mano gli sbottonava la camicia, facendo praticamente saltare i bottoni che picchiettavano qua e là perché non aveva la pazienza di occuparsi di ogni singola asola.
 
"Sei bellissimo, Mimì...sei bellissimo..."
 
Ripeteva tra un bacio e l'altro, rauco e affannato, direttamente sulla sua pelle.
 
Mimì, dal canto proprio, si lasciò fare tutto -e tutto si sarebbe lasciato fare-, permettendo a Salvo di manovrarlo come un bambolotto o un burattino. Ricambiare in qualche modo quelle attenzioni tanto gradite gli avrebbe fatto piacere -era un amante attento e non gli era certo sfuggito che in quel frangente stava ricevendo molto, ma restituendo ben poco, anzi praticamente nulla-, ma non era assolutamente fattibile: Salvo era una vera e propria furia, una tempesta che non era possibile né domare né controllare, e lui poteva soltanto abbandonarsi a quelle onde e a quei venti impetuosi. Il naufragar, tuttavia, gli era ben più che dolce, in quel mare.
 
Fu in grado solamente di portare una mano tra i capelli umidi di Salvo, stringendoli con forza per tenerlo accanto a sé, e ripetere il suo nome muovendo appena le labbra in un'infinita litania ad occhi chiusi. La propria attenzione, però, ad un certo punto fu attirata da un vociare indistinto, ovattato ma vicino, anche se non abbastanza da permettergli di distinguere le parole, ed allora spalancò gli le palpebre di scatto ed il respiro gli si bloccò in gola, come se solo in quel momento avesse pienamente realizzato cosa stesse accadendo e, soprattutto, dove.
 
"Salvo, Salvo, aspetta...aspetta un attimo. E se entra qualcuno e ci trova così? Fazio, per esempio, prima stava ripetendo un pizzino, l'ho visto io, e se viene a riferirti quello che c'è scritto? Oppure Catarella, metti che riceve una telefonata urgente e si precipita qua? Che facciamo, poi?"
 
Fece notare, concitato, con la voce che tremava sotto i baci affamati che Salvo non aveva smesso di dargli.
 
Salvo soltanto allora si distolse da quella piacevole attività e si risollevò, in modo da guardare Mimì negli occhi. Gli rivolse un sorriso sghembo, accompagnato da uno sguardo morbido, e portò una mano sulla sua guancia per fargli una carezza che, contro ogni aspettativa, era lenta e delicata.
 
"Per me vale la pena rischiare. E per te, Mimì?"
 
*****
"Mimì! Mimì, svegliati!"
 
Mimì sbarrò gli occhi di soprassalto, solo per richiuderli quasi immediatamente a causa di una luce calda, ma elettrica, che gli diede fastidio. Quando li riaprì, pochi secondi più tardi e dopo aver sbattuto le palpebre un paio di volte, si ritrovò davanti ad un muro bianco, che realizzò solo dopo qualche istante essere un soffitto. Respirava affannosamente, come se avesse corso, e la testa era una matassa di confusione. Dov'era? E che ci faceva lì? Appena un attimo fa era in commissariato...
 
"My dear, mi hai spaventata, sai? Non farlo mai più!"
 
Esclamò la stessa voce di poco prima, stridula ma resa piacevole dalle morbidezze tipiche di un accento fortemente britannico, londinese per l'esattezza.
 
Mimì si voltò nella sua direzione, aveva il respiro affannato e gli occhi ancora stralunati che facevano un po' fatica a mettere a fuoco ciò su cui si posavano. Dopo aver sbattuto le palpebre ancora una volta, vide che davanti a sé, adesso, aveva una ragazza dalla pelle chiara, che si teneva puntellata sul braccio ripiegato sul letto. Il corpo, magro e slanciato, era coperto per metà, più o meno dal bacino in giù, dal piumone e dal lenzuolo che le erano evidentemente scivolati di dosso quando si era sollevata -rendendola parodisticamente simile ad una sirena, o almeno questa fu l'accostamento che si palesò nella testa di Mimì-, mentre per il resto era completamente nudo. Il viso minuto era inquadrato da una cornice di capelli ramati che le ricadevano in avanti sul petto, e costellato da piccole lentiggini sulle guance, appena sotto gli occhi verdi e brillanti -ora velati ancora da una leggera ombra di preoccupazione-. Su di esso spiccava un naso più lungo di quanto ci si sarebbe aspettato, ma che si univa bene a tutto il resto ed anzi, era stata proprio quella particolarità ad attirare l'attenzione di Mimì la sera precedente, anche se al momento non se lo ricordava, così come non ricordava che la ragazza lavorava a Londra per una rivista di cucina affermata nel settore e che, appassionata da sempre dell'Italia, era giunta in Sicilia per fare un reportage sulle ricette tipiche -che Mimì si era prontamente offerto di farle assaggiare preparate dai migliori ristoranti della zona e non solo, pur di conquistarla-. Non ricordava nemmeno il suo nome, ad essere onesto -nonostante l'avesse ripetuto molte volte durante la notte appena trascorsa-, e non perché non gli fosse mai importato, non era così infimo, ma perché aveva la testa decisamente troppo scombussolata al momento. Dietro di lei, a farle quasi da cornice, intravide un muro giallino, o meglio un muro bianco reso di quel colore dalla luce dell'abat-jour sul comodino, ed allora capì dove fosse: niente di più e niente di meno che in casa propria, la stessa che occupava da quando era arrivato a Vigata più di due anni prima. Realizzò, dunque, che tutto ciò che c'era stato fino a quel momento era stato un sogno, ma non sapeva se gioirne o meno. Si schiarì la gola, che sentì appesantita dal sonno.
 
"Gioia mia, mi dispiace. Che...che ho fatto?"
 
Biascicò con il fiatone, sforzandosi di risultare comprensibile. In un altro momento si sarebbe compiaciuto per aver risolto brillantemente la spinosa questione del nome dimenticato attraverso un nomignolo affettuoso, ma questa volta non aveva nemmeno fatto caso a ciò che aveva detto e aveva semplicemente agito d'istinto, ancora decisamente troppo scosso per ragionare.
 
La ragazza si ridistese, tirandosi addosso le coperte, e sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso morbido, più rilassato.
 
"Ti lamentavi, sembravi piangere...e poi mormoravi qualcosa like 'salvi, salvi!'."
 
Corrugò leggermente la fronte, che venne solcata da una sottile ruga pensierosa.
 
"No, non salvi...salvo, con la O!"
 
Si corresse, ed il viso tornò disteso.
 
"Ma che hai sognato di così orrendo, mh?"
 
Aggiunse con dolcezza, portando una mano ad accarezzare la guancia di Mimì imperlata di sudore.
 
Mimì non ebbe la prontezza di scostarsi a quel tocco, perché in un istante venne bombardato dalle immagini vividissime del sogno che aveva fatto ed un calore improvviso lo pervase tutto, facendolo arrossire fin sopra la punta delle orecchie -sperò con tutto se stesso che la propria anonima amica non se ne accorgesse, confondendosi magari con l'effetto prodotto dalla luce della lampadina-: il petto nudo di Salvo che si spingeva contro il proprio ancora vestito, i riccioli umidi che gli incorniciavano il viso come quello di un angelo dipinto, il calore dei suoi baci, la frenesia dei suoi morsi, i loro corpi che si cercavano come se fossero fatti per incastrarsi l'uno nell'altro, tanti piccoli e rapidi flash che si susseguivano, si sovrapponevano e si mischiavano, ma al tempo stesso gli apparivano netti e distinti davanti agli occhi, come in una personalissima pellicola del proprio desiderio.
 
'Altro che orrendo, quel sogno era sublime.', si ritrovò ad ammettere a se stesso e così avrebbe voluto rispondere, ma non lo fece. Invece, si sottrasse alla carezza con la scusa di sistemare meglio la testa sul cuscino e mise su un'espressione contrita, quasi atterrita da un forte spavento.
 
"Eh, non so nemmeno se è il caso di raccontartelo, guarda..."
 
Cominciò, fingendosi pensieroso come se stesse effettivamente soppesando la richiesta.
 
"Mi trovavo nel mezzo di una sparatoria, pallottole che volavano da tutte le parti..."
 
Imitò, per dare maggiore verosimiglianza al racconto inventato di sana pianta, il rumore degli spari e ne tracciò le traiettorie impazzite muovendo freneticamente una mano davanti al viso della propria interlocutrice.
 
"Feriti e morti tutti intorno a me, una distesa di corpi ammassati l'uno sull'altro che nemmeno si distinguevano, così tanto sangue che ci affondavo dentro con tutte le scarpe, urla così forti che mi rimbombavano nelle ossa...una cosa terribile, davvero! Anzi, orrenda, come hai detto tu!"
 
Continuò con voce greve ed enfatica, accompagnandosi con uno sguardo sgranato e terrorizzato, che però poi distese con un breve sospiro ed un sorriso sghembo, trovando da spiegare ancora l'ultima parte di ciò che la compagna per una notte aveva udito.
 
"Alla fine, però, per fortuna riuscivo a scamparla. 'Sono salvo', questo stavo dicendo."
 
Concluse infine, più che soddisfatto del modo in cui era riuscito a venir fuori da quella situazione spinosa: sicuramente adesso lei, impressionata, non avrebbe chiesto altre informazioni su quel sogno, preferendo cambiare discorso o, meglio ancora, tornare a dormire.
 
La ragazza, che non era rimasta particolarmente turbata da quel racconto, contrasse labbra e fronte in un'espressione di pietà, ma era scherzosa più che sinceramente sentita.
 
"Oh, povero Mimì! È davvero così pericoloso il tuo lavoro?"
 
Domandò con una vocetta sottile, fingendosi preoccupata. In realtà, per quanto la serata con il vice commissario fosse stata piacevole -e la notte che era seguita ancora di più-, non le ci era voluto molto per capire quanto gli piacesse vantarsi di qualità e meriti che non aveva o di eventi mai accaduti. Chissà cosa aveva sognato davvero -l'intuito le suggeriva che la natura di quel sogno fosse decisamente diversa da quella millantata, non erano versi di dolore o paura quelli che aveva sentito-, ma se lui non voleva raccontarglielo, lei non avrebbe insistito.
 
Mimì, che pensava sinceramente di averla abbindolata, nascose tutta la propria soddisfazione dietro una maschera di pesante gravità e liberò un profondo sospiro.
 
"Sì, molto, molto pericoloso, ma è il mio dovere."
 
Replicò, con aria solenne. Rilassò il viso, poi, in un sorriso furbo, corredato da un bagliore mellifluo nello sguardo che fissò nel suo. Una piccola arma di seduzione che poteva servire per chiudere definitivamente la questione.
 
"E se rischiando la vita posso far dormire sonni tranquilli ad una bella donna come te, allora ne varrà la pena."
 
Concluse con tono basso, un po' rauco, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia come se fosse stata una bambina.
 
La ragazza ridacchiò civettuola, fingendosi lusingata, ma in realtà stava ridendo di lui, anche se non con cattiveria: quanto era sbruffone, quel siciliano! Però le era simpatico, anche se lo conosceva da poco, sicuramente molto più di quegli uomini d'affari musoni che aveva conosciuto a Milano qualche tempo prima. Non era di certo il tipo con cui pensare di formare una famiglia, gli uomini così sono del tutto inaffidabili, ma per qualche serata di divertimento era decisamente il compagno giusto. A questo proposito, le era tornata una certa voglia e così fece scivolare, rapida e silenziosa, una mano tra le gambe dell'uomo accanto a lui e non ebbe più dubbi -che pure erano stati minimi- sulla natura del sogno che doveva aver fatto.
 
"E questa bella donna può fare qualco-"
 
Cominciò a dire con voce bassa e sensuale, ma non ebbe il tempo di finire la frase.
 
Mimì la interruppe immediatamente, balzando con uno scatto degno di una lepre fuori dal letto. Normalmente avrebbe ceduto in una frazione di secondo a delle avances così esplicite, che sarebbero state graditissime, ma non appena aveva sentito la mano della ragazza sulla propria pelle aveva provato una sensazione di bruciante fastidio alla bocca dello stomaco, come se si fosse contratta all'improvviso: per la prima volta in vita propria, si vergognava di ricevere attenzioni da una donna. La colpa, certamente, era di quel sogno assurdo!
 
"No, ti ringrazio, ma...meglio di no..."
 
Balbettò mentre recuperava la vestaglia da una sedia e se la infilava alla velocità della luce, cercando disperatamente nel cervello annebbiato una scusa credibile. Per fortuna il suono della sveglia gli venne in soccorso.
 
"Mi fermerei volentieri, figurati, ma senti? Rischierei di fare tardi a lavoro, e quel commissario è perso senza di me, sai..."
 
Aggiunse con maggiore sicurezza, un tono più leggero ed un sorriso di scuse accennato sul volto, mentre raccattava freneticamente i vestiti della sera precedente, dato che mettersi a sceglierne di nuovi era fuori discussione.
 
La ragazza, intanto, si era tirata su a sedere e seguiva con occhi felini i movimenti frenetici di Mimì, che le sembrava praticamente un'altra persona rispetto alla sera precedente. Sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso provocante e si sporse lievemente in avanti, così da mostrare la curva del seno oltre il bordo della coperta che si teneva stretta al petto con finto pudore.
 
"Per me vale la pena rischiare. E per te, Mimì?"
 
Domandò con voce sottile e bassa, quasi un miagolio.
 
Mimì, all'udire quella frase, si sentì attraversare da un brivido e per lo stupore gli sfuggirono di mano i vestiti che reggeva. Imprecò a denti stretti e si chinò goffamente a terra per raccoglierli.
 
"No, scusami, ma proprio non posso."
 
Rispose sbrigativo mentre impilava camicia, giacca e tutto il resto sul braccio, senza nemmeno alzare lo sguardo verso la ragazza per non far vedere che era arrossito. Assurdo: lui che solitamente dei sogni rimaneva con poco o nulla al mattino, adesso ricordava con assoluta precisione le parole che Salvo aveva usato con lui appena un attimo prima che si svegliasse. Un brutto scherzo della mente.
 
Liberò un sospiro e si sollevò, tenendo i vestiti davanti a sé, stretti al petto, come una specie di scudo.
 
"Tu, comunque, puoi restare qui finché vuoi, poi...poi mi faccio sentire io."
 
Aggiunse con voce più morbida ed un sorriso appena accennato, stavolta guardando in direzione della propria ospite, alla quale comunque non diede modo di replicare perché si infilò in bagno dopo una frazione di secondo. Chiuse la porta a chiave, premurandosi tuttavia di far girare la chiave nella toppa nel modo più delicato possibile, così che la ragazza inglese non se ne accorgesse e non si offendesse di conseguenza, esattamente come quando, da adolescente, sgattaiolava in bagno mentre i propri genitori dormivano e cercava di essere silenziosissimo per evitare di svegliarli. Confortato da quella barriera, si concesse di tirare un sospiro di sollievo.
 
Il bagno, tuttavia, era stretto e lungo, piuttosto asfissiante perfino in condizioni normali, e lui già si sentiva soffocare, dunque depositò in malo modo i vestiti sul porta-asciugamani e si diresse a passo svelto verso l'unica finestra della stanza, che spalancò con un gesto ampio e sicuro. Secondo la sveglia che aveva da poco trillato dovevano essere quasi le sette del mattino, ma il Sole non sembrava essere intenzionato a fare il suo lavoro: il cielo, infatti, era grigio, zeppo di nuvoloni che non lasciavano spazio nemmeno per un piccolo raggio e che lasciavano cadere pesanti e fitte gocce d'acqua.
 
Mimì si sporse leggermente verso l'esterno e si lasciò accarezzare da quelle gocce, respirando a pieni polmoni l'aria fredda e pungente, sperando in quel modo di riprendere contatto con ciò che davvero aveva intorno.
 
"Solo un sogno. È stato solo un sogno, nulla di che."
 
Disse tra sé e sé, a voce bassa ma risoluta, compiendo uno sforzo immane per ignorare il doloroso fastidio tra le gambe che, invece, rendeva quel sogno decisamente reale. Avrebbe potuto accettare la proposta di Juliet -ah, ecco come si chiamava, ma certo! La sera prima aveva perfino scherzato sul fatto che avrebbe potuto essere il suo Romeo e lei aveva riso, cristallina, coprendosi le labbra con la mano-, ma in cuor proprio sapeva che non era giusto sfruttarla per soddisfare una passione che non era indirizzata a lei, anche se lei non l'avrebbe mai scoperto -era un fimminaro, sì, ma con un'etica!-, e poi...e poi non gli sembrava giusto nemmeno nei confronti di Salvo, sostituirlo con un'altra persona. A quel pensiero arricciò il naso in una smorfia di disappunto: ma cosa andava farneticando? Lui e Salvo non avevano una relazione, non aveva nei suoi confronti nessun obbligo di fedeltà sessuale!
 
Basta, doveva smettere di pensare a quel sogno, che in quanto tale non significava proprio niente, e per farlo non c'era niente di meglio di una doccia.
 
Si sfilò la vestaglia, entrò nella cabina dai vetri butterati e, sotto un getto freddo -insolito per lui che amava le docce calde, ma in quella situazione lo ritenne più adatto- cominciò a darsi piacere tenendo gli occhi puntati su una piastrella -era meglio evitare di chiuderli, così da scacciare il pericolo di immagini indesiderate-, il labbro inferiore stretto tra i denti per non emettere alcun suono e movimenti rapidi e precisi, ben poco passionali, ma che facevano il loro dovere in poco tempo; di conseguenza anche il piacere che procuravano era blando ed effimero, ma forse era meglio così.
 
Si lavò con cura, si vestì e dopo essersi dato una controllata allo specchio per assicurarsi di essere quantomeno presentabile, rigirò la chiave nella toppa con la stessa premura ed uscì a passo felpato dal bagno. Vide Juliet distesa a letto, sommersa dalle coperte, e ne udiva il leggero russare: si era riaddormentata, il che per fortuna gli evitava altri confronti. Indossò in fretta anche il cappotto e senza indugiare ulteriormente lasciò l'appartamento e si infilò nell'insolito freddo siciliano.
   
 
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