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Autore: Melisanna    04/01/2024    0 recensioni
[Fred Vargas (serie del commissario Adamsberg)]
Mentre uno stira ha sempre troppo tempo per pensare.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia Scritta per il Secret Santa sulla paginNon solo Sherlock - gruppo eventi multifandom per Chiara Quargnolo.
 
Nelle Trame dei Silenzi
 

Marc strofinò il tessuto impalpabile della camicetta tra indice e pollice “Sembra seta, ma potrebbe essere anche poliestere, secondo te cos’è, Mathias, seta o poliestere?” 
 
L’archeologo sollevò il capo dai frammenti di selce che stava dividendo secondo una catalogazione chiara solo a lui “Non so. È importante?”
 
Marc si strinse nelle spalle ossute “Marthe dice che devo sempre sapere la composizione prima di stirare”.
 
Lucien, che il freddo aveva stanato dai suoi alloggi al terzo piano e avrebbe dovuto sbucciare le patate per la cena, ma non resisteva alla tentazione di immischiarsi negli affari altrui, gli si avvicinò per spiare da sopra la sua spalla sinistra “Ci sarà un’etichetta. Le etichette sono fondamentali, raccolgono tutte le informazioni importanti: nome, cognome, reggimento…”
 
Marc lo spinse via “Ma questa non è una delle tue maledette uniformi, è una camicetta di seta – o forse poliestere – della signora Deverneaux”.
 
“Ci sarà comunque un’etichetta, ci sono sempre delle etichette, composizioni, metodo di lavaggio, un’etichetta racconta tutto quello che c’è da sapere”.
 
Marc, che ormai stirava due ore tutti i giorni da sette mesi e iniziava a sentirsi piuttosto ferrato sull’argomento, si infervorò “Marthe mi ha insegnato tutto quello che c’è da sapere sulle etichette. Su questa camicetta non ci sono etichette, perché, guarda un po’, è trasparente e si sarebbe vista, quindi è stata accuratamente asportata, probabilmente con un paio di forbicine da unghie”.
 
“Ah! Gravissima infrazione della disciplina! Modificare un capo di abbigliamento secondo le proprie esigenze personali!”
.
“Lucien, chiudi il becco” intervenne Mathias “Marc, se hanno tagliato l’etichetta, sapere con precisione la composizione non dovrebbe fare tutta questa differenza, no?”.
 
“Userei comunque il ferro al minimo, però a me sì, cambia, cambia tantissimo. Il poliestere… di poliestere ne stiro tutti i giorni, ma se fosse seta al 100%, la seta al 100% è un altro discorso. Con la seta devi essere prudente. La seta è costosa ed è infingarda. Basta un niente e ti viene subito una pieghina lì, una qui e poi a levarle è un disastro. E se dovessi bruciarla? Sai quanto costa una camicetta così di pura seta al 100%? Nono, se fosse seta al 100% sarei in preda all’ansia. Non si sa mai cosa può succedere con la seta”.
 
“È colpa di questa tua mancanza di nerbo se non riesci mai ad arrivare in fondo a nulla. Sei un pavido, non so come avresti fatto a sopravvivere nelle trincee! Fa’ fare a me, come soldato ho dovuto imparare a stirare tutto”.
 
“Vade retro, Lucien” Marc lo minacciò col ferro da stiro “Le trincee le lascio a te, ma i panni sono miei e tu non ti ci avvicinare”
 
Mathias si alzò e, lento e inesorabile come una valanga, si avvicino, appoggiò una mano sulla spalla di Lucien, lo guidò fino al tavolo e lo fece rimettere a sedere “Marc, facciamo che è poliestere, va bene?”.
 
Marc appoggiò la camicetta sull’asse, l’inumidì con un diffusore, aveva proclamato che non avrebbe mai fatto uso dei ferri a vapore e cominciò a stirarla con la maggior delicatezza possibile “Vuoi dire che se mi convinco che è poliestere, sarà come se lo fosse veramente? Che la mia convinzione potrebbe cambiare il mondo? Non sono sicuro di approvare questa linea di pensiero, mi sembra un po’ troppo illuminista. Certo, se tu mi dicessi che si tratta della mia fede, allora, sì potrei condividere, anche se, in cosa esattamente dovrei avere fede? Perché non mi sento particolarmente credente in questo periodo della mia vita. So che questo mi mette in odore di eresia, ma non credo di rischiare di incontrare un Simone de Monfort nella Parigi del XX secolo”.
 
“Marc” lo chiamò Mathias.
 
Marc alzò la testa per fissare gli occhi scuri in quelli chiari e placidi di Mathias “Facciamo solo finta che sia poliestere. E attento al ferro”.
 
Marc riabbassò gli occhi e sollevò di scatto il ferro, con un’imprecazione.
 
Mathias tornò a occuparsi dei suoi reperti e Lucien si dedicò a pelare le patate, anche se Marc sentiva un borbottio nervoso continuare a provenire dal suo capo del tavolo.
 
Si concentrò sui panni, ma nel silenzio i suoi pensieri erano liberi di vagare e questo non era un bene, perché finiva per pensare a cose a cui non voleva pensare. Quasi avrebbe preferito che Lucien partisse con una delle sue arringhe, almeno lo avrebbe distratto. Anche se avrebbero quasi sicuramente finito per discutere, ma anche discutere con Lucien sarebbe stato meglio che avere i pensieri liberi di vagare, perché così, invece, con i pensieri liberi di vagare, finiva per rimuginare e se rimuginava si faceva prendere dall’ansia.
 
E quando si faceva prendere dall’ansia, finiva per fare cose stupide.
 
Come quando aveva seguito il figlio del Reno fino Saint Nicholas per fargli da gamba destra o quando si era preso il bambolotto di Marthe in casa – ed era ancora sicuro che fosse un assassino! – solo perché glielo aveva chiesto lui e gli aveva persino prestato i suoi vestiti.
 
Il figlio del Reno non doveva nemmeno fargli la faccia da goto merovingio che si appresta ad affrontare gli unni, la faccia che gli induriva i lineamenti trasformandolo in una maschera grave e spietata, perché Marc facesse quello che voleva. Non doveva nemmeno chiederglielo.
 
Marc lo faceva e basta.
 
E così adesso ci stava pensando. Aveva lasciato i pensieri liberi di vagare e ora si trovava a rimuginare.
 
Rimuginare era pericolosissimo. Uno finisce per chiedersi di tutto. E così poi si fa prendere dall’ansia.
 
Cosa stava facendo il figlio del Reno in quel momento? Era alla panchina 107? O forse si era fermato a parlare con Vincent alla 102? Stavano ancora dietro al figlio del deputato?
 
Marc non aveva letto niente in proposito sui giornali, perciò probabilmente sì. Sarebbe uscito sui giornali quando Kehlweiler avesse sminato. Ci avrebbe pensato Vincent. Ovviamente Kehlweiler si teneva un contatto come Vincent, un giornalista fa più comodo di un medievista esperto in economia domestica a uno sminatore.
 
A un giornalista puoi chiedere di passare giorni seduto su una panchina, al freddo, in attesa di una notizia. Un giornalista sa come fotografare gli indiziati di nascosto. Soprattutto un giornalista può scrivere. Può scrivere articoli che altri leggeranno.
 
Un medievista riconvertito all’economia domestica può essere una buona gamba destra, se ti capita di avere un ginocchio rovinato, ma a parte quello? Ovviamente uno poi preferisce un giornalista.
 
O un cacciatore raccoglitore semmai, anche Adamsberg aveva mandato a chiamare Mathias, l’ultima volta e il figlio del Reno si fidava di Mathias. Tutti si fidavano di Mathias che vedeva al buio e poteva sentir passare un treno a Parigi dal Sahara.
 
E in ogni caso a lui non importava affatto che Louis/Ludwig Kehlweiler si fidasse di lui e non avrebbe certo passato le giornate seduto su una panchina a guardare passare cani e a prendere appunti un’altra volta.
 
Una volta basta e avanza. Era un bene che il figlio del Reno non glielo avesse più chiesto, perché non lo avrebbe fatto. Non avrebbe neanche avuto tempo impegnato com’era col Medioevo la mattina e con le pulizie il pomeriggio.
 
Era solo contento che il figlio del Reno non lo convocasse più per le sue indagini. E neppure per mettergli in ordine l’archivio, anche se ci sarebbe stato ancora tanto da fare e lui era molto bravo con gli archivi, questo non poteva negarlo nessuno. E almeno per quello Kehlweiler lo pagava e a lui i soldi avrebbero fatto comodo, perché né con il Medioevo né con le pulizie si diventava ricchi. La topaia era sempre una topaia.
 
Ma era meglio non averci a che fare per niente con il figlio del Reno, anche se si perdevano soldi, perché poi finiva che quello ti appoggiava una mano su un braccio, così per caso e tu ti ritrovavi su una macchina diretta a Névers senza nemmeno sapere come ci eri salito.
 
Era terribile come ti metteva la mano sul braccio il figlio del Reno. Spaventoso. Facevi qualsiasi cosa volesse e gli dicevi qualsiasi cosa quando ti toccava in quel modo. Ovviamente doveva essere di fronte a te, con quegli occhi verdi ombreggiati dalle ciglia nere e lunghissime che ti fissavano, perché se era di profilo ti accorgevi che assomigliava a una di quelle teste severe sulle monete. Ma se era di fronte non avevi scampo.
 
Avresti fatto e avresti detto qualsiasi cosa perché non smettesse di guardarti.
 
Marc lisciò con la mano la gonna di lana che stava stirando – temperatura un pochino più alta che per la seta, ma poco e niente acqua che se no si infeltrisce. Questo flusso di pensiero era pericoloso. Pericolosissimo. Stava diventando sempre più simile a un rimuginamento.
 
Se inizi a pensare alle cose che fai per il figlio del Reno, poi finisci a chiederti perché le fai e questo non va bene, non va assolutamente bene.
 
Poi succede che ti dai delle risposte. Magari anche a domande che non ti sei fatto.
 
O magari sì. Magari si era fatto anche quella domanda. Il figlio del Reno sosteneva che bisognava chiederselo sempre e lui aveva rispettosamente osservato quella massima, scoprendo che spesso le risposte lo sorprendevano – non tutte le belle donne erano un sì, non tutti gli uomini erano un no, alcuni erano un sì in certi momenti e un no in altri, alcuni solo quando erano di buon umore, altri solo quando piangevano.
 
E ora si stava facendo prendere dall’ansia. Lo sapeva che gli sarebbe venuta l’ansia. Perché va bene chiederselo sempre, ma ci sono delle situazioni in cui preferiresti proprio non saperlo, o almeno fare finta di non saperlo, perché poi ti viene l’ansia e se ti viene l’ansia finisce che fai delle cose stupide e non doveva farlo.
 
Era molto meglio continuare a stirare, stirare e smettere di rimuginare e non dire niente. E concentrarsi su quei pantaloni con la riga che viene sempre storta se non fai attenzione.
 
Ma come si fa a smettere di rimuginare una volta che sei andato in ansia e stai stirando e i pensieri sono liberi di vagare e nemmeno Lucien dice niente?
 
È difficile, difficilissimo, praticamente impossibile.
 
“A me sono sempre piaciute le donne” proclamò Marc col ferro in mano, accuratamente sollevato per non bruciare l’imbottitura dell’asse.
 
Mathias distolse gli occhi dal frammento di selce che stava spazzolando e lo fissò educatamente.
 
Lucien invece ne approfittò per abbandonare le patate “Il sesso tra uomini che si ritenevano eterosessuali è attestato in tutti gli ambienti militari durante la Guerra. Gli studi hanno rivelato complesse culture omosessuali negli ambienti per necessità privi di donne…”
 
“Non siamo in trincea, Lucien. Ci sono tutte le donne che potrei volere fuori di qui” Marc appoggiò il ferro in verticale sul mobile di cucina, sbattendolo in preda al nervosismo.
 
Lucien superò la distanza che li divideva in due rapidi passi e torreggiò su di lui, fissandolo negli occhi inquisitorio “Quindi stai dicendo che incedi in pratiche sodomitiche per tua libera scelta?”.
 
“Incedere in cosa? Per Dio, Lucien, non riesco nemmeno a rispondere alla domanda, nemmeno riesco a chiedermelo tanto mi stressa questa cosa”.
 
“Chiederti cosa?” Mathias aveva appoggiato la felce e li osservava con le mani in grembo con placida attenzione.
 
“Se ci farei sesso. E ora naturalmente lo sto facendo! Hai visto cos’hai fatto?” Marc si sedette in terra e nascose la testa fra le braccia.
 
Lucien con rapida efficienza, frugò nel suo zaino militare e ne cavò una borraccia di metallo, mentre Mathias si andava a sedere a gambe incrociate di fronte a Mathias.
 
Lucien stappò la borraccia e picchiettò sul braccio di Marc col suo ventre panciuto “Bevi”.
 
“Non mi va” la voce di Marc uscì soffocata dall’intreccio di braccia e gambe.
 
“Bevi e basta. È un’emergenza e quando c’è un’emergenza si beve!”
 
A questo Marc non era in grado di ribattere, perciò sciolse l’intreccio, prese la borraccia e bevve. Poi tossì, perché era molto forte.
 
Bevve di nuovo, perché l’ottundimento mentale a cui avrebbe potuto condurlo l’ubriacatura era assolutamente auspicabile in quell’evenienza.
 
Mathias gli levò la borraccia dalle mani, prima che bevesse un terzo sorso “Quindi la risposta è sì?”
 
“Sì, sì, sì” Marc affondò il viso nei palmi delle mani.
 
“Chi è?” chiese Mathias nella sua calma imperturbata.
 
Marc rifiutò al suo cervello il permesso di rispondere. Non avrebbe neppure pensato alla risposta.
 
Lucien si sedette sui talloni accanto a Mathias “Non è nessuno dei presenti, vero?”
 
“No, certo che no!” Marc esplose fuori dalle mani, dimentico del nervosismo per l’indignazione.
 
“Meno male, sarebbe stato imbarazzante” rispose serafico Lucien “Meglio non intrattenere rapporti intimi coi commilitoni”
 
“È Kehlweiler, vero?” Mathias lo studiava come avrebbe fatto con un terreno incolto, sotto cui sospettasse trovarsi una necropoli.
 
Marc lo fissò assorbendo le sue parole. Solo dopo qualche secondo iniziò ad annuire e si coprì gli occhi col palmo delle mani “Merda. Era così ovvio? Che casino. Lo sapevi già? Da quanto lo sapevi?”
 
Mathias si strinse nelle spalle “Dalla prima volta che vi ho visti insieme, immagino. O dalla prima volta che ne hai parlato. Solo quelli con cui vorresti fare sesso ti rendono così nervoso”.
 
Tutti mi rendono nervoso. Anche Marthe mi rende nervoso e ti assicuro che non ho nessuna voglia di farci sesso”.
 
“Marthe ti spaventa, è diverso. Quando una ti piace diventi nervoso e inizi a preoccuparti che si accorgerà che sei nervoso e così diventi ancora più nervoso”.
 
“Solo che il figlio del Reno non è una”.
 
“No” convenne Mathias.
 
“Bene” Lucien si alzò in piedi e si stirò “Ora che siamo tutti d’accordo che Marc vorrebbe fare sesso con Kehlweiler, posso finire di preparare la cena. C’è sempre qualcuno con cui Marc vuole fare sesso. La cameriera carina dei Trois Pas o la signora di Place de la Concorde a cui stira i panni”.
 
Marc annuì senza sollevare la testa dai palmi delle mani. Mathias non si mosse “Ma non è tutto qui, vero?”
 
“Ah! Segreti di Stato!” Lucien tornò ad accucciarsi “Parla!”
 
Marc non rispose. Mathias appoggiò una mano sulla spalla di Lucien “Non ce n’è bisogno. L’ha fatto all’inizio”. Si rivolse di nuovo a Marc “Non hai detto ho sempre voluto fare sesso solo con le donne, hai detto mi sono sempre piaciute solo le donne”.
 
Marc si strofinò il viso e poi lasciò cadere le mani e li guardò in faccia, prima l’uno poi l’altro “Devo proprio dirlo? Avrei potuto continuare a fare finta di nulla se tu non ti fossi messo a scavare. È quello il difetto di voi cacciatori raccoglitori, quando trovate una pista non la mollate più, che bisogno c’era? Stavo riuscendo benissimo a non farmi domande e a non ascoltare le risposte”.
 
“Sei stato tu a parlare”.
 
“Perché ho iniziato a rimuginare! Quando c’è troppo silenzio rimugino e vado in ansia e così alla fine faccio cose stupide. Dovresti saperlo. Anche tu dovresti saperlo” aggiunse rivolto a Lucien “Avresti potuto dire qualcosa, così non mi sarei messo a rimuginare. Non fai altro che parlare, non potevi parlare anche oggi?”
 
Lucien scrollò le spalle “Preparare il rancio mi assorbe completamente”.
 
“Così adesso mi tocca dirlo e non potrò fare più finta di niente, ma tanto non potrò fare niente lo stesso. Ma mi tocca di dirlo, perché ormai lo so. Quando il figlio del Reno mi guarda da sotto quelle ciglia spesse e mi tocca un braccio con la mano potrei fare qualsiasi cosa per lui, perché mi piace moltissimo, quasi come… quasi come se ne fossi innamorato”.
 
“Bene” Mathias si alzò con un unico movimento fluido “Ora che l’hai ammesso possiamo tornare a fare quello che stavamo facendo”.
 
Lucien, invece, si sporse ancora più verso Mathias, fissandolo attraverso i ciuffi castani con i suoi occhi febbricitanti “E adesso soldato? Hai intenzione di non fare niente? Di restare qui nelle retrovie a compatirti, invece che prendere il fucile e andare all’attacco?”
 
Marc si tirò in piedi, si spolverò i pantaloni, rimboccò la camicia e raddrizzò la fibbia argentata della cintura “Cosa vuoi che faccia? Esca a farmi sparare? Louis ha tutte le sue Pauline. Non so nemmeno se gli piacciano gli uomini e se gli piacessero i giornalisti sono comunque più utili dei medievisti disoccupati”.
 
Lucien si alzò a sua volta e gli batté con un dito sul petto “Ricordati che se non scegli tu il momento di attaccare, sarà il nemico a farlo. L’effetto sorpresa è fondamentale se speri di aver successo in una sortita”
 
Marc spalancò le braccia “Altro che effetto sorpresa a Louis verrà un colpo, se vado lì e gli dico che sì, vorrei davvero fare sesso con lui e fare anche colazione insieme giù al bistrot di Bois de La Colombe la mattina dopo. Gli verrà un colpo e dopo mi dirà che sono un ragazzino, mi darà un buffetto sulla testa e mi indicherà la via di casa”.
 
“Pauline ha un anno più di te” interloquì Mathias, che aveva ricominciato a tastare frammenti di selce.
 
“Ma è una Pauline!” quasi gridò Marc agitando le braccia per la frustrazione “Con quell’aria severa e gli occhi grigi. Chiunque ci farebbe sesso. Ma con me? Non mi prenderei neppure io!”
 
“Secondo me non sei così male, soprattutto quando la smetti di farti troppi problemi e agisci” Lucien si era messo le mani in tasca e si dondolava sui talloni, guardandolo “In trincea avresti avuti molti ammiratori”.
 
Marc gli rivolse uno sguardo assassino, ma non ribatté. Si limitò a prendere il ferro e a rimettersi a stirare. Stirò altre due camicie e un paio di pantaloni. Nel silenzio che era calato nuovamente, a parte per il canticchiare di Lucien mentre preparava il rancio, era impossibile continuare a fare finta di niente. Non avrebbe più potuto fare finta di niente. Non poteva fingere di non essersi fatto domande e di non sapere le risposte.
 
Aveva tutto lì, sotto il naso, come i sacchi di grano che il conestabile di Hugo de la Puisaye faceva sparire dai conti del suo signore. Voleva vedere il figlio del Reno, voleva che lo guardasse con quei suoi occhi bistrati, che gli toccasse un braccio con la mano e gli chiedesse di fare qualsiasi cosa, perché voleva fare qualsiasi cosa per il figlio del Reno. Voleva che lo toccasse dappertutto con quella mano. Voleva toccarlo dappertutto.
 
Staccò la presa, divise ordinatamente in due pile i panni stirati e quelli ancora da fare e appoggiò l’asse contro il muro.
Salì in camera, prese la sua giacca preferita, nera e attillata come tutte le altre e ridiscese. Afferrò la borraccia che Lucien aveva lasciato sul tavolo e bevve un lungo sorso.
 
“Esco, se non torno dividetevi la mia cena”.
 
Mathias e Lucien lo seguirono con lo sguardo.
 
“Si è deciso, finalmente” commentò Mathias.
 
“La sua parte me la mangio io” ribatté Lucien.
  
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