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Autore: oscar 82    07/01/2024    1 recensioni
“Cosa pensi?”, chiede infine il Re.
“Che, se fossi cieco, ti riconoscerei dal tuo profumo”.
Coglie il suo sorriso tra le pieghe del buio che li abbraccia. Del fuoco oramai restano soltanto le braci.
“E quale sarebbe, sentiamo?”
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E anche questa serie di one shot - legate tra loro da un filo sottile che si dipana dall'una all'altra - arriva alla conclusione, con l'ultimo disegno che mi permetteva di costruire una trama. Grazie di cuore, sempre, a tutti coloro che hanno letto. 
Nda: il titolo è un riferimento a un passo della "Canzone di Achille", di Margaret Miller.



 
La notte stringe il bosco in una morsa di nebbia umida e densa, un mantello che avviluppa e sigilla la terra finché il sole non tornerà alto a sfilarselo di dosso.
 
È una primavera che tarda ad arrivare.
 
Merlin allunga la mano verso il fuoco, la magia che si dirama crepitante dalle sue iridi fino a raggiungere i ciocchi, rinvigorendone la fiamma che dipinge il buio di calore. 
La luce del fuoco evapora leggera a fendere l’ umido circostante e si proietta sul corpo disteso e immobile di Arthur, a meno di un braccio da lui.
 
Lo sta osservano da almeno mezza clessidra. 
 
Non gli ha detto perché ha voluto aggiungersi così, repentinamente, alla missione. Tutto era già prestabilito affinché soltanto lo stregone raggiungesse la regina Annis, dopo la missiva arrivata a Camelot da Caerleon.
 
Non una parola, ma Merlin capisce perfettamente quando non può discutere con Arthur. Gli basta osservare il suo viso, le ombre inespresse tra le linee di una mappa che oramai legge meglio di qualsiasi altra abbia mai consultato. 
 
Si limita a scrutare la sua figura, apparentemente rilassata e arresa al sonno, tanto che chiunque potrebbe dire che il Sovrano stia riposando malgrado la brina, accarezzato dal rinnovato tepore.
 
Chiunque, ma non Merlin.
 
Sa perfettamente che il Re è sveglio. Lo sa, come sa ogni cosa di lui.
 
Merlin riconosce il passo di Arthur dal modo in cui l’aria si muove intorno a lui, da come il terreno vibra sotto i suoi piedi.
Può contare i respiri, i battiti assordanti del suo cuore durante un agguato, può scrutarne ed elencarne i pensieri -  persino quelli di cui Arthur stesso non è consapevole.
 
Può anticipare ogni sua mossa.
 
Lo farebbe anche senza magia. Se la Triplice Dea lo rendesse improvvisamente mortale - portandogli via sangue, ossa e destino - continuerebbe a riconoscerlo dall’oltretomba.
 
Arthur è scritto sulla sua pelle, intriso nel profondo delle sue carni e dei suoi umori vitali, è l’essenza che anima la sua magia plasmandola in dono e maledizione.
 
Respira a fondo e tende appena una mano in direzione del Sovrano.
 
La magia lascia la punta delle sue dita in filamenti dorati e setosi, una trama esile e potente a lambire i contorni della sua schiena nei punti che sfuggono alle pellicce. 
 
Arrivano e sfiorano come un alito caldo e stemperante, rilassano e rassicurano tanto che dopo un po’ il Re libera un sospiro, come di chi sta lasciando andare un peso insostenibile.
 

“Se proprio volevi unirti a noi, avresti dovuto darmi il tempo di preparare la tenda, invece di deciderti quando già eravamo alle porte del castello”,

rompe il silenzio lo stregone, pronto al suo sbuffo di disappunto.
 

“Dormo all’adiaccio da quando ero un bambino, Merlin", 

la voce di Arthur accarezza e spinge fuori il suo nome - in quel modo che non manca mai di irritarlo e stringergli il cuore allo stesso tempo.
 
Il Re non si volta, tuttavia.
 

“Beh, spero di averti aiutato, almeno a scaldarti un po'”


fa, semplicemente aspettando
 
Ci sono cose di Arthur che non cambieranno mai, nemmeno ora che il loro rapporto si è trasformato radicalmente. 
 
Una di queste è la necessità di uscire dal suo bozzolo secondo i suoi tempi, di trovare le misure per costruire parole che non vorrebbe mai pronunciare, che preferirebbe tenersi dentro fino a esserne divorato pur di non dar loro vita.
 

“Come lo sapevi? Che non dormivo”,

si è messo supino, il profilo nella semioscurità incide la notte con le sue fattezze, affilate come la lama del guerriero che romba in lui anche quando cerca la quiete.
 
Merlin curva le labbra in una sorta di sorriso a sé stesso. 
 

“So tutto di te. Non mi serve vedere”, 

perché sei mio, sei una parte di me, non dice.
 
Allunga un braccio verso il Re, senza toccarlo. Le dita restano aperte, il dorso a lambire il terreno brumoso. 
Dopo un po’, l’inconfondibile calore della pelle di Arthur si posa sul suo palmo. Le dita combaciano e si intrecciano. 
 

“Vieni vicino”,

lo sente ordinare – ma la voce traballa, ingoia emozione.
 

“Lo sono già”.
 
Più vicino. Accanto a me”,


insiste.
 

“Arthur”,


il mago si irrigidisce.

“Siamo circondati dai Cavalieri”.

 
La stretta del Re si intensifica. 
 

“Nulla di ciò che vedrebbero li sconvolgerebbe”

sentenzia, e Merlin in fondo sa che non sta mentendo. 
Sono avvezzi a considerarli una sola entità, tanto che qualcuno di loro - Gwaine con certezza - potrebbe aver colto persino la loro intimità  pericolosamente cambiata.
 
Lo stregone allora si sistema al suo fianco, premuto a lui come soliti fare anche in passato nei mesi più rigidi. Le mani non vogliono saperne di sciogliersi,  scivolano nascoste sotto le pellicce, lontano da sguardi altrui.
 
Il Sovrano inala per la seconda volta un respiro lungo e sofferto.
 
“Non troveremo nulla a Caerleon che io non possa sistemare con la magia, Arthur. Morgana non è così stupida da fronteggiarci in queste circostanze. Non ha ancora abbastanza alleati”, 

il mago inizia, il tentativo di tranquillizzarlo non è altro che la strada indiretta per giungere al suo reale malessere.
 

“Non è per questo che sono qui. Mi fido ciecamente di te, non ho bisogno di controllarti”.

 

“Allora dimmi perché. So che si tratta di Gweneviere”,

incalza.
 
Il Re si volta per guardarlo, gli occhi spalancati nel buio – ma dura soltanto un attimo, perché glielo ha già ribadito, no? Merlin conosce tutto di lui.
 
Sente il suo corpo scosso da un leggero brivido, un tremito che preannuncia una ferita già aperta e infetta.
 

“È sempre lo stesso argomento. Il bambino che non concepiamo”.

 
Le poche parole di Arthur si dilatano, cariche, opprimenti. Le viscere di Merlin si accartocciano in preda a un’ondata di nausea – la solita che lo investe, pensando ad Arthur e Gwen insieme.
 
La mano libera raschia l’erba quasi a scavare un solco nel terreno sottostante.
 

“Non siete i primi a incontrare difficoltà. Ma siete giovani, sani. Succederà”,


replica.
 
Si costringe a pronunciare quelle frasi banali, perché entrambe le opzioni – sia che Arthur abbia un figlio da Gwen, sia che non lo abbia – alimentano disperazione e senso di colpa.
 
 
Ma Arthur sta scuotendo la testa, sul viso appare un sorriso amaro.
 

“No. Io… Noi…”

inspira, in un fascio di nervi,

“Non posso. Non posso stare con lei mentre ho te in testa. Mi sembra di esserti infedele”.
 

Lo stregone balza seduto. È così repentino, immediato che neanche se ne accorge. Due dischi di puro oro si fissano sul volto del Re che ricambia lo sguardo con la stessa intensità, come se volesse ardere anche lui alla stessa maniera. 
 

“Tu non sai cosa stai dicendo”,

la voce di Merlin sibila e taglia, come il più pericoloso e mortale dei serpenti,

“lei è la tua legittima moglie. È a lei che sei infedele, è lei che tradiamo, da mesi”.

 
Si stacca da Arthur, le mani a coprire il viso, la furia che si agita pericolosamente sotto la punta delle sue dita e no, non vuole perdere il controllo, non in questo modo.
 
La sua magia non cede alle emozioni. La sua magia è un dono per Arthur. 
 
È il tocco caldo del Re - estate perenne anche al gelo - che gli libera gli occhi, lo costringe dolcemente a incontrare i propri e lo placa. 
 
Il potere riconosce il suo padrone e si doma, docile, ma le iridi di Merlin faticano a ritrovare il profondo blu zaffiro in mezzo al magma. 
Bruciano tormento mentre incontrano quelle del Sovrano.
 
“Devi smetterla. So cosa stai facendo, cercando di addossarti tutta la colpa. Non è così: io sono responsabile delle mie azioni, io ho bisogno di stare lontano da lei ora e sono io che voglio te. Sono io, Merlin. Maledizione, non ho bisogno di assoluzione”.
 
Il tono di Arthur è perentorio e addolorato allo stesso tempo - mentre in qualche modo riesce a avvicinarlo di nuovo a sé, cingendolo senza incontrare opposizione. 
 
Merlin si abbandona, trattenendo con forza le lacrime che non lascerà cadere. Lotta invano, alla ricerca di qualcosa da dire. 
 
Nessuna parola, nessuna frase di quelle che gli soffocano in gola può spiegare. 
 
Hanno intrapreso un percorso spinato dal quale nemmeno il destino – nemmeno il Fato scritto dalla notte dei tempi – riuscirà a tenerli lontani. 
 
Lo stregone non è in grado di confortarlo come vorrebbe, non adesso. 
 
Può essere il suo baluardo, per tutto –  armi, congiure, la follia di Morgana. Ma per  la  dipendenza totalizzante e velenosa che li sottomette,  per quella … non conosce fortezza che possa resistere.
 
Arthur accoglie il suo silenzio come un balsamo. 
 
L’unica medicina è stare l’uno accanto all’altro, perdersil’uno nell’altro, annullando i loro confini perché – qualsiasi cosa accada, qualsiasi – saranno sempre un solo essere.
 
Il naso di Merlin scivola nell’incavo del suo collo, là dove la pelle più sottile cambia in una lieve ruvidezza. Inspira profondamente a cogliere tutti gli odori così suoi, così perfettamente Arthur.
 

“Cosa pensi?”,

chiede infine il Re.
 

“Che, se fossi cieco, ti riconoscerei dal tuo profumo”.

 
Coglie il suo sorriso tra le pieghe del buio che li abbraccia. Del fuoco oramai restano soltanto le braci.
 

“E quale sarebbe, sentiamo?”

 
Lo stregone appoggia tre dita sul collo del Sovrano, nel punto in cui il suo battito pulsa vigoroso e potente, la vita che palpita sotto i suoi polpastrelli.
 

“Profumo di caldo. Di giornate assolate e torride, che ti accecano e ti sfiancano. Ma che nutrono la terra, la rigenerano”,


inizia.

 
Le dita risalgono, si immergono nella chioma bionda.
 

“Di oli di lavanda e salvia, che si trasformano in seta, qui”


e accarezza piano quasi a volergli rubare quella morbidezza dai capelli. 
 
Arthur deglutisce una, due volte. I suoi occhi si chiudono, beandosi di quel contatto.
 
Le mani dello stregone si spostano sui polsi del Re e li stringono.
 

“Di cuoio e lame. Acre, forte, intenso. Pericoloso. Di lotta, di fatica”,


continua, sfiorandogli i palmi nei punti in cui la pelle è spessa, segnata dall’elsa di Excalibur.
 

“Di passione. Leale, generosa. Travolgente. Una passione che arde e brucia ma non lascia cenere. Solo pace”,


e appoggia le dita sul cuore, che ora corre come impazzito.
 
Lo sguardo di Merlin si posa sulle sue labbra. Arthur sobbalza e sgrana gli occhi quando sente il suo indice tracciarne la curva morbida e piena.
 

“Di miele e vino. Dolce e inebriante, una droga di cui potrei morire, senza accorgermene”,


appena un sussurro roco che va a spegnersi sulle loro bocche, sigillandole insieme.
 
Il Re reprime un gemito acuto e trasforma il bacio casto in uno scontro che gronda desiderio. Lo afferra e lo trascina su di sé, l’attrito dei loro corpi strappa a Merlin un lamento di piacere. 
 

“Arthur…”

 

“Fa’ qualcosa. Perché non ci sentano, qualsiasi cosa”,


balbetta il re, le sue mani abili e impazienti già strattonano gli abiti.
 

“Arthur”


protesta lo stregone,

“non… posso usare la magia per …”.

 

“È un ordine, non una richiesta. Lei è mia, uhm? Allora fa’ come ti dico”


ansima, ma è così autorevole che Merlin non può che capitolare. 
 
Con un solo lampo d’oro - la bocca non riesce a staccarsi da quella del Re – la magia li avvolge in una bolla insonora e invisibile. In un battito di ciglia sono nudi, pelle contro pelle.
 
È tutto troppo eccitante e proibito per durare a lungo. 
Avere Arthur così -  implorante,  a due passi dai suoi uomini, nascosti e custoditi dal proprio potere - conduce rapidamente Merlin sull’ orlo del baratro. 
 
L’orgasmo arriva come un’ onda impetuosa, devastante che li fa precipitare entrambi, lasciandoli tremanti e a pezzi, completamente senza fiato. 
 
L’estasi lascia gradulamente il posto a un’ appagata spossatezza che li trova, coperti e in ordine come se nulla sia accaduto, nuovamente l’uno accanto all’altro. 
Il tepore delle pellicce – e del fuoco ravvivato dalla magia – rilassa le membra sazie e stanche. 
 
Ancora cullato dai sensi, Merlin percepisce il respiro del re tra la sua chioma corvina.
 

“Anche io imprimerò il tuo profumo nella mia memoria, per sempre”,


mormora.
 
Lo stregone sorride.
 

“E quale sarebbe, sentiamo?”

 

“Di fuoco. Di terra, di tutti gli elementi, potenti e inesorabili. Di blu, come l’abisso nei tuoi occhi. Di gentilezza”,


elenca lentamente il Sovrano, senza staccarsi dai suoi capelli.
 

“E poi?”

 

“Della tua pelle, pallida e divorante quando facciamo l’amore”,


sussurra, le labbra che lambiscono la curva delicata del suo collo, facendolo rabbrividire.
 

“Arthur…”,


Merlin tenta un’inutile protesta.
 

“Accadrà quello che deve, Merlin. Così sia. Voglio regnare, espandere i confini di Camelot con te. Litigare e fare l’amore. Sempre”.
 

Il mago chiude gli occhi, fingendo soltanto per un attimo che tutto questo – tutto ciò che Arthur sta chiedendo – non abbia un costo troppo alto da pagare.
 
Poi, abbracciato dal velo della notte e dall’inconfondibile profumo del suo Sovrano, scivola nel sonno che tutto zittisce.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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