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Autore: _ A r i a    11/01/2024    0 recensioni
[ ghost!au ]
Enji attraversa nuovamente la porta dello studio di Ryou, tornando finalmente a poter osservare Keigo. Forse non si è neppure accorto che è di nuovo in corridoio con lui, perché al momento ha il capo voltato di lato e osserva un punto nel vuoto fuori dalla finestra. Ha un'aria corrucciata, ed Enji lo nota sistemarsi una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio – il gesto che fa sempre quando ha bisogno di riflettere.
«Certo che ne sai di cose su Ryou», valuta Enji, infilando nuovamente le mani nelle tasche. «Voi due siete diventati parecchio intimi...»
Keigo si gira nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso scaltro. «Vuoi sapere se ci sono andato a letto?», gli chiede a bruciapelo, osservandolo con fare malizioso.
Per un momento, Keigo resta a osservare deliziato l'espressione di totale imbarazzo che si dipinge sul volto di Enji.
Poco dopo, però, torna a fissare il corridoio davanti a sé, l'espressione sul suo viso che si fa nuovamente seria. «Ad ogni modo, la risposta è sì», ammette, senza un'inflessione particolare nella voce. «Abbiamo una relazione, da un anno a questa parte.»
Enji sembra piuttosto infastidito dalla cosa. «Ah, beh. Sesso ed elettroshock. Avvincente», commenta, seccato.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, Rei Todoroki, Shōta Aizawa
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quando Hitoshi rientra a casa, è ancora mattino presto.
Infila le chiavi nella toppa cercando di non fare troppo rumore, per poi far scattare piano la serratura. Spinge il portone in avanti quel poco che basta per infilarsi nell’appartamento, per poi voltarsi in fretta a sigillare nuovamente l’ingresso con la stessa accortezza che ha impiegato per entrare.
Si sente un idiota per tutte le precauzioni che sta prendendo, e forse quella non è nemmeno la definizione giusta. È un po’ come se fosse un ladro in casa propria, ed è tutto così assurdo e ridicolo che gli viene da scuotere la testa per la frustrazione.
Ormai è quasi del tutto sicuro di essersela cavata anche stavolta, così ruota nuovamente su se stesso e fa per attraversare il corridoio e dirigersi in camera da letto – adesso ha proprio bisogno di farsi una lunga e rigenerante dormita, in effetti.
Nel momento in cui sta per tirare un sospiro di sollievo, tuttavia, si ritrova a sobbalzare sul posto. Shouta è in piedi ad aspettarlo, a pochi passi di distanza dalla soglia di casa, le braccia conserte.
«Mi hai fatto prendere un colpo!» Hitoshi vorrebbe urlare, ma sa che probabilmente, vista l’ora, a pochi passi di distanza da loro Eri sta riposando quieta nella sua cameretta. Per questo mantiene la voce bassa, sebbene sia comunque evidente il suo tono sorpreso, mentre posa una mano contro la parete e annaspa riprendendo fiato.
«Buongiorno anche a te.» Shouta lo ignora, lanciando un’occhiata al suo orologio da polso. «Hai passato di nuovo tutta la notte fuori.»
«Già. Ero in giro con degli amici e non mi ero accorto che si fosse fatto così tardi», biascica, stringendosi nelle spalle. «Adesso sono stanchissimo, forse faccio in tempo a dormire ancora per un’ora…»
Hitoshi riesce a malapena a resistere all’impulso di infilarsi il cappuccio della felpa: di solito lo fa sentire più sicuro, ma sa che sarebbe strano, dopotutto sono in casa. Cerca di avviarsi nuovamente lungo il corridoio, sperando che Shouta possa farsi bastare quella spiegazione – anche se, in cuor suo, sa già che non sarà così. Primo perché non può continuare a rifilargli ogni volta la stessa scusa con appena qualche variazione, e secondo perché è un poliziotto e le bugie è abituato a riconoscerle per mestiere.
Non fa in tempo a passargli davanti, infatti, che lo sente afferrarlo per il polso.
«È da quando abbiamo parlato fuori dal commissariato che ti comporti in maniera strana», commenta, e Hitoshi sa che nella sua mente c’è già un quadro abbastanza chiaro della situazione. «Mi è bastato nominare per mezzo secondo Hizashi perché tu diventassi evasivo, scostante. Hai detto che non sapevi dove fosse, ma il tuo comportamento mi fa sospettare tutt’altro. Hitoshi, che mi stai nascondendo? Dimmi la verità!»
Hitoshi si sente nel panico più totale. Prende a dimenarsi dalla presa di Shouta, finché, con uno strattone deciso, riesce a liberarsi.
«Oh, insomma, basta!», sbotta, esausto. Forse ha alzato troppo la voce, ma adesso non riesce a curarsene. «Questa è una cosa che dovete risolvere tra di voi. Vedete di non tirarmi più in mezzo.»
Non appena Hitoshi finisce di pronunciare quelle parole, si affretta finalmente ad attraversare il corridoio, fino a raggiungere la porta della propria camera da letto e serrandola con decisione dietro di sé.
Shouta, invece, resta immobile sul posto, le labbra socchiuse in un’espressione confusa.

È ormai mattina quando Enji riesce finalmente a tornare a casa di Keigo.
Quella testa di cazzo di Ryou gli ha giocato uno dei suoi scherzetti nient’affatto divertenti, facendolo apparire nel bel mezzo della caotica Shibuya, ben distante dalla grigia e desolante periferia dell’appartamento di Kaina.
La verità è che Enji è furioso. Prosegue a passo di marcia attraverso il tunnel coperto che collega il viale esterno al palazzo, anche se non sa bene cosa stia facendo. Vuole parlare con Keigo, ma non ha idea se sia ancora lì.
Per una volta sembra che la sorte sia dalla sua parte. Proprio in quel momento, infatti, vede il ragazzo uscire dal portone d’ingresso. Appena lo vede Keigo sembra illuminarsi, tanto che comincia a raggiungerlo quasi trotterellando. Mentre si avvicina, però, notando l’espressione di Enji il suo sorriso comincia lentamente ad affievolirsi.
«Che succede…?», domanda, con voce insicura, quando ormai si trova a pochi passi da lui.
Enji gli passa accanto senza nemmeno fermarsi, in preda a una rabbia accecante. «Avresti dovuto dirmi che rendermi corporeo ti avrebbe fatto del male», commenta, lapidario, continuando stoicamente a fissare un punto davanti a sé – ovunque, pur di non incontrare i suoi occhi. 
Per un momento Keigo resta fermo sul posto, confuso. «Come fai a sapere…», fa per domandare, le parole che tuttavia gli muoiono in gola mentre un lampo di consapevolezza gli attraversa il volto. «Hai visto Ryou?!»
Enji decide di ignorare come il tono di Keigo sia mutato da incerto a sicuro nel giro di pochi secondi. «Non è questo che conta, adesso», cerca di sminuire, seccato.
«Conta eccome, invece!» Keigo si affretta ad andargli appresso ma, notando che Enji non sembra avere alcuna intenzione di rallentare, alla fine è costretto a pararsi davanti a lui pur di farlo fermare. «Enji, che cazzo! Stiamo parlando del possibile assassino di mia madre!»
Enji sa che ha ragione, ma in quel momento si rifiuta di riconoscerlo. «Vedi di non rigirare la frittata», lo fulmina, rivolgendogli un’occhiata torva. «Quando avevi intenzione di dirmelo? Una volta esaurite tutte le tue energie o direttamente sul letto di morte?»
Keigo serra nervosamente le dita attorno alla tracolla della sua borsa. «Era un rischio ponderato», ammette, e stavolta è il suo sguardo a fuggire lontano da quello di Enji, mentre un sorriso gli fa capolino sul viso. «E comunque per me ne è valsa completamente la pena. Lo rifarei altre mille volte, se proprio vuoi saperlo…»
A quelle parole, l’espressione di Enji si addolcisce un poco. Si china appena verso il basso, i suoi occhi turchesi che finalmente incontrano quelli dorati di Keigo. «Non avresti dovuto farlo comunque», insiste, ma la durezza sembra essere sparita dalla sua voce. «Non ho mai voluto ferirti…»
Keigo sorride con dolcezza, la mano che istintivamente si avvicina al volto di Enji, come se volesse accarezzarlo. «Lo so, ma sapevo quello che stavo facendo, e non c’è mai stato un vero rischio», gli assicura, pacato. L’espressione sul suo volto ora sembra essere di nuovo rilassata. «Ora possiamo parlare del fatto che hai visto Ryou?»
Enji cede, lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro. «È stato lui a evocarmi, quando tu avevi appena preso sonno», spiega, rassegnato – in fin dei conti, neppure lui sa cosa sia successo esattamente. «È stato tutto molto veloce. E strano
Mentre riflette, Keigo si porta una mano al mento. «Almeno sei riuscito a notare qualche elemento utile che possa aiutarci a capire dove si trova?», domanda, speranzoso.
Enji ci pensa per qualche istante, sebbene in realtà sia già piuttosto sicuro della risposta. «Credo che fosse in un bosco», ammette, assorto. «Non troppo distante dal punto in cui si trovava mi pare di aver visto un lago.»
Keigo annuisce brevemente. «Probabilmente è tornato in istituto», spiega, sollevando lo sguardo in direzione di Enji. «Ryou aveva una casa, poco distante da lì. Nel bel mezzo del bosco che circonda la zona, a pochi passi dalle sponde del lago. È capitato che mi ospitasse lì, un paio di volte.»
Enji vorrebbe fargli notare che sarebbe strano, da parte di Ryou, svelargli così apertamente dove si trova, soprattutto considerando che probabilmente sa già che la polizia sospetta di lui. Potrebbe perfino fare una battuta sul fatto che Keigo sia stato a casa sua, infastidito da qualcosa che un tempo non sarebbe stato in grado di riconoscere, mentre adesso sa che si tratta di un sentimento ben preciso – gelosia. Sfortunatamente, però, c’è quel pensiero fisso che continua a tormentarlo e che, ancora una volta, offusca tutto il resto.
La visione.
Enji avanza incerto fino alla vetrata che si affaccia sull’esterno. Si appoggia alla sporgenza in cemento, il cortile alle sue spalle. «Ma chi voglio prendere in giro?», domanda, amareggiato. «Come posso prendermela con te quando sono io il primo ad averti nascosto qualcosa?»
Keigo tiene lo sguardo fisso su di lui, e a Enji il peso del suo giudizio sembra la colpa giusta da pagare. «Di che parli?», s’informa, confuso.
«Non ti ho detto tutta la verità», ammette finalmente, e non appena quelle parole scivolano fuori dalle sue labbra sente come se il macigno che per giorni gli ha appesantito la coscienza fosse svanito di colpo. «La notte dell’incidente ho avuto una visione. Ho visto te, gli occhi spalancati per la paura, e poco dopo stavi cadendo nel vuoto. Quando siamo andati nel bosco a cercare l’auto di Ryou, ho avuto di nuovo quella visione, solo che c’era un pezzo in più. Ti ho visto di nuovo precipitare, ma stavolta dalla parte opposta c’ero io.»
Keigo resta per un po’ in silenzio. Enji non ha coraggio di alzare lo sguardo su di lui, certo di essersi attirato addosso di colpo tutto l’odio del ragazzo, così continua a tenere gli occhi bassi, fissi a terra.
Poco dopo però avverte le mani di Keigo avvicinarsi al suo volto, ed Enji si ritrova a sollevare di scatto il capo per la sorpresa. Quando incontra l’espressione del ragazzo, per poco non sussulta alla vista del sorriso dolcissimo che gli sta rivolgendo.
«E me l’hai tenuto nascosto per tutto questo tempo perché temi che sarai tu a farmi del male?», domanda, esterrefatto. «Oh, Enji, tu non potresti mai farmene...»
Enji resta profondamente colpito da quelle parole, i suoi occhi color mare si fanno grandi come tazze da tè. Keigo, invece, si limita a continuare a sorridere, abbassando le palpebre e chinandosi in avanti, la fronte così vicina a quella di Enji che, se l’altro avesse ancora un corpo, probabilmente adesso si sfiorerebbero. Enji si ritrova ad imitare il ragazzo, socchiudendo le palpebre mentre le labbra vengono solcate da un sorriso. È così pacifica, quella vicinanza, che di colpo gli sembra di percepire un calore piacevole intorno a sé, come se fosse immerso in una sensazione di benessere. Se solo potesse, vorrebbe avere la capacità di poter prolungare quel momento così intimo all’infinito nel tempo.
Peccato che il destino abbia all’apparenza altri piani in serbo per loro.
Proprio in quell’istante, infatti, il telefono di Keigo comincia a squillare.
Riaprendo gli occhi, Enji nota l’espressione seccata che attraversa il volto di Keigo mentre recupera il telefono dalla tasca della giacca. Gli basta leggere il nome di chi lo sta chiamando, però, ed ecco che l’irritazione si tramuta in sgomento.
«Non ci credo…», commenta, allibito.
Enji sta per chiedergli cosa sia a turbarlo tanto quando Keigo, con un tocco sullo schermo, accetta la chiamata, bruciandolo sul tempo.
«Si può sapere che cazzo vuoi?», sbotta, seccato. «Certo che hai una gran bella faccia tosta a chiamarmi…»
«Aspetta, Keigo, non riattaccare! È una cosa importante!» Dall’altra parte del telefono, Enji riconosce chiaramente la voce piuttosto in affanno di Touya. «Forse ho scoperto qualcosa che ha a che fare con l’incidente di tua madre!»

Quando apre la porta dell’appartamento, Touya sembra quasi fare capolino da dietro di essa.
Keigo ha trascorso i secondi successivi al momento in cui ha suonato il campanello immobile sul pianerottolo, le braccia conserte. Ora che l’altro ragazzo è comparso davanti a lui Enji nota che l’espressione con cui Keigo lo sta fissando è dura, inflessibile.
È innegabile che tra i due ormai i rapporti siano sempre più complicati, in particolare dopo l’ultima volta che si sono visti, e forse sono destinati a non trovare mai una soluzione.
Touya pare sul punto di tirare un sospiro di sollievo. «Speravo che alla fine saresti venuto…», ammette, restando saldamente aggrappato alla porta.
Keigo, almeno in apparenza, sembra non aver dato alcuna importanza alle parole del ragazzo. «Lui dov’è?», taglia corto, imperturbabile.
Il sorriso che si era affacciato sul volto di Touya svanisce con la stessa repentinità con cui era apparso. Già, lui. Enji riconosce che, se Keigo alla fine ha accettato di recarsi lì, l’ha fatto solo perché ha avuto la certezza che non sarebbero stati da soli.
Touya si lascia sfuggire un leggero sospiro. «In sala», commenta, rassegnato, indicando col pollice la direzione da prendere all’interno della casa.
Senza ulteriori indugi, Keigo scivola dentro l’appartamento, passando accanto a Touya senza rallentare e non degnandolo nemmeno di uno sguardo, gli occhi puntati sul corridoio dritto davanti a sé. Enji si limita a seguirlo, lanciando giusto un’occhiata fugace alle proprie spalle mentre prosegue e l’unica cosa che riesce a scorgere è la figura di Touya, voltato di spalle, che chiude mestamente la porta.
Keigo svolta quasi subito in una stanza che trova alla propria sinistra, la prima che incontra lungo il corridoio. La cosa che nota subito è che là dentro l’illuminazione è decisamente scarsa: le persiane sono chiuse, e a rischiarare appena l’ambiente c’è solo una lampada, poggiata su un tavolino vicino all’ingresso. Il risultato è che le pareti bianche sembrano di un colore indefinibile tra il crema e il marrone, in un gioco di luci e ombre a modo suo affascinante.
Keigo individua pressoché subito Tenko. È seduto con le gambe incrociate su un divano verde bottiglia dall’aspetto piuttosto distrutto. Il fidanzato di Touya è esattamente come se lo ricordava: capelli arruffati, aria allampanata. Quando lo sente entrare nella stanza, Tenko si volta nella sua direzione rivolgendogli uno sguardo quasi interrogativo – anche se, probabilmente, Touya deve averlo avvertito del suo arrivo. Keigo lo osserva con una certa compassione: c’è qualcosa, in quel ragazzo, che lo fa sembrare quasi una creatura indifesa, dallo sguardo smarrito al maglione, dello stesso colore brillante dei fili d’erba, in cui sembra quasi nuotare per quanto sia largo per lui.
«Ciao», azzarda Keigo, il tono che resta piuttosto neutrale.
«Ciao…», risponde Tenko, con quel suo modo di parlare piatto e quasi apatico.
Enji osserva Keigo per qualche istante. Chissà se sta valutando di raccontare a quel ragazzo che il suo fidanzato ha cercato di baciarlo, nemmeno due giorni fa.
Parlando di Touya, proprio in quel momento compare sulla soglia della stanza, lo sguardo che saetta svelto tra Keigo e Tenko. «Prego, accomodati», lo esorta, ignaro.
Stavolta Keigo lo asseconda, prendendo posto su una delle sedie di fronte al divano, rimasta leggermente scostata rispetto al tavolo poco distante. Enji si accomoda a sua volta su una sedia, mentre Touya si affretta a sistemarsi accanto a Tenko sul divano.
«Allora.» Keigo giunge le mani in grembo, e da come le stringe tra loro Enji nota che è piuttosto agitato. «Di cosa volevi parlarmi?»
Tenko si agita un po’ sul posto, come se fosse turbato al pensiero di intavolare quella discussione. «Ecco…», prova a esordire, ma il suo sguardo continua a saltare nervosamente da una delle mattonelle color cioccolato del pavimento all’altra. Sembra calmarsi un poco solo quando Touya gli posa una mano sulla spalla e la accarezza con dolcezza – i due si scambiano un’occhiata e si rivolgono un sorriso. A quel punto Tenko torna a voltarsi in direzione di Keigo. «Dopo che ci siamo incontrati al funerale ho fatto un po’ di ricerche sul tuo conto. Touya mi ha detto che per un po’ siete stati insieme e volevo capire se mi potessi fidare di te. Senza offesa.»
Keigo gli rivolge un cenno noncurante con la mano. Tenko interpreta la cosa come una conferma, da parte del ragazzo, di non essere rimasto affatto infastidito da quella rivelazione, così rincuorato va avanti.
«Touya mi aveva detto anche che avevi frequentato per anni un centro per gente… strana», spiega, torturandosi le mani e osservandole intensamente mentre parla. «Così sono andato lì per cercare di scoprire qualcosa. Solo che, mentre ero in quel posto, è successa una cosa che non mi aspettavo…»
Mentre Tenko parla, Touya recupera qualcosa dal tavolino accanto a loro. Nella penombra Keigo non riesce a capire bene che cosa sia ma, per quel che riesce a intravedere, gli sembra che si tratti di una bustina trasparente.
Tenko si lascia sfuggire un sospiro tremolante. «C’era un tizio che vendeva questa roba… e non lo so perché, ma ho pensato che prenderla fosse la cosa giusta da fare», ammette, prendendo coraggio e sollevando lo sguardo in direzione di Keigo.
Touya passa la bustina a Keigo e, ora che ce l’ha in mano, riesce a distinguere meglio ciò che contiene: è una pastiglia. La superficie è liscia e traslucida, e sembra possedere un’intenso colore rossastro.
Keigo riesce a immaginare cosa possa aver spinto Tenko ad appropriarsene – più che altro il desiderio di dimostrare a Touya che il tuo ex è solo un drogato –, ma non ha ancora capito cosa abbia a che fare tutta quella storia con la morte di Tomie.
Keigo si volta in direzione di Touya, rivolgendogli uno sguardo di biasimo. «Mi stai chiedendo se mi drogo?», domanda, caustico.
Touya non batte ciglio. «Non lo penserei mai», replica, impassibile.
Enji, invece, inizia a capire perché Touya abbia pensato che fosse giusto metterlo a conoscenza di quell’informazione. Osservando meglio la pasticca, infatti, non può fare a meno di trasalire sul posto. «Keigo, guardala bene», gli suggerisce, in un sussurro.
Keigo si avvicina di malavoglia la bustina ancora una volta al viso, cercando di carpire qualche dettaglio che, apparentemente, dev’essergli sfuggito a una prima occhiata. Quando, d’improvviso, la soluzione si fa chiara nella sua mente, si ritrova a strabuzzare gli occhi.
«La crimson?!», domanda incredulo, voltandosi in direzione di Enji.
Già, la crimson. Se Enji si ferma a pensarci, probabilmente è cominciato tutto da lì. Tre anni prima, la crimson era una nuova droga sintetica appena sbarcata nel mondo dello spaccio. Si era diffusa rapidamente soprattutto tra i giovani benestanti della città, poiché era nelle discoteche più lussuose che circolava con maggiore facilità. Come buona parte delle sostanze psicoattive, tuttavia, se assunta in dosi massicce provocava gravi e dannosi effetti collaterali. Enji aveva cominciato a indagare su quel traffico di stupefacenti dopo le morti sospette di alcuni giovani. Era stato l’ultimo caso su cui aveva indagato, quello per cui l’avevano ammazzato e per cui aveva rischiato di essere uccisa anche Rei.
«Ma com’è possibile?», gli chiede ancora Keigo, confuso. «Credevo che la produzione si fosse interrotta in seguito all’arresto dei responsabili…»
Enji scuote la testa, assorto. Lo credeva anche lui, dannazione, ma se adesso quella pasticca è arrivata nelle loro mani vuol dire che, evidentemente, non è così che sono andate le cose. «Deve esserci sfuggito qualcuno», deduce, mentre trattiene a stento un ringhio di rabbia tra i denti. «Probabilmente avevano ancora della merce da parte e hanno aspettato che si calmassero le acque per farla tornare a circolare.»
Keigo fa ondeggiare la bustina davanti a sé, osservandola accigliato. «È diversa, però», nota, sorpreso. «Vedi? È come se all’interno ci fosse disegnata una… lucertola?»
Enji si china leggermente verso il ragazzo, le braccia conserte ben strette al petto. «Devono averla raffinata», ipotizza, con ancor più indignazione.
Keigo annuisce brevemente, per poi lanciare uno sguardo distratto in direzione del divano. Si accorge solo in quel momento che Tenko lo sta osservando con un’aria quasi impaurita.
Touya, invece, sembra piuttosto irritato. «Lui è qui, non è vero?», domanda, astioso.
Keigo lo ignora, focalizzando invece tutta la sua attenzione su Tenko. Agita la bustina nella sua direzione, tenendola ben salda tra le dita. «Chi te l’ha venduta?», chiede, concentrato.
Tenko stringe nelle spalle. «Non ho idea di chi fosse, ma ho sentito alcuni ragazzi chiamarlo Iguchi», spiega, laconico.
Enji osserva Keigo, che sembra perso in chissà quale ragionamento. «Lo conosci?», s’informa, chinando leggermente il capo di lato.
«Di sfuggita», ammette, ancora distratto. «Non ci ho mai parlato molto, ma ho presente chi sia.»
A Enji sfugge un cenno d’assenso mentre si porta una mano alle labbra, pensieroso. «Chiedigli se il tipo gli ha lasciato un recapito», decreta, risoluto.
Keigo sposta il capo verso Tenko. «Ce l’hai il suo numero?», ripete, cercando di non suonare troppo brusco.
Tenko annuisce con fare assente. Poco dopo recupera il telefono dalla tasca dei pantaloni e, dopo averlo sbloccato, lo passa all’altro ragazzo.
Keigo tiene lo smartphone dalla superficie candida con accortezza tra le mani, quasi come se temesse di vederlo cadere da un momento all’altro. Si alza in piedi in fretta, appoggiandosi appena al tavolo alle sue spalle mentre apre la chat – in cui non compare ancora nessun messaggio – col contatto nella rubrica di Tenko salvato come Iguchi.
«Okay, che scrivo?», domanda Keigo, e a Enji sembra di avvertire una punta di panico nella sua voce.
«Cosa vuoi scrivere?», replica Enji di rimando, come se per lui quella domanda fosse assolutamente superflua.
Keigo si lascia sfuggire un piccolo sbuffo. «Beh, scusa, sai com’è, non è che passo le mie giornate a chiedere droga alla gente…», commenta, in tono concitato.
«Okay, okay, ho capito.» Enji fa capolino da sopra la spalla del ragazzo. «Prova con: “Nel pacchetto dell’altra sera c’era davvero un bel regalo! Pensi che se ne possano trovare degli altri?”. È la cosa più basica del mondo, ma dovrebbe funzionare lo stesso.»
Le dita di Keigo battono in fretta sulla tastiera e, poco dopo, il messaggio è pronto per essere spedito. Non passano che pochi secondi dall’invio quando, prontamente, arriva la risposta.
«Che dice?», lo incalza Touya, che nel frattempo si è alzato a sua volta in piedi per la tensione.
«“Dei nuovi articoli dovrebbero arrivare questa settimana”.» Keigo legge ad alta voce, accigliato.
«Significa che a breve andrà a rifornirsi», spiega Enji, risoluto. «Bene, ora non ci resta che trovarlo e seguirlo finché non ci porterà da chi produce la roba.»

Al momento di andare, Touya accompagna nuovamente Keigo alla porta.
Enji nota che Keigo sta già per avviarsi verso le scale, se non che è costretto a fermarsi quando vede l’altro ragazzo accostare appena la porta, come a voler tenere nascosto quel discorso a chi si trova all’interno dell’appartamento.
Lo sguardo di Touya è fermo, deciso. «Lasciami venire con te», afferma – e quella sembra tutto fuorché una proposta.
Keigo lo osserva con aria di scherno, come se non avesse preso sul serio le sue parole nemmeno per un secondo. «Non se ne parla», ribatte, categorico.
«Keigo, ti prego! Questa storia sembra parecchio pericolosa!», insiste, con cocciutaggine. «Ti conosco, lo so che finirai per metterti nei guai…»
A Keigo sfugge un verso beffardo, le labbra che si piegano in un sorriso amaro mentre alza gli occhi al cielo. Non dura molto: poco dopo infatti torna a osservare Touya con aria torva.
«Quando partite?», lo interrompe, sprezzante.
Per un momento Touya resta spiazzato, preso in contropiede. «Dopodomani», confessa poi, afferrando in fretta quelle parole inespresse rimaste sospese a mezz’aria – lui, Tenko, la borsa di studio e il trasloco in Europa –, la sua espressione che si fa quasi triste. «Keigo, per favore…»
Per tutta risposta, Keigo si stringe nelle spalle. «Beh, buon viaggio allora», conclude, evasivo.
Poco dopo si è già avviato in fretta giù per le scale, con Enji che come al solito non può far altro che seguirlo. Si volta indietro solo una volta, intercettando l’espressione affranta sul volto di Touya, per poi raggiungere il ragazzo qualche rampa più in basso.

Se Keigo dovesse trovare un pregio in Shuichi Iguchi, probabilmente sarebbe la discrezione.
Seguirlo non è esattamente la cosa più facile del mondo. Sapendo che aveva un ordine da ritirare, la conclusione più credibile era che si sarebbe dovuto recare a Tokyo per incontrarsi con il suo fornitore, così lui ed Enji si sono appostati nello snodo nevralgico della stazione di Shinjuku, in un’area in cui confluiscono anche gli autobus che arrivano da altre città.
Fortunatamente, l’intuizione si è rivelata essere giusta. Iguchi è sceso dal pullman al capolinea, il cappuccio grigio della felpa calato sulla testa per cercare di restare quanto più anonimo possibile nel mezzo della folla, dopodiché si è infilato in un vagone della metropolitana.
Il tragitto, a dir la verità, è stato piuttosto breve. Poco dopo, infatti, Iguchi è riemerso in superficie, tuffandosi in un mare di folla e di grattacieli.
Di tanto in tanto, Iguchi continua a voltarsi, come a volersi guardare le spalle. Keigo non ha idea se abbia l’impressione di essere seguito o la sua sia solo una paranoia, di certo però non si può dire che non sia un tipo scrupoloso.
Alla fine, Keigo si accorge che si stanno allontanando dalle vie principali e più caotiche, e stanno imboccando invece una zona dall’aspetto residenziale. Villette a schiera di un bianco accecante, dalla facciata elegante per mescolarsi nello stile raffinato di Ginza, si susseguono senza sosta l’una dietro l’altra.
«Posto insospettabile, non c’è che dire», valuta Enji, lo sguardo attento fisso davanti a sé.
Keigo non può che essere d’accordo con lui. Quello non è esattamente il primo posto che gli verrebbe in mente se dovesse pensare a un traffico di stupefacenti, ma in fin dei conti ha ormai capito, grazie alle sue esperienze sul campo con Enji, che dietro certe apparenze spesso si cela tutt’altro.
Keigo conficca più a fondo le unghie nella corteccia sotto le sue dita. È una fortuna che il viale in cui si trovano sia alberato, così hanno trovato facilmente un nascondiglio da cui osservare la scena senza essere visti. Iguchi si è fermato davanti a una delle case, è salito su per i gradini d’ingresso e infine ha suonato il campanello, rimanendo in attesa che qualcuno venisse ad aprirgli la porta. Al momento è ancora fermo sotto al portico di legno all’entrata dell’abitazione, le braccia dietro la schiena e lo sguardo puntato a terra.
Keigo socchiude le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure per cercare di vedere meglio. «Ecco», bisbiglia di colpo. «Sta succedendo qualcosa.»
Ha ragione, Enji lo vede. La porta si apre appena con un piccolo scatto, dopodiché un braccio esile e pallido si allunga dall’interno della casa. Una mano fa cadere in quella di Iguchi un pacchetto, lui rivolge un cenno d’assenso a chiunque si sia ritrovato di fronte e un secondo dopo se ne sta già scendendo di nuovo giù per le scale.
Keigo vede Iguchi imboccare la direzione opposta rispetto a quella in cui si trovano lui ed Enji – ipotizzando che, probabilmente, tornerà verso la metropolitana. «E adesso?», domanda, perplesso.
«Ci basterà avvicinarci alla casa», spiega Enji, risoluto. «Arriviamo al campanello, leggiamo il nome che c’è sopra e sapremo finalmente chi è la persona che stiamo cercando.»
Keigo annuisce. Il piano gli sembra semplice e senza rischi, il che è un bene. Sta quasi per uscire allo scoperto dal suo nascondiglio, quando d’improvviso si rende conto di una cosa che, fino a quel momento, gli era sfuggita.
Dopo che Iguchi se n’è andato, la porta non si è mai richiusa.
Una figura minuta compare sul portico. È una ragazza, a osservarla Enji non gli darebbe più di vent’anni. Ha i capelli biondi raccolti in due chignon ai lati del capo, e un paio di occhiaie violacee che spiccano sulla pelle pallida. Si guarda un po’ attorno, gli occhi dorati che saettano da una parte all’altra del viale mentre si stringe le braccia attorno al corpo, come se sentisse freddo nonostante il cardigan beige di lana – troppo grande per lei, sembra quasi affondarci dentro – che indossa. C’è qualcosa, in quella ragazza e nell’aria stanca sul suo volto, che suggerisce a Enji di averla già vista, solo che non saprebbe dire né quando né dove.
A quanto pare, però, non è nuova neppure a Keigo. Il ragazzo sobbalza sul posto, impallidendo di colpo, per poi voltarsi di scatto.
Quel mutamento repentino, ovviamente, non passa inosservato a Enji. «Keigo, che…?», fa per domandare, confuso.
«È Himiko!», spiega lui, in un sussurro – Enji lo osserva, immobile sul posto, e gli sembra quasi che stia trattenendo il respiro. «Frequenta l’istituto anche lei.»
In quel momento un ricordo balza alla memoria di Enji. Ecco chi è quella ragazza. L’ha vista la notte in cui Tomie è morta, quando insieme a Kaina ha accompagnato Keigo sul luogo dell’incidente.
Ciononostante, Enji continua a essere perplesso. «E che diavolo ci fa una come lei in un posto del genere?», s’informa, diffidente.
Keigo si ritrova a deglutire a vuoto, non avendo nemmeno uno straccio d’idea su come tirarsi fuori da quella situazione senza essere visto dalla ragazza. «I suoi genitori sono piuttosto benestanti», ammette, lanciando un’occhiata circospetta alle sue spalle. «Me l’ha confidato il primo anno, quando eravamo compagni di stanza. Loro non credono nel suo dono e hanno sempre avuto paura che potesse in qualche modo procurare vergogna alla loro famiglia, così l’hanno iscritta all’istituto, sperando che, tenendola lontana da Tokyo, avrebbero evitato di incappare in episodi spiacevoli.»
Sebbene ritenga piuttosto inopportuno da parte di Keigo dimenticare un dettaglio del genere nel bel mezzo di un’indagine come la loro e non possa che provare repulsione per i genitori di quella ragazza, Enji non riesce a fare a meno di restare colpito da un’altra informazione. «Siete stati compagni di stanza solo per un anno?», domanda, sorpreso. «In che razza di istituto c’è così tanta disponibilità da riuscire a cambiare alloggio–»
«È stato Ryou a farmi assegnare una stanza singola quando abbiamo cominciato a frequentarci», lo interrompe Keigo, intuendo dove voglia andare a parare. «Ora, Enji, per quanto io trovi assolutamente adorabile il tuo essere geloso, penso che al momento sia meglio concentrarsi su come andarcene di qui prima che…»
In quel momento, però, il capo di Himiko ruota in direzione dell’albero che, finora, li ha abilmente celati. Sul volto della ragazza compare un cipiglio corrucciato, come se stesse cercando di afferrare un pensiero particolarmente sfuggente. «Keigo…?», domanda, incerta.
Nel momento in cui è sul punto di allontanarsi di lì più in fretta che può, Keigo è costretto a fermarsi sul posto. Leggendo il suo labiale, Enji nota che si lascia sfuggire un’imprecazione – merda – prima di decidere a voltarsi, mentre un sorriso raggiante torna a dipingersi sul suo volto.
«Himiko! Che sorpresa!», cerca di dissimulare, ostentando una sicurezza che, in quel momento, sa bene di non avere. «Passavo da queste parti per delle commissioni. Così è qui che abiti…»
«Già. O meglio, i miei genitori abitano qui.» La ragazza si stringe nelle spalle. «Comunque, visto che sei qui perché non entri?»
Enji può quasi sentire Keigo maledirsi nella testa per aver deciso di andare fin lì. «Oh, ti ringrazio, ma vedi, è che sono così di fretta…», prova a giustificarsi, le dita che si serrano attorno alla tracolla della borsa.
Himiko si acciglia, all’apparenza sembra che qualcosa continui a non tornarle. «Dai, ti offro giusto un tè», insiste lei, con la sola intenzione di essere cordiale.
Keigo non può rifiutare ancora, lo sa. Così, alla fine, si lascia sfuggire un sospiro, le braccia che lentamente cadono lungo i fianchi mentre comincia ad avviarsi verso la casa della ragazza.
Enji fa per seguirlo ma, proprio in quel momento, gli torna alla mente lo stralcio di una conversazione tra lui e Keigo, avvenuta non molto tempo prima.
Himiko percepisce le presenze, non può vederle come me ma almeno sa se un fantasma si trova nella sua stessa stanza.
Enji si ferma all’istante, mentre Keigo continua ad avanzare. C’è la possibilità che, seguendo il ragazzo direttamente all’interno della casa, finirebbe per metterlo nei guai.
Deve trovare un altro modo per raggiungerlo.

Più Keigo osserva l’interno della casa di Himiko e meno ciò che ha attorno gli ricorda la ragazza.
In fin dei conti, da quel che lei gli ha detto quella è solo la casa dei suoi genitori, e in qualche modo ha senso: le pareti bianche così asettiche, l’ordine maniacale, lo stile di arredamento raffinato.
Himiko è sparita in cucina, assicurandogli che sarebbe tornata in fretta. Poco dopo, infatti, Keigo la vede riapparire, mentre stringe tra le mani un vassoio su cui ha sistemato una caraffa di tè freddo, alcuni bicchieri di vetro e dei tovagliolini di carta. Per provare a mascherare la sensazione di panico che prova al momento, Keigo indirizza un nuovo sorriso gentile in direzione della ragazza, mentre stringe nervosamente la tracolla della borsa.
Himiko lo osserva con aria stralunata. «Beh, che fai lì impalato?», domanda, sorpresa. «Su, accomodati.»
Keigo finisce per seguire un po’ troppo alla lettera le parole di Himiko, il peso del suo corpo che precipita rapido verso il basso fino a quando non si adagia sui cuscini del divano sotto di sé. La schiena, invece, rimane rigida, senza appoggiarsi alla spalliera dietro di sé.
Himiko deve aver notato quel nuovo comportamento strambo, ma se davvero l’ha fatto non sembra darci peso. Scrolla appena le spalle, lasciandosi sfuggire un sospiro e chiudendo gli occhi per un momento, dopodiché si accomoda a sua volta, sedendosi su una poltrona di fronte al divano, per poi afferrare la caraffa e cominciare a versare il tè nei bicchieri.
Del tè freddo non è esattamente la bevanda che Keigo si aspettava di vedersi offrire in pieno inverno, ma visto in che situazione si è andato a cacciare mettersi a sollevare polemiche in merito gli sembra l’ultima delle sue priorità al momento. Ciò che lo preoccupa maggiormente, invece, è dove si sia cacciato Enji: è grato del fatto che non l’abbia seguito, con ogni probabilità dato che si trova in casa di una persona che può percepire i fantasmi entrare di gran carriera dalla porta d’ingresso con uno spirito al seguito non sarebbe stata un’idea poi così geniale, solo che non averlo accanto a sé lo fa sentire pieno di insicurezze. Dove cavolo è finito? Come ne usciamo da qui?
Himiko gli porge il bicchiere col tè, e Keigo si limita ad accettarlo. Sa che deve provare a dire qualcosa, se restasse in silenzio per tutto il tempo sarebbe decisamente sospetto. «Ehm, ecco… che ci fai fuori dall’istituto?», domanda, mordendosi la lingua un secondo dopo che quelle parole gli sono uscite di bocca. Himiko, infatti, gli lancia un’occhiata dubbiosa, come se non capisse dove voglia andare a parare. «Voglio dire… l’ultima volta che ci siamo visti eri ancora lì. Non sapevo che avessi intenzione di allontanarti.»
Stavolta sembra averla persuasa un po’ di più. La ragazza recupera il proprio bicchiere, per poi sistemarsi un po’ più comoda sulla poltrona, eppure a Keigo continua a sembrare a disagio, come se avesse la percezione costante di essere fuoriluogo in quell’ambiente: si siede sul bordo del cuscino, non si appoggia mai allo schienale – come se fosse pronta a schizzare via da lì da un momento all’altro. «Sono tornata a casa un paio di giorni per riposarmi. Le lezioni stavano diventando una vera palla», ammette, dopo un breve silenzio. «Comunque i miei genitori saranno di ritorno tra poco.»
In quel momento, Enji compare nel soggiorno. È passato dal retro della casa – c’è una piccola porta che dà sull’uscio, e non gli è sembrata una cattiva idea. Vede che gli occhi di Keigo si posano all’istante su di lui, e per un attimo è quasi confuso quando vi ravvisa un velo di terrore.
Poco dopo, però, quella paura si fa subito più chiara. Himiko si porta una mano alla tempia, come avvertendo un improvviso capogiro, mentre strizza forte gli occhi, cercando di rimanere presente a se stessa.
Lo sta percependo. Enji lo sa, così com’è consapevole del pallore sul volto di Keigo. Deve cercare di fare in fretta, altrimenti non farà altro che metterlo ancor più nei guai.
Enji attraversa in fretta il soggiorno, per poi cominciare a salire le scale che portano al piano superiore. Spera solo che la sua intuizione sia giusta, e che Keigo riesca a intrattenere Himiko per il tempo necessario.
Quando le sembra che la sensazione di vertigine stia scemando, Himiko prova ad alzare di nuovo la testa, lentamente. Il mondo torna poco alla volta a essere a fuoco, e riaprendo gli occhi trova Keigo ancora lì, seduto sul suo divano, che le sorride incoraggiante.
«Scusa…», farfuglia lei, portandosi il bicchiere alle labbra e bevendo un piccolo sorso di tè. «Tu invece come te la passi? Jin mi ha detto che un giorno ti ha visto a lezione, poi però sei sparito di nuovo…»
Le dita di Keigo si serrano nervosamente intorno al bicchiere. È così tanto in ansia che la pelle, caldissima, finisce per creare un alone che inizia a contrastare la superficie fredda del vetro. «Già», ammette, continuando a sfoggiare quel sorriso imperturbabile che spera lo possa proteggere ancora per un po’. «Ho ancora un po’ di cose da risolvere qui a Tokyo, ma appena le avrò sbrigate tutte tornerò, vedrai.»

È piuttosto facile intuire quale sia la camera di Himiko.
Tra le porte in legno di ciliegio e vetri satinati perfettamente sigillate, infatti, ce n’è una sulla quale è appeso un cartello minaccioso che invita chiunque si avvicini a tenersi lontano da lì. Enji, ovviamente, non si lascia intimorire, così passando attraverso la porta si ritrova all’interno della stanza.
Appena entrati là dentro si ha la percezione di essere in una stanza che non ha niente a che vedere col gusto elegante del resto della casa. Le pareti sono di un color indaco intenso. Sui muri sono appesi poster di band di cui Enji non ha mai sentito parlare, ma a giudicare dall’aspetto dei musicisti potrebbe ipotizzare che facciano musica stile punk.
La camera, in realtà, è un vero e proprio casino. Il letto è in disordine, così come l’armadio e la scrivania. Sembra che là dentro sia passato un tornado, pochi minuti prima.
L’armadio è stato lasciato aperto, e diversi vestiti mancano dalle grucce. A giudicare dalla montagna di abiti disposti alla rinfusa sul materasso, probabilmente Himiko deve averli gettati lì. Sulla scrivania, invece, ci sono fogli pieni di appunti, libri aperti e un pc spento. Sopra la scrivania ci sono delle mensole con altri libri e, sulla stessa parete, Enji nota delle fotografie. Avvicinandosi meglio per poterle osservare, nota che, in alcune di esse, c’è anche Keigo: compare sempre insieme a un altro ragazzo – che Enji è certo di non aver mai visto prima – e, ovviamente, a Himiko. I tre, nelle foto, sono sorridenti e appaiono piuttosto felici.
Per un momento, osservando il sorriso di Keigo, Enji sente la propria espressione addolcirsi: sembra così genuinamente felice con quei ragazzi, così come raramente gli è capitato di vederlo.
È quasi sul punto di dimenticarsi perché si trovi lì, quando un rumore improvviso al piano di sotto finisce per catturare la sua attenzione.

La porta d’ingresso si apre, e Keigo finisce per sobbalzare sul posto.
«Sono a casa!» Una donna, in cui Keigo riconosce gli stessi capelli biondo cenere di Himiko, attraversa l’atrio, portando tra le braccia una busta di carta, dove probabilmente è stata riposta la spesa. Non appena arriva in sala, notando che ci sono degli ospiti, i suoi occhi sembrano illuminarsi.
Keigo prova a rivolgerle un sorriso gentile. «Buongiorno, signora», la saluta, sperando di suonare affabile.
La donna, per tutta risposta, si volta in direzione della figlia, senza perdere quello sguardo pieno di entusiasmo. «Himiko! Non sapevo che avessi invitato qualcuno!», commenta lei, deliziata.
Himiko si agita appena sulla poltrona, a disagio. «Beh, in realtà non l’ho fatto…», prova a difendersi, mentre continua a tenere lo sguardo basso a terra. «Comunque mamma, ti presento Keigo. È un mio compagno d’istituto.»
L’espressione raggiante sul volto della donna sembra smorzarsi all’istante. «Ah», commenta soltanto, le braccia che sorreggono la spesa che s’afflosciano un po’ verso il basso. «Quando hai fatto vieni in cucina a darmi una mano a mettere via la spesa. C’è della roba che va in frigorifero.»
A Keigo, quella, sembra un’occasione perfetta da cogliere al volo per andarsene via di lì. Si china leggermente in avanti, posando il bicchiere sul tavolino di fronte a sé, per poi rimettersi in piedi, cercando di far sembrare quel gesto estremamente naturale. «Oh, non c’è problema», spiega infatti, sforzandosi di apparire tranquillo. «In realtà, come ho detto a Himiko stavo passando di qui per delle commissioni quando sua figlia mi ha incrociato. Ad ogni modo, mia zia abita praticamente dalla parte opposta della città e mi aspetta per pranzo, per cui sarà meglio che mi affretti a riprendere la strada di casa.»
La madre di Himiko si stringe nelle spalle. «È un peccato», valuta, ma non sembra per nulla convinta delle sue parole.
Keigo, ovviamente, non ci dà peso. «È stato un piacere conoscerla. Grazie per l’ospitalità! Signora…», si congeda, continuando a comportarsi in maniera amabile come sempre.
La donna gli rivolge un cenno del capo e un sorriso incerto. Himiko, nel frattempo, si è alzata dalla poltrona, e poco dopo si avvia verso la porta insieme a Keigo.

Dopo aver accompagnato Keigo alla porta, Himiko si lascia sfuggire un piccolo sospiro.
Per un momento, quando Keigo è entrato in casa sua, le è sembrato quasi di poter vivere nell’illusione che quello fosse un posto normale. Ora che lui se n’è andato, invece, non le rimane che la solita angoscia che quel posto le trasmette.
Percorre a ritroso il corridoio tenendo la testa bassa, lo sguardo fisso sul pavimento. Si costringe a sollevare di nuovo il capo solo quando arriva davanti alla soglia della cucina, ma sa già che gli occhi di sua madre sono inchiodati su di lei.
«Che voleva quel tipo?», le domanda, severa.
Istintivamente, Himiko cerca con le dita una ciocca di capelli che è sfuggita dal codino, giocherellandoci nervosamente mentre tenta di sistemarla. «Non lo so», commenta, in tono distaccato. «Non sono nemmeno sicura di volerlo sapere…»
Poco dopo, Himiko inizia a salire le scale che conducono al piano superiore. Quando se ne accorge, sua madre inarca un sopracciglio, perplessa.
«Guarda che ero seria quando ti ho chiesto di darmi una mano!», le urla dietro, appoggiandosi con le mani al bancone della cucina.
Himiko la ignora. Una volta arrivata di sopra si dirige in fretta verso la sua camera, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo una volta arrivata.
Appena la ragazza entra, Enji la vede tirare un profondo sospiro. Chiude gli occhi per un attimo, poi, appena li riapre, scatta in avanti.
Himiko attraversa la stanza, fino a raggiungere la scrivania. Una volta lì ci s’inginocchia davanti, aprendo un cassetto mentre recupera qualcosa dalla tasca. Non può fare a meno di pensare a quanto Iguchi sia un idiota: gli ha detto mille volte di non arrivare fino a casa sua, eppure lui continua a farlo.
Himiko scuote la testa, osservando l’interno del cassetto. Poco dopo ci lascia cadere dentro qualcosa, per poi spingerlo nuovamente indietro.
Prima che il cassetto si richiuda, Enji si sporge leggermente in avanti, riuscendo appena in tempo a identificarne il contenuto: i suoi occhi vi si posano sopra solo per un momento, tuttavia è certo che quelle che ha intravisto sono pasticche di crimson. Enji non riesce a fare a meno di sobbalzare sul posto, incredulo.
Himiko si porta una mano alla tempia, esitante. Le sembra di avvertire di nuovo quella sensazione di vertigine, come poco prima in soggiorno.
Quando si volta, però, l’unica cosa che le sembra di vedere è la tenda della sua finestra che ondeggia leggermente.

Appena esce da casa di Himiko, Keigo si lascia sfuggire un sospiro tremolante.
Ancora non sa come ha fatto a cavarsela senza troppi danni, né chi deve ringraziare per questo. In compenso, ora che la tensione che sentiva addosso si è decisamente allentata, gli sembra di riuscire a respirare di nuovo in modo corretto.
Si mette ad attraversare il viale alberato, facendo la stessa strada che ha seguito all’andata. Mentre cammina, vede Enji riapparire in fondo alla via, così inizia a correre per cercare di raggiungerlo.
«Allora?», gli domanda, nel momento in cui finalmente se lo ritrova davanti. «Trovato qualcosa?»
Enji lo osserva incuriosito, ma se pensa di chiedergli delle spiegazioni non lo dà a vedere. «Sì», ammette, lanciando un’occhiata fugace alla casa da cui è appena uscito. «La tua amica ha letteralmente un cassetto pieno di crimson.»
Per un momento Keigo abbassa lo sguardo a terra, turbato. Possibile che Himiko, una delle persone con cui ha legato di più negli ultimi anni, abbia davvero a che fare con un traffico di stupefacenti? E che tutta quella storia sia collegata all’incidente di sua madre?
Enji torna a posare lo sguardo sul ragazzo, in apprensione. «Tu come stai?», s’informa, rivolgendogli un accenno di sorriso.
Keigo si costringe ad alzare la testa, i suoi occhi dorati che cercano quelli dell’altro. «Bene», risponde, anche se sa che quella non è del tutto la verità. «Adesso che si fa?»
Enji prende come sempre in fretta la situazione in mano. «Anzitutto ce ne andiamo da qui», commenta in tono deciso, mentre si guarda attorno alla ricerca del percorso più breve per tornare alla fermata della metropolitana. «Non so te, ma al momento non vedo l’ora di mettere quanta più strada possibile tra me e questo posto. Poi, una volta che saremo lontani, penso che sia il caso di fare il punto della situazione. Ho come l’impressione che ci siano parecchie cose di cui dobbiamo parlare.»

Enji riesce a rilassarsi solo quando stanno finalmente attraversando il tunnel che conduce al palazzo di Kaina.
Da quando hanno lasciato la casa di Himiko, Keigo non gli ha rivolto parola. Per tutto il tragitto di ritorno si è chiuso in un silenzio ostinato, e ora l’unico rumore che riecheggia nell’aria è l’eco dei loro passi.
Keigo tiene le mani infilate nelle tasche del giaccone. Ha mille pensieri che gli ronzano per la testa, e riordinarli tutti è un’impresa davvero complessa.
«La droga è sempre girata, in istituto.» È la frase con cui, alla fine, Keigo rompe quel silenzio che a Enji sembra essere durato un’eternità, mentre stanno ancora camminando. «Lo sapevano tutti e non fregava a nessuno. Conosco diversa gente che assumeva delle dosi regolarmente, sperando di aumentare le proprie capacità.»
Enji rallenta, osservando sorpreso il ragazzo. Anche Keigo si ferma, mentre ricambia intensamente il suo sguardo.
«Io mi sono sempre tenuto lontano da quella roba. Non ho mai pensato che potesse servirmi in qualche modo, e poi ho visto troppa gente morire per la crimson tre anni fa. Non avrei mai potuto», precisa, in tono grave.
Enji si limita ad annuire. Conosce Keigo abbastanza bene da sapere quanto siano vere quelle parole. Inoltre, non ha mai dubitato di lui.
Keigo alza gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un sospiro. «Il problema è che non avrei mai pensato che dietro a tutta questa storia ci fosse Himiko», ammette, un sorriso amaro che gli compare sul volto. «Cazzo, siamo amici da tre anni e non mi sono mai accorto di niente…»
Enji scuote lievemente la testa. «No, il problema è la crimson», replica, indulgente. «Pensavamo che quella merda avesse smesso di girare tre anni fa, invece adesso è di nuovo qui. Però dimmi una cosa, Keigo: tu ce la vedi la tua amica a mandare avanti da sola il traffico di crimson?»
Per come affonda le mani all’interno delle tasche del giaccone, adesso Keigo sembra quasi sul punto di bucarle. «Per quanto sia affidabile il mio giudizio, considerando che non la ritenevo neppure in grado di nascondere della droga in casa…», commenta, amareggiato. «Comunque no, probabilmente la Himiko che conosco io non ne sarebbe stata in grado. Perché? A chi stai pensando?»
La risposta di Enji non tarda ad arrivare. «A Ryou, ovviamente», spiega, col tono di chi sta esprimendo un’ovvietà. «Pensaci: probabilmente c’è sempre stato lui dietro, fin dall’inizio. Dopotutto, siamo sempre stati convinti che ci fosse sfuggito qualcuno della banda. È stato sveglio: ha aspettato che le acque si fossero calmate, dopodiché ha fatto ripartire lo spaccio. Si è servito di Himiko per stabilizzare la formula della crimson, e da lì in poi dev’essere stato tutto in discesa per lui.»
Mentre proseguono con la conversazione, lo sguardo di Keigo si fa sempre più triste. «Però che c’entra tutta questa storia con la morte di mia madre…?», domanda, smarrito.
Enji infila le mani nelle tasche della giacca, scrollando appena le spalle. «Beh, ho un’ipotesi anche per questo», ammette. «Sappiamo che Tomie era in possesso di un faldone che conteneva le prove di tutti gli esperimenti alquanto discutibili di Ryou, e che il giorno dell’incidente era in istituto, stando ai suoi tabulati telefonici. Suppongo che inizialmente volesse solo parlare con Ryou di quello che aveva scoperto, anche se immagino che i toni non fossero affatto pacifici. Poi, però, dev’essere successo qualcosa e non so come ma Tomie ha trovato da qualche parte le scorte di crimson di Ryou. Non dev’essere stato difficile per lei riconoscere che fosse proprio la crimson, considerando che tre anni prima ci aveva già dato una mano nel corso della prima indagine…»
Keigo si ritrova ad annuire. Finalmente gli sembra di star cominciando a capire la direzione di quel discorso. «Mia madre era già intenzionata a denunciare Ryou per via dei suoi esperimenti», commenta, intuitivo. «Dopo aver visto la crimson sarà stata ancor più motivata a farlo.»
«Solo che, semplicemente, Ryou non poteva permetterglielo», riprende Enji, colpito dalla deduzione del ragazzo. «A quel punto deve aver pensato che sbarazzarsi di lei fosse l’unico modo che aveva per passarla liscia. Successivamente ha anche fatto sparire il faldone da casa di Tomie, per essere ancor più sicuro che nessuno sospettasse della sua colpevolezza.»
Keigo resta per un po’ in silenzio, lo sguardo puntato a terra. Se Enji lo conosce bene come crede, sa che in questo momento sta elaborando tutte quelle informazioni.
Quando il ragazzo solleva di nuovo lo sguardo, nei suoi occhi vede una scintilla determinata. «Come procediamo?», s’informa, deciso.
«Dobbiamo mettere a conoscenza la polizia di quello che abbiamo scoperto», decreta Enji, sicuro. «Ho l’impressione che potrebbero essere delle informazioni piuttosto interessanti per loro.»

Il portone del palazzo si apre, e la prima cosa che Touya vede davanti a sé è la macchina ferma accostata accanto al marciapiede.
Il portabagagli è ancora aperto – d’altronde scendendo ha portato con sé le ultime cose, uno zaino che ha in spalla e la valigia con le cose principali per il viaggio –, sebbene sia già stracolmo di borse e quant’altro.
Tenko si è già accomodato sul sedile del passeggero anteriore. Ha lasciato la portiera aperta e i suoi piedi poggiano ancora sull’asfalto, mentre ha un gomito puntellato sul ginocchio e il mento premuto sul palmo della mano. Touya nota che lo sta osservando attentamente, sebbene il suo sguardo sembri quello assente di sempre.
«Allora? Andiamo?», lo incalza, per quanto il suo tono non suoni poi così trepidante – è più un’attesa rassegnata, come quella di chi sa perfettamente cosa succederà da qui in avanti.
Touya si gira per un’ultima volta a osservare il portone del palazzo in cui ha vissuto nel corso di quei tre anni e che ora sta lasciando, alla volta di Praga. Quello stesso portone che aveva varcato anche Keigo, pochi giorni prima, ma da cui era anche uscito senza tornare più.
È come se fosse già passata un’eternità. Vederlo lì, a vagare per quelle stanze che fino a quel momento aveva condiviso solo con Tenko sembra già un ricordo lontano, ormai. E Touya sa che, come il passato, anche quell’attimo non tornerà più indietro.
Alla fine Touya torna a guardare davanti a sé, dove c’è la macchina con i bagagli, mentre si decide a chiudere il portone alle proprie spalle.
Davanti a loro hanno un lungo viaggio da compiere.

«Grazie per essere venuta subito.»
Nell’ufficio c’è un’atmosfera buia, rischiarata solamente dalla luce fioca della lampada da scrivania. Tra le fessure delle stecche di metallo della tenda che copre la finestra si riesce a intravedere il cielo scuro della sera e alcuni lampioni già accesi nella strada sottostante.
«Figurati. Avevo appena staccato dal lavoro, per cui nessun problema.» Kaina si passa una mano tra i capelli rosa e blu, un gomito poggiato sulla scrivania e la testa inclinata di lato per osservare la persona che è con lei nella stanza. «Allora. Di cosa volevi parlarmi?»
Rei sistema alcuni fascicoli che ha con sé, per poi spostare lo sguardo sull’altra donna. «Prima di tutto ci tenevo a farti le condoglianze per Tomie», spiega, in tono delicato. «Mi sono resa conto che, con tutto quello che è successo, non abbiamo avuto modo di parlarne prima.»
Kaina si stringe nelle spalle. «Io e Tomie ci conoscevamo dai tempi del liceo», spiega, la voce che assume una nota stanca, come se tornare indietro coi ricordi a quei tempi le causasse uno sforzo notevole. «Probabilmente sono stata l’unica amica che lei abbia mai avuto. Nel corso degli anni ci siamo allontanate, soprattutto per via dei suoi problemi di salute, ma ho avuto la fortuna di potermi prendere cura di Keigo, visto che Tomie non aveva parenti a cui affidarlo. Gli ultimi tempi si era ripresa, però.»
Rei rivolge a Kaina un sorriso di pura dolcezza. «Ascoltami, ho bisogno di chiederti una cosa», la informa, con accortezza. «Quando abbiamo eseguito i rilievi sulla macchina di Tomie abbiamo rinvenuto sulla carrozzeria una vernice non compatibile né con l’urto né con la sua auto. Ho provato a cercare ma non ho trovato nessuna segnalazione di tamponamenti…»
Kaina scuote la testa, portandosi una mano alla tempia. «Rei, ti fermo subito», la interrompe, cercando di non essere troppo brusca. «Stiamo parlando del parafango posteriore destro, giusto?»
Rei corruga appena la fronte, colta di sorpresa. «Come fai a saperlo?», domanda, incredula.
«Poche settimane fa Tomie era stata tamponata da un tipo davanti a lei mentre era in fila a un semaforo», spiega Kaina, mentre si muove appena sulla sedia. «Io e lei non ci sentivamo molto, nell’ultimo periodo, ma l’avevo chiamata proprio quel giorno e ricordo che lei mi aveva parlato di questa cosa. Non hai trovato denunce solo perché il tipo l’aveva pregata di rinunciare alla constatazione sia perché era di fretta e sia per evitare rincari dell’assicurazione e Tomie, come sempre troppo buona, l’aveva assecondato.»
Rei si lascia sfuggire un sospiro leggero, appoggiandosi di peso allo schienale alle proprie spalle.
Anche quella pista si è rivelata un buco nell’acqua. Adesso deve ricominciare di nuovo da capo, anche se non sa più a quale elemento aggrapparsi.

Le onde si infrangono con forza contro il molo, schizzi di schiuma che vengono sollevati nell’aria mentre il cielo della sera si è già fatto buio.
Il porto è puntellato dalle piccole luci dei lampioni, come costellazioni sulla terraferma. Nel vento c’è l’odore salmastro del mare, e sembra quasi rendere l’atmosfera più elettrica.
A Keigo è sempre piaciuto passeggiare vicino all’oceano – ricorda gli anni di scuola, quando sedersi sulla banchina a osservare le navi attraccare e salpare era quasi il suo rifugio. Adesso c’è un vento freddo che gli pizzica le guance, ma tutto sommato non è poi così fastidioso.
Keigo si stringe un po’ di più nel suo giaccone, cercando di trovare del calore. Enji, nel frattempo, continua a camminargli accanto, osservando attentamente il ragazzo.
Il piano è semplice. Quella sera, al porto, ci sarà un concerto per il quale è prevista una grossa affluenza di pubblico – quasi come se mezza Tokyo si fosse data appuntamento per radunarsi lì. Ovviamente, data la portata dell’evento, è stato previsto anche un ingente dispiegamente delle forze di polizia, con quasi l’intero organico concentrato attorno al molo principale.
Nel pomeriggio, Keigo ha mandato un messaggio a Himiko per invitarla al concerto. Se ogni cosa andrà per il verso giusto, questa notte riusciranno a risolvere quella faccenda una volta per tutte.
«Quando dovete incontrarvi?», s’informa Enji, ansioso.
«Manca ancora mezz’ora. Io e Himiko abbiamo appuntamento sotto al palco.» Keigo infila le mani nelle tasche della giacca. «Rilassati, Enji. Andrà tutto bene.»
Se possibile, Enji finisce per agitarsi ancora di più, lo sguardo che si sposta nervosamente da una parte all’altra del porto. «Non possiamo permetterci errori. Da quello che stiamo per fare dipende la riuscita di tutta l’indagine», commenta, severo. Poco dopo il suo sguardo torna a posarsi sul ragazzo, addolcendosi appena. «Tu come stai?»
Keigo gli rifila un’occhiata stralunata. «In che senso come sto?», domanda, sorpreso.
«Non lo so. Stavo ripensando a quando siamo stati a casa di Touya.» Enji si stringe appena nelle spalle. «Mi eri sembrato un po’ turbato, in quell’occasione.»
Un’onda s’infrange a pochi passi da loro. I due proseguono svelti, in silenzio. Enji può quasi sentire il rumore dei pensieri che sciamano nella mente di Keigo.
Il ragazzo solleva il capo poco dopo, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. «Qualsiasi cosa ci sia stata tra me e Touya in passato, ormai è acqua passata», spiega, remissivo, per poi voltarsi verso Enji e rivolgergli un sorriso malizioso. «E poi ormai nella mia vita c’è qualcun altro, mettiamola così.»
Enji distoglie lo sguardo da quello del ragazzo, mentre un’espressione imbarazzata – irresistibile, a detta di Keigo – gli compare in volto.
Nel frattempo, continuano ad avanzare verso il porto. Mentre proseguono, le luci in lontananza si fanno sempre più vicine.
«Vediamo di non distrarci», bofonchia Enji, cercando di ritrovare in fretta la concentrazione. «Se conosco abbastanza bene Aizawa, in questo momento si sarà rifugiato al pub del porto. Dobbiamo sbrigarci.»
Keigo annuisce, senza aggiungere altro. Poco dopo, i due cercano di affrettare il passo.

Aizawa non ha mai sopportato trascorrere del tempo in mezzo alla folla.
Hizashi è sempre stato quello più portato tra loro per roba del genere. È per questo che, di solito, in occasione di grandi eventi ha sempre cercato di farsi assegnare a una zona in coppia con lui, così che la serata potesse trascorrere più in fretta.
Solo che Hizashi è sparito, gli ricorda una vocina maligna nella sua testa, e deve fare appello a tutte le sue forze per non lasciarsi sfuggire un mugolio di sconforto.
Almeno Rei l’ha raggiunto al porto. Shouta sospetta che un po’ sia lì perché, in fondo, prova pena per lui, o al massimo perché pensa che, restando seduti assieme al tavolino di quel pub, riusciranno a colmare almeno per qualche ora il senso di solitudine dentro di loro – ogni tanto Shouta quasi dimentica che tre anni fa quella donna ha perso suo marito. È che ha affrontato quel lutto con grande dignità, e adesso sembra quasi essere un ricordo distante.
Il fatto è che Rei stona tremendamente con l’ambiente che ha attorno. Lei e la sua candida giacca elegante decisamente non s’abbinano a quel locale, la cui clientela è composta quasi unicamente da marinai che, vagando di porto in porto, si fermano lì per bere qualcosa di fresco durante una breve pausa. La donna se ne sta con le spalle poggiate allo schienale della sedia che occupa, le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto mentre lo osserva con un cipiglio dubbioso.
Shouta sa che, in effetti, ciò che le sta offrendo quella sera non è di sicuro la sua versione migliore, eppure si rende conto che forse non resta poi molto altro. L’uomo che amava è scomparso nel nulla da un giorno all’altro, senza dargli alcuna spiegazione, e ormai l’unica consolazione che gli è rimasta è abbandonarsi all’alcol, di tanto in tanto.
Probabilmente Rei deve averlo compreso. La donna si lascia sfuggire un piccolo sospiro rassegnato, mentre Shouta prende un altro sorso di birra dalla sua bottiglia.
«Il termine che il giudice mi aveva assegnato per l’indagine su Tomie è scaduto», spiega, e dal suo tono di voce si percepisce tutta la sua delusione. «Non ho più elementi utili su cui lavorare. Domani andrò da lui per comunicargli che la sua morte è stata solo un incidente, e poi partitò per Kyoto.»
Shouta posa la bottiglia sul tavolo, spostando lo sguardo sulla finestra che dà sul porto. Spera solo che là fuori non accada niente di troppo grave, l’ultima cosa che desidera sono delle rogne pure per quel servizio d’ordine. «Beh, vedila così, Rei», commenta, lo sguardo ancora perso tra le luci del molo lì vicino. «Avevi chiesto il trasferimento perché, dopo tre anni, desideravi cominciare una nuova vita. Adesso, finalmente, potrai farlo.»
«Sì, ma ci sono troppe cose che non tornano…», insiste Rei, testarda. La donna puntella i gomiti sul tavolo, posando il mento sul dorso di una mano, lo sguardo che punta leggermente verso il basso mentre la sua mente continua a riflettere senza sosta.
Aizawa sa che ha ragione. Quelle indagini sono state in salita fin dall’inizio, ma adesso non hanno davvero più nessuna pista da battere. Forse per Rei sarebbe più facile arrendersi, anche se Shouta si rende conto che non può platealmente dirle di farsene una ragione.
«Magari in futuro salterà fuori qualcosa di nuovo», prova allora, cercando una via più diplomatica. «In quel caso, sta’ certa che sarai la prima persona a essere informata, in qualsiasi parte del mondo dovessi trovarti.»
Rei sta per dirgli qualcosa, e Shouta non ha idea se la sua intenzione sia quella di ringraziarlo o se voglia continuare a crucciarsi su quella storia, alla fine però la donna resta in silenzio.
In quel momento la porta del pub si apre. Keigo si guarda attorno con aria un po’ spaesata, mentre Enji individua praticamente subito Rei.
È strano, per lui, vedere Rei e Keigo nello stesso posto e nel medesimo momento. È come se adesso, sotto quel tetto, stessero coesistendo il suo passato e presente.
Rei è la prima a posare lo sguardo su Keigo. È ironico a dirsi, tuttavia mentre osserva il ragazzo sembra quasi che abbia visto un fantasma.
«Keigo…?», domanda, incredula.
Sentendo la voce di Rei, anche Aizawa si volta in direzione del ragazzo. Appena individua la sua figura, la sua espressione muta in qualcosa a metà tra lo stupore e il terrore di dover sentire una nuova storia delirante – e che probabilmente gli causerà dell’altro lavoro.
Keigo non riesce a non sentirsi un po’ in soggezione in tutta quella situazione, tuttavia cerca di farsi coraggio. Stringe la tracolla della borsa tra le dita, dopodiché comincia ad avvicinarsi al tavolo di Rei e Shouta, mentre Enji continua a seguirlo senza mai perderlo di vista.
«Commissario Aizawa», comincia, quando finalmente li raggiunge. «Ho bisogno di parlarle dell’incidente di mia madre. Ho scoperto un elemento che credo varrebbe la pena di analizzare.»
Shouta alza gli occhi al cielo. Perché capitano tutte a me?, vorrebbe chiedere, ma alla fine sta per rassegnarsi e rivolgersi al ragazzo quando Rei lo batte sul tempo.
«Prego, accomodati pure», lo anticipa infatti la donna, invitandolo a prendere posto sulla sedia che gli sta indicando.
Keigo la asseconda, sebbene Rei finisca comunque per notare quanto rimanga rigido su quella seggiola. Lei gli rivolge un sorriso, sperando di rassicurarlo.
Non sa se abbia funzionato, però il ragazzo prova comunque a continuare. «Commissario Aizawa, è a conoscenza del fatto che la crimson è tornata a circolare?», domanda, anche se sembra conoscere già la risposta.
Shouta e Rei si scambiano un’occhiata sorpresa. Di che sta parlando quel ragazzino? «Come fai a esserne certo?», s’informa lui, sporgendosi appena nella sua direzione.
Keigo si stringe nelle spalle. «Toga Himiko è una mia compagna di corsi in istituto», spiega, ora più convinto. «Le pasticche sono in camera sua, nella casa dei genitori a Ginza, in un cassetto del comodino sotto alla scrivania.»
Aizawa inarca un sopracciglio, dubbioso. «E questo chi te l’ha detto? Il tuo solito informatore segreto?», lo canzona, caustico.
Keigo lo ignora – d’altronde Shouta è sempre stato scettico in merito al suo dono. «Beh, mi pare che in passato vi abbia aiutato a risolvere dei casi o sbaglio?», fa notare loro, piccato, per poi voltarsi verso Rei, l’espressione che subito si addolcisce. «Himiko non può essersi fatta carico di tutto questo da sola. Penso che dietro all’intero traffico di stupefacenti ci sia Shigaraki Ryou.»
Gli occhi di Rei si spalancano per un momento per la sorpresa. Poco dopo, il suo sguardo si sposta in quello di Shouta, mentre si osservano con aria d’intesa. «Ryou è una delle persone informate sui fatti che avrei voluto interrogare dopo la morte di Tomie, solo che non è stato possibile visto che sia l’istituto che il luogo dell’incidente non sono nella nostra zona di competenza», ammette, ed Enji riconosce nel suo sguardo quel luccichio entusiasta che vi compare ogni volta che un’intuizione geniale le salta alla mente. «Se davvero è legato alle morti per crimson qui a Tokyo le cose cambiano, abbiamo tutto il diritto di fermarlo e interrogarlo.»
Shouta annuisce, sapendo già quali saranno le prossime mosse. «Chiamo in centrale e chiedo se c’è una pattuglia che può eseguire un controllo a casa di questa ragazza», conclude, con perspicacia.
«Vedo di farti rilasciare subito un mandato», concorda Rei, mentre recupera il cellulare dalla borsa. Sposta lo sguardo sul ragazzo seduto accanto a sé, rivolgendogli un sorriso gentile. «Keigo, grazie.»
Keigo si limita a scrollare appena le spalle. Nel frattempo Enji continua a osservare tutta la scena, non senza una certa fierezza.

Il palco del concerto è illuminato dai bagliori scintillanti di alcuni faretti a led.
Fasci dalle tonalità fluorescenti, dal fucsia al verde, colpiscono il pubblico, che canta e si scatena mentre la band punk rock continua a suonare.
Farsi strada tra la folla è una vera e propria impresa. Keigo ci prova, ottenendo spintoni in qualunque direzione cerchi di muoversi. Pensandoci meglio, quella di dare appuntamento a Himiko là in mezzo non è stata poi un’idea così geniale.
Sta quasi iniziando a credere che non la troverà più quando, finalmente, la individua. I capelli biondi sono raccolti nei consueti chignon ai lati del capo, mentre un insolito trucco scuro le contorna gli occhi e le tinge le labbra. Il look total black – una t-shirt che lascia scoperte spalle e clavicole, una gonna corta con un merletto leggero sull’orlo e un paio di anfibi – la rende perfettamente amalgamata con gli altri fan, ma Keigo nota sul suo volto un’espressione entusiasta che raramente vi ha visto comparire. Keigo sente le proprie labbra incresparsi in un piccolo sorriso, così, confortato, comincia ad avvicinarsi a lei.
Appena la raggiunge, posa una mano sulla sua spalla. Himiko, sorpresa, si ritrova a sobbalzare, tuttavia nel momento in cui si volta e vede chi è stato a chiamarla il suo viso torna ad accendersi di gioia.
«Ehi! Sei arrivato, finalmente!», esclama, mentre agita le mani per salutarlo e lo smalto – nero, ovviamente – sulle sue unghie scintilla sotto le luci del palco.
Keigo scrolla appena le spalle. «Già, scusa per il ritardo…», commenta, osservandola con aria rammaricata. «Hanno cominciato da tanto?»
Himiko gli prende la mano, gli occhi che luccicano. «No, sono al primo pezzo!», lo rassicura lei, elettrizzata. «Dai, divertiamoci!»
E Keigo si diverte davvero. Insieme a Himiko balla e canta a squarciagola, e per tutto il tempo gli sembra che le preoccupazioni dell’ultimo periodo si siano fatte più lontane. Gli pare di essere tornato ai primi mesi dopo il suo ingresso in istituto, quando aveva legato con Jin e Himiko e, per la prima volta, aveva sentito di essere circondato da persone in grado di comprenderlo.
Le canzoni si susseguono una dietro l’altra, e lentamente la band arriva alla fine della setlist. Sul palco sale un altro gruppo, stavolta la musica è più calma, così Keigo ne approfitta per parlare un po’ con Himiko.
«È stato pazzesco, vero?», le domanda, raggiante.
«Sì!», concorda lei, saltellando sul posto. «Tu come ti senti?»
Sul volto di Keigo compare una smorfia di dolore. «Uhm, non un granché, in realtà», ammette, chinando leggermente la testa di lato in direzione di una delle casse. «Il volume della musica è altissimo, sta cominciando a girarmi la testa…»
La mano di Himiko si stacca dalla transenna a cui era gelosamente ancorata – erano arrivati in prima fila, dopotutto –, mentre osserva preoccupata il ragazzo. «Vuoi fare due passi?», propone, cortese. «Magari un po’ d’aria fresca ti fa bene.»
Keigo annuisce piano. «Mi sembra una buona idea…», si ritrova ad acconsentire, la voce che esce dalle sue labbra in un sussurro.
L’espressione di Himiko si fa determinata. La ragazza comincia subito a cercare la via più breve per sbucare fuori da quella calca e, non appena la trova, s’incammina in fretta su di essa, portando Keigo con sé tenendolo per mano.
Una volta riemersi dalla folla, a Keigo sembra di tornare a respirare. Quella dei capogiri è stata una scusa solo in parte, in realtà: in mezzo a tutta quella gente c’era così tanto calore che stava cominciando a mancargli l’aria sul serio. In compenso, ora che si sono allontanati dal palco può andare avanti con il piano.
Le onde continuano a funestare il porto, il vento freddo che soffia forte e fa agitare le barche attraccate ai moli. Keigo inspira a fondo e si riempie i polmoni di aria salmastra, mentre Himiko si stringe le braccia attorno al corpo, tremando leggermente.
«Dove stiamo andando…?», prova a domandare lei, titubante.
Keigo, però, resta in silenzio. Continua a camminare lungo il molo tenendosi sull’orlo della banchina – se mettesse un solo piede in fallo finirebbe nell’acqua gelida –, le mani infilate nelle tasche del giaccone, lo sguardo fisso di fronte a sé mentre sulle labbra c’è ancora l’accenno di un sorriso.
È in quel momento che Enji lo raggiunge, fermandosi al suo fianco.
Himiko, ancora terrorizzata al pensiero di vedere Keigo cadere nell’oceano, si ritrova a vacillare, mentre una sensazione di vertigine che conosce fin troppo bene torna a farle visita.
«K-Keigo, che sta succedendo…?», cerca di chiedere la ragazza, mentre si porta una mano alla tempia.
Keigo ed Enji si voltano a guardarla, restando in silenzio.
Lo sguardo di Himiko saetta da un punto all’altro del molo, in cerca di spiegazioni. D’improvviso, un sospetto le attraversa la mente, facendole spalancare gli occhi. «L-La tua ombra è q-qui, n-non è vero…?», domanda, la voce che le esce a fatica dalle labbra.
«So tutto, Himiko», commenta Keigo, mentre resta a osservarla impassibile, le mani ancora in tasca. «Ci sei tu dietro allo spaccio della crimson
Lo sguardo sgranato di Himiko è attraversato da un lampo di terrore. «N-Non so di cosa stai parlando…», mente, debolmente.
Keigo lancia un’occhiata in direzione di Enji. Lo spettro comprende al volo, così comincia ad avvicinarsi alla ragazza.
Himiko cade a terra in ginocchio, serrando strette le palpebre. Le sfugge un mugolio dolorante, mentre si ritrova perfino ad ansimare.
«Chi altro è coinvolto in questa storia?», insiste Keigo, inquisitorio. «Dimmi la verità, Himiko!»
Enji muove un altro passo verso la ragazza, e Himiko si prende la testa tra le mani, disperata.
«Basta, basta!», implora, sfinita.
In quel momento, quella tensione crescente viene interrotta.
«Fermi!», grida la voce di una persona che, di colpo, irrompe sulla scena.
Lo sguardo dei presenti scatta subito di lato, dove incontrano la figura di Aizawa, accompagnato da due colleghi. Shouta è sbucato fuori da un vicolo tra due edifici, la pistola in una mano e il cellulare nell’altra.
«Shouta, mi senti?» Dall’altro capo del telefono, Emi è immersa nel buio della camera da letto di Toga Himiko, nella casa dei suoi genitori a Ginza. Tiene il telefono premuto tra l’orecchio e la spalla, mentre con una mano impugna una torcia e nell’altra un sacchettino trasparente che, colpito dalla luce della pila, rivela le pasticche cremisi contenute al suo interno. «Abbiamo trovato la droga. Era nel cassetto, come avevi detto tu.»
Aizawa si lascia sfuggire un lieve cenno d’assenso col capo. Tiene lo sguardo fisso sulla ragazza davanti a sé, con fermezza.
«Toga Himiko, ti dichiaro in arresto per produzione e detenzione di sostanze stupefacenti», le comunica, solenne.
Il viso di Himiko si contorce in diverse espressioni, che vanno dalla rabbia alla paura.



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note
POTEVO BALLARE CON LUI MA STO QUA A PAZZIARE CO' TE
scusate sta cit la dovevo mettere nelle note del capitolo scorso ma mi sono dimenticata di farlo, poi mi è tornato in mente e ho deciso che questa cavolata non poteva andare persa nel nulla, quindi toh, la piazzo qui, tanto il senso è sempre lo stesso. al posto di lui potete metterci uno a caso tra touya e ryou, mentre te è
– abbastanza ovviamente – enji. giusto, caro il mio keigo?
anyway, torniamo a noi.
capitolo lungo, quasi 12k parole. però ehi, finalmente qualcosa comincia a muoversi! (ora ci arrivo)
intanto abbiamo avuto un mezzo litigio dei papà e tutto quello che vorrei dire loro è noo, non litigate (literally avevano appena smesso). comunque per fortuna hanno fatto pace in fretta, anche perché c'erano delle questioni più importanti di cui occuparsi.
ed eccoci, finalmente! ve l'avevo detto che la scena finale dello scorso capitolo con tenko e touya sarebbe stata importante. e infatti abbiamo scoperto che dietro alla morte di tomie potrebbe celarsi l'ultimo caso seguito da enji quando era ancora in vita. la faccenda si sta forse facendo più ingarbugliata del previsto?
btw dite la verità, ve lo aspettavate il ritorno di toga, direttamente dal capitolo uno? scommetto che avevate rimosso che fosse comparsa (anche io, tbh). e così anche lei è implicata in tutta la faccenda?
(confesso che la parte a casa di toga è stata più complessa del previsto da scrivere. inizialmente doveva essere un paragrafo unico, invece scrivendo mi sono resa conto che c'erano troppi cambi di pov, così ho dovuto dividerlo. secondo me è un bene, in teoria dovrebbe dare quell'idea di frammentarietà che fa aumentare la suspence, però boh, magari è tutto solo nella mia testa)
però sono sincera, vedere enji e keigo indagare insieme è una delle mie cose preferite di tutta la storia. si può dire che l'ho cominciata quasi solo per questo? forse sì lol.
questo capitolo segna anche la conclusione della sottotrama di tenko e touya. posso essere sincera? sono sollevata una cosa in meno di cui occuparsi, yeah
ci sono stati anche un sacco di incontroni, tipo quelli di rei con kaina e keigo. in particolare, quest'ultimo dà una svolta decisiva a tutta la vicenda. ora che toga è stata fermata, forse le cose prenderanno in fretta una nuova piega. tenetevi pronti, perché nel prossimo capitolo succederanno un sacco di cose e la verità verrà a galla, anche perché, beh, è l'ultimo. eh sì, ci siamo.
come sempre grazie a chi sta leggendo e see you soon! (ah, btw: buon anno!)

aria
   
 
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