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Autore: LubaLuft    15/01/2024    0 recensioni
“Che hai?…” chiese Tobio.
“Niente… è solo che… tu stai sorridendo.”
Tobio sgranò gli occhi, sorpreso, mentre osservava il dito di Shoyo che si sollevava verso il suo viso e gli sfiorava un angolo della bocca…”
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa OS è uno spin off di un’altra OS, “Happy Birthday Mr. Coach” (incentrata sulla ship Ukai-Takeda, nella quale Ukai festeggia il suo compleanno con tutta la squadra e gli amici. Le due storie si possono leggere separatamente, ma mi fa piacere se qualcuno che ama come me il duo coach+sensei recupera anche quella!)


Il sapore del tuo sorriso

 

Era una sera nevosa di gennaio e al 坂ノ下 si festeggiava il compleanno del coach Ukai.

Tutta la squadra del Karasuno, il professor Takeda, Kyioko e Hitoka, Saeko Tanaka e gli ex compagni di squadra del coach erano lì, a divertirsi e a rimpinzarsi con le prelibatezze che sfrigolavano nella cucina annessa al locale.

Quella sera, Tobio aveva deciso di assaggiare la sua prima birra.

Quando si trattava di scegliere fra il latte e lo yogurt, il palleggiatore del Karasuno restava a lungo in piedi davanti al distributore automatico fuori della palestra della scuola, preda del dubbio. 

Rifletteva, rimuginava, analizzava. Se poi era arrabbiato per qualcosa o con qualcuno, era capace di ringhiare se qualche altro studente si avvicinava al frigorifero e lui non aveva ancora deciso che cosa prendere.

Allora erano occhiatacce torve e smorfie di fastidio.

Tuttavia, ora che si trovava a una festa, e la scelta da compiere era fra una coca cola forse un po’ sgasata e una birretta appena stappata - come dire fra un semplice attacco singolo differenziato e un attacco sincronizzato totale - i dubbi si dissolsero tutti per magia, come la nebbia al sorgere del sole. Fra l’altro, la coca cola era calda e pure lui aveva caldo: per tutto il pomeriggio era rimasto ad allenarsi in palestra con il boke, fino a poco prima della festa, e il sudore sulla schiena non gli si era ancora asciugato del tutto.

Visto l’imminente torneo nazionale, il vicepreside aveva consentito al club di pallavolo di allenarsi anche al di fuori dell’orario scolastico. Erano quindi autorizzati ad aprire la palestra e la stanza del club, a patto di avvisare sempre il custode. Quel sabato, nonostante avessero la festa di compleanno, Shoyo gli aveva dato il tormento finché Tobio non aveva accettato di rinchiudersi con lui per almeno un paio d’ore.

Avevano stirato braccia e  gambe sul parquet solo per una decina di minuti, tracannando avidamente sali minerali, perché il suddetto boke aveva continuato a saltare per tutto il pomeriggio come un grillo in un campo di grano. 

Ancora una!

Ancora… basta!

Ti prego, facciamone ancora una tipo swish!…

Ho sete e ho fame!… Restaci tu qui a smaniare mentre quelli si sbafano tutto…! 

 

Alla fine, Tobio era riuscito a trascinarlo fuori dalla palestra e, nonostante tutta la neve che si era posata fin dal mattino, avevano corso fino al 坂ノ下, manco a dirlo… e che, non se la facevano anche una garetta a chi arrivava prima, per chiudere in bellezza?

Ora, davanti al tavolo colmo di leccornie, al cospetto di quelle bottiglie imperlate di condensa, di fronte alla curiosità e, soprattutto, alla sete che non riusciva a placare, Tobio prese la prima 33 cl che aveva a tiro e ne tracannò un sorso.

Era amara sulla lingua, liquida e pastosa allo stesso tempo. 

Riempì la sua bocca spegnendo l’arsura, solleticò le gengive frizzando allegra, scivolò fresca lungo l’esofago chiamando il sorso successivo - ancora uno!

E giù anche il secondo. 

Al terzo, la sete si era placata e ora il piacere di quella faccenda stava tutto nel muovere la lingua in quel liquido fresco e vagamente aromatico prima di spingerlo giù.

Fu colto allora da una strana sensazione: non aveva più sete ma, mentre beveva,  un calore nuovo, mai sperimentato prima, gli saliva sul viso... insieme a un sonoro gorgoglìo, che solo per un miracolo non si trasformò in un altrettanto sonoro rutto.

I pensieri, che di solito nella sua testa si susseguivano sempre veloci, presero allora una strana andatura rallentata, rilassata.

Bevve l’ultimo sorso e si ficcò in bocca un onigiri, mentre la sua coscienza da bevitore novizio, già allegra dopo la prima birra, gli diceva convinta Ancora una!...

E un’altra fu: stavolta aveva un sapore diverso, era più scura, meno frizzante della prima. Più da grandi, forse.

Nessuno dei senpai se ne era accorto: Asahi era fra le grinfie di Noya e Ryu, Sawamura amoreggiava con Yui Michimiya, Sugawara chiacchierava con gli altri riservisti. 

Tsukishima e Yamaguchi erano per conto loro da quando erano arrivati, Ukai & C. stavano mandando giù sake a rotta di collo… e Shoyo era uscito fuori a fare un pupazzo di neve!

Sì allungò al bagno per scaricare il primo effetto collaterale dei 66 cl con i quali aveva inaugurato quel nuovo corso della sua vita.

Quando ritornò, il boke era ancora là fuori.

Lo osservò dal vetro appannato. Con quell’improbabile paraorecchie e un paio di guanti enormi, ammassava neve su neve sotto la luce lattiginosa dei lampioni.

Ma perché non si spegneva mai? Quel sorriso sempre spalancato, quelle mani piccole e nervose, quella voce stridula e fastidiosa, quei piedi che scattavano e saltavano. Non stava mai fermo.

Shoyo si accorse che lui lo stava osservando e gli fece cenno di raggiungerlo fuori. 

Tobio stava per mandarlo al diavolo - col cavolo che usciva al freddo! - quando qualcosa che gli fluttuava nella coscienza ammorbidita dall’alcol gli fece cambiare idea: sentiva il bisogno di raggiungerlo.

Indossò il giaccone, afferrò una bottiglia e uscì.

“Guarda!… Lo riconosci?” Gli chiese Shoyo con gli occhi che gli brillavano sulle guance arrossate dal freddo, indicandogli il pupazzo che aveva appena finito.

Tobio gli allungò la bottiglia con un gesto brusco. “Tieni.”

“Uaaaa… ma è birra…”

“Se non ti va, me la riprendo.”

“No, no… è che io non…”

“Ohi, fa’ come vuoi.”

“Beh, se me la offri con cotanta gentilezza… non posso certo rifiutare, ti pare?!…Piuttosto, ti piace la mia scultura?” 

Tobio non si era ancora concentrato sull’aspetto del pupazzo di neve: concentrarsi infatti era difficile, per via di quel rallentamento generale delle sue sinapsi. Lo osservò però meglio e, mentre dalla bocca di Shoyo uscivano sghignazzi simili a rantoli, attutiti dall’ovatta nevosa che li circondava, Tobio si rese conto che il pupazzo… era lui.

Shoyo gli aveva messo due pietre al posto degli occhi e aveva disegnato le sopracciglia curve al punto giusto per dargli un’aria scazzata.

La bocca era la copia conforme della sua smorfia d’ordinanza.

Il busto era lungo e sottile e sul davanti Shoyo aveva inciso con un bastoncino il numero 9… contornandolo con una linea chiusa che, a osservarla meglio, sembrava proprio… un cuore.

Sì, era un cuore, non c’erano dubbi.

Tobio trasalì e lo guardò di sottecchi. Shoyo beveva la sua prima birra - non aveva dubbi in merito al fatto che fosse la prima anche per lui, aveva una faccia comica - e mostrava di gradirla, nonostante tutto quel freddo. 

Aspettò che terminasse l’ultimo sorso e poi, con sguardo beffardo e sorriso sornione gli disse “Comunque sono in vantaggio.”

“Cioè?” Esclamò Shoyo.

“Io ne ho bevute due.”

“Eh?!”

Fu un attimo, e Shoyo lo piantò davanti al suo pupazzo rientrando dentro di corsa.

Tobio restò fuori a guardarsi allo specchio. Quel cumulo di neve aveva dunque un cuore?

Tirò fuori una mano dalla tasca e allungò un dito. Cancellò la smorfia che aveva disegnato Shoyo e al suo posto tracciò un sorriso. Cioè, il primo tentativo fu una linea troppo dritta che trasformava l’espressione imbronciata in una un po’ idiota. Ci riprovò e l’effetto fu decisamente migliore.

Un paio di legnetti sbucavano ai lati della testa, nella mente semplice di Shoyo dovevano rappresentare due braccia che si apprestavano ad alzare.

Il pupazzo sorrideva, felice di avere un cuore, mentre quello di Tobio batteva ora più veloce.

Rientrò dentro anche lui. Lo colpì una ventata di caldo e di fumo. 

Shoyo si era messo accanto al tavolo del rinfresco e aveva in mano la bottiglia della stessa birra scura che aveva provato lui.

Erano tutti distratti dall’apertura dei regali, nessuno avrebbe fatto caso a un primino che si faceva una birretta.

“Ehi, è buona pure… questa...” gli disse Shoyo allungando la bottiglia verso di lui ma subito dopo si interruppe, rivolgendogli uno sguardo confuso. Gli occhi ambrati guizzavano sul suo viso accaldato e sembravano in allerta per qualcosa.

“Che hai?…” chiese Tobio.

“Niente… è solo che… tu stai sorridendo.”

Tobio sgranò gli occhi, sorpreso, mentre osservava il dito di Shoyo che si sollevava verso il suo viso e gli sfiorava un angolo della bocca.

Il rallentamento cognitivo di Tobio terminò in quel momento esatto, quando la punta dell’indice di Shoyo si appoggiò alla sua pelle.

Quel tocco lo risvegliò.

Mentre restavano a guardarsi immersi in una bolla di stupore, a Tobio tornò alla mente una strana sensazione che si portava dietro da quel pomeriggio, durante il quale aveva sbuffato con lui, sì ma solo per darsi il suo solito contegno insopportabile… e ora capiva, finalmente: la verità era che con Shoyo il tempo volava via e Tobio non ne aveva mai abbastanza.

In palestra c’erano stati almeno un paio d’ore, e quelle due ore erano state risucchiate dal quel vortice umano con i capelli arancioni che gli girava intorno, sotto rete, e che gli implorava di alzargliene ancora una. 

Saltando e correndo, Shoyo deformava lo spazio-tempo e lo condensava su di loro, trasformati in elementi chimici impazziti che ruotavano attorno all’unico nucleo possibile, la palla.

Erano arrivati al locale di Ukai accaldati, dopo la corsa - che aveva vinto Tobio -  e la stizza per la sconfitta aveva fatto innervosire Shoyo, con il risultato che il piccoletto gli aveva messo le mani addosso, scaricandogli una salva di colpi alle costole, ai quali lui aveva risposto tentando di farlo diventare ancora più basso a suon di manate sulla testa.

Ma le mani di Shoyo c’erano andate giù morbide, come se in realtà volessero fargli il solletico, e anche lui ci aveva preso gusto ad accarezzargli la testa, riempiendosi le dita dei suoi capelli morbidi e scomposti.

Toccarlo era piacevole. Sentirlo addosso, anche. 

Ora che ci rifletteva meglio, era proprio per quel motivo che la sua sete a un certo punto era diventata insopportabile. Lo aveva mollato e si era fatto il primo giro alcolico, poi il secondo… e poi Shoyo gli aveva regalato un pupazzo di neve con un cuore disegnato sopra.

E ora Tobio Kageyama sorrideva, addirittura. Per tutti gli Dei!

Shoyo staccò il dito dalle sue labbra ma i suoi occhi ambrati continuavano a guizzare nei suoi occhi blu.

Sembravano volergli trasmettere un po’ di quella specie di gioia scomposta provocata da quel sorriso imprevisto, di cui neanche il proprietario sembrava essersi accorto. 

Tobio lo percepiva chiaramente mentre i loro sguardi aderivano.

Anche Tobio voleva trasmettergli qualcosa di quella specie di euforia che continuava ad allargarsi nel suo cervello, benedetta dalla birra e dal suo dito sulle labbra.

Qualcuno allora accese lo stereo. 

“Uuuuu… questa è bellissima! Hinata piace anche a te, vieni!!”

Era Noya, che venne a prelevare Shoyo per portarlo in mezzo agli scalmanati.

“Kageyama, tu?” Chiese Noya.

Ma Tobio scosse la testa, non sapeva ballare. Si infilò le mani in tasca e si trovò una parete a cui appoggiarsi e fare tappezzeria.

Da lì osservava Shoyo, che saltava qua e là in pista esattamente come avrebbe fatto in campo, con un ritmo e una coordinazione tutti suoi, finché, con un salto di troppo, il piccoletto gli finì letteralmente addosso. 

Tobio fece a malapena in tempo a tirare fuori le mani dalle tasche che se lo ritrovò sul petto, il viso sollevato verso il suo.

Le sue braccia allora, ormai guidate dal puro istinto, si mossero da sole per stringerlo e chiudergli qualsiasi possibilità di fuga. 

Shoyo doveva essersene accorto perché Tobio sentì che il corpo teso del piccoletto si abbandonò in un sospiro, lento e profondo, e i suoi occhi si spalancarono in uno sguardo di ambra liquida così intenso da risospingere Tobio fuori dal locale, davanti al suo cuore scolpito nella neve. Che ormai si era sciolta, lo sentiva.

Non fece però in tempo a chiudere il cerchio, ad avvolgere le sue braccia intorno a Shoyo che Noya era già arrivato a reclamarlo.

“Hinata!! Non battere la fiacca!”

Lo afferrò dal cappuccio della felpa per trascinarlo via con sé.

“Scusami…” gli disse allora Shoyo, rientrando in sé e puntellandosi su di lui con le mani per tornare a una postura eretta.

“Di nulla, boke

Ma subito dopo si morse il labbro e strinse i pugni. Poi sollevò gli indici e se li appoggiò agli angoli della bocca: del suo sorriso non c’era più traccia.

Lo aveva lasciato da solo e la cosa lo infastidiva, lo innervosiva, lo intristiva.

Le due birre che aveva bevuto avevano ormai esaurito i loro effetti. L’euforia data dagli strani scambi verbali e visivi con Shoyo, il suo cuore disegnato sulla neve, il corpo di lui quasi stretto al suo, si era lentamente trasformata in una specie di malinconia. Si mise a sedere e si scolò quel che rimaneva di una bottiglia di coca cola, ormai sgasata.

Uscì fuori a prendere una boccata d’aria, sembrava aver smesso di nevicare.

Quella sciocca parentesi danzereccia quando sarebbe finita?

Girò in tondo, arrivò sul prato dietro al locale, si sdraiò sulla neve. 

Qualche fiocco cadeva. Aprì la bocca per catturarne qualcuno.

Si rialzò, tornò davanti all’ingresso del locale, si appoggiò alla parete accanto alla porta vincendo la tentazione di rientrare a scaldarsi, finché i suoi compagni di squadra, a un certo punto, si fiondarono tutti fuori a fare a palle di neve. 

Shoyo gli passò accanto senza vederlo.

Una battaglia tutti contro tutti, senza esclusione di colpi. 

Tuttavia, quando Tanaka tentò di spianare quell’assurdo ammasso di neve che ancora resisteva sul piazzale, il piccoletto si inviperì. 

“Ehi! Lasciate perdere il mio pupazzo di neve!”

Shoyo gli fece da scudo con le braccia spalancate. Aveva una faccia neanche fosse appena ruotato in seconda linea a difendere i sei metri con Ushiwaka al servizio.

Poi, quando fu sicuro che nessuno dei suoi compagni scalmanati lo avrebbe vandalizzato, gli diede una sistemata - nella colluttazione generale erano saltati i legnetti ed era franata una parte della base - e quando si voltò di nuovo aveva un’espressione che sembrava fuori luogo, in mezzo a tutta quella neve. 

Tobio si spostò nel cono d’ombra all’angolo del locale ma Shoyo lo individuò prima che potesse nascondersi.

Lo guardava e sul suo viso, Tobio leggeva l’impazienza di correre sotto rete, di saltare, di appropriarsi della palla. Leggeva una richiesta, un non la facciamo? che però ora suonava diverso perché aveva un carico di dubbio e speranza che non gli aveva mai visto fino a quel momento.

Non era il solito dubbio generato dalla velocità dell’azione - che cosa avrebbe fatto l’alzatore? Chiamato una pipe? Alzato a Tsukishima? A Tanaka? - era proprio la richiesta quasi disperata di darla… solo a lui. 

Con quell’espressione incredibile, Shoyo gli si avvicinò, sudato e con le guance in fiamme. 

“Ascolta… prima io…”

“Che cosa vuoi da me, bo  … Shoyo?” 

Tobio non lo chiamò più boke, perché un po’ cretino ora ci si sentiva anche lui. Sentiva un disperato bisogno di sfogarsi, di comprimere neve fredda sulle sue mani calde, di passarsela sul viso, di raffreddare ciò che non accennava a tornare alla giusta temperatura. 

“Il viso del mio… gli hai disegnato un sorriso…”

“E poi…?”

“E poi una freccia… sul cuore… vero? VERO?”

Tobio deglutì.

Perché era complicato dirgli sì? Scegliere tra latte e yogurt, coca e birra, asso o esca? O tra una smorfia e un sorriso…

Ma il viso di Shoyo si approssimava e il sorriso ebbe la meglio sulla smorfia, nell’angolo buio dietro al locale, mentre nessuno li vedeva.

“Voglio sentirlo...” gli sussurrò Shoyo

“Cosa?”

“Il sapore del tuo sorriso.”

Shoyo lo afferrò per il bavero del giubbotto, si sollevò, lo agguantò.

Sì, la facciamo pensò Tobio mentre il cuore gli esplodeva da qualche parte, sotto gli strati pesanti che indossava, e schiudeva le labbra.

Non aveva mai baciato nessuno in vita sua, e forse neanche Shoyo, a giudicare dal frontale che fece con i suoi denti.

Tobio allora pensò di fare come prima, con la birra: assaggiare la sua bocca a sorsi lenti, mandare giù quei baci dopo averli accarezzati con la lingua, godere di quella specie di solletico caldo che lo faceva impazzire. I loro respiri erano ancora un po’ alcolici e la cosa rendeva tutto ancora più eccitante, perché ora la faccenda si faceva seria e complessa, lì al buio e al freddo, con una scarica continua di brividi a scuotere entrambi. 

Shoyo gli arpionava le costole, lui gli aveva stampato le mani sulle guance.

E giù, un sorso dopo l’altro. Ancora uno.

Il pupazzo di neve era intanto crollato.

Tobio e Shoyo se ne accorsero solo dopo, quando se ne andarono per fatti propri, in direzione opposta agli altri, bislacchi e ora, forse, anche innamorati.

Cuori e sorrisi… e tanta birra.

   
 
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