Notte…
una ragazza si perde tra i vicoli, la solita sbadata, inutile dire che
Bella per riuscire a trovare una libreria potrebbe ritrovarsi
catapultata su un altro pianeta. Piove… che
novità, la solita ragazza
fortunata. I vicoli sono scuri, bui, tretri, malinconi, e lei
è sola,
alla ricerca di luce, alla ricerca di una via che può
riportarla a
casa. Sospira stringendosi nelle spalle, e cammina...
L’oscurità è
spesso culla di dolci sogni, o incubi si sa, spesso di una bellezza
disarmante tanto che il primo istinto è spesso quello di
rimanerne
affascinati, inesorabilmente e inequivocabilmente attratti. Eppure...
l’odore di umido, il battito di un cuore, il profumo della
pelle, la
fragranza di un battito di ciglia, possono attirare il peggiore dei
predatori, il più misterioso degli amanti. E non un gatto
nero, che
calmo si struscia sui piedi della ragazza ormai bagnata, ma un vampiro
dal profondo tormento e dagli occhi dorati, dalle bellezza mortale.
Edward non crede ai suoi occhi… una sirena tutta sola in un
vicolo, una
ragazzina in grado di far capitolare ogni scelta ponderata della sua
vita. Possibile? Piccola, fragile, umana, dallo sguardo spaurito e
dalle gote morbide ed invitanti. Impossibile non cedere a quella
tentazione, a quel desiderio istintivo e fuori da ogni regola. Edward
si avvicina al frutto proibito, il suo peccato, lo sfiora, lo
accarezza, amareggiato, lo vuole, lo desidera, lo brama... ma lei gli
sfugge ad un palmo di naso, correndo via… e poi?
L’ossessione di ritrovarla.
Malia85
POV
BELLA
Era
da più di mezzora che camminavo e mi sembrava di non
riuscire a vedere la fine
di quei vicoli.
Ogni volta che credevo di essere finalmente giunta alla strada
principale mi
trovavo dinnanzi una biforcazione che mi conduceva ad altre piccole
viuzze.
Non potevo di certo vantare uno spiccato senso
dell’orientamento, fin da
piccola ero capace di perdermi persino nell’isolato in cui
vivevo, con grande
preoccupazione di Reneè che era costretta puntualmente a
cercarmi. E far fronte
alle crisi d’ansia che seguivano era molto più
difficile che ritrovare la
strada di casa.
Poi, con la crescita, l’orientamento non era più
sembrata una scienza astrusa e
impossibile alla mia comprensione. Per lo meno in luoghi che conoscevo
da anni…
Non potevo dire lo stesso in sconosciute cittadine mai visitate.
Mi accorsi di sospirare per l’ennesima volta e decisi di
fermarmi per guardarmi
attorno.
Il sole doveva essere calato dietro la linea dell’orizzonte
da quasi un’ora
ormai, sempre che di sole si potesse parlare in quelle zone ove regnava
la
pioggia incontrastata. Un po’ come ora in cui sottilissime
stille d’acqua mi
inumidivano i capelli.
Non c’era altro che oscurità, dissipata
dall’unico lampione funzionante a
qualche metro di distanza. Lo osservai attentamente… La sua
luce fioca non mi
dava molta fiducia, eppure era l’unica fonte luminosa di quel
viottolo che mi
sembrò anche più stretto e buio dei precedenti.
Mi ero trasferita da poco da mio padre, lasciando a mia madre la
possibilità di
seguire il suo nuovo marito in ogni più piccolo spostamento
dovuto al lavoro
che svolgeva l’uomo con cui si era recentemente sposata. Non
trovavo giusto che
rinunciasse a seguirlo, non per causa mia.
E così avevo deciso di fare i bagagli e di trascorrere un
po’ di tempo da
Charlie. Era vissuto da solo da quando mia madre se n’era
andata portandomi con
sé, continuando la sua semplice vita di sceriffo di
provincia.
Ed era proprio a causa del suo lavoro, in un certo qual modo, che ora
mi
trovavo in questa situazione. Mi aveva detto di dover assolutamente
fare una
commissione, ma non lo esaltava l’idea di lasciarmi a casa da
sola e aveva così
deciso di portarmi con sé in città. Avevo
acconsentito solamente perché così
avrei avuto l’opportunità di andare in libreria.
Amavo perdermi tra scaffali stracolmi di volumi, adoravo
l’odore della carta
appena stampata. Era qualcosa che mi aveva sempre affascinata e
sedotta.
Circondata dai classici di Jane Austen mi sentivo a casa, in qualunque
luogo
fossi.
Ma riuscire a trovare la libreria in quella cittadina era divenuta
un’impresa
titanica. Nemmeno le indicazioni che avevo chiesto per ben due volte
erano
riuscite a facilitarmi il compito.
Tutt’altro.
Ed ora mi trovavo chissà dove, senza avere un’idea
precisa di che ora fosse,
con Charlie che sicuramente aveva concluso i propri affari e mi stava
cercando
ovunque.
Che ironia avere per padre lo sceriffo della città, non ci
sarebbe stato alcun
bisogno di telefonare alla polizia per mobilitare le ricerche qualora
avessi
continuato a vagare per il resto della mia vita in quel labirinto di
vicoli
bui.
Mi accorsi che inconsciamente mi ero avvicinata al lampione, attorno al
quale
alcune falene danzavano attratte dall’unica e preziosa fonte
di luce. Un po’
come me…
Mi guardai attorno. L’oscurità avvolgeva entrambe
le estremità della stradina
che sembrava concludere il suo corso inghiottita dalle tenebre.
Lo svolazzare della falena disegnava inquietanti e tremolanti ombre
sulle
pareti del vicolo che sembravano sempre ricongiungersi al buio che
inghiottiva
la fine e l’inizio della viuzza.
Non avevo incontrato nessuno… E non sapevo se considerare
quest’evento
negativamente o positivamente.
C’era qualcosa di irreale in
quell’atmosfera… L’assenza totale di
vento rendeva
l’aria greve e stagnante. La pioggerellina cadeva coprendo e
attutendo rumori e
suoni.
Rabbrividii alla temperatura così differente da quella
solare e calda di
Phoenix a cui ero avvezza. Non mi sarei mai abituata al freddo e
all’umidità di
quella zona.
Infilai le mani nelle tasche, accostando i lembi del cappotto, in un
vano
tentativo di scaldarmi mentre pensavo a come tirarmi
d’impaccio da quella
situazione in cui mi ero cacciata con le mie sole forze. Una
soddisfazione
davvero…
Forse avrei dovuto continuare ad avanzare, prima o poi sarei arrivata
alla strada
principale e avrei potuto nuovamente chiedere indicazioni. Oppure,
considerato
quanto la Dea Bendata si preoccupasse accuratamente di evitarmi, mi
sarei
addentrata ancor più in un dedalo di viottoli bui e infiniti
in cui avrei
vagato per l’eternità come un’anima in
pena. La prospettiva non era affatto
allettante.
E se fossi rimasta lì, ferma, in attesa che qualcuno mi
trovasse? Sarebbero
potute passare ore e come minimo avrei rischiato di morire assiderata
molto più
velocemente di qualsiasi altra persona del posto considerando le
temperature a
cui ero solitamente abituata.
No, l’unica soluzione sarebbe potuta essere quella di tornare
indietro,
tentando di ricordare la via da percorrere a ritroso. Ero arrivata fin
lì,
valeva la pena provare. Il peggio che sarebbe potuto capitarmi era
continuare a
vagare per vicoli sconosciuti come già stava
avvenendo…
Allacciai la lampo del cappotto, nel patetico tentativo di scacciare il
freddo
che penetrava attraverso gli abiti umidi di pioggia e mi avviai per
tornare
indietro.
Un lampo squarciò il cielo all’improvviso alle mie
spalle facendomi sussultare,
seguito dal tuono. Istintivamente mi portai le mani alle orecchie, non
avevo
mai amato i temporali. Mi avevano sempre terrorizzato fin da bambina.
Quando si dice la fortuna…
Nell’assoluto silenzio che seguì un fruscio ruppe
la quiete. Rallentai il passo
e mi misi all’ascolto, una strana sensazione mi invase
all’improvviso e mille
pensieri iniziarono a vorticarmi in mente.
Ero facilmente impressionabile, per cui dopo qualche istante di
assordante
silenzio mi convinsi di essermi auto suggestionata, causa temporale.
Ripresi con lentezza a camminare, sentivo montare
l’inquietudine ad ogni passo
e poi di nuovo quel rumore, stavolta più forte e prolungato.
Alle mie spalle. Incespicai
nei miei stessi piedi nel voltarmi, non so come riuscii a mantenermi in
posizione eretta.
Spaziavo con lo sguardo lungo la via scarsamente illuminata, ma tutto
ciò che
riuscivo a vedere era il nulla… Il buio che inghiottiva ogni
cosa, le pareti delle
vecchie palazzine disabitate e l’acciottolato del vicolo che
si concludeva in
quello che a me sembrava un infernale buco nero.
Mi augurai nella migliore delle ipotesi che fosse qualche poveraccio
che
avrebbe forse potuto indicarmi la via del ritorno. Decisi di non
prendere in
considerazione ciò che di opposto la mente mi suggeriva.
Il rumore si intensificò, agghiacciante,
sinistro… Un nuovo lampo squarciò il
cielo, inseguito dal tuono. D’istinto indietreggiai, lo
sguardo fisso
sull’oscurità da cui sembrava provenire la fonte
del rumore, gli occhi
spalancati timorosa di ciò che quel denso nero nascondeva.
All’improvviso mi accorsi che qualcosa mi sfiorava il
polpaccio e mi impediva
la fuga, lanciai un urlo mettendo il piede in fallo e cadendo
all’indietro su
un mucchio di scatoloni gonfi di pioggia. Nel medesimo istante un gatto
schizzò
da parte a parte del vicolo venendo illuminato dalla fioca luce al
veloce
passaggio, facendomi trasalire.
“Oddio…” sussurrai massaggiandomi il
fondoschiena dolorante, rilasciando il
respiro che non mi ero accorta di trattenere. Era solo un
gatto… Portai una
mano al petto, dove il cuore sembrava impazzito. Sorrisi di me stessa e
delle
mie sciocche paure, lasciandomi invadere da una piacevole sensazione di
sollievo.
“Va tutto bene?” domandò una voce
maschile e melodiosa, facendomi alzare di
scatto la testa.
Un fulmine illuminò per qualche istante il vicolo
permettendomi di notare a
qualche metro di distanza la figura d’un ragazzo. Il tuono
squarciò il silenzio
e l’inquietudine che solo pochi istanti prima mi aveva
abbandonata tornò più
prepotente che mai, spazzando con foga il sollievo.
Rabbrividii a causa del freddo, alzandomi a fatica da terra, cosciente
di aver
i pantaloni completamente fradici dopo la caduta.
“Si… Grazie” riuscii a rispondere in un
confuso balbettio, mentre osservavo
irrequieta e guardinga la figura avvicinarsi di qualche passo alla luce.
Rimasi senza parole, completamente confusa. A pochi metri da me,
illuminato
dalla fioca luce dell’unico lampione funzionante ad
intermittenza, c’era il
ragazzo più bello che avessi mai visto.
POV EDWARD
Noia…
Una parola che ricorreva più spesso di quanto desiderassi
nella mia mente e
nelle mie giornate, da decenni ormai. Trascorrere il tempo diveniva
sempre più
difficile e inappagante.
Solo la musica era in grado di donarmi sollievo dal tedio che avvolgeva
la mia
intera esistenza, ma da qualche tempo persino il piacere derivante
dalle dolci
e drammatiche note del mio pianoforte non riusciva ad esser sufficiente
a
rendere sopportabile la mia condizione di creatura dannata.
Soprattutto non quando la casa era gremita dai pensieri stucchevoli e
arditi
delle mie sorelle nei confronti dei loro mariti. Avrei tanto voluto
avere la
possibilità di escludere dalla mente certe raccapriccianti
visioni, ma se non
erano i diretti interessati a schermare in qualche modo i loro
pensieri, non
avevo possibilità di eludere quel vociare continuo.
Motivo per il quale spesso mi allontanavo da casa, vagando nel silenzio
della
foresta.
Motivo per il quale ora stavo vagando per le vie più buie e
desolate della
cittadina.
Lontano quanto bastava dagli insulsi pensieri degli umani che
giungevano
solamente come un brusio sommesso e trascurabile e non come un vociare
assordante e continuo.
Complice l’oscurità e il cielo tempestoso mi
muovevo inosservato tra le vie
deserte, sotto le sottili gocce di pioggia che mi bagnavano. Persino la
loro
temperatura a contatto con la mia pelle gelida risultava di un tiepido
calore,
nonostante il periodo dell’anno, motivo per il quale per
qualsiasi umano
sarebbe stata gelida.
Ma io non avevo nulla di umano, ero un vampiro da quasi
cent’anni ormai. Una
creatura immortale che si cibava di sangue per vivere… Un
demone dalle
sembianze d’un angelo sceso in terra.
Nient’altro che una bestia, civilizzata poiché io
e la mia famiglia avevamo
adottato uno stile di vita alternativo: per non togliere la vita agli
umani ci
cibavamo solamente di animali; ma pur sempre una bestia. Sopita ma non
estinta.
Era lì, sotto la superficie, sotto quel controllo che
così bene avevo affinato
durante i decenni. Nonostante anch’io avessi avuto i miei
momenti di ribellione
a quel particolare stile di vita adottato dal clan di cui facevo parte.
Dalla
mia famiglia…
Senza un particolare motivo decisi di svoltare a destra, addentrandomi
nei
vicoli più solitari e oscuri della città. Dove
non si incontrava mai anima
viva, dove persino la luce faticava a rischiarare l’atmosfera.
Il luogo adatto a una creatura come me che nell’ombra avrebbe
dovuto vivere e
dell’oscurità far un manto per ripararsi agli
occhi del mondo, che non avrebbe
compreso il vuoto che come un’infinita voragine risucchiava
gli estenuanti
attimi della mia inutile esistenza.
Un passo avanti all’altro, lentamente. In
quell’andatura tipica della mia razza
che non aveva nulla di umano poiché la percezione della
velocità era nettamente
differente. Così come lo erano le possibilità che
ci differenziavano da quelle
creature il cui sangue era un richiamo per tutti noi, il cui cuore
pulsante ci
sussurrava suadente… Ma io avevo imparato a resistere. A
volte mi chiedevo
perché negare così la nostra natura. La risposta
era sempre la stessa e a cosa
avrebbe portato analizzare nuovamente le conclusioni a cui sarei giunto?
Nulla… Altro nulla. Solo il nulla… Come sempre.
Strinsi le labbra tentando di svuotare la mente. Anelavo al silenzio
assoluto,
sebbene sapessi che era praticamente impossibile raggiungerlo.
Soprattutto in luoghi come quello che avevo scelto per trascorrere la
serata…
Vie cittadine. In cui ogni più piccolo rumore giungeva al
mio udito super
sensibile da metri di distanza.
Lo squittio di un ratto, la radio di un’auto in lontananza,
il rombo di un
tuono, una mamma che cantava al suo bimbo, il pennello che scivolava
sulla
tela, l’acqua che scorreva da un rubinetto aperto, il suono
di un violino
lontano e nostalgico, un animale che frugava tra scatoloni o rifiuti
forse… E
un cuore accelerato.
Quest’ultimo mi colpì per la vicinanza del suono,
dovevo essere profondamente
assorto nelle mie meditazioni per essermi lasciato sfuggire questo
particolare.
Quel cuore pulsava, sempre più veloce, ad un ritmo
sconosciuto e suadente.
Paura… Eccitazione… Quale di queste emozioni
stava imperversando nell’animo del
suo possessore?
Sapevo bene che quelle stradine a quell’ora della sera erano
deserte, ecco
perché a volte le sceglievo come luogo per il mio
girovagare. Mi concentrai,
per tentare di cogliere eventuali indizi utili a decifrare quel piccolo
mistero. Solo quel solitario battito umano…
Ed un fruscio… Potevo sentire perfettamente le zampe del
piccolo animale
muoversi sul terreno, il pompare del sangue nel corpo felino
così differente
dal battito del cuore umano, che stava accelerando a dismisura.
E mi chiamava… Lo sentivo invitarmi. Sapevo resistere,
eppure non riuscii a
frenare la mia corsa. In pochi secondi arrivai
all’imboccatura della via per
vedere una giovane ragazza cadere su un mucchio di cartone bagnato,
spaventata
dal gatto che avvertita la mia presenza fuggì velocemente.
Gli animali
percepivano la nostra natura e ne erano intimoriti. L’istinto
di sopravvivenza
suggeriva loro di scappare… La natura, che meraviglioso
meccanismo.
Rimasi fermo all’inizio della via per pochi secondi,
osservando la giovane dal
protettivo riparo dell’oscurità in cui ero
immerso. Aveva lunghi capelli di un
caldo color castano, bagnati dalla pioggia che continuava a cadere
incessante,
un corpo minuto e un’espressione spaurita sul viso
dall’ incarnato pallido e
perfetto.
Sentii il suo cuore modificare il battito, seguito da un sospiro che
parve di
sollievo e la flebile vocina che accompagnò la sua mano sul
petto sembrò una
timida melodia al mio udito. In pochi secondi mi avvicinai
all’unica fonte di
illuminazione di quel vicolo, un lampione la cui luce fioca serviva a
rischiarare
a malapena i contorni dell’oggetto stesso.
Ma io non avevo bisogno di luce per vedere… I miei occhi
erano perfettamente in
grado di distinguere ogni singolo particolare anche in
quell’oscurità, meglio
persino di quanto avrebbe potuto fare un umano in pieno giorno.
“Va tutto bene?”
Un lampo seguì alle mie parole, illuminando la via e in
parte anche la mia
figura. Avvertii gli occhi di quella ragazza puntati su di me, e il suo
sangue
affluire con più rapidità al cuore in una corsa
dai toni forti e violenti. Il
volto teso in un’espressione esitante, insicura…
Paura… Ecco quale emozione
l’aveva mossa poco prima. Ne sentivo l’odore
nell’aria stagnante di pioggia,
nemmeno un alito di vento mi carezzava.
La osservai alzarsi sgraziatamente, era impacciata persino nei
movimenti più
semplici, e lo stato di agitazione in cui imperversava non
l’aiutava affatto. E
costringeva me ad uno sforzo estenuante per escludere quella sinfonia
che
ritmica scandiva la sua vita umana…
“Si… Grazie” rispose con voce tremante.
Mi accorsi solo allora di non aver
percepito alcun pensiero provenire da lei… Era impossibile!
Probabilmente ero
stato distratto da altro, sicuramente era così…
Decisi di rendermi visibile ai suoi occhi, forse ciò avrebbe
lenito in qualche
modo la sua irrequietezza; e la mia… Mi avvicinai al pallido
cono luminoso del
lampione e la vidi trattenere il respiro. La melodia del suo cuore
cambiò
nuovamente, altri accordi, questa volta dovuti ad ammirazione
forse…
Già… D’altronde noi vampiri eravamo
bellissimi, fatti per attrarre ignare e
ingenue prede. Attesi di udire i soliti apprezzamenti stupiti delle
ragazzine
della sua età, i pensieri in piena crisi ormonale
caratteristici degli
adolescenti… Nulla. Il silenzio.
Non era possibile… La rabbia e
l’incredulità mi portarono ad avanzare ancora di
più, lentamente.
Osservavo l’espressione incerta nel volto pallido, la mano
convulsamente
stretta alla falda del cappotto all’altezza del cuore, che
sembrava impazzire
in una drammatica armonia. Che meraviglia quel suono, mai mi era
sembrato di
udirne uno più bello…
Un altro passo e fu allora che il suo odore mi colpì come
una frustata in pieno
volto… Fresie, lavanda e miele. L’essenza
più seducente che avessi mai odorato.
La più inebriante, incantevole,
provocante…Violentava i miei sensi inducendomi
a volerne di più, sempre di più.
In pochi secondi mi scoprii ad annusare l’aria come un
affamato odora il
profumo del pane caldo appena sfornato. Drogato da
quell’odore, ogni volontà
che non fosse l’avvolgermi in quell’essenza
annullata.
In pochi secondi tutto ciò che ero, il mio stile di vita, le
regole che con la
mia famiglia ci eravamo imposti, il vuoto, la noia tutto scomparve,
trasportato
via come cenere dallo stesso vento che mi aveva sedotto con
l’essenza di lei.
Non ero più il vampiro dal ferreo controllo, ero solo un
patetico essere
sottomesso ad una volontà elusiva e insinuante.
Il bruciante calore che percepivo alla gola non era nulla se paragonato
alla
sofferenza che mi straziava le membra al dovermi trattenere
dall’assaporarla. Ed
io lo volevo, più d’ogni altra cosa…
Strinsi i pugni. Percepivo la bestia
scalpitare con violenza inaudita per prendere il sopravvento e compresi
che
avevo perso la mia battaglia contro di essa nell’istante in
cui l’espressione
del volto della ragazza cambiò. Potevo leggervi il terrore,
lo udivo in quel
battito irrefrenabile che per me era una melodia sublime.
Avanzai di un passo, lentamente, a velocità umana e lei
indietreggiò in
risposta, gli occhi sbarrati fissi su di me. La volevo…
“Come mai qui da sola?” chiesi con voce suadente,
puntando i miei occhi nei
suoi con tutta la potente persuasione del mio essere vampiro.
La vidi vacillare, incespicare sui propri piedi mentre
arretrava… Un piccolo
agnellino indifeso di fronte al lupo cattivo.
“ N-non… Non s-sono da sola” che tenera
vocina.
Le sorrisi e la vidi sbattere le lunghe ciglia, sembrava stesse
cercando di
svegliarsi da un sogno ad occhi aperti. O magari da un
incubo…
“Ti sei persa?” adoravo sentire quel melodico cuore
suonare a causa mia. Poco
importava che le note fossero drammaticamente teatrali. Il pompare del
suo
sangue, che scorreva sempre più veloce nelle vene, mi
chiamava…
Non rispose, scuotendo freneticamente il capo. Ciocche dei capelli
castani
ormai totalmente umidi le si incollarono al volto e al collo, dove mi
pareva di
vedere pulsare il sangue ancora più freneticamente. Un lampo
rischiarò il
cielo, seguito dal tuono.
Sussultò la piccola umana mentre il vento giocava con la sua
figura trascinando
fino a me quel sublime profumo. La bocca si riempì di
veleno, che deglutii con
forza.
Il bruciore alla gola spinse la bestia a un sommesso ruggito, il
desiderio di
assaporare la sua essenza sembrò dilaniarmi il corpo
marmoreo. Il solo pensiero
di sentir scorrere denso il liquido caldo e rosso lungo la mia gola mi
uccideva… Sarebbe bastato così poco. Nessuno si
sarebbe accorto di nulla.
Nessuno avrebbe saputo nulla, se non forse Alice… Ma non mi
importava. La
volevo, disperatamente…
Avanzai, costringendola ad indietreggiare
nell’oscurità fino a spingerla con le
spalle al muro.
“Come ti chiami?” impressi un timbro sensuale e
allettante alla mia voce,
fissandola con l’intensità del mio sguardo nella
semioscurità. Volevo sapere il
suo nome.
Sembrava aver improvvisamente perso l’uso della
parola… L’osservai, le labbra
rosse erano schiuse in un’espressione meravigliata e al tempo
stesso
intimorita. I caldi occhi color del cioccolato, su cui solo ora mi ero
soffermato, mi osservavano invitanti. Incantevole.
Sorrisi consapevole dell’effetto che noi vampiri facevamo
sugli ignari umani e
ripetei la domanda.
“Bella” rispose con voce tremante
dall’ombra in cui era piombata e in cui
avanzai anch’io con lentezza estenuante, eludendo il cono di
luce del lampione.
Il piccolo agnellino seguiva i miei movimenti, per quanto poteva in
quell’oscurità.
“Un bellissimo nome” continuai a parlare per
tenerla sotto il giogo del mio
innaturale fascino, “Unico e raro”.
Un sottile compiacimento baluginò pallido nei suoi occhi a
quel complimento,
soffocato fin troppo presto dal timore per la mia sempre maggiore
vicinanza.
Sorrisi in risposta, cosciente che non poteva vedere il mio ghigno
divertito in
quella semioscurità e mi godetti ogni sua più
piccola emozione, ogni singolo
canto di quel corpo vivo e tremante, ogni respiro affannato…
Inspirai a pieni
polmoni il suo odore. Che idilliaco tormento!
Non resistetti e alla mia naturale velocità mi avvicinai a
un soffio dal suo
viso, facendola sobbalzare spaventata. Trattenne il respiro e
sembrò solo in
quel momento risvegliarsi dal torpore che l’aveva colta. Lo
capii nell’istante
in cui il suo cuore iniziò a danzare frenetico al ritmo
della paura. Si spinse
ancor più contro il muro, tentando di spostarsi
lateralmente, muovendo il capo
a destra e a sinistra per trovare una via di fuga da quella situazione.
“Cosa vuoi?” solo un flebile sussurro, si
portò le mani al petto, stringendo i
lembi della giacca come a proteggersi. Non sarebbe servito a
nulla…
“Sshhh” dissi con una voce roca che non riconobbi
come mia, portando l’indice
quasi a contatto con quelle labbra invitanti. Ma non potevo toccarla,
non
ancora, o avrei ceduto troppo in fretta. Ed io volevo godermi
quell’attimo più
di ogni altra cosa al mondo, prolungandolo il più possibile.
“Voglio solo aiutarti…” le alitai vicino
all’orecchio, immergendo il naso tra i
capelli umidi, tentando di risultare convincente il più
possibile. Inganno… Era
me che volevo aiutare.
La sentii tremare e il suo alito profumato mi avvolse, espulso
violentemente
dalla velocità del respiro al cui ritmo il petto
s’alzava e s’abbassava.
Avvicinai la punta del naso alla sua gota, sentivo il calore della sua
pelle
irradiarsi ed espandersi sulla mia pelle gelida. Nonostante la paura
arrossì,
il flusso sanguigno aumentò all’improvviso
rendendomi freneticamente
impaziente.
Sfiorai con il mio gelido naso la sua pelle, fino al collo. Morbido e
appetitoso.
Pochi millimetri e avrei finalmente potuto posare le mie labbra su quel
sottile
strato che custodiva l’ambrosia più pura che
avessi mai fiutato, stuprandolo
con la violenza dei miei denti affilati come rasoi. Posai le mani ai
lati del
suo corpo, per trattenerla qualora avesse voluto scappare…
Il cuore pompava impazzito, suonando una canzone perfetta. La mia
sirena…
Snudai i denti pronto all’estasi.
“Bells” sentii chiamare a solo qualche metro di
distanza, la voce alta e
chiara. Mi voltai di scatto nella direzione da cui proveniva
individuando
subito la figura d’un uomo in divisa con in mano una torcia.
Come avevo potuto non accorgermi del suo avvicinarsi? Ero
così preso dalla mia
piccola sirena da non aver udito nient’altro che il suo canto.
“Charlie…” sussurrò appena,
per poi urlare con tutta la voce che aveva in gola,
prima che potessi individuare la sua mossa
“Papà!”
Mi voltai a guardarla con rabbia, imprimendomi nella mente ogni suo
più piccolo
particolare. Avrei potuto scappare e portarla con me, ma il rischio ora
sarebbe
stato più grande di quello precedentemente calcolato. Dovevo
elaborare un altro
piano.
Mi allontanai fulmineo prima che la torcia potesse colpire la mia
figura,
rifugiandomi dietro l’angolo dove nessuno mi avrebbe visto.
Udii la mia piccola
sirena correre verso la figura del padre, inciampando più
d’una volta. Rimasi
ad ascoltare il suono del suo cuore, estraniando ogni altro rumore che
giungeva
alla mia mente. Mi pareva ancora di percepire il suo profumo impregnare
l’aria.
Mi era sfuggita, ma l’avrei ritrovata. Perché lei
era mia.
La mia piccola sirena che involontariamente avrebbe cantato per me
conducendomi
a lei.
Ed allora l’avrei avuta. Ghignai soddisfatto.
Oh si… Sarebbe stata mia.
Angolo dell'Autrice
Non è stato facile scrivere di Edward e Bella, ma ci ho provato. Son cosciente che non è la composizione migliore che io abbia scritto, ma ci tengo poichè è la prima in assoluto sul mondo di Twilight.
Credo di essermi dilungata anche troppo... Come sempre grazie a chi leggerà e/o commenterà questo diverso primo incontro tra i protagonisti.
Un abbraccio
Paola