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Autore: Giorgi_b    14/02/2024    11 recensioni
"Pur di combinarsi alla perfezione sul campo, di rispondere alla fiducia letteralmente cieca che lui gli mette tra le mani, Tobio si costringe a uscire del tutto dai propri confini, smarginare, dilatarsi, implodere e ricostruirsi modificando il proprio perimetro, costruendo spigoli e angoli come appigli per rendersi meno sfuggente, più facile per lui da prendere, più facile per lui da scalare. 
Ancora non si domanda cosa gli stia succedendo quando, più avanti, ogni volta che si focalizza sulla palla, dalle ombre della propria concentrazione non emerge più un giocatore qualsiasi, ma due, quattro, cinque Hinata con lo sguardo spiritato, spalancato oltre il muro avversario." 
Buon San Valentino ❤️
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Hai fatto bene a cercarmi”
“Sei stata brava a farti trovare”
Guido Catalano 
 
 
 
 







Tre tocchi. 
Uno: ricevere. Due: alzare. Tre: schiacciare. Di base è tutto qui. 
In mezzo: sfumature diverse di velocità, forza, intelligenza, strategia.
Un gioco bellissimo con gli occhi sempre in alto, ché la terra è per quelli che non sognano abbastanza in grande, mentre il cielo è di chi ha il coraggio di volare. 
 
Tobio intuisce da subito le potenzialità infinite di quell’oggetto dalla forma mistica – la madre, la terra, il sole, la luna – liscio, senza asperità, solitario, incapace di incastrarsi con altre forme che non siano le proprie braccia e le proprie mani. 
La palla è sua simile, sua pari, sua amica. L’unica, in effetti. Per lui è facile capirla e la ama dell’amore granitico di un bambino, un sentimento puro, geloso, possessivo, maniacale, assoluto.
Crescendo, fatica ad apprendere nozioni sui banchi di scuola; in palestra, invece, impara con gioia la grammatica e il lessico del gioco, la geometria delle traiettorie, la geografia del campo. 
Con poco entusiasmo è costretto ad accettare che la pallavolo è un culto che esige almeno dodici adepti a cui Tobio deve cercare di adattarsi, trovando il modo di interagire con loro.
Ma quanto ci vuole perché i compagni si sentano intimiditi dalla sua devozione ossessiva, inadeguati davanti al talento sfacciato e al fuoco che lo arde vivo fin dentro le ossa?
Gli posano sul capo una corona di diffidenza e sguardi gelidi e, da quel momento, il “Re del campo” della Kitagawa Daiichi trascorre le sue ore in palestra da despota solitario, sovrano incompreso.
 
Poi, un giorno, dall’altra parte della rete, irrompono nel suo reame del terrore occhi ardenti, mani piccole con le unghie rosicchiate, una velocità e una capacità di volare che lasciano Tobio senza fiato. Che lo fanno sentire vivo.
 
Chi sei, tu? Dove sei stato, finora?
 
Lì, sulle scale di un’anonima palestra comunale di Sendai, quel ragazzino in lacrime, di cui Tobio non conosce nemmeno il nome, con l’orgoglio ferito, basso, magro, un esserino tremante di pura determinazione, gli lancia una sfida che è un anatema, fa una promessa che annoda il proprio destino al suo. 
Lo incontra di nuovo un anno dopo, il primo giorno di scuola al Karasuno, ed è ancora un incapace approssimativo e riottoso. È benzina a pochi centimetri dalle fiamme sacre del suo amore per la pallavolo ed è solo questione di attimi perché Tobio divampi in un incendio. 
Come osa?! Come osa anche solo ambire a schiacciare le proprie alzate? Come può sognare di essere il più forte, quando non è nemmeno degno di toccare la palla?! 
Eppure guardarlo staccarsi da terra e prendere il volo lo riempie di emozionato stupore: senza troppo sforzo, quel ragazzino riesce con un formidabile salto a occhi chiusi a scavalcare il muro di indifferenza dietro cui Tobio si è nascosto e, una volta raggiunta l’altra parte, inizia a smantellare una a una le barriere e le rigidità che si trova davanti.
 
E non è ovvio che Tobio si difenda?
È talmente ovvio che non si chiede cosa sia la smania sconosciuta che lo prende tutte le volte che è accanto a lui e che si placa solo quando gli mette le mani addosso, quando lo sente divincolarsi sotto le dita, quando tira i capelli ramati urlandogli contro la sua furia. Vorrebbe stargli lontano e invece se lo ritrova sempre vicino: quell’idiota magnetico e gravitazionale lo invade, s’intrufola piano piano nei suoi giorni, nelle sue abitudini, nei suoi pensieri e, prima che Tobio se ne renda conto, ecco che all’orizzonte del suo piccolo universo sono in tre: lui, la pallavolo e Hinata Shouyou. 
 
In poche settimane “giocare insieme”, da obbligo che era, cambia in un infinito necessario, un tempo imperativo sotteso che, mentre si declina al gerundio – giocando insieme – trasforma il presente e diventa futuro.
Pur di combinarsi alla perfezione sul campo, di rispondere alla fiducia letteralmente cieca che lui gli mette tra le mani, Tobio si costringe a uscire del tutto dai propri confini, smarginare, dilatarsi, implodere e ricostruirsi modificando il proprio perimetro, costruendo spigoli e angoli come appigli per rendersi meno sfuggente, più facile per lui da prendere, più facile per lui da scalare. 
Ancora non si domanda cosa gli stia succedendo quando, più avanti, ogni volta che si focalizza sulla palla, dalle ombre della propria concentrazione non emerge più un giocatore qualsiasi, ma due, quattro, cinque Hinata con lo sguardo spiritato, spalancato oltre il muro avversario. 
 
Affiatarsi, col passare dei mesi e degli anni, è via via più facile, una discesa sempre più ripida e rapida verso un domani insieme in Nazionale: è un unico sogno nell’intersezione di due destini.
E, tra il sovrapporsi e il combaciare, in mezzo ci sono capelli come fiamme dell’inferno e un corpo efebico di argento vivo, muscoli guizzanti e pallavolo, uno strumento, un’estensione del braccio e delle intenzioni di Tobio. Insieme a quella smania sempre più grande, sempre più impellente, sempre più feroce a cui non sa dare nome.
Continua a non chiedersi cos’altro ci sia dentro la fame inestinguibile negli occhi di Hinata che gli fa tremare il cuore di fiducia, di trepidazione, di orgoglio. Che gli fa dire con un sorriso eccitato alla prima convocazione della Nazionale giovanile: “ti precedo” non potendo immaginarsi con quell’uniforme addosso, da solo. Che gli fa pensare con assoluta certezza che, forse, sulla cima del mondo ci arriveranno in tempi diversi, ma comunque la domineranno loro due, insieme
Perché lui sa che Hinata può. Lo sa! Può saltare di più, di più… più in alto di tutti. E Tobio sarà pure un analfabeta e un ignorante, ma sa anche che, nel conto alla rovescia che li sta portando lì, non può esserci un numero nove senza un numero dieci.
Non può esserci Kageyama senza Hinata.
 
Certo, è un atto di pura fede e in quanto tale non avrebbe alcun valore se non ci fossero dubbi blasfemi a turbarne l’integrità. 
Quindi, quando arriva la proposta della Schweiden Adler, si chiede se firmare non significhi andare troppo avanti e per un attimo – solo un attimo – tentenna. 
Il che è assurdo. Perché è tutta la vita che si è preparato per questo momento ed è completamente folle, perché dimostrare di essere il più forte e rimanere in campo più a lungo dell’altro è ciò su cui si basa qualunque cosa sia quello che tiene insieme Kageyama e Hinata. Numero nove e numero dieci. 
Davanti al contratto, con una fitta di dolore pensa a quanto sarà lontano il Brasile e al fatto che, purtroppo, di quell’idiota si fidi a occhi chiusi. E sebbene Tobio non sia ancora del tutto convinto che la sabbia valga quanto il parquet o il linoleum delle palestre, se Hinata dice che vale lo stesso, allora è e sarà così. 
A quel punto – con uno strano calore nel cuore che scambia per coraggio e una morsa alla gola che scambia per emozione – inspira, espira e si racconta che stanno solo assistendo ad un ampliarsi del loro orizzonte: Tobio, la pallavolo, Hinata, Tokyo e Rio.
Mentre imprime con l’hanko il proprio nome sull’ingaggio, pensa ancora una volta: ti precedo. Aggiunge: tre anni, boke. Non farmi aspettare un giorno di più.
 
Il tempo che segue si misura in partite, allenamenti, campionati, interviste, allenamenti, articoli di giornali, sponsor, pubblicità, partite, allenamenti, allenamenti, allenamenti, partite, Olimpiadi, Mondiali. Tante vittorie, medaglie, soldi, qualche sconfitta. 
Diventare grandi succede così in fretta che, quando si incontrano di nuovo, davanti a una porta del bagno nei corridoi del palazzetto dello sport di Sendai, non sono più quei ragazzini che giocavano al gioco più bello del mondo, sono due giovani uomini, due giovani atleti al servizio di una causa superiore, corpi e cervelli donati alla pallavolo. 
Eppure sono sempre loro: Kageyama e Hinata. Numero nove e numero dieci. 
 
Ritrovarsi separati da una rete è l’ultimo pezzo di un puzzle che va al suo posto; è quanto di più giusto, vero e legittimo esista. 
Ogni cosa ha senso, all’improvviso: la solitudine, la devozione, la fatica di aver addomesticato muscoli e sensi solo per questo istante perfetto in cui Tobio trova finalmente davanti a sé quel qualcuno a lui destinato, quel qualcuno che cerca da sempre e che lo cerca da sempre. 
Quel qualcuno che – ora lo vede anche lui – era Hinata fin dal principio. Hinata che sa volare, Hinata nato dal cemento, Hinata che al suo fianco è invincibile, Hinata che ha imparato l’equilibrio sulla spiaggia, Hinata che ha dovuto mettere millecento giorni e ventimila chilometri tra loro per essere qui, adesso, al centro di questo campo, al centro del suo destino, al centro della sua vita. 
Hinata che è al centro del suo cuore e che non andrà più via.
Nell’esatto momento in cui questa verità sboccia sul suo corpo in piccole gemme di pelle d’oca, inizia a bruciare ovunque, di giorno e di notte; fiorisce in sogni bagnati, in pensieri ardenti, in sangue che pulsa, che gonfia, che soffoca, che desidera. 
Tobio modifica ancora una volta la propria forma. 
Per lui, per Hinata. 
 
Hinata
 
Al solo pensarlo si scioglie, si inturgidisce, si appuntisce, si intenerisce.  
La sua smania trova infine un nome, ma a dirlo fa paura; Tobio lo sente rimbombare nel cuore insieme al bisogno disperato di inciderlo con le unghie e con i denti su quella pelle dorata, benedetta per sempre dal sole sudamericano. 
E non è strano che, come un’amante gelosa, sia ancora una volta la pallavolo con gli impegni di campionato a tenerli lontani altri cinque mesi? 
Cinque, proprio come le dita d'una mano.
La stessa mano impaziente che finalmente si aggrappa al suo collo lentigginoso e che lo trascina a sé, sulla propria bocca, un giorno di primavera. 
Lo stesso giorno in cui l’universo si raccoglie in una stanza. 
La stessa stanza in cui entrano Kageyama, Hinata, il loro sesso teso, le natiche sode, le mani rapaci, i morsi feroci, le lingue irriverenti, labbra gentili e dita curiose. 
Forse c’è anche la pallavolo, benché, per la prima volta, non importi molto a nessuno dei due. 
Sono corpi di puro istinto, non sanno come amarsi senza divorarsi, non riescono a baciarsi senza mordersi per poi scusarsi e tornare a incendiarsi. 
Bocca su labbra su lingua su sesso su bocca su denti su pelle. 
Lacerarla per poi baciarla, succhiarla, venerarla. 
Dita che si intrecciano che graffiano che allargano che stringono che sfiorano che tirano che pizzicano. 
E di nuovo, da capo.
Bocca su labbra su lingua su sesso su bocca su denti su pelle. 
Tobio riesce a scorgere stelle e pianeti esplodere un secondo prima che Hinata chiuda le palpebre gettando indietro la testa, nell’attimo esatto in cui si fondono in un’unica cosa e scoprono, con commovente dolore del corpo e dolorosa commozione del cuore, di essere l’uno la forma dell’altro. Kageyama e Hinata, numero nove e numero dieci. Tobio e Shouyou. 
Sono un’intera squadra su un campo da gioco di lenzuola stropicciate. Si giocano a fianco, si giocano contro, si giocano dentro, e parlandosi in un idioma di ansiti e risate e grugniti e insulti e gemiti e adorazione, si entrano nell’anima e poi escono, ancora e ancora, in un ritmo lento, inesperto, poi forsennato, giocoso, violento e dolcissimo; si mischiano, si confondono, si studiano, si imparano. 
Si toccano in luoghi che Tobio sa per certo, da adesso e per sempre, appartengono solo all’altro e alla pallavolo. 
 
Ora lo guarda dormire, il viso infantile seminascosto dietro il braccio piegato; con gli occhi segue dal gomito la linea che si spezza e muore contro un piccolo nido di peli morbidi ramati e, da lì, il delizioso semicerchio del pettorale che diventa linea continua del materasso dove Hinata giace al suo fianco, a pancia in giù. 
Tobio non pensa al tempo perduto, alla pallavolo che li ha uniti e che li separerà ancora, ai colori delle maglie, ai continenti, alle nazioni, ai fusi orari che si metteranno tra di loro. 
Pensa solo a lui, alla perfezione di una piccola virgola sulla sua spalla, una cicatrice che non aveva mai visto e su cui posa la bocca. Alla nebulosa di lentiggini dietro il collo, proprio all’attaccatura dei capelli in cui infila il naso cercando il suo odore. Alla pronunciata scanalatura al centro della schiena, un sentiero sicuro per la propria lingua fino all’osso sacro dove, in un momento di commozione, Tobio si inginocchia poggiandovi la fronte e l’anima e il cuore e ringrazia, ringrazia in silenzio chiunque ci sia da ringraziare – la pallavolo, il karma, i kami, la vita. 
Strofina il viso sulla pelle, passa le labbra sul confine lasciato dal sole, un marchio oltre il quale tutto è candido e morbido come quando l’ha conosciuto.
Un bacio di tenerezza seguito da un morso di desiderio e Shouyou, che ormai è sveglio, ride scuotendo il letto come il terremoto che è sempre stato e che è ancora oggi nella vita e nell’anima di Tobio.
Ed è proprio qui, adesso, mentre lo zittisce con uno scappellotto sulla nuca e uno “Sta’ fermo, boke” – cercando di non farsi affogare da quel sentimento che anni prima, come un idiota, aveva chiamato “smania” –, ora che si annodano tra risate, urla, carezze e pugni, che Tobio pensa: ecco, è questa la forma della felicità.
La sferica, perfetta rotondità di amare ed essere amati.
 
 ❤ ❤ ❤ 
 

Hanko: timbro con il proprio nome con cui in Giappone si firmano i documenti ufficiali e i contratti di lavoro.

 
❤ ❤ ❤
 
Questa lunga riflessione nasce dalla lettura innamorata di una delle storie bellissime e irraggiungibili (se non col cuore) di Amalia Drisinil Frontali, che non ringrazierò mai abbastanza per i meravigliosi viaggi che mi regala! 
Grazie, grazie, grazie!
Un ringraziamento pieno di amore alla mia adorata Orikunie, fonte di ispirazione e di fangirlamenti perpetui, amica carissima che c’è sempre, anche quando rompo e parcheggio per mesi storie che, se non fosse per lei, non vedrebbero mai la luce del sole (proprio come questa! XD)  
e alla dolcissima amica Florence per i suoi preziosi consigli e il suo costante e affettuoso supporto! <3
Infine, grazie a voi per essere arrivati fino alla fine di questa pesantata XD! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!!
A presto!
G.
 
 
 
   
 
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