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Autore: TheSlavicShadow    20/02/2024    0 recensioni
Mosca, 196*, e una convivenza forzata.
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Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Lituania/Toris Lorinaitis, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mosca, 196*

 

Aveva osservato il sangue rosso che si mescolava con l’acqua che scorreva nel lavandino. Questa volta c’era andato giù più pesante del solito. Non che lui avesse fatto qualcosa per dissuaderlo. Anzi. Lo aveva provocato per l’ennesima volta fino al punto di rottura. 

Aveva alzato lo sguardo per potersi guardare allo specchio. E non si riconosceva. Non gli avrebbe mai permesso in passato una cosa simile. Non avrebbe mai incassato i colpi senza provare a restituirli con tutta la forza che aveva in corpo. In passato aveva sempre reagito.

Adesso incassava e non rispondeva. E i colpi di Ivan sembravano sempre più violenti. Sembrava quasi che la pazzia che aveva afflitto in passato la maggior parte dei suoi regnanti, si fosse impossessata infine di lui. Oppure era solo quel secolo che li aveva resi pazzi tutti quanti.

“Sono un coglione.” Aveva detto a sé stesso, guardando ancora il proprio riflesso su cui spiccava tra tutto il suo labbro spaccato e tumefatto. Da quando quella convivenza forzata era iniziata, tutto era precipitato. Se prima la loro relazione era stata solo burrascosa, adesso era costellata di una violenza inaudita. E lui aveva quella che sembrava una sorta di sindrome da crocerossina quando si trattava di quell’uomo. Lo avrebbe aiutato lui a stare meglio, no? Si era visto.

“Come stai?” Lentamente aveva voltato lo sguardo, per trovare il Lituano alla porta del bagno. Sembrava preoccupato. Sicuramente qualcuno aveva anche pianto dopo il loro ultimo litigio. Con molta probabilità il Lettone.

“Ho subito di peggio, questa era una carezza.” Aveva cercato di fargli uno dei suoi soliti sorrisi, perché di certo non poteva farsi vedere debole o dolorante di fronte agli altri. Ma non doveva essere molto credibile visto come Toris lo stava guardando. E di certo la sua camicia sporca di sangue non lo aiutava. 

“Dovresti smetterla di fronteggiarlo a quel modo. Lo vedi anche tu che non sta bene, e proprio perché sei tu dovresti capirlo.”

“E’ solo un moccioso viziato che sta battendo i piedi per terra perché non sta andando tutto come vuole lui. E ci conosciamo tutti da così tanto tempo, che dovresti saperlo che si è sempre comportato così, compagno Laurinaitis.”

“Tu però continui a provocarlo in continuazione. Lo dico per te, Beilschmidt. Allenta la presa.” Il Lituano aveva sospirato, avvicinandosi a lui di qualche passo. “Ti prego, cambiati, così posso lavare quella povera camicia e cercare di salvarla.”

Gilbert lo aveva osservato ancora con molta attenzione. Lo conosceva da così tanto tempo, ma era sempre impossibile da leggere.

“Come fai ad essere così servizievole? Soprattutto in una situazione come questa.”

“Mi piace non prenderle e restare in vita, grazie. Se questo vuol dire fargli un sorriso e il suo bucato, va benissimo così. Posso sopportarlo e tanto non sarà per sempre. Siamo su questa Terra da abbastanza tempo da sapere che nulla è eterno.”

Il Prussiano lo aveva guardato ancora, prima di decidersi a togliere la camicia sporca di sangue e gettarla a terra. Stessa fine aveva fatto la canotta che indossava sotto di essa, ed era un miracolo che almeno i pantaloni si erano salvati. Ma spogliandosi così aveva rivelato una costellazione di ematomi su tutto il torace. Gli occhi del Lituano si erano soffermati più a lungo del solito sulla sua pelle. 

“Non serve che ti immoli tu per tutti noi.”

“Non sono così gentile, non temere. E’ solo che me lo ha sempre detto che mi avrebbe catturato come si fa coi conigli, spezzandomi le gambe e poi mi avrebbe cavato gli occhi.”

“Era sicuramente ubriaco.”

“Lo è sempre in questo ultimo periodo. E forse dovrei seguire il suo esempio per poterlo sopportare.” Si era passato una mano tra i capelli, sbuffando lievemente per cercare di dissipare i troppi pensieri che aveva in testa. Quella convivenza era diametralmente opposta a quello che in passato aveva immaginato. Il seme della follia c’era da sempre nel Russo, ma mai era fuoriuscito tutto come in quei ultimi anni. 

La guerra li aveva davvero resi peggiori di quanto non lo fossero mai stati in passato. Avevano commesso così tante atrocità su ogni fronte che ci sarebbero voluti secoli per ottenere il perdono dell’umanità.

“Vado a vedere come sta messo adesso.”

“Smettila di fargli da crocerossina, davvero.”

Aveva ignorato le ultime parole di Toris, salutandolo con una mano e avviandosi lungo il corridoio a petto nudo. Avrebbe assolutamente dovuto passare in camera propria e vestirsi prima di andare in cerca di Ivan. Non sapeva perché lo faceva. Avrebbe fatto meglio a scappare ed andarsene il più lontano possibile. Rimanere fisso a Berlino e tornare a Mosca solo quando era strettamente necessario.

Non era nemmeno la sindrome da crocerossina che lo muoveva. Non avrebbe mai potuto cambiare quell’uomo, questo lo sapeva benissimo e lo aveva sempre saputo. Dal primo momento in cui si erano incontrati era sempre stato così. Farsi la guerra era sempre divertente, perché poi facevano pace nel modo in cui preferivano loro. E lui non era di certo mai stato una sciocca fanciulla innamorata. Aveva sempre saputo con chi aveva a che fare.

Ma che ne potevano sapere gli altri di quello che li aveva sempre legati? Vedevano solo la superficie che era pari ad uno stagno putrido dall’odore sgradevole. Nessuno aveva mai guardato più in profondità.

“Non esiste neppure più il concetto di privacy delle stanze degli altri? Nuova regola del comunismo?” Era entrato nella propria stanza, trovandovi il Russo affacciato alla finestra che guardava fuori. Non che ci fosse qualcosa di bello da guardare. Solo una città fredda che non vedeva l’ora di abbandonare. 

“Devi smetterla di opporti a me davanti a tutti. Non è facile tenervi tutti qui e tu sei il peggiore.” Ivan non si era nemmeno voltato verso di lui. Neppure quando aveva chiuso la porta della stanza e si era avviato al proprio armadio per prendere dei vestiti puliti. 

“Non sarei io se me ne stessi qui in cattività buono e pacifico. Soprattutto avendo a che fare con uno stronzo viziato che sta passando il suo tempo ad alcolizzarsi invece di godere della mia magnifica presenza in tranquillità.”

“E’ proprio questo tuo atteggiamento che mi da sui nervi! Dovresti essermi grato per averti portato qui! Non dovresti neppure esserci più ad nessuna parte!” Ivan aveva alzato la voce e si era finalmente voltato a guardarlo, proprio mentre lui finiva di infilarsi una maglia. Aveva notato gli occhi di Ivan abbassarsi un attimo sulla pelle scoperta e subito dopo guardarlo. Lo conosceva troppo bene. Si pentiva ogni volta dei propri scatti di rabbia. Proprio come un bambino che strappava le ali di una farfalla e poi cercava di riattaccarle disperato. 

“Allora dovevi lasciarmi crepare da qualche parte. Perché era questa la punizione che volevano darmi per quello che ho fatto, no?” Aveva mosso un passo nella direzione del proprio padrone e lo aveva visto indietreggiare. “Devo forse dirti grazie?”

“Non potevo lasciarti morire, quindi sì, dovresti ringraziarmi per questa soluzione!” 

Gilbert aveva riso, anche se questo gli provocava dolore in ogni muscolo ed osso del corpo. Aveva perso davvero il conto delle volte in cui ogni loro interazione si concludeva passando alle mani. Troppe, davvero troppe da quando avevano iniziato a vivere sotto lo stesso tetto, sotto lo stesso dominio. Non contava più le volte in cui aveva sputato sangue per colpa di quell’uomo.

“Non trattarmi come la tua puttanella da salvare, Russia.” Si era fermato di fronte ad Ivan e lo aveva guardato negli occhi. L’uomo aveva guardato ancora una volta il suo labbro, prima di alzare un braccio e sfiorarlo con delicatezza. Lo sapeva che alla fine si sentiva in colpa. Succedeva ogni volta alla fine. Ed era per questo suo maledetto senso di colpa che alla fine capitolava sempre. 

“Se non ti avessi salvato, non saresti qui. Qui con me.”

“Sarebbe una salvezza non essere qui.” Aveva sorriso, facendosi male al labbro. Sentiva la ferita riaprirsi, e adesso avrebbe sporcato un’altra maglia. Toris lo avrebbe ucciso prima o poi. 

Prima che potesse pulirsi da solo, Ivan aveva estratto un fazzoletto pulito e glielo aveva appoggiato sul labbro. Era il suo modo di chiedergli scusa. Il suo modo di fargli capire che in realtà ci teneva davvero a lui. 

Era questo ciò che nessuno vedeva. Nessuno poteva capire quello che davvero li legava. Nessuno poteva capire davvero quello che li aveva sempre legati. Sotto la superficie torbida oltre la quale nessuno si sforzava di guardare, c’era un sentimento puro e limpido. Un sentimento che solo loro comprendevano. Che nessuno si premurava di osservare davvero. 

Aveva guardato l’uomo, improvvisamente così taciturno, come un bambino pentito. Come ogni volta che procurava e curava le sue ferite. E lui glielo permetteva ogni volta.

Aveva spostato la mano del Russo. Voleva che lo guardasse bene in faccia. Voleva che guardasse la sua ferita per fargliela pesare ancora di più sulla coscienza.

“La prossima volta sarai tu quello con la faccia tumefatta. Mi sono rotto le palle di finire sempre io ad essere dolorante.”

 
   
 
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