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Autore: fortiX    29/02/2024    0 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Riparati dal buio della notte io, Vincent, Weiss e qualche altro ex-SOLDIER esploriamo i dintorni della villa di Gast. Abbandonata. Le tracce lasciate dall’incursione della Shinra alla villa stanno rapidamente sparendo a causa della bufera appena alzatosi. Ormai, la porta d’ingresso distrutta è l’unico segno esterno lasciato dagli uomini di Rufus. Pure le luci all’interno sono spente, a parte per quelle di una stanza al secondo piano. Non ci metto molto a capire di QUALE stanza si tratti.

La mente di Sephiroth invade la mia dei ricordi di Gast, agrodolci. I suoi pensieri riguardanti quell’uomo riecheggiano nel cervello, confusi, in conflitto. Rimembra il giorno in cui venimmo qua: la sofferenza nel vederlo imprigionato in quel corpo morente, la rabbia provata nei confronti del suo giocare con noi, la frustrazione nel non poter emergere e affrontarlo. Un’ondata di emozioni che mi bloccano per minuti infiniti nel gelo della tempesta.

 

C’è ancora un nodo da sbrogliare.

 

Mi volto e vedo i ricognitori sparire nell’abbraccio buio dell’abetaia che cinge la villa, rapidi tornano a fare rapporto alla nave, atterrata nel cuore della foresta. Vincent rimane indietro e mi sta scrutando, un piede rivolto verso il bosco e l’altro verso di me. Credo che stia cercando d’indovinare cosa possa passare nella mia testa o, meglio, nella mente di suo figlio. Ci guardiamo a lungo, finché il suo sguardo non vira rapidamente verso la finestra illuminata, per poi tornare da noi, pregno di significato. Sento le spalle rilassarsi e i lati della bocca alzarsi lievemente verso l’alto.

 

Grazie…

 

Ci avviamo decisi verso la porta divelta della villa, dove piccoli cumuli di neve cominciano a depositarsi sull’uscio, trasportati dal vento. Attraversiamo con passo deciso il corridoio e ci avviamo verso le scale. Avverto l’inquietudine di Sephiroth scatenata dai ricordi di una magione dannatamente simile a questa. E di ciò che accadde tra quelle maledette mura. Scuoto la testa e scacciamo via quelle memorie e riprendiamo il nostro cammino. Raggiungiamo la stanza. La porta è stata lasciata aperta e noi indugiamo sulla soglia ad osservare l’interno. Imperturbabili, cupi, silenziosi. L’ologramma è affacciato alla finestra con le braccia incrociate dietro alla schiena e sembra non averci notato, fino a che, lentamente, si volta nella nostra direzione. Ci fissiamo a lungo per minuti infiniti, studiandoci a vicenda, la nenia delle macchine per il supporto vitale sottolinea quasi la tensione formatosi. Ad un certo punto, l’ologramma ci rivolge un sorriso mesto, accompagnato da un’espressione accomodante. Ma i suoi occhi tradiscono una profonda tristezza.

- Sephiroth… -, evoca con tono pieno di malcelata malinconia.

Avverto lo stomaco accartocciarsi, le dita stringersi ancora più veemente in pugno e la mandibola irrigidirsi. Nonostante l’abbandono, il tradimento e la sofferenza, la voce calda di Gast è sempre in grado di far emergere quel lato fragile e bisognoso d’affetto sepolto nel cuore ferito del Generale.

 

Il padre che hai sempre desiderato, ma che non hai mai potuto avere.

 

Quel rifiuto ancora brucia forte nell’animo di Sephiroth e avverto il suo desiderio recondito di vendetta, ma, davanti a quell’espressione così gentile e accomodante, non riesce proprio ad essere crudele. È stanco, in fondo. Stanco di combattere, stanco di odiare, stanco di soffrire.

Questi pensieri ci continuano ad inchiodare sull’ingresso della stanza, impedendoci di attraversarla. Non credo di aver mai avvertito il Generale così perso. È quasi doloroso il conflitto interiore che lo sta dilaniando. A rompere gli indugi, tuttavia, ci pensa il Professore stesso: egli si avvia verso di noi e… ci avvolge nelle sue braccia olografiche.

Anche se non avvertiamo la sensazione sulla nostra pelle, rimaniamo spiazzati da quel gesto inaspettato. Gast non è mai stato un uomo particolarmente fisico nei SUOI confronti; nonostante la gentilezza e la disponibilità, la distanza tra i due veniva sempre dolorosamente mantenuta. Vediamo le spalle subire qualche singulto, accompagnato da gemiti malcelati.

Siamo sempre più confusi, perché perfino il manifestare apertamente emozioni non era accettato.

- Mi dispiace… -, esordisce tra i singhiozzi.

Guardiamo verso il basso, sempre più in difficoltà a mantenere un ritegno. Contemporaneamente, egli alza il viso sbriciolato in una maschera di puro pentimento. Gli occhi verdi risplendono di lacrime amare dietro gli spessi occhiali marroni, incapaci di nascondere il senso di colpa che da anni corrode quest’uomo.

- Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto, ragazzo mio… -, Gast inizia a parlare e la voce rotta dal cordoglio ci spacca il cuore a metà, - Non eri nemmeno ancora nato e ho segnato il tuo destino per sempre, costringendoti a una vita che non meritavi. Avrei dovuto almeno provare ad alleviarla, dandoti l’amore che disperatamente cercavi in ogni persona che entrava in contatto con te. Invece, sono stato cieco e sordo alle tue urla d’aiuto. Me ne sono andato sapendo di quanto tu avessi bisogno di me… –

Gast abbassa la testa, le spalle e crolla verso il basso. Cerchiamo di fermarlo, ma la nostra presa passa attraverso il suo corpo olografico. Accartocciato su sé stesso e sotto il nostro sguardo sempre più basito, egli continua il suo discorso.

- Non c’è stato giorno in cui non mi sia pentito di quella decisione. Ho pensato tante volte a tornare a recuperarti, ma non ne ho mai avuto il coraggio… -, s’interrompe un attimo, emettendo una risata triste, - Non sono mai stato un uomo d’azione, lo sai. Perfino il portarti in braccio fino al paese era un’attività capace di togliermi il fiato. Te lo ricordi? –

L’ologramma alza di nuovo gli occhi verso di noi e la serietà imposta sul mio viso fatica a rimanere tale. Sento che ogni risentimento Sephiroth potesse provare verso quell’uomo sta rapidamente venendo annientato. Il Generale, tuttavia, resiste, e l’ologramma riabbassa la testa, appuntando lo sguardo da un’altra parte, sconfortato dal nostro silenzio.

- Non pretendo che tu sia disposto a perdonarmi… In fondo, so di non meritarlo. -, fa una pausa, durante la quale sospira pesantemente, - Ho fatto una figlia nella speranza di dimenticarti, ma continuavo a vedere i tuoi occhi ovunque. Che mi giudicavano, che mi odiavano -

Egli fa un’altra greve pausa, dove prorompe in un pianto più forte, che lo porta a nascondere il viso nelle mani.

- Ho perso entrambi i miei figli… -, sussurra, infine, e quella frase è una stoccata dritta nell’anima.

La mente del Generale si ammutolisce completamente, tanto che per un momento credo che si sia ritirato in qualche angolo recondito del mio inconscio. E, invece, era presentissimo. La realizzazione che, alla fine, l’amato Professore lo considerasse come un figlio, scatena un’ondata di calore che attraversa tutto il corpo, accelerando tremendamente il battito cardiaco e portandoci pericolosamente sull’orlo delle lacrime. Egli guida il mio sguardo verso il lettino, dove il VERO Gast è disteso, immobilizzato nel suo stato comatoso. Lo squadriamo a lungo, fino a che non notiamo dei riflessi scendere da quegli occhi forzatamente serrati. Come in preda a un impulso irreprimibile, Sephiroth si avvia a passo deciso in quella direzione, attraversando incurante l’ologramma prostrato e, senza alcuna esitazione, si abbassa verso il corpo morente e lo stringe con tutta la forza che ha.

Un’azione che avrebbe voluto compiere tanti anni fa, che ha sempre disperatamente cercato e che gli è stata SEMPRE spietatamente negata.

- Ora sono qui, Professore. -, dice Sephiroth con veemenza, - Non c’è più bisogno di soffrire. -

L’Angelo da Una Sola Ala permane immobile per un periodo lunghissimo, assaporando ogni secondo di quel contatto, come per recuperare ogni momento perduto durante la sua spaventosa, angosciante infanzia. Lo avverto piangere silenziosamente, mentre i ricordi degli istanti passati assieme al Professore riemergono dai flutti di una memoria sepolta, ma gelosamente conservata. Egli sospira profondamente per recuperare il contegno, tradendo quel lato umano che si nasconde dietro alle fattezze bellissime e terribili di un Angelo che cercò di diventare Dio. E, come tale, con un’inflessione misericordiosa nella voce, sussurra all’orecchio dell’uomo che stringe a sé:

 - Io vi perdono. –

Io non so se è una mia impressione, ma credo che quel viso immoto si sia disteso ulteriormente, appena proferita quella frase. Non ho comunque il tempo di constatarlo, perché l’argentato abbandona dolentemente Gast. Lo osserva a lungo, la mano stretta in quella senza vita del Professore. I suoi pensieri sono in subbuglio. Mi rendo spaventosamente conto che il caos nella sua mente m’impedisce di avere una visione chiara delle sue prossime azioni. È come se mi avesse allontanato, per impedirmi di interferire.

 

Sephiroth? Che intenzioni hai?

 

Mentre formulo questo pensiero, egli, con espressione indecifrabile, si propende verso i macchinari per il supporto vitale. La mia coscienza carpisce gli intenti di Sephiroth appena in tempo e lo blocco a pochi centimetri dal pulsante di spegnimento.

 

No!

 

È giusto così, Cloud.

 

Ma…!

 

Fidati, è questo ciò che vuole. Dall’altra parte c’è la sua famiglia che lo attende…

 

Dopo Genesis, sei già pronto a vedere un’altra persona cara che se ne va?

 

Il silenzio si propende per un lungo istante, mentre un terrificante stilettata di dolore colpisce dritto al cuore. Una sensazione spaventosa, ma, ahimè, ben conosciuta. I visi di tutte le persone che lo hanno abbandonato iniziano ad affollare le nostre menti, una dopo l’altra, rapidissime. Tanti, troppi lutti per una vita così corta. E, ogni volta, è sempre più dolorosa della precedente. Come se, invece di abituarsi, quella sofferenza diventasse un fardello sempre più pesante da portare. Eppure, una parte di sé sa che è inevitabile: è il suo destino rimanere solo.

 

Io sono sempre pronto.

 

Proferisce infine con un soffio di voce, come se l’ennesima battaglia interiore lo avesse spossato all’inverosimile. Di fronte a quell’ineluttabile verità, capitolo e lascio che il dito si posi e spinga quel pulsante.

Mentre i macchinari lentamente si spengono, provocando spasmi e lamenti soffocati, noi stringiamo la mano di Gast, mentre lo accompagniamo in accorato silenzio verso l’inevitabile fine.

Prima che il suo cervello si spenga completamente, il Generale si rivolge per l’ultima volta all’ologramma:

- Mi dispiace avervi portati via vostra figlia, Professore. –

- A me dispiace non aver protetto la tua, Sephiroth. –

 

 

Sento del vociare sommesso proveniente dal piano di sotto. Sulle prime non me ne curo: talvolta capita che Steven rimanga sveglio parecchie ore la notte per finire degli esperimenti e che ne registri delle osservazioni. Ma poi odo che le voci sono due. L’altra è femminile. Mi stranisco. Possibile che Steven abbia portato una donna qui? Nel cuore della notte?

Mi faccio più attento e mi rendo conto che la conversazione è concitata e molto animata. Inoltre, si fa sempre più forte. A quanto pare, si stanno muovendo per la casa e salendo le scale. Ora la voce femminile è più chiara. È giovanile, ma perentoria. Decisa e carismatica. Non ammette repliche.

Sorrido, ma mi rabbuio subito. Ha preso davvero tanto da lui, il mio errore più grande.

- No, non puoi entrare! Lo sai che il sonno è importante per lui! Non puoi fare sempre quello che ti pare! –, la voce di Steven riecheggia al di là della mia porta.

- E tu non mi devi dire sempre quello che devo fare! Devo vederlo! -, risponde la voce femminile.

Decido d’intervenire e attivo l’ologramma.

- Che succede là fuori? -, chiedo cortesemente.

Per un momento, il silenzio si stiracchia, ma posso immaginare l’occhiata di fuoco che il mio assistente ha lanciato a quella ragazzina così testarda, e anche lo sguardo ancora più mordace sfoderato in tutta risposta.

Sospiro… Come i vecchi tempi…, penso, mentre un sorriso malinconico mi si stampa in viso.

 A quel punto, la porta si apre e un contrariato Steven entra, seguito da una figura ammantata da un cappotto foderato di colore scuro, i cui capelli castani svolazzano da ogni parte in totale disordine.

- Takara! Qual buon vento! -, la saluto cordialmente.

- È venuta qui sola. -, sottolinea Steven irritato, senza dare nemmeno il tempo a Takara di rispondere al saluto.

- Da sola? Come mai Genesis non ti ha accompagnata? –

La sua espressione imperturbabile viene scossa da un leggero tremito e la mandibola si contrae in modo quasi impercettibile. Un’azione che ho visto migliaia di volte sul viso granitico di suo padre. E ho sempre capito che qualcosa lo turbava. Lei non fa alcuna eccezione.

- È successo qualcosa a Genesis? –, incalzo.

Lei sgrana gli occhi grandi, trovando conferma nella sua espressione stupita di aver colpo il punto; poi ammorbidisce l’espressione e sorride sghemba.

- Il tuo sesto senso non fallisce mai, Gast. -, ironizza scanzonata, ma poi la sua espressione si intristisce e vedo i suoi occhi farsi lucidi, poco prima che lei sposti lo sguardo altrove, - Infatti, Genesis sta… sta… -

- Male? -, intervengo cercando di completare la frase.

- Morendo. -, corregge Steven. Non è una domanda, ma una constatazione.

Takara lo fulmina con lo sguardo, infastidita dal suo tono clinico e distaccato, quasi annoiato, che va a definire una situazione temuta, ma, ahimé, prevista.

- Mia cara, lo sapevi che questo sarebbe successo prima o poi. Trovo strano, tuttavia, che sia accaduto così d’improvviso. Ricordo che dall’ultimo controllo, la degradazione non era ancora a livelli critici. -, ragiono io.

La ragazza sospira e si va a sedere su una delle sedie della mia stanza, ponendo i gomiti sulle ginocchia e fissando lo sguardo al pavimento.

- Degli stranieri hanno raggiunto Yaido. -, dice la ragazza, cambiando argomento, per poi alzare lo sguardo nella mia direzione – Cloud Strife e Vincent Valentine. -, precisa, - Hanno portato il diario. –

Constatazioni, non domande.

Sa, penso assumendo un’espressione contrita e colpevole. Steven, dalla sua, non le dà alcuna soddisfazione, rimanendo impassibile. Una scena vista e stravista già tantissimi anni fa.

Schiocca la lingua e si adagia sullo schienale, studiandoci con espressione indecifrabile.

- Quindi immaginate perché sono qui. –, sentenzia, fredda.

In imbarazzo, mi sistemo gli occhiali olografici e sospiro.

- Mia cara, - esordisco, cercando le parole giuste per esprimere quello che voglio trasmettere, - capisco che tu sia alterata e mi dispiace averti tenuto all’oscuro di certe cose, ma ti assicuro che ogni azione è stata effettuata sempre e solo nei tuoi interessi. –

Appena proferisco quella frase, l’espressione della ragazza s’indurisce, tutto il suo corpo freme e giuro di aver sentito un ringhio sommesso nascere dalla sua gola. Istintivamente, faccio un passo indietro.

- Certo. È sempre stata la tua scusa, Gast… -, proferisce la ragazza con un tono così roco e graffiante da non appartenerle. Dopodiché accavalla le gambe e si appoggia allo schienale della sedia, sorniona, - Immagino sia la stessa che ti sei raccontato per anni, dopo che hai deciso di lasciare mio padre nelle mani di Hojo. Oh, certamente ha giovato molto ai suoi interessi. –

Come colpito da un maglio, la mia intera persona rabbrividisce, di fronte a quella frase pronunciata con così tanto disprezzo e da quello sguardo in tralice che mi sta giudicando fin dentro al midollo. Rimango interdetto per un lungo istante, mentre mi rendo conto che la ragazza di fronte a me trasfigura in quella di un ragazzo dai capelli argentati.

Oh, no…

- Takara… hai per caso toccato il diario senza protezioni? –

La posa truce della ragazza s’infrange, mentre lei, sorpresa, si muove nervosa sulla sedia. La sua espressione dura, tuttavia, non viene dismessa, anzi sembra quasi sfidarmi.

A quel punto, Steven mi anticipa, battendo il bastone furiosamente al pavimento.

- DANNAZIONE, TAKARA! MI ERO RACCOMANDATO! AVEVO PERFINO DETTO A QUELLO SPOSTATO DI GENESIS DI…–

La furia del mio assistente si sbriciola sul totale disinteresse della ragazza, la quale dismette Steven con una sventolata di mano.

- Steven… perché non trascini il tuo inutile ammasso di complessi fuori da questa stanza? –, ribatte Takara con tutta la calma del mondo.

Vedo l’uomo gelarsi, l’ira sfumata in una genuina paura. Boccheggia, incapace di ribattere, mentre, dall’altra parte, la giovane sorride trionfante. Dopodiché, si volta verso di me.

Rimango in silenzio, realizzando che quello che sto guardando va oltre ad ogni umana concezione. È la fusione di due mondi. È la sintesi dell’Universo. È la fonte della Vita su questo Pianeta.

Lo stesso pensiero lo vedo affiorare in quegli occhi ora fattasi chiari, quasi bianchi. La sua espressione si è distesa, benevola.

- Ho bisogno di avere accesso alla cripta, Professore. È arrivato il momento. –

Dolorosamente, sospiro. Per anni abbiamo cercato di sottrarla a questo destino. Genesis, io, la WRO… volevamo evitare che un’altra innocente venisse sacrificata sull’altare di questa guerra, ma mi rendo conto che, per quanto noi umani possiamo scoprire sui Cetra e Jenova, loro saranno sempre al di fuori della nostra portata.

- Voglio che tu sappia che non era questo che volevo per te. -, dico dolente.

La ragazza annuisce, abbassando la sguardo, mentre stringe le sue mani per reprimere un moto di paura.

- Lo so. -, dice con voce tremolante, molto diversa dalle prime battute del nostro incontro – E io voglio che voi sappiate che avrei voluto darvi la redenzione che meritavate. -, conclude, guardandomi con sguardo afflitto.

Ora la rivedo, la ragazzina che ho imparato ad amare, la prole di quel figlio che ho respinto con tutte le mie forze, quando, lo sapevo, essere accettato era tutto ciò tutto che desiderava.

Perché l’ho fatto?

Perché ho ignorato la sofferenza di Lucrecia?

Perché non ho dato ad Hojo quello che si meritava?

Come ho potuto infliggere un tale dolore a così tante persone?

Mi volgo alle mie spalle e guardo il mio vero corpo.

Guarda dove ci ha portato…

Sospiro di nuovo e mando l’impulso al computer che controlla i meccanismi di difesa della cripta. La porta di quest’ultima, celata dietro ad una falsa parete, ha un singulto e poi con un poderoso tonfo di apre.

- Aiutarti, Takara, è il mio gesto di redenzione. –, proferisco, sorridendole.

Il Dono sorride di rimando e si alza, muovendo qualche solenne passo in direzione del suo antenato. Rimane per qualche istante ad osservare il buio profondo e ad assaporare l’odore di umidità e Lifestream levatosi dal sotterraneo, esitante, mentre un ultimo guizzo di paura le pervade le membra. Vedo il suo pugno sinistro stringersi e la testa venire sollevata decisa. Fa per muovere un altro passo, però, Steven interviene e ficca una siringa nella spalla destra della ragazzina.

Ella rimane per lunghi secondi a guardare il punto in cui l’ago è penetrato nella stoffa sottile per poi sollevare il viso nella direzione del mio assistente. L’odio ha trasfigurato i tratti innocenti della quattordicenne, rivolgendo all’uomo un’espressione mostruosa. Inumana.

Il mio assistente indietreggia, lentamente. Sebbene non abbia le capacità fisiche di contrastare Takara, egli sembra sfidarla apertamente, fissandola dritta in quegli occhi infernali.

- Che cosa vuol dire, Steven? –, chiedo interdetto.

- Che la ragazza verrà con noi, Professor Gast. –

La risposta giunge da una figura allampanata che, elegantemente, si staglia sull’uscio della mia stanza. Capelli biondi e ben pettinati, occhi acquosi, espressione arrogante, portamento nobile e una fiera nera al suo fianco.

Rufus Shinra?!

Non faccio in tempo a proferire il nome del nuovo arrivato, che Takara caccia un urlo di folle rabbia, sguainando un coltello che teneva nascosto tra le vesti da viaggio. La ragazza è talmente veloce che riesce a tagliare due dita dalla mano del mio assistente, facendogli perdere la presa del bastone, poi, con un guizzo rapidissimo, la mano destra della bruna si chiude attorno al collo dell’uomo, strozzando un grido di dolore. Il coltello baluginante di riflessi cremisi è pronto ad affondare nel cuore traditore di Steven, ma, fortunatamente per lui, una turba di personaggi mascherati intervengono ad immobilizzare la ragazza, prima che ella concluda i suoi letali intenti.

Con un incredibile guizzo guerriero, Takara salta all’indietro ed evoca una barriera capace di respingere l’attacco deliberato, così da guadagnare del tempo prezioso per gettarsi verso l’entrata della cripta. Osservo inerme gli uomini rincorrerla giù per la sdrucciolevole scalinata. Nel frattempo, prego che, per almeno una volta, il Pianeta possa rispondere al disperato grido d’aiuto di questa famiglia. Vedo flash di luce verde levarsi dalle viscere della cripta, evocate, probabilmente, dalla ragazzina, come disperata difesa contro quegli aguzzini; ma, noto con angoscia, che la luce diventa sempre più debole, più flebile. L’effetto del potente sonnifero inizia ad annebbiare la mente della giovane. Dopo qualche minuto dalla cessazione dei flash verdi, gli uomini mascherati riemergono dalla cripta, trascinando con sé il corpo senza forze della ragazzina. Con orrore e impotenza, osservo quegli uomini legarla. Con rabbia e disgusto, fisso Steven iniettarle qualche droga per tenerla in uno stato semi-incosciente.

No, non di nuovo.

Il ricordo va direttamente alla notte in cui me ne andai, quando Sephiroth m’inseguì per scappare con me. A nulla valsero i suoi sforzi di liberarsi dagli spietati cani da caccia della ShinRa che, imperterriti, lo consegnarono al più terribile dei suoi aguzzini: Hojo. E ora, sto assistendo alla stessa identica scena.

La piccola piange, silenziosa, cullata da una frase che l’accompagna fino all’oblio:

 

 - The fates are cruel [Le parche sono crudeli, LOVELESS, Act IV] -

 

Io muovo qualche passo nella sua direzione, mentre un energumeno carica la ragazza sulle spalle e la porta via. Tutti escono e se ne vanno, senza degnarmi nessuna attenzione, compreso Steven che, zoppicando via, si stringe la mano lesa al petto, mugugnando maledizioni verso Takara.

Solo una persona è rimasta nella stanza ed è l’unico che non ha mai tolto lo sguardo da me: Rufus ShinRa.

- Grazie per tutto il lavoro svolto, Professore. -, la sua voce è fastidiosa, canzonatoria, - Non avremmo mai potuto farcela senza di Voi. -

- Non era così che doveva finire… -, rispondo debolmente.

- No di certo, Professore. Gli Esper solo sanno di cosa è capace la cricca a cui l’avete affidata. –, fa una pausa, durante la quale l’uomo si lascia sfuggire un rapido sguardo al letto dietro di me. – Ma, fortunatamente, ci sono i figli a fare ammenda dei peccati dei padri. –

- Takara non è nata per fare ammenda dei peccati di suo padre. Anzi, è tutto ciò che di buono c’era in lui. –, ribatto con veemenza.

Il biondo si lascia sfuggire uno sbuffo divertito.

- Se c’è una cosa che ho imparato in lunghi anni a contatto con Sephiroth è che niente di buono può scaturire da lui. -, il ghigno divertito sfuma, lasciando spazio ad un’espressione dura, - Voi lo dovreste sapere meglio di chiunque altro, Professore. –

Io scuoto la testa, dolente.

- Voi non sapete niente di lui. E state facendo uno sbaglio gigantesco. -

Il Presidente mi rivolge un sorriso enigmatico e inizia a darmi le spalle, ma, con un guizzo di coraggio, gli chiedo: - Dove la portate? –

Rufus rivolge nuovamente l’attenzione sull’ologramma, sguardo solenne.

- Al Northern Crater. Dove potremo finalmente distruggere quel potere per sempre. -

 

 

Un silenzio angosciante mi sta assordando. Vorrei muovermi, andare via, ma Sephiroth non permette alla mia coscienza di prendere possesso del mio corpo. Egli ci fa permanere immobili, seduti su quel lettino a stringere una mano gelida e rachitica. Il nostro sguardo fisso su un punto imprecisato di fronte a noi.

Gast era tutto quello che lui avrebbe voluto diventare…

L’unico uomo che con il solo pensiero era in grado di ripescarlo dal baratro profondo della sua follia. Era stato Gast ad instillargli quegli scrupoli che tanto odiava Hojo. Era dal suo esempio a cui attingeva per trasmettere insegnamenti a sua figlia. Immaginava spesso che il Professore fosse lì a guardarlo fiero, mentre stringeva a sé la famiglia che era riuscito a creare tra le mille difficoltà. Sarebbe stato orgoglioso nel saperlo sistemato e, finalmente, felice?

Sì, probabilmente lo sarebbe stato, a giudicare dalle frasi pronunciate durante lo scontro con Rufus; eppure, non glielo ha detto mai in faccia. Nemmeno nella sua ultima occasione.

Mi rendo conto che questo ennesimo lutto sia un fardello gigantesco per delle spalle stanche come quelle del Generale.

Quanto tempo è andato sprecato tra di loro…

Un flebile fruscio alle nostre spalle spezza la bolla di deprimente calma in cui Sephiroth mi stava trascinando.

Lentamente, voltiamo la testa appena sopra la nostra spalla sinistra, e lo vediamo: Vincent.

Se avessi il controllo del mio corpo credo che deglutirei, immaginando, con l’occhio della mente, di trovarmi in un angolo dismesso, mentre padre e figlio di scrutano silenti, come due enormi scure montagne.

Rosso nel verde.

Il pistolero ci fissa apparentemente imperturbabile, i suoi pensieri insondabili come un placido lago. Noi gli rivolgiamo un sorriso sghembo per poi dismettere lo sguardo dalla sua figura, ma egli fa un rapido passo verso di noi, ristabilendo il contatto visivo. Ora tocca noi a fissarlo curiosi, mentre l’ex-Turk incespica con un muto discorso. Poi, come sceso a patti con sé stesso, si avvicina a noi con passo deciso. Tutta la baldanza, tuttavia, scivola via a mano a mano che lui si avvicina a noi, tant’è che è con estremo timore che poggia entrambe le sue mani sulle nostre spalle. Con delicatezza, stringe le dita su di esse, finché il suo tocco non diventa disperato, quasi rabbioso.

Il nostro cuore ha iniziato a battere fortissimo, il respiro farsi più rapido. Mi rendo conto che Sephiroth ha paura. Il contatto è sempre stato qualcosa di estremamente fastidioso per lui, un preludio a qualcosa di terribile che sta per accadere. Uno schiaffo, un pugno, un qualunque atto di violenza. Non ha mai conosciuto altro dagli uomini.

Ma gli intenti di Vincent non sono mai stati quelli…

Egli, infatti, appoggia la sua fronte alla nostra nuca, sospirando pesantemente, mentre le sue braccia ci cingono le spalle da dietro, stringendoci verso il suo petto.

Rimaniamo così per lunghi istanti, persi completamente nella confusione che il comportamento di Vincent ci ha provocato. Vorrei chiedere spiegazioni, ma l’argentato è completamente gelato.

- Non sei solo, Sephiroth. -, proferisce Vincent con decisione, - Non stavolta. Stavolta tuo padre è qui, accanto a te. Non ti abbandonerò. –

Il nostro cuore sobbalza e gli occhi pungono, mentre ci aggrappiamo all’avambraccio di Vincent.

- Padre… -, evoco con la voce del Generale.

- Sì, figlio mio. Andrà tutto bene… -

Ci gira verso di sé, ci cinge i lati della testa con le mani e appoggia la sua fronte sulla nostra, guardandoci dritti negli occhi.

Rosso nel verde, ma stavolta l’uno rispecchia l’altro, fondendosi in un colore completamente nuovo.

- Te lo prometto… -

 

 

- Credo che vogliano eseguire un antico rituale Cetra. – conclude Reeve, assorto, mentre sfoglia un vecchio tomo di leggende tratte dal folklore di quel popolo dimenticato. Nonostante questo, sembrano essere considerate dall’ex-proprietario una valida fonte di informazioni, a giudicare dai numerosi segnalibri e appunti apposti sulle sue pagine da Steven stesso.

- A quale rituale ti riferisci? -, chiede Tifa.

- Lo stesso che gli Antichi usarono su Jenova. -, intervengo io, dopo una rapida consultazione con Sephiroth, mentre, ingordi, sfogliamo i fascicoli presenti sulla scrivania di Steven. Il suo studio è stato rivoltato da cima a fondo, al fine di ricavare informazioni sulle sue intenzioni. Gli uomini della WRO hanno esaminato ogni centimetro della casa e di questo studio e non hanno trovato nessuna cassaforte nascosta o qualche altro aggeggio segreto; quindi, tutto quello che c’è qui è tutto quello che Steven ha prodotto in questi anni.

Non ha fatto nulla per nasconderlo…

Forse pensava che la villa fosse sufficientemente sicura, dato l’isolamento e la scarsità di visitatori.

Tutte queste illazioni, non sembrano convincere il Generale, il quale muove rapidamente la mia mano tra i fogli e i dossier, alla disperata ricerca di qualcosa.

 

È tutto troppo semplice…

 

Reeve annuisce.

- Già, ma non capisco, perché entrare in combutta con la Shinra. Perché rapire Takara in quel modo? –

Di tutta risposta, Weiss grugnisce, lascia cadere le braccia lungo i fianchi e scuote la testa.

- L’hanno catturata con una facilità disarmante… Come se sapessero le sue intenzioni da tempo. -, alza la testa e lascia che il suo sguardo truce trafigga ognuno di noi, – Come se qualcuno li avesse guidati qui… -

Il silenzio cala di nuovo e la fastidiosa sensazione di essere osservati si fa strada tra le nostre cellule, tant’ è che alziamo lo sguardo e capiamo di essere nuovamente nel mirino dell’ex-Tsviet. Sephiroth sfodera lo sguardo più truce che conosce – quello che ti faceva accapponare perfino le viscere – e risponde alla sfida.

Ci fissiamo per lunghissimi minuti, saette e fulmini immaginari spillano dalle nostre auree; i muscoli si preparano alla battaglia, i sensi si acuiscono, il respiro si fa più pesante.

- Ora basta! -, interviene Vincent, mettendosi in mezzo, - Nessuno ha guidato qui nessuno. Piuttosto, sembra proprio il contrario. LORO sembrano averci guidato fino a questo punto. Come se sapessero come stanarla…-

La realizzazione folgora la mente di Sephiroth e, di conseguenza, la mia, come un fulmine a ciel sereno.

Faccio appena in tempo a realizzare il movimento del mio braccio sinistro che questo va a schiantare un pugno così potente alla scrivania di Steven da, per poco, non piegarla su sé stessa.

E poi, qualcosa esplode dentro di me, un ruggito di rabbia così possente da credere di avere un Behemoth agitarsi nel petto. I muscoli si tendono nuovamente, i denti vengono snudati, i sensi si annebbiano, le orecchie fischiano. Una figura si defila nella nostra mente, via via sempre più nitida. Giacca nera, camicia bianca, chioma nera e liscia, punto sulla fronte.

Tseng…

 

Mai fidarsi di un Turk.

 

Un tocco lieve e leggero mi si posa sul braccio ancora teso nell’atto di sfondare la scrivania, strappandomi dall’abisso d’ira in cui stavamo sprofondando; tuttavia, mi volto con troppa veemenza e l’autrice del tocco salta all’indietro, spaventata.

- Scusa, Tifa… -, dico con un soffio di voce.

Realizzo solo ora di avere letteralmente la mano affogata in un cratere di sangue e del dolore lanciante che si dipana dalla punta delle dita alla spalla. Lentamente, recupero l’arto e lo osservo, perplesso e stupito. Mi accorgo con orrore che, sebbene faccia un male dannato, la mia mente fatica a considerare quel pezzo di carne parte di me; così come mi preoccupa la facilità con cui Sephiroth lo ha invaso e usato per sfogare la sua esplosione di rabbia. In effetti, non è la prima volta che mi possiede, anche se è la prima volta che mi fa seriamente del male o, comunque, non rispetta la mia volontà.

Prendo fiato e cerco di nascondere il mio turbamento, rivolgendo a Tifa un sorriso sofferente.

- È tutto ok. -, rassicuro, anche se lo sguardo mordace della mora mi fa intendere che non si è del tutto convinta che io abbia la situazione sotto controllo.

 

Forse non l’ho mai avuta…

 

Scaccio il pensiero e riprendo il discorso, rivolgendomi anche agli altri.

- Non credo che fosse sua intenzione sbottare così. -, giustifico, stringendomi la mano al petto per soffocare una fitta di dolore, - Ma ha realizzato che la Shinra sapeva di Takara da molto tempo. -, faccio una pausa per lasciare che il concetto venga assorbito dagli astanti. Nel frattempo, Tifa si è convinta a lasciare i risentimenti da parte e, recuperato un pezzo di stoffa, ha iniziato a fasciarmi la mano, con l’aiuto di Vincent.

- Il primo a rendersi conto dell’infatuazione di Sephiroth nei confronti di Evelyn fu Tseng. Da lì, lui seguì la questione molto da vicino. 

Reprimo a fatica la nuova ondata di rabbia al pensiero che al Turk era stata affidata perfino la salvaguardia della SUA famiglia, ad un certo punto.

In fondo, per quanto Tseng abbia sempre patteggiato per i SOLDIER, un ordine di Rufus Shinra rimane pur sempre un ordine di Rufus Shinra.

- In qualche modo, - continuo, - Tseng potrebbe aver spifferato tutto a Rufus e poi Steven ha fatto il resto, trovando il modo d’infiltrarsi nella WRO ed entrare nella cerchia dei tutori della ragazza. –

- Ma perché vogliono distruggere il suo potere? -, sbotta Weiss, - Lei è il Dono! Colei che metterà fine alla sofferenza del Pianeta. –

Rimango in silenzio qualche momento e, non so se per caso o guidato da Sephiroth, il mio sguardo si poggia su una serie di appunti a cui stavamo dando un’occhiata prima di interromperci.

 

L’esperimento di Steven...

 

- Takara non è semplicemente una fusione perfetta tra Cetra e Jenova… Lei È Jenova. –

- COME OSI! -, scatta Weiss, ma la sua furia viene bloccata da Vincent, il quale, si interpone nuovamente tra noi, posando una mano sul petto dell’albino. L’ex-Turk, tuttavia, ci rivolge un tagliente e oltraggiato sguardo.

- Sei di nuovo convinto che mia nipote sia il nemico? -, ribatte, gelido.

Trattengo il sorriso compiaciuto nel realizzare che Vincent ha finalmente accettato il suo ruolo e che sembra pronto a tutto per proteggere la sua famiglia ritrovata.

- No, Vincent. -, rispondo, apponendo la mano sana al petto, - Questo mai. Tuttavia, bisogna guardare i fatti. -, prendo il dossier in cui sono raccolti tutti i dati e i risultati che Steven ha messo insieme negli anni, - L’aspetto femminile che tutti noi conosciamo di Jenova, non è la sua vera forma. -, faccio una pausa, -La donna che abbiamo imparato a temere, la Madre che altri hanno servito, il mostro che ha abitato i nostri incubi… Sono tutti riconducibili alla Cetra che è stata parassitata da un alieno caduto dal cielo. -, mi fermo di nuovo e guardo ad uno ad uno tutti gli astanti, i quali pendono letteralmente dalle mie labbra, - Una Cetra che per millenni è stata schiava di quest’essere che attraverso gli esperimenti della Shinra si è diffuso in tutto il Pianeta. E non solo attraverso il Lifestream, ma anche nel nostro DNA. -, lascio spaziare la mano sana, lasciando intendere il significato delle parole appena proferite.

- Il Progetto Jenova S, ossia quello che ha creato Sephiroth, ha dotato questi di poteri identici a quelli del campione originale. -, scuoto la testa, al pensiero di ciò che sto per rivelare, - Evelyn mi ha mostrato gli effetti che l’alieno stava avendo su di lei. -, una stilettata di dolore mi fa stringere i denti, ma non proviene dalla mano, mi rendo conto, - Ha passato quell’infezione a sua figlia. – concludo, mesto.

Un silenzio attonito cala tra noi, incapaci di realizzare l’orrifico pensiero a cui ho appena dato adito.

- Quindi, Takara è stata concepita da una sorta di Riunione… -, realizza Reeve, scioccato.

Avverto il senso soverchiante di colpa provenire dalla mente di Sephiroth, ma cerco d’ignorarlo, ragionando sulle condizioni in questo concepimento venne luogo.

- Sephiroth ed Evelyn si amavano. -, ribadisco, deciso, - Jenova può aver cercato d’inquinare quel sentimento in tutti i modi, ma non c’è riuscita. La Shinra è sempre stata uno strumento nelle mani della Calamità e credo che questo blitz sia un gesto disperato per provare definitivamente di prendere il totale controllo della ragazza. -, sospiro, - Temo che Takara fosse consapevole di questo rischio, per questo era così spaventata. –

- Eppure, è andata avanti lo stesso. -, ribatte Vincent con orgoglio.

Io annuisco, sorridendogli. Sephiroth non può trattenere il senso di sollievo nel sentirsi compreso dal proprio padre. Ha capito che quello sguardo pieno di fierezza era anche per lui.

- E noi non la abbandoneremo. -, interviene Reeve, mettendo le mani sulle nostre rispettive spalle.

 

 

Nothern Crater.

 

Dove tutto ha avuto inizio.

 

Dopo un lungo viaggio, la terribile Calamità inizia il suo minuzioso lavoro di distruzione di ogni forma di vita presente sul Pianeta. È un mondo ricco di risorse, con una mente collettiva estremamente potente e un popolo affascinante. Affamato di conoscenza. È curioso. Fatalmente curioso. Così curioso da darle una forma capace di confondersi tra loro. Una forma femminile e avvenente, capace di ammaliare e attirare a sé individui della stessa razza.

Esiste anche un’altra etnia, più primitiva dei Cetra: gli Umani. Ma non serviranno per i suoi imminenti scopi. Almeno per il momento.

Perché Jenova sa che la vita è sempre difficile da estirpare da un Pianeta, quindi bisogna essere pronti a tutto.

Come immaginava, i Cetra si rivelano pieni di risorse e dotati di una profonda conoscenza degli intimi meccanismi del Pianeta, tanto da riuscire a confinarla là da dove è venuta.

I Cetra sperarono che le fredde e morte terre del Northern Crater fungessero da deterrente sufficiente per impedire a qualunque essere vivente di disturbare la prigionia di quel mostro stellare.

Ma Jenova doveva solo aspettare…

Che cos’erano pochi millenni per una creatura immortale?

Un battito di ciglia.

Aveva visto l’avidità e l’invidia degli Umani. Rimasti soli, non passò molto tempo prima che iniziassero a prendersi le risorse del Pianeta.

Cetra, la chiamavano, quegli scienziati.

Non era una creatura permalosa, anzi fu quasi grata agli Umani e all’esercito di schiavi che le fornirono senza nemmeno muovere un muscolo. E le consegnarono l’arma più potente di tutte: Sephiroth.

Grazie a Lucrecia aveva capito molto della malata tendenza degli Uomini di maltrattare i propri figli e di usarli per nutrire le loro ambizioni. Per non parlare delle follie che gli uomini compiono per amore. Sarebbe bastato stuzzicare il lato affranto e fragile di quel bambino cresciuto troppo in fretta, usando la sua amata come collante e tenerlo legato a lei per sempre.

Uno… schiavo d’amore.

La figlia non fa eccezioni. A nulla sono valsi gli sforzi del servo di Minerva nel tenerla lontano dalla Calamità, perché l’avidità umana è qualcosa che Jenova ha imparato a sfruttare fin troppo bene. Così come la ridicola speranza di poterla controllare.

Sarà un grande ritorno. Ella recupererà i suoi pieni poteri e finalmente potrà riprendere il suo viaggio.

In corpo nuovo.

Giovane e forte.

Pieno di Lifestream.

 

 

ECCOMIIIIIIIII!!! Tornata dopo UNA VITA, ma ce l’ho fatta! Il capitolo era pronto da tempo, ma la mia vita si è rivoluzionata completamente negli ultimi anni e quindi le mie passioni e hobby sono state un po’ messe da parte.

Non so in quanti ancora vorranno leggere quest’ultima fatica, ma è bello riprendere a scrivere e postare su EFP. Sono un po’ di capitoli che dico che il prossimo dovrebbe essere l’ultimo, ma direi che il prossimo GIURO la finiamo. Probabilmente sarà un po’ più lungo del normale così si chiude questa avventura! Devo darmi una mossa prima di essere risucchiata dalla scrittura della tesi del dottorato!

 

I più attenti si saranno accorti che sto cominciando a sviscerare quel lato paterno di Vincent. Data la situazione nella storia, purtroppo non credo non ci sarà molto tempo per i nostri padre e figlio di parlare di sentimenti, ma pianifico di poter dare ad entrambi un degno ‘arrivederci’. Ora vedremo come l’ispirazione mi prenderà XD

 

Grazie a tutti quelli che hanno la pazienza di aspettarmi! Vi voglio bene!

 

A presto!

 

Besos

   
 
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