Riparati
dal
buio della notte io, Vincent, Weiss e qualche altro ex-SOLDIER
esploriamo i
dintorni della villa di Gast. Abbandonata. Le tracce lasciate
dall’incursione
della Shinra alla villa stanno rapidamente sparendo a causa della
bufera appena
alzatosi. Ormai, la porta d’ingresso distrutta è
l’unico segno esterno lasciato
dagli uomini di Rufus. Pure le luci all’interno sono spente,
a parte per quelle
di una stanza al secondo piano. Non ci metto molto a capire di QUALE
stanza si
tratti.
La
mente di
Sephiroth invade la mia dei ricordi di Gast, agrodolci. I suoi pensieri
riguardanti
quell’uomo riecheggiano nel cervello, confusi, in conflitto.
Rimembra il giorno
in cui venimmo qua: la sofferenza nel vederlo imprigionato in quel
corpo
morente, la rabbia provata nei confronti del suo giocare con noi, la
frustrazione nel non poter emergere e affrontarlo. Un’ondata
di emozioni che mi
bloccano per minuti infiniti nel gelo della tempesta.
C’è
ancora un nodo da sbrogliare.
Mi
volto e
vedo i ricognitori sparire nell’abbraccio buio
dell’abetaia che cinge la villa,
rapidi tornano a fare rapporto alla nave, atterrata nel cuore della
foresta.
Vincent rimane indietro e mi sta scrutando, un piede rivolto verso il
bosco e
l’altro verso di me. Credo che stia cercando
d’indovinare cosa possa passare
nella mia testa o, meglio, nella mente di suo figlio. Ci guardiamo a
lungo,
finché il suo sguardo non vira rapidamente verso la finestra
illuminata, per poi
tornare da noi, pregno di significato. Sento le spalle rilassarsi e i
lati
della bocca alzarsi lievemente verso l’alto.
Grazie…
Ci
avviamo
decisi verso la porta divelta della villa, dove piccoli cumuli di neve
cominciano a depositarsi sull’uscio, trasportati dal vento.
Attraversiamo con
passo deciso il corridoio e ci avviamo verso le scale. Avverto
l’inquietudine
di Sephiroth scatenata dai ricordi di una magione dannatamente simile a
questa.
E di ciò che accadde tra quelle maledette mura. Scuoto la
testa e scacciamo via
quelle memorie e riprendiamo il nostro cammino. Raggiungiamo la stanza.
La
porta è stata lasciata aperta e noi indugiamo sulla soglia
ad osservare
l’interno. Imperturbabili, cupi, silenziosi.
L’ologramma è affacciato alla
finestra con le braccia incrociate dietro alla schiena e sembra non
averci
notato, fino a che, lentamente, si volta nella nostra direzione. Ci
fissiamo a
lungo per minuti infiniti, studiandoci a vicenda, la nenia delle
macchine per
il supporto vitale sottolinea quasi la tensione formatosi. Ad un certo
punto,
l’ologramma ci rivolge un sorriso mesto, accompagnato da
un’espressione
accomodante. Ma i suoi occhi tradiscono una profonda tristezza.
-
Sephiroth…
-, evoca con tono pieno di malcelata malinconia.
Avverto
lo
stomaco accartocciarsi, le dita stringersi ancora più
veemente in pugno e la
mandibola irrigidirsi. Nonostante l’abbandono, il tradimento
e la sofferenza,
la voce calda di Gast è sempre in grado di far emergere quel
lato fragile e
bisognoso d’affetto sepolto nel cuore ferito del Generale.
Il
padre
che hai sempre desiderato, ma che non hai mai potuto avere.
Quel
rifiuto
ancora brucia forte nell’animo di Sephiroth e avverto il suo
desiderio
recondito di vendetta, ma, davanti a quell’espressione
così gentile e
accomodante, non riesce proprio ad essere crudele. È stanco,
in fondo. Stanco
di combattere, stanco di odiare, stanco di soffrire.
Questi
pensieri ci continuano ad inchiodare sull’ingresso della
stanza, impedendoci di
attraversarla. Non credo di aver mai avvertito il Generale
così perso. È quasi
doloroso il conflitto interiore che lo sta dilaniando. A rompere gli
indugi,
tuttavia, ci pensa il Professore stesso: egli si avvia verso di noi
e… ci avvolge
nelle sue braccia olografiche.
Anche
se non
avvertiamo la sensazione sulla nostra pelle, rimaniamo spiazzati da
quel gesto
inaspettato. Gast non è mai stato un uomo particolarmente
fisico nei SUOI
confronti; nonostante la gentilezza e la disponibilità, la
distanza tra i due
veniva sempre dolorosamente mantenuta. Vediamo le spalle subire qualche
singulto, accompagnato da gemiti malcelati.
Siamo
sempre
più confusi, perché perfino il manifestare
apertamente emozioni non era
accettato.
-
Mi
dispiace… -, esordisce tra i singhiozzi.
Guardiamo
verso il basso, sempre più in difficoltà a
mantenere un ritegno.
Contemporaneamente, egli alza il viso sbriciolato in una maschera di
puro
pentimento. Gli occhi verdi risplendono di lacrime amare dietro gli
spessi
occhiali marroni, incapaci di nascondere il senso di colpa che da anni
corrode
quest’uomo.
-
Mi
dispiace per tutto quello che ti ho fatto, ragazzo mio… -,
Gast inizia a
parlare e la voce rotta dal cordoglio ci spacca il cuore a
metà, - Non eri
nemmeno ancora nato e ho segnato il tuo destino per sempre,
costringendoti a
una vita che non meritavi. Avrei dovuto almeno provare ad alleviarla,
dandoti
l’amore che disperatamente cercavi in ogni persona che
entrava in contatto con
te. Invece, sono stato cieco e sordo alle tue urla d’aiuto.
Me ne sono andato
sapendo di quanto tu avessi bisogno di me… –
Gast
abbassa
la testa, le spalle e crolla verso il basso. Cerchiamo di fermarlo, ma
la
nostra presa passa attraverso il suo corpo olografico. Accartocciato su
sé stesso
e sotto il nostro sguardo sempre più basito, egli continua
il suo discorso.
-
Non c’è
stato giorno in cui non mi sia pentito di quella decisione. Ho pensato
tante
volte a tornare a recuperarti, ma non ne ho mai avuto il
coraggio… -,
s’interrompe un attimo, emettendo una risata triste, - Non
sono mai stato un
uomo d’azione, lo sai. Perfino il portarti in braccio fino al
paese era
un’attività capace di togliermi il fiato. Te lo
ricordi? –
L’ologramma
alza di nuovo gli occhi verso di noi e la serietà imposta
sul mio viso fatica a
rimanere tale. Sento che ogni risentimento Sephiroth potesse provare
verso
quell’uomo sta rapidamente venendo annientato. Il Generale,
tuttavia, resiste,
e l’ologramma riabbassa la testa, appuntando lo sguardo da
un’altra parte,
sconfortato dal nostro silenzio.
-
Non
pretendo che tu sia disposto a perdonarmi… In fondo, so di
non meritarlo. -, fa
una pausa, durante la quale sospira pesantemente, - Ho fatto una figlia
nella
speranza di dimenticarti, ma continuavo a vedere i tuoi occhi ovunque.
Che mi
giudicavano, che mi odiavano -
Egli
fa un’altra
greve pausa, dove prorompe in un pianto più forte, che lo
porta a nascondere il
viso nelle mani.
-
Ho perso
entrambi i miei figli… -, sussurra, infine, e quella frase
è una stoccata
dritta nell’anima.
La
mente del
Generale si ammutolisce completamente, tanto che per un momento credo
che si
sia ritirato in qualche angolo recondito del mio inconscio. E, invece,
era
presentissimo. La realizzazione che, alla fine, l’amato
Professore lo considerasse
come un figlio, scatena un’ondata di calore che attraversa
tutto il corpo,
accelerando tremendamente il battito cardiaco e portandoci
pericolosamente
sull’orlo delle lacrime. Egli guida il mio sguardo verso il
lettino, dove il
VERO Gast è disteso, immobilizzato nel suo stato comatoso.
Lo squadriamo a
lungo, fino a che non notiamo dei riflessi scendere da quegli occhi
forzatamente serrati. Come in preda a un impulso irreprimibile,
Sephiroth si
avvia a passo deciso in quella direzione, attraversando incurante
l’ologramma
prostrato e, senza alcuna esitazione, si abbassa verso il corpo morente
e lo
stringe con tutta la forza che ha.
Un’azione
che avrebbe voluto compiere tanti anni fa, che ha sempre disperatamente
cercato
e che gli è stata SEMPRE spietatamente negata.
-
Ora sono
qui, Professore. -, dice Sephiroth con veemenza, - Non
c’è più bisogno di
soffrire. -
L’Angelo
da
Una Sola Ala permane immobile per un periodo lunghissimo, assaporando
ogni
secondo di quel contatto, come per recuperare ogni momento perduto
durante la
sua spaventosa, angosciante infanzia. Lo avverto piangere
silenziosamente,
mentre i ricordi degli istanti passati assieme al Professore riemergono
dai
flutti di una memoria sepolta, ma gelosamente conservata. Egli sospira
profondamente per recuperare il contegno, tradendo quel lato umano che
si
nasconde dietro alle fattezze bellissime e terribili di un Angelo che
cercò di
diventare Dio. E, come tale, con un’inflessione
misericordiosa nella voce,
sussurra all’orecchio dell’uomo che stringe a
sé:
- Io vi perdono. –
Io
non so se
è una mia impressione, ma credo che quel viso immoto si sia
disteso
ulteriormente, appena proferita quella frase. Non ho comunque il tempo
di
constatarlo, perché l’argentato abbandona
dolentemente Gast. Lo osserva a
lungo, la mano stretta in quella senza vita del Professore. I suoi
pensieri sono
in subbuglio. Mi rendo spaventosamente conto che il caos nella sua
mente
m’impedisce di avere una visione chiara delle sue prossime
azioni. È come se mi
avesse allontanato, per impedirmi di interferire.
Sephiroth?
Che intenzioni hai?
Mentre
formulo questo pensiero, egli, con espressione indecifrabile, si
propende verso
i macchinari per il supporto vitale. La mia coscienza carpisce gli
intenti di
Sephiroth appena in tempo e lo blocco a pochi centimetri dal pulsante
di
spegnimento.
No!
È giusto così,
Cloud.
Ma…!
Fidati, è questo
ciò che vuole. Dall’altra parte
c’è la
sua famiglia che lo attende…
Dopo
Genesis, sei già pronto a vedere un’altra persona
cara che se ne va?
Il
silenzio
si propende per un lungo istante, mentre un terrificante stilettata di
dolore
colpisce dritto al cuore. Una sensazione spaventosa, ma,
ahimè, ben conosciuta.
I visi di tutte le persone che lo hanno abbandonato iniziano ad
affollare le
nostre menti, una dopo l’altra, rapidissime. Tanti, troppi
lutti per una vita
così corta. E, ogni volta, è sempre
più dolorosa della precedente. Come se,
invece di abituarsi, quella sofferenza diventasse un fardello sempre
più
pesante da portare. Eppure, una parte di sé sa che
è inevitabile: è il suo
destino rimanere solo.
Io sono sempre pronto.
Proferisce
infine con un soffio di voce, come se l’ennesima battaglia
interiore lo avesse
spossato all’inverosimile. Di fronte a
quell’ineluttabile verità, capitolo e
lascio che il dito si posi e spinga quel pulsante.
Mentre
i
macchinari lentamente si spengono, provocando spasmi e lamenti
soffocati, noi
stringiamo la mano di Gast, mentre lo accompagniamo in accorato
silenzio verso l’inevitabile
fine.
Prima
che il
suo cervello si spenga completamente, il Generale si rivolge per
l’ultima volta
all’ologramma:
-
Mi
dispiace avervi portati via vostra figlia, Professore. –
-
A me dispiace non aver protetto la tua, Sephiroth. –
Sento
del
vociare sommesso proveniente dal piano di sotto. Sulle prime non me ne
curo:
talvolta capita che Steven rimanga sveglio parecchie ore la notte per
finire
degli esperimenti e che ne registri delle osservazioni. Ma poi odo che
le voci
sono due. L’altra è femminile. Mi stranisco.
Possibile che Steven abbia portato
una donna qui? Nel cuore della notte?
Mi
faccio
più attento e mi rendo conto che la conversazione
è concitata e molto animata.
Inoltre, si fa sempre più forte. A quanto pare, si stanno
muovendo per la casa
e salendo le scale. Ora la voce femminile è più
chiara. È giovanile, ma
perentoria. Decisa e carismatica. Non ammette repliche.
Sorrido,
ma mi rabbuio subito. Ha preso davvero tanto da lui, il mio errore
più grande.
-
No, non
puoi entrare! Lo sai che il sonno è importante per lui! Non
puoi fare sempre
quello che ti pare! –, la voce di Steven riecheggia al di
là della mia porta.
-
E tu
non mi devi dire sempre quello che devo fare! Devo vederlo! -, risponde
la voce
femminile.
Decido
d’intervenire e attivo l’ologramma.
-
Che
succede là fuori? -, chiedo cortesemente.
Per
un
momento, il silenzio si stiracchia, ma posso immaginare
l’occhiata di fuoco che
il mio assistente ha lanciato a quella ragazzina così
testarda, e anche lo sguardo
ancora più mordace sfoderato in tutta risposta.
Sospiro…
Come
i vecchi tempi…, penso, mentre un sorriso
malinconico mi si stampa in viso.
A quel punto, la porta si
apre e un
contrariato Steven entra, seguito da una figura ammantata da un
cappotto foderato
di colore scuro, i cui capelli castani svolazzano da ogni parte in
totale
disordine.
-
Takara!
Qual buon vento! -, la saluto cordialmente.
-
È
venuta qui sola. -, sottolinea Steven irritato, senza dare nemmeno il
tempo a
Takara di rispondere al saluto.
-
Da
sola? Come mai Genesis non ti ha accompagnata? –
La
sua
espressione imperturbabile viene scossa da un leggero tremito e la
mandibola si
contrae in modo quasi impercettibile. Un’azione che ho visto
migliaia di volte
sul viso granitico di suo padre. E ho sempre capito che qualcosa lo
turbava.
Lei non fa alcuna eccezione.
-
È
successo qualcosa a Genesis? –, incalzo.
Lei
sgrana gli occhi grandi, trovando conferma nella sua espressione
stupita di
aver colpo il punto; poi ammorbidisce l’espressione e sorride
sghemba.
-
Il tuo
sesto senso non fallisce mai, Gast. -, ironizza scanzonata, ma poi la
sua
espressione si intristisce e vedo i suoi occhi farsi lucidi, poco prima
che lei
sposti lo sguardo altrove, - Infatti, Genesis sta…
sta… -
-
Male?
-, intervengo cercando di completare la frase.
-
Morendo. -, corregge Steven. Non è una domanda, ma una
constatazione.
Takara
lo
fulmina con lo sguardo, infastidita dal suo tono clinico e distaccato,
quasi
annoiato, che va a definire una situazione temuta, ma,
ahimé, prevista.
-
Mia
cara, lo sapevi che questo sarebbe successo prima o poi. Trovo strano,
tuttavia, che sia accaduto così d’improvviso.
Ricordo che dall’ultimo
controllo, la degradazione non era ancora a livelli critici. -, ragiono
io.
La
ragazza sospira e si va a sedere su una delle sedie della mia stanza,
ponendo i
gomiti sulle ginocchia e fissando lo sguardo al pavimento.
-
Degli
stranieri hanno raggiunto Yaido. -, dice la ragazza, cambiando
argomento, per
poi alzare lo sguardo nella mia direzione – Cloud Strife e
Vincent Valentine.
-, precisa, - Hanno portato il diario. –
Constatazioni,
non domande.
Sa,
penso
assumendo un’espressione contrita e colpevole. Steven, dalla
sua, non le dà
alcuna soddisfazione, rimanendo impassibile. Una scena vista e
stravista già
tantissimi anni fa.
Schiocca
la lingua e si adagia sullo schienale, studiandoci con espressione
indecifrabile.
-
Quindi
immaginate perché sono qui. –, sentenzia, fredda.
In
imbarazzo, mi sistemo gli occhiali olografici e sospiro.
-
Mia
cara, - esordisco, cercando le parole giuste per esprimere quello che
voglio
trasmettere, - capisco che tu sia alterata e mi dispiace averti tenuto
all’oscuro di certe cose, ma ti assicuro che ogni azione
è stata effettuata
sempre e solo nei tuoi interessi. –
Appena
proferisco quella frase, l’espressione della ragazza
s’indurisce, tutto il suo
corpo freme e giuro di aver sentito un ringhio sommesso nascere dalla
sua gola.
Istintivamente, faccio un passo indietro.
-
Certo.
È sempre stata la tua scusa, Gast… -, proferisce
la ragazza con un tono così
roco e graffiante da non appartenerle. Dopodiché accavalla
le gambe e si
appoggia allo schienale della sedia, sorniona, - Immagino sia la stessa
che ti
sei raccontato per anni, dopo che hai deciso di lasciare mio padre
nelle mani
di Hojo. Oh, certamente ha giovato molto ai suoi interessi. –
Come
colpito da un maglio, la mia intera persona rabbrividisce, di fronte a
quella
frase pronunciata con così tanto disprezzo e da quello
sguardo in tralice che
mi sta giudicando fin dentro al midollo. Rimango interdetto per un
lungo
istante, mentre mi rendo conto che la ragazza di fronte a me trasfigura
in
quella di un ragazzo dai capelli argentati.
Oh,
no…
-
Takara…
hai per caso toccato il diario senza protezioni? –
La
posa
truce della ragazza s’infrange, mentre lei, sorpresa, si
muove nervosa sulla
sedia. La sua espressione dura, tuttavia, non viene dismessa, anzi
sembra quasi
sfidarmi.
A
quel
punto, Steven mi anticipa, battendo il bastone furiosamente al
pavimento.
-
DANNAZIONE,
TAKARA! MI ERO RACCOMANDATO! AVEVO PERFINO DETTO A QUELLO SPOSTATO DI
GENESIS
DI…–
La
furia
del mio assistente si sbriciola sul totale disinteresse della ragazza,
la quale
dismette Steven con una sventolata di mano.
-
Steven…
perché non trascini il tuo inutile ammasso di complessi
fuori da questa stanza?
–, ribatte Takara con tutta la calma del mondo.
Vedo
l’uomo gelarsi, l’ira sfumata in una genuina paura.
Boccheggia, incapace di
ribattere, mentre, dall’altra parte, la giovane sorride
trionfante. Dopodiché,
si volta verso di me.
Rimango
in silenzio, realizzando che quello che sto guardando va oltre ad ogni
umana
concezione. È la fusione di due mondi. È la
sintesi dell’Universo. È la fonte
della Vita su questo Pianeta.
Lo
stesso
pensiero lo vedo affiorare in quegli occhi ora fattasi chiari, quasi
bianchi.
La sua espressione si è distesa, benevola.
-
Ho
bisogno di avere accesso alla cripta, Professore. È arrivato
il momento. –
Dolorosamente,
sospiro. Per anni abbiamo cercato di sottrarla a questo destino.
Genesis, io,
la WRO… volevamo evitare che un’altra innocente
venisse sacrificata sull’altare
di questa guerra, ma mi rendo conto che, per quanto noi umani possiamo
scoprire
sui Cetra e Jenova, loro saranno sempre al di fuori della nostra
portata.
-
Voglio
che tu sappia che non era questo che volevo per te. -, dico dolente.
La
ragazza annuisce, abbassando la sguardo, mentre stringe le sue mani per
reprimere un moto di paura.
-
Lo so.
-, dice con voce tremolante, molto diversa dalle prime battute del
nostro
incontro – E io voglio che voi sappiate che avrei voluto
darvi la redenzione
che meritavate. -, conclude, guardandomi con sguardo afflitto.
Ora
la
rivedo, la ragazzina che ho imparato ad amare, la prole di quel figlio
che ho
respinto con tutte le mie forze, quando, lo sapevo, essere accettato
era tutto ciò
tutto che desiderava.
Perché
l’ho
fatto?
Perché
ho
ignorato la sofferenza di Lucrecia?
Perché
non
ho dato ad Hojo quello che si meritava?
Come
ho
potuto infliggere un tale dolore a così tante persone?
Mi
volgo
alle mie spalle e guardo il mio vero corpo.
Guarda
dove
ci ha portato…
Sospiro
di nuovo e mando l’impulso al computer che controlla i
meccanismi di difesa
della cripta. La porta di quest’ultima, celata dietro ad una
falsa parete, ha
un singulto e poi con un poderoso tonfo di apre.
-
Aiutarti, Takara, è il mio gesto di redenzione. –,
proferisco, sorridendole.
Il
Dono sorride
di rimando e si alza, muovendo qualche solenne passo in direzione del
suo
antenato. Rimane per qualche istante ad osservare il buio profondo e ad
assaporare l’odore di umidità e Lifestream
levatosi dal sotterraneo, esitante,
mentre un ultimo guizzo di paura le pervade le membra. Vedo il suo
pugno
sinistro stringersi e la testa venire sollevata decisa. Fa per muovere
un altro
passo, però, Steven interviene e ficca una siringa nella
spalla destra della
ragazzina.
Ella
rimane per lunghi secondi a guardare il punto in cui l’ago
è penetrato nella stoffa
sottile per poi sollevare il viso nella direzione del mio assistente.
L’odio ha
trasfigurato i tratti innocenti della quattordicenne, rivolgendo
all’uomo
un’espressione mostruosa. Inumana.
Il
mio
assistente indietreggia, lentamente. Sebbene non abbia le
capacità fisiche di
contrastare Takara, egli sembra sfidarla apertamente, fissandola dritta
in
quegli occhi infernali.
-
Che
cosa vuol dire, Steven? –, chiedo interdetto.
-
Che la
ragazza verrà con noi, Professor Gast. –
La
risposta giunge da una figura allampanata che, elegantemente, si
staglia
sull’uscio della mia stanza. Capelli biondi e ben pettinati,
occhi acquosi,
espressione arrogante, portamento nobile e una fiera nera al suo
fianco.
Rufus
Shinra?!
Non
faccio in tempo a proferire il nome del nuovo arrivato, che Takara
caccia un
urlo di folle rabbia, sguainando un coltello che teneva nascosto tra le
vesti
da viaggio. La ragazza è talmente veloce che riesce a
tagliare due dita dalla
mano del mio assistente, facendogli perdere la presa del bastone, poi,
con un
guizzo rapidissimo, la mano destra della bruna si chiude attorno al
collo dell’uomo,
strozzando un grido di dolore. Il coltello baluginante di riflessi
cremisi è
pronto ad affondare nel cuore traditore di Steven, ma, fortunatamente
per lui, una
turba di personaggi mascherati intervengono ad immobilizzare la
ragazza, prima
che ella concluda i suoi letali intenti.
Con
un
incredibile guizzo guerriero, Takara salta all’indietro ed
evoca una barriera
capace di respingere l’attacco deliberato, così da
guadagnare del tempo
prezioso per gettarsi verso l’entrata della cripta. Osservo
inerme gli uomini
rincorrerla giù per la sdrucciolevole scalinata. Nel
frattempo, prego che, per
almeno una volta, il Pianeta possa rispondere al disperato grido
d’aiuto di
questa famiglia. Vedo flash di luce verde levarsi dalle viscere della
cripta,
evocate, probabilmente, dalla ragazzina, come disperata difesa contro
quegli
aguzzini; ma, noto con angoscia, che la luce diventa sempre
più debole, più
flebile. L’effetto del potente sonnifero inizia ad annebbiare
la mente della
giovane. Dopo qualche minuto dalla cessazione dei flash verdi, gli
uomini
mascherati riemergono dalla cripta, trascinando con sé il
corpo senza forze
della ragazzina. Con orrore e impotenza, osservo quegli uomini legarla.
Con
rabbia e disgusto, fisso Steven iniettarle qualche droga per tenerla in
uno
stato semi-incosciente.
No,
non di
nuovo.
Il
ricordo va direttamente alla notte in cui me ne andai, quando Sephiroth
m’inseguì per scappare con me. A nulla valsero i
suoi sforzi di liberarsi dagli
spietati cani da caccia della ShinRa che, imperterriti, lo consegnarono
al più
terribile dei suoi aguzzini: Hojo. E ora, sto assistendo alla stessa
identica
scena.
La
piccola piange, silenziosa, cullata da una frase che
l’accompagna fino
all’oblio:
-
The fates are cruel
[Le parche sono crudeli, LOVELESS, Act IV] -
Io
muovo
qualche passo nella sua direzione, mentre un energumeno carica la
ragazza sulle
spalle e la porta via. Tutti escono e se ne vanno, senza degnarmi
nessuna
attenzione, compreso Steven che, zoppicando via, si stringe la mano
lesa al
petto, mugugnando maledizioni verso Takara.
Solo
una
persona è rimasta nella stanza ed è
l’unico che non ha mai tolto lo sguardo da
me: Rufus ShinRa.
-
Grazie
per tutto il lavoro svolto, Professore. -, la sua voce è
fastidiosa,
canzonatoria, - Non avremmo mai potuto farcela senza di Voi. -
-
Non era
così che doveva finire… -, rispondo debolmente.
-
No di
certo, Professore. Gli Esper solo sanno di cosa è capace la
cricca a cui
l’avete affidata. –, fa una pausa, durante la quale
l’uomo si lascia sfuggire
un rapido sguardo al letto dietro di me. – Ma,
fortunatamente, ci sono i figli
a fare ammenda dei peccati dei padri. –
-
Takara
non è nata per fare ammenda dei peccati di suo padre. Anzi,
è tutto ciò che di
buono c’era in lui. –, ribatto con veemenza.
Il
biondo
si lascia sfuggire uno sbuffo divertito.
-
Se c’è
una cosa che ho imparato in lunghi anni a contatto con Sephiroth
è che niente
di buono può scaturire da lui. -, il ghigno divertito sfuma,
lasciando spazio
ad un’espressione dura, - Voi lo dovreste sapere meglio di
chiunque altro,
Professore. –
Io
scuoto
la testa, dolente.
-
Voi non
sapete niente di lui. E state facendo uno sbaglio gigantesco. -
Il
Presidente mi rivolge un sorriso enigmatico e inizia a darmi le spalle,
ma, con
un guizzo di coraggio, gli chiedo: - Dove la portate? –
Rufus
rivolge nuovamente l’attenzione sull’ologramma,
sguardo solenne.
-
Al
Northern Crater. Dove potremo finalmente distruggere quel potere per
sempre. -
Un
silenzio
angosciante mi sta assordando. Vorrei muovermi, andare via, ma
Sephiroth non
permette alla mia coscienza di prendere possesso del mio corpo. Egli ci
fa
permanere immobili, seduti su quel lettino a stringere una mano gelida
e
rachitica. Il nostro sguardo fisso su un punto imprecisato di fronte a
noi.
Gast
era
tutto quello che lui avrebbe voluto diventare…
L’unico
uomo
che con il solo pensiero era in grado di ripescarlo dal baratro
profondo della
sua follia. Era stato Gast ad instillargli quegli scrupoli che tanto
odiava
Hojo. Era dal suo esempio a cui attingeva per trasmettere insegnamenti
a sua
figlia. Immaginava spesso che il Professore fosse lì a
guardarlo fiero, mentre
stringeva a sé la famiglia che era riuscito a creare tra le
mille difficoltà.
Sarebbe stato orgoglioso nel saperlo sistemato e, finalmente, felice?
Sì,
probabilmente
lo sarebbe stato, a giudicare dalle frasi pronunciate durante lo
scontro con
Rufus; eppure, non glielo ha detto mai in faccia. Nemmeno nella sua
ultima
occasione.
Mi
rendo
conto che questo ennesimo lutto sia un fardello gigantesco per delle
spalle
stanche come quelle del Generale.
Quanto
tempo
è andato sprecato tra di loro…
Un
flebile
fruscio alle nostre spalle spezza la bolla di deprimente calma in cui
Sephiroth
mi stava trascinando.
Lentamente,
voltiamo la testa appena sopra la nostra spalla sinistra, e lo vediamo:
Vincent.
Se
avessi il
controllo del mio corpo credo che deglutirei, immaginando, con
l’occhio della
mente, di trovarmi in un angolo dismesso, mentre padre e figlio di
scrutano
silenti, come due enormi scure montagne.
Rosso
nel
verde.
Il
pistolero
ci fissa apparentemente imperturbabile, i suoi pensieri insondabili
come un
placido lago. Noi gli rivolgiamo un sorriso sghembo per poi dismettere
lo
sguardo dalla sua figura, ma egli fa un rapido passo verso di noi,
ristabilendo
il contatto visivo. Ora tocca noi a fissarlo curiosi, mentre
l’ex-Turk
incespica con un muto discorso. Poi, come sceso a patti con
sé stesso, si
avvicina a noi con passo deciso. Tutta la baldanza, tuttavia, scivola
via a
mano a mano che lui si avvicina a noi, tant’è che
è con estremo timore che
poggia entrambe le sue mani sulle nostre spalle. Con delicatezza,
stringe le
dita su di esse, finché il suo tocco non diventa disperato,
quasi rabbioso.
Il
nostro
cuore ha iniziato a battere fortissimo, il respiro farsi più
rapido. Mi rendo
conto che Sephiroth ha paura. Il contatto è sempre stato
qualcosa di
estremamente fastidioso per lui, un preludio a qualcosa di terribile
che sta
per accadere. Uno schiaffo, un pugno, un qualunque atto di violenza.
Non ha mai
conosciuto altro dagli uomini.
Ma
gli
intenti di Vincent non sono mai stati quelli…
Egli,
infatti, appoggia la sua fronte alla nostra nuca, sospirando
pesantemente,
mentre le sue braccia ci cingono le spalle da dietro, stringendoci
verso il suo
petto.
Rimaniamo
così per lunghi istanti, persi completamente nella
confusione che il
comportamento di Vincent ci ha provocato. Vorrei chiedere spiegazioni,
ma l’argentato
è completamente gelato.
-
Non sei
solo, Sephiroth. -, proferisce Vincent con decisione, - Non stavolta.
Stavolta
tuo padre è qui, accanto a te. Non ti
abbandonerò. –
Il
nostro
cuore sobbalza e gli occhi pungono, mentre ci aggrappiamo
all’avambraccio di
Vincent.
-
Padre… -,
evoco con la voce del Generale.
-
Sì, figlio
mio. Andrà tutto bene… -
Ci
gira
verso di sé, ci cinge i lati della testa con le mani e
appoggia la sua fronte
sulla nostra, guardandoci dritti negli occhi.
Rosso
nel
verde, ma stavolta l’uno rispecchia l’altro,
fondendosi in un colore
completamente nuovo.
-
Te lo prometto… -
-
Credo che
vogliano eseguire un antico rituale Cetra. – conclude Reeve,
assorto, mentre
sfoglia un vecchio tomo di leggende tratte dal folklore di quel popolo
dimenticato. Nonostante questo, sembrano essere considerate
dall’ex-proprietario una valida fonte di informazioni, a
giudicare dai numerosi
segnalibri e appunti apposti sulle sue pagine da Steven stesso.
-
A quale
rituale ti riferisci? -, chiede Tifa.
-
Lo stesso
che gli Antichi usarono su Jenova. -, intervengo io, dopo una rapida
consultazione con Sephiroth, mentre, ingordi, sfogliamo i fascicoli
presenti
sulla scrivania di Steven. Il suo studio è stato rivoltato
da cima a fondo, al
fine di ricavare informazioni sulle sue intenzioni. Gli uomini della
WRO hanno
esaminato ogni centimetro della casa e di questo studio e non hanno
trovato
nessuna cassaforte nascosta o qualche altro aggeggio segreto; quindi,
tutto
quello che c’è qui è tutto quello che
Steven ha prodotto in questi anni.
Non
ha fatto
nulla per nasconderlo…
Forse
pensava che la villa fosse sufficientemente sicura, dato
l’isolamento e la
scarsità di visitatori.
Tutte
queste
illazioni, non sembrano convincere il Generale, il quale muove
rapidamente la
mia mano tra i fogli e i dossier, alla disperata ricerca di qualcosa.
È tutto troppo
semplice…
Reeve
annuisce.
-
Già, ma non
capisco, perché entrare in combutta con la Shinra.
Perché rapire Takara in quel
modo? –
Di
tutta
risposta, Weiss grugnisce, lascia cadere le braccia lungo i fianchi e
scuote la
testa.
-
L’hanno
catturata con una facilità disarmante… Come se
sapessero le sue intenzioni da
tempo. -, alza la testa e lascia che il suo sguardo truce trafigga
ognuno di
noi, – Come se qualcuno li avesse guidati qui… -
Il
silenzio
cala di nuovo e la fastidiosa sensazione di essere osservati si fa
strada tra
le nostre cellule, tant’ è che alziamo lo sguardo
e capiamo di essere
nuovamente nel mirino dell’ex-Tsviet. Sephiroth sfodera lo
sguardo più truce
che conosce – quello che ti faceva accapponare perfino le
viscere – e risponde
alla sfida.
Ci
fissiamo
per lunghissimi minuti, saette e fulmini immaginari spillano dalle
nostre
auree; i muscoli si preparano alla battaglia, i sensi si acuiscono, il
respiro si
fa più pesante.
-
Ora basta!
-, interviene Vincent, mettendosi in mezzo, - Nessuno ha guidato qui
nessuno.
Piuttosto, sembra proprio il contrario. LORO sembrano averci guidato
fino a
questo punto. Come se sapessero come stanarla…-
La
realizzazione folgora la mente di Sephiroth e, di conseguenza, la mia,
come un
fulmine a ciel sereno.
Faccio
appena in tempo a realizzare il movimento del mio braccio sinistro che
questo
va a schiantare un pugno così potente alla scrivania di
Steven da, per poco,
non piegarla su sé stessa.
E
poi,
qualcosa esplode dentro di me, un ruggito di rabbia così
possente da credere di
avere un Behemoth agitarsi nel petto. I muscoli si tendono nuovamente,
i denti
vengono snudati, i sensi si annebbiano, le orecchie fischiano. Una
figura si
defila nella nostra mente, via via sempre più nitida. Giacca
nera, camicia
bianca, chioma nera e liscia, punto sulla fronte.
Tseng…
Mai fidarsi di un Turk.
Un
tocco
lieve e leggero mi si posa sul braccio ancora teso nell’atto
di sfondare la
scrivania, strappandomi dall’abisso d’ira in cui
stavamo sprofondando;
tuttavia, mi volto con troppa veemenza e l’autrice del tocco
salta
all’indietro, spaventata.
-
Scusa, Tifa…
-, dico con un soffio di voce.
Realizzo
solo ora di avere letteralmente la mano affogata in un cratere di
sangue e del
dolore lanciante che si dipana dalla punta delle dita alla spalla.
Lentamente,
recupero l’arto e lo osservo, perplesso e stupito. Mi accorgo
con orrore che,
sebbene faccia un male dannato, la mia mente fatica a considerare quel
pezzo di
carne parte di me; così come mi preoccupa la
facilità con cui Sephiroth lo ha
invaso e usato per sfogare la sua esplosione di rabbia. In effetti, non
è la
prima volta che mi possiede, anche se è la prima volta che
mi fa seriamente del
male o, comunque, non rispetta la mia volontà.
Prendo
fiato
e cerco di nascondere il mio turbamento, rivolgendo a Tifa un sorriso
sofferente.
-
È tutto
ok. -, rassicuro, anche se lo sguardo mordace della mora mi fa
intendere che
non si è del tutto convinta che io abbia la situazione sotto
controllo.
Forse
non
l’ho mai avuta…
Scaccio
il
pensiero e riprendo il discorso, rivolgendomi anche agli altri.
-
Non credo
che fosse sua intenzione sbottare così. -, giustifico,
stringendomi la mano al
petto per soffocare una fitta di dolore, - Ma ha realizzato che la
Shinra
sapeva di Takara da molto tempo. -, faccio una pausa per lasciare che
il
concetto venga assorbito dagli astanti. Nel frattempo, Tifa si
è convinta a
lasciare i risentimenti da parte e, recuperato un pezzo di stoffa, ha
iniziato
a fasciarmi la mano, con l’aiuto di Vincent.
-
Il primo a
rendersi conto dell’infatuazione di Sephiroth nei confronti
di Evelyn fu Tseng.
Da lì, lui seguì la questione molto da vicino.
Reprimo
a
fatica la nuova ondata di rabbia al pensiero che al Turk era stata
affidata perfino
la salvaguardia della SUA famiglia, ad un certo punto.
In
fondo,
per quanto Tseng abbia sempre patteggiato per i SOLDIER, un ordine di
Rufus
Shinra rimane pur sempre un ordine di Rufus Shinra.
-
In qualche
modo, - continuo, - Tseng potrebbe aver spifferato tutto a Rufus e poi
Steven
ha fatto il resto, trovando il modo d’infiltrarsi nella WRO
ed entrare nella
cerchia dei tutori della ragazza. –
-
Ma perché
vogliono distruggere il suo potere? -, sbotta Weiss, - Lei è
il Dono! Colei che
metterà fine alla sofferenza del Pianeta. –
Rimango
in
silenzio qualche momento e, non so se per caso o guidato da Sephiroth,
il mio
sguardo si poggia su una serie di appunti a cui stavamo dando
un’occhiata prima
di interromperci.
L’esperimento
di Steven...
-
Takara non è semplicemente una fusione perfetta tra Cetra e
Jenova…
Lei È Jenova. –
- COME
OSI! -, scatta Weiss, ma la sua furia viene bloccata da
Vincent, il quale, si interpone nuovamente tra noi, posando una mano
sul petto
dell’albino. L’ex-Turk, tuttavia, ci rivolge un
tagliente e oltraggiato
sguardo.
- Sei
di nuovo convinto che mia nipote sia il nemico? -, ribatte,
gelido.
Trattengo
il sorriso compiaciuto nel realizzare che Vincent ha
finalmente accettato il suo ruolo e che sembra pronto a tutto per
proteggere la
sua famiglia ritrovata.
- No,
Vincent. -, rispondo, apponendo la mano sana al petto, - Questo
mai. Tuttavia, bisogna guardare i fatti. -, prendo il dossier in cui
sono
raccolti tutti i dati e i risultati che Steven ha messo insieme negli
anni, -
L’aspetto femminile che tutti noi conosciamo di Jenova, non
è la sua vera forma.
-, faccio una pausa, -La donna che abbiamo imparato a temere, la Madre
che
altri hanno servito, il mostro che ha abitato i nostri
incubi… Sono tutti
riconducibili alla Cetra che è stata parassitata da un
alieno caduto dal cielo.
-, mi fermo di nuovo e guardo ad uno ad uno tutti gli astanti, i quali
pendono
letteralmente dalle mie labbra, - Una Cetra che per millenni
è stata schiava di
quest’essere che attraverso gli esperimenti della Shinra si
è diffuso in tutto
il Pianeta. E non solo attraverso il Lifestream, ma anche nel nostro
DNA. -,
lascio spaziare la mano sana, lasciando intendere il significato delle
parole
appena proferite.
- Il
Progetto Jenova S, ossia quello che ha creato Sephiroth, ha
dotato questi di poteri identici a quelli del campione originale. -,
scuoto la
testa, al pensiero di ciò che sto per rivelare, - Evelyn mi
ha mostrato gli
effetti che l’alieno stava avendo su di lei. -, una
stilettata di dolore mi fa
stringere i denti, ma non proviene dalla mano, mi rendo conto, - Ha
passato quell’infezione
a sua figlia. – concludo, mesto.
Un
silenzio attonito cala tra noi, incapaci di realizzare
l’orrifico
pensiero a cui ho appena dato adito.
-
Quindi, Takara è stata concepita da una sorta di
Riunione… -,
realizza Reeve, scioccato.
Avverto
il senso soverchiante di colpa provenire dalla mente di
Sephiroth, ma cerco d’ignorarlo, ragionando sulle condizioni
in questo
concepimento venne luogo.
-
Sephiroth ed Evelyn si amavano. -, ribadisco, deciso, - Jenova
può
aver cercato d’inquinare quel sentimento in tutti i modi, ma
non c’è riuscita.
La Shinra è sempre stata uno strumento nelle mani della
Calamità e credo che
questo blitz sia un gesto disperato per provare definitivamente di
prendere il
totale controllo della ragazza. -, sospiro, - Temo che Takara fosse
consapevole
di questo rischio, per questo era così spaventata.
–
-
Eppure, è andata avanti lo stesso. -, ribatte Vincent con
orgoglio.
Io
annuisco, sorridendogli. Sephiroth non può trattenere il
senso di
sollievo nel sentirsi compreso dal proprio padre. Ha capito che quello
sguardo
pieno di fierezza era anche per lui.
- E
noi non la abbandoneremo. -, interviene Reeve, mettendo le mani
sulle nostre rispettive spalle.
Nothern
Crater.
Dove
tutto ha avuto inizio.
Dopo
un
lungo viaggio, la terribile Calamità inizia il suo minuzioso
lavoro di
distruzione di ogni forma di vita presente sul Pianeta. È un
mondo ricco di
risorse, con una mente collettiva estremamente potente e un popolo
affascinante. Affamato di conoscenza. È curioso. Fatalmente
curioso. Così
curioso da darle una forma capace di confondersi tra loro. Una forma
femminile
e avvenente, capace di ammaliare e attirare a sé individui
della stessa razza.
Esiste
anche un’altra etnia, più primitiva dei Cetra: gli
Umani. Ma non serviranno per
i suoi imminenti scopi. Almeno per il momento.
Perché
Jenova sa che la vita è sempre difficile da estirpare da un
Pianeta, quindi
bisogna essere pronti a tutto.
Come
immaginava, i Cetra si rivelano pieni di risorse e dotati di una
profonda
conoscenza degli intimi meccanismi del Pianeta, tanto da riuscire a
confinarla là
da dove è venuta.
I
Cetra
sperarono che le fredde e morte terre del Northern Crater fungessero da
deterrente sufficiente per impedire a qualunque essere vivente di
disturbare la
prigionia di quel mostro stellare.
Ma
Jenova
doveva solo aspettare…
Che
cos’erano pochi millenni per una creatura immortale?
Un
battito di ciglia.
Aveva
visto l’avidità e l’invidia degli Umani.
Rimasti soli, non passò molto tempo prima
che iniziassero a prendersi le risorse del Pianeta.
Cetra,
la
chiamavano, quegli scienziati.
Non
era
una creatura permalosa, anzi fu quasi grata agli Umani e
all’esercito di
schiavi che le fornirono senza nemmeno muovere un muscolo. E le
consegnarono
l’arma più potente di tutte: Sephiroth.
Grazie
a
Lucrecia aveva capito molto della malata tendenza degli Uomini di
maltrattare i
propri figli e di usarli per nutrire le loro ambizioni. Per non parlare
delle
follie che gli uomini compiono per amore. Sarebbe bastato stuzzicare il
lato
affranto e fragile di quel bambino cresciuto troppo in fretta, usando
la sua
amata come collante e tenerlo legato a lei per sempre.
Uno…
schiavo
d’amore.
La
figlia
non fa eccezioni. A nulla sono valsi gli sforzi del servo di Minerva
nel
tenerla lontano dalla Calamità, perché
l’avidità umana è qualcosa che Jenova
ha
imparato a sfruttare fin troppo bene. Così come la ridicola
speranza di poterla
controllare.
Sarà
un
grande ritorno. Ella recupererà i suoi pieni poteri e
finalmente potrà
riprendere il suo viaggio.
In
corpo
nuovo.
Giovane
e
forte.
Pieno
di
Lifestream.
ECCOMIIIIIIIII!!! Tornata dopo UNA VITA,
ma ce l’ho fatta! Il capitolo era pronto da tempo, ma la mia
vita si è
rivoluzionata completamente negli ultimi anni e quindi le mie passioni
e hobby
sono state un po’ messe da parte.
Non so in quanti ancora vorranno leggere
quest’ultima fatica, ma è bello riprendere a
scrivere e postare su EFP. Sono un
po’ di capitoli che dico che il prossimo dovrebbe essere
l’ultimo, ma direi che
il prossimo GIURO la finiamo. Probabilmente sarà un
po’ più lungo del normale
così si chiude questa avventura! Devo darmi una mossa prima
di essere
risucchiata dalla scrittura della tesi del dottorato!
I più attenti si saranno
accorti che sto
cominciando a sviscerare quel lato paterno di Vincent. Data la
situazione nella
storia, purtroppo non credo non ci sarà molto tempo per i
nostri padre e figlio
di parlare di sentimenti, ma pianifico di poter dare ad entrambi un
degno ‘arrivederci’.
Ora vedremo come l’ispirazione mi prenderà XD
Grazie a tutti quelli che hanno la
pazienza di aspettarmi! Vi voglio bene!
A presto!
Besos