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Autore: Alis_Weasley    07/03/2024    0 recensioni
Un colpo di fulmine squarcia la monotonia.
Genere: Introspettivo, Poesia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si consiglia vivamente di accompagnare la lettura alla seguente playlist  https://www.youtube.com/watch?v=WY4Au-XhZS4 , la stessa che mi ha ispirata nella scrittura. 
 


Izuku era seduto nel suo bar preferito, alla sua ora preferita della giornata – ovvero il tardo pomeriggio – e nel suo solito tavolino,
 
quello rotondo all’estremità della sala,
 
vicino alla finestra,
 
con vista sulla strada.
 
Una leggera pioggerella ticchettava sull’asfalto quando il ragazzo aveva fatto il proprio ingresso nel locale, avvolto nell’abbraccio protettivo del proprio cappotto. Scuotendo leggermente i disordinati riccioli verdi, aveva poi chiuso il proprio ombrello trasparente e rivolto un caloroso sorriso al proprietario del piccolo caffè. La corporatura dell’uomo era robusta e avrebbe potuto intimorire a una prima occhiata, ma il suo viso gentile, incorniciato da capelli color dell’oro e un sorriso amorevole, era ormai familiare come l’aroma di caffè appena macinato che si respirava tutt’intorno.

“Buon pomeriggio Yagi-san” aveva salutato educatamente il ragazzo.
“Buon pomeriggio a te, giovane Midoriya” aveva risposto la voce profonda e amichevole.

Poi tutto si era svolto come di solito. Izuku aveva preso posto al suo tavolo e tirato fuori la lettura che avrebbe accompagnato i suoi tè pomeridiani per quella settimana, o, qualora si fosse rivelata particolarmente interessante, per un paio di pomeriggi.

 
Tuttavia, in quella precisa giornata, Izuku si sentiva malinconico e la musica diffusa dal vecchio giradischi, unitamente al rumore della pioggia – che da ticchettio era divenuto un vero e proprio scrosciare -, lo distraevano continuamente dalle pagine ingiallite, portandolo a dirigere la propria attenzione all’esterno, sulle pozzanghere formatesi sul ciglio della strada e su alcune foglie attecchite al marciapiede.

Era uno stato d’animo – la malinconia – a lui familiare, addirittura quasi rassicurante. Come una vecchia e logora felpa da casa, di quelle che si indossano pregustandone già la comodità.
Izuku era, in genere, un ragazzo abbastanza allegro. Sul suo pallido viso costellato di lentiggini, si apriva di frequente un bel sorriso che portava al formarsi di piccole pieghe ai lati degli occhi e alla loro chiusura a mezzaluna. Aveva una risata dolce e mai sguaiata e conosceva l’amore grazie alla presenza, nella sua vita, di sua madre e dei suoi amici.

Tuttavia, nonostante si considerasse una persona abbastanza felice, l’adolescente provava una soddisfazione strana da spiegare quando si rifugiava in stati d’animo malinconici, trascinato dalle note di un pianoforte in sottofondo e dall’imperversare del temporale fuori dalla finestra.

Si sentiva come se gli venisse più facile prestare attenzione alle piccole cose della vita, cose che durante la frenesia del quotidiano non si notavano o non suscitavano riflessione alcuna.
Per una persona nevrotica come lui, del tipo che borbotta cercando di star dietro ai propri pensieri, stare in quel bar, a quel tavolino, a quell’ora era il modo per trovare pace, era il modo per provare emozioni a cui non riusciva neppure a dare un nome.


Una di quelle emozioni sconosciute gli sbocciò all’improvviso in petto, quando dentro la pozzanghera che aveva calamitato la sua attenzione entrò uno stivale di pelle nero, provocando mille piccoli schizzi come un’esplosione. Un’esplosione intenzionale. Il piede era stato calcato con rabbia, quasi come se il proprietario potesse trarre soddisfazione dal distruggere un piccolo ecosistema come quello.

Ma se Izuku avesse dovuto indovinare lo stato d’animo del ragazzo in questione avrebbe pensato alla tristezza e non alla rabbia.

Tutto in lui sembrava spigoloso, persino i capelli biondo cenere scuriti dall’acqua che sembravano combattere per rimanere irti nonostante tutto.
Le sopracciglia erano concentrate in un’espressione corrucciata, che dava vita a piccole rughe sul ponte di un naso affilato ed elegante.
Le labbra, rosse come un tè al ribes, erano arricciate in un aspro ringhio che metteva in mostra denti bianchi come perle, perfettamente dritti, maniacalmente curati.
Il collo era incassato nelle spalle robuste curvate verso l’interno e coperte da uno strato di vestiti decisamente troppo sottile per la stagione, una maglietta nera a maniche corte che la pioggia aveva fatto aderire perfettamente alla pelle pallida.

Ma i suoi occhi,
quegli occhi erano un braciere di fuoco in una notte di gelo.
Erano la dolce polpa di un’arancia sanguigna.
Se fossero stati un sapore, le labbra di Izuku, strette tra i suoi incisivi troppo grandi, avrebbero voluto saggiarlo.
Quegli occhi non erano malinconici come quelli color della foresta di Izuku, erano tristi come un lago sotto una pioggia primaverile.


Se si fosse trovato in un altro bar,
in un altro tavolo, magari anche solo di un’altra forma,
a un’altra ora,
forse Izuku, lì, ci avrebbe visto solo un ragazzo biondo.

Eppure, da quel tavolo di legno rotondo,
all’estremità della sala,
quello vicino alla finestra,
che dà sulla strada,
Izuku ci vide qualcosa di più.

Ci vide il libro con cui il suo tè pomeridiano avrebbe acquisito un sapore unico, un sapore mai sperimentato prima.

Ci vide un’emozione in potenza che avrebbe potuto fare impallidire la sua cara malinconia.

Come un cieco che recupera la vista, all’improvviso Izuku, col cuore galoppante, vide il pezzo mancante della sua espressione preferita.

Quel bar, quel tavolo, quell’ora, quella persona.

Corse fuori sotto lo sguardo sorpreso del proprietario del caffè.

Finalmente sentiva la melodia giusta, quella che aveva sempre sperato di ascoltare e che adesso sembrava scandita dallo scrosciare della pioggia.

“ASPETTA!” gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, sorprendendo persino sé stesso. Ma non se ne pentì, neppure quando la schiena del ragazzo si tese mentre si girava a guardare proprio verso di lui.

“Parli con me?” domandò egli dopo un attimo, battendo le palpebre un paio di volte. La sua espressione di sofferta rabbia già ammorbidita dalla sorpresa.

Un lacrima di pioggia abbandonò le sue lunghe ciglia e gli accarezzò la guancia.

“Prendi un tè con me, ti prego” sussurrò Izuku, lottando e vincendo con la parte di sé che si sarebbe voluta vergognare.

Si sentiva come posseduto. Posseduto da una forza e da un coraggio che mai aveva avuto. Guidato dal destino, dalla sfacciataggine, forse dalla fortuna.

Perché il ragazzo si fece beffe di lui.

E poi acconsentì.
   
 
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