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Autore: orikunie    11/03/2024    3 recensioni
Per Tobio, leggere quel messaggio a mezzanotte e mezza è strano.
Strano per così tanti motivi che elencarli tutti sarebbe proprio una perdita di tempo.
(Partecipante alla challenge Prime Volte indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Per Tobio, leggere quel messaggio a mezzanotte e mezza è strano.
Strano per così tanti motivi che elencarli tutti sarebbe proprio una perdita di tempo. 

Strano perché, in primis, appunto, è notte fonda. E Tobio di solito a quell’ora è già nel tiepido abbraccio di Morfeo, accoccolato nel lenzuolo fresco e avvolgente. Mai e poi mai si sarebbe azzardato a rimanere sveglio così a lungo: la sua tabella di marcia prevede sempre una corsa mattutina che non può e non deve essere intralciata dal sonno arretrato.
Strano perché di norma, dalle ventidue, il suo cellulare  giace spento e dimenticato sul comodino, sotto carica, pronto a destarlo alle cinque e trenta minuti del mattino.
Strano perché dovrebbe essere irritato da quel mostruoso ritardo e tuttavia tutto quello che sente adesso è eccitazione che comunque lo terrebbe sveglio.
È la prima volta che lo fa.
È la prima volta che rimane in piedi fino a quell’ora, con gli occhi arrossati e infastiditi dalla luce asettica e bluastra del cellulare, a scrollare senza un fine preciso pagine social che, giustamente, non aggiornano e non postano nulla di interessante.
Ma lui deve rimanere sveglio. Se lo è imposto perché questa sera di giugno non è come le altre sere.
Questa sera potrebbe essere la prima volta di qualcosa.

E mentre impaziente osserva il tempo rallentare all’avvicinarsi della mezzanotte, calcia via il lenzuolo e si rotola prono.
Con suo stupore, l’orologio sullo schermo sembra volergli giocare uno strano scherzo: ha l’impressione che si sia bloccato e i minuti che separano le ventitré e cinquantasette minuti del venti giugno dal giorno successivo invece che tre diventano infiniti.
Si tortura i capelli, li afferra con entrambe le mani e con rabbia abbandona il cellulare sul cuscino, fiducioso che in questo modo darà sollievo alla sua smania e che il tempo riprenderà a scorrere normalmente.
Eppure, quando gli occhi vengono feriti di nuovo dalla luce dello schermo, i minuti sono ancora fermi a cinquantotto.

Impossibile.
Irrazionale.
Figurarsi se può accettare una cosa simile, uno smacco così fastidioso, proprio lui, Kageyama Tobio, giovanissimo e prodigioso alzatore che a diciassette anni ha già ricevuto la sua convocazione nella V-League.
Ha una percezione del tempo precisa, perfetta, conosce i cicli del proprio corpo maniacalmente: per esempio sa che ci vogliono trenta secondi esatti per recuperare dopo uno scambio di palla impegnativo durato almeno un minuto.
Ma quando si tratta di lui… ecco, tutto va a puttane. E si innervosisce perché ha pensato la parola puttane. Non che sia mai stato esageratamente sboccato, ma il nuovo coach che lo attende gli ha già preventivato di coltivare anche la sua immagine, di “Curare la percezione che il pubblico ha di te”, testuali parole. Che palle. Ops, di nuovo.
Vabbè, insomma, il succo del discorso è… a che pro? Doversi fermare a fine partita a rispondere ai giornalisti piuttosto che pensare al proprio corpo che necessita di cure immediate è una stron-... una gran perdita di tempo.

 

Tempo.

Quasi gli sfugge il cellulare dalle dita quando si affretta a risvegliarlo dallo standby. 

Mezzanotte e un minuto. 

Cazzo. Oh no, lo ha fatto ancora.
Si morde la lingua come se avesse parlato ad alta voce, come per punirsi, e apre freneticamente il programma di messaggistica.
Sbaglia un paio di volte a trovare il contatto giusto, tanto che a una certa pensa sia un autosabotaggio: anche perché il contatto è fissato lì in alto, il primo, come sempre. 

Quelli più giù sono di sua madre e di Miwa. Sua sorella gli invia almeno un messaggio al giorno. L’ha presa come abitudine da quando è uscita di casa e Tobio trova la cosa fastidiosa. Un po’ una forzatura della loro relazione fratello/sorella, da sempre vagamente insipida. Ma la mamma ci tiene un sacco, quindi forse Miwa gli scrive di più per fare contenta la madre che non per sapere davvero come sta.
Lo sguardo cade nuovamente sui numeri in alto a sinistra dello schermo. 

Mezzanotte e due minuti.
Inaccettabile.
E va anche vagamente nel panico quando apre la chat corretta e legge lo stato: online

Ecco. 

Lui avrà già ricevuto altre decine di messaggi in quei due minuti.
Sicuramente Yachi si sarà messa la sveglia, o avrà programmato un messaggio.
Programmare l’invio di un messaggio.
Maledizione, quella è una cosa a cui avrebbe dovuto pensare lui. Assurdo che non gli sia venuto in mente prima.
Eppure… quella scritta online gli mette i brividi.
È un po’ come se lui fosse lì in attesa, con il telefono fra le mani. Un po’ come se i suoi occhi nocciola lo stessero guardando tramite quello stato, con il fiato sospeso. Con le lentiggini illuminate dalla luce fredda del monitor, nell’oscurità della sua stanza. Probabilmente è appena rincasato dal lavoro part-time che si è trovato, secondo i suoi calcoli non ha ancora fatto una doccia, puzzerà come una capra, ma comunque si è buttato sul letto. Disgustoso.
Mezzanotte e tre minuti.

Tre fottutissimi minuti di ritardo.

Di nuovo, una parolaccia. Di questo passo l’ allenatore dovrà inserirlo in qualche stupido programma di mental coach per il controllo della rabbia.
Tobio, se fai così spaventi i fan.” Ci ha parlato poche volte, ma la sua voce se la figura in testa perfettamente e risuona su tutte le pareti della scatola cranica. Lui vuole giocare a pallavolo, fanculo i fan.
… Non va bene per nulla questa cosa.
Quando abbassa un’altra volta lo sguardo, i minuti sono diventati quattro. E nel constatarlo, inizia a pensare che il ritardo sia talmente eclatante da aver creato un gap incolmabile.
Cioè, ha davvero senso ora inviare il messaggio? Quattro minuti di ritardo.
Dire quattro minuti oppure ventitré ore, cinquantasette minuti e cinquantanove secondi facendosi sfuggire quella giornata è praticamente la stessa cosa.
Quando si parla di proroghe simili è inutile insistere. Ha semplicemente perso il momento.
È rimasto sveglio tre ore, quattro - anzi cinque ormai - minuti e trenta secondi per nulla. Ha perso tre ore, cinque… vabbè, insomma, abbiamo capito, tutto questo tempo per poi lasciar perdere.
Tobio sei un codardo. Te lo eri ripromesso, no? Quest’anno sarebbe stato diverso. Quest’anno doveva essere diverso perché aveva fatto una stron… una stupidaggine dietro l’altra in quelli precedenti. Quest’anno lo avrebbe festeggiato in un modo migliore, speciale. Quest’anno sarebbe stato lui una persona migliore, un amico, un uomo migliore… e avrebbe reso quell’esperienza unica, come sarebbe dovuta essere, no? E l'avrebbe fatto con un gesto che per Hinata sarebbe stata probabilmente una sciocchezza, ma che per Tobio valeva lo sforzo di un coraggio accumulato in tre anni di liceo.
Così sarebbe dovuto essere e invece, come sempre, è stato capace di mandare tutto a farsi fottere.
Sì, coach, hai capito bene. Ho mandato tutto a farsi fottere.
Fanculo le buone maniere. È arrabbiato. È arrabbiato con se stesso, con la sua immotivata fiducia nelle sue scarse capacità comunicative - che, diciamocelo, al tramonto dei diciassette anni dovrebbero essere almeno in parte date per assodate - e furioso con quell’idiota che si era reso schifosamente speciale da meritarsi tutte quelle ore di sonno perse.
Speciale.
Quando Tobio fa di nuovo i conti su quanto poco tempo manchi alla sua sveglia, ormai arresosi alla realtà che no, non invierà mai quel messaggio, pensa che… Hinata sia veramente speciale.
Hinata Shoyo vale cinque ore, cinquantacin…cinquantasette minuti di sonno. E andranno calando, ne è sicuro. Una follia.
Il pensiero risulta irritante, tanto che si stringe nelle spalle quando digrigna i denti e ne risulta uno stridio fastidioso che gli fa accapponare la pelle.
D’altro canto, Hinata è così.
Glielo ha detto lui che è una calamita, no?

Scuote la testa e riordina i pensieri, arrossendo un po’.
Gli ha detto lui che è l’esca più forte. E l’esca più forte cosa fa? Calamita gli occhi di chi lo guarda. E lo fa bene. Maledettamente bene. Lui acceca. In campo, Hinata funge da specchietto per le allodole, è quel fascio di luce che parte da una superficie riflettente e ti colpisce dritto negli occhi. E prima che tu te ne accorga rimani stregato e cieco al resto del mondo e stai lì a farti bruciare la retina da quel raggio di sole.
Tobio si volta supino e si schianta entrambe le mani in volto, lasciando cadere il cellulare con un tonfo sul proprio petto. Si strofina gli occhi che pizzicano, assonnati. Eppure sa che prenderà sonno a fatica.
Raggio di sole.
Sono proprio un coglione, faccio pensieri così profondi però non sono capace di augurargli buon compleanno a mezzanotte.

Hinata compie diciotto anni. Diciotto.
La verità di tutto questo trambusto emotivo? È l’ultimo che quel boke festeggia in Giappone.

“E quindi?”, uno direbbe, “Dove sta la motivazione di tutta questa angoscia? In fondo può mandargli gli auguri a mezzanotte anche in Brasile.” Fra di loro ci saranno solo diciassettemila trecentosessanta chilometri, una distanza che non impedisce certo a un messaggio di arrivare in tempo reale.
Sicuramente con un ritardo meno vergognoso di quello che ho fatto io stasera.

Il vero problema è che Tobio si è fatto mille aspettative e questo messaggio di tanti auguri non sarebbe dovuto essere un semplice messaggio.
Aveva iniziato una settimana prima costruendosi castelli nella testa.
Il quindici di giugno si era detto: quest’anno gli faccio un regalo.
Ma l’idea era affogata di fronte ad una pasticceria: era sicuro che a Hinata sarebbe piaciuto un dolce, ma il dolce in questione si sarebbe guastato in sei giorni, e non avrebbe mai ritrovato il coraggio di entrare in pasticceria il giorno stesso del suo compleanno.
Poi il sedici giugno, con il pizzicore che gli provocava la parola giugno nella nuca, aveva pensato che forse poteva offrirgli la cena. Ma la sola idea di chiedere a Hinata di uscire a cena gli aveva fatto sbagliare un’alzata ad un allenamento di prova con la nuova squadra, e aveva avuto lo sguardo allibito di tutti addosso. Avrebbe voluto scavarsi una fossa e sparire. E come ripicca quel giorno non aveva nemmeno risposto ai messaggi di Hinata che era arrivato a chiamarlo, preoccupato. Come se fosse stata colpa sua. Ovviamente lo era, no? È sempre colpa di quel boke.
Il diciassette di Giugno iniziava a sentire un fastidioso bruciore di stomaco e aveva optato per offrirgli il pranzo. Meno formale. Oltretutto lo aveva fatto altre centinaia di volte, a scuola, quando Hinata dimenticava a casa il suo bento e condividevano quello che gli aveva preparato la mamma. Il solo pensiero di tutte le occasioni in cui si erano sfiorati le dita appiccicose di cibo per accaparrarsi il pezzo di frittata più grande gli fa venire i brividi. Non ha senso invitarlo a pranzo, si sarebbe per certo trovato le sue manacce nel piatto.
Il diciotto giugno finalmente aveva messo da parte l’idea del cibo. Ok, un regalo sportivo. Lo avrebbe apprezzato, giusto? Il problema era che in meno di un anno si sarebbe trasferito in Brasile a giocare a Beach Volley — il suono di quella parola ancora è stopposo nella sua testa, proprio non riesce a digerire l’idea e sarebbe stato costretto ad abbandonare tutto in Giappone. Ginocchiere, scarpe. Il tape non lo aveva mai usato e da idiota quale era, non sarebbe mai stato capace di farlo. L’aveva subito immaginato ricoperto di strisce colorate messe a caso.

Il diciannove giugno aveva deciso infine che l’idea migliore sarebbe stata giocare. Quale miglior modo di passare il suo compleanno, se non a schiacciare le proprie alzate perfette? Un vero regalo, una concessione d’oro. Si sarebbe preso qualche ora di pausa e… ma no, che scemenza. Non sarebbe stato nulla di speciale.
Il venti giugno si era arreso all’idea che il miglior regalo che potesse fargli fosse augurargli buon compleanno. Poteva sembrare un’ovvietà, ma Kageyama non si era mai speso per fargli dei veri, sinceri e sentiti auguri. Per tre anni si era ritrovato a masticare un ‘auguri’ fra i denti, soffocato da quelli entusiasti dei compagni di squadra. Quest’anno sarebbe stato diverso.
Avrebbe aspettato sveglio e sarebbe stato il primo. E in un angolino remoto della sua testa aveva anche pensato che… sarebbe stato fico farlo di fronte a casa sua.
Si era immaginato di vedere Natsu che lo sbirciava con aria terrorizzata da dietro una tenda. E lui in silenzio avrebbe aspettato, calciando ciottoli giù dalla collina, finché non lo avrebbe sentito tornare con la sua bicicletta cigolante.
Lo avrebbe visto risalire il sentiero tutto accaldato, illuminato dalla luce dei lampioni. Si sarebbe tolto il cappello di tela bianco e avrebbe sgranato gli occhi quando lo avrebbe visto in piedi, di fronte al muretto. Poi avrebbe accelerato il passo e lui sarebbe rimasto lì immobile fingendo che fosse tutto ok e che il cuore non gli stesse esplodendo nel petto, finché una volta l’uno di fronte all’altro non gli avrebbe detto “Buon compleanno, Hinata”. E Hinata avrebbe sorriso. Avrebbe fatto un sorriso enorme, felicissimo, raggiante.
Ce l’ha stampato nella testa quasi come fosse successo veramente e sta per fare un lungo sospiro quando il cellulare gli vibra sul petto.
Lo afferra, i numerini in bianco indicano mezzanotte e quindici minuti.
La chat con Hinata è ancora aperta e proprio lui gli ha appena inviato un messaggio.

Hinata Shoyo
    Non riesci a dormire?

I primi istanti di panico vengono sostituiti dal dubbio. 

L’istinto gli suggerisce di dargli dell’idiota e di non rompergli le palle, che al massimo lo ha svegliato lui, ma… la realizzazione arriva come un fulmine a ciel sereno.
Nella barra di scrittura svettano due lettere vicine e la barra verticale lampeggia subito dopo.


mb |


Per sbaglio deve aver premuto qualche tasto a caso sul tastierino e Hinata aveva visto che gli stava scrivendo.
Che figuraccia.
Potrebbe dirgli che si è sbagliato, no? Il problema è che non ha nemmeno la scusa di una sorella minore che gioca con il suo telefono, scusa per altro utilizzata spesso da Hinata. Kageyama lo insultava ogni volta quando succedeva, ma in cuor suo gli piaceva l’idea che potessero essere bugie dette solo per avere la sua attenzione e per poter parlare insieme.
Insomma, si è messo in un pasticcio.

Kageyama Tobio
      No

 

Semplice. Conciso. Impanicato, in realtà.
Non sa che dirgli, di solito è Hinata quella che ha sempre la battuta pronta, la frase giusta al momento giusto.
Lui è quello silenzioso che si mangia le parole e al massimo alza la voce.

Hinata Shoyo
     Ti va qualche palleggio notturno??

Tobio si piega a quell’improvvisa scarica di adrenalina e si prepara.


CONTINUA

 

   
 
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