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Autore: Giorgi_b    12/03/2024    9 recensioni
[Questa storia partecipa alla challenge “Prime Volte” indetta da Dylanation sul gruppo FB “Komorebi Community - Fanfiction Italia”]
“Fino a un certo punto è tutto piuttosto chiaro. Erano in spiaggia a chiacchierare dopo aver vinto l’ultima partita di beach volley contro i fratelli offrimiunabirra; era arrivata in fretta la mezzanotte, lui gli aveva detto: “Tanti auguri Chibi-chan, quanti anni compi, dodici?” e Shouyou aveva riso, felice di avere qualcuno al suo fianco in quel momento. Si ricorda di aver pensato che fosse una notte molto buia, tranne che per un falò lontano di cui aveva pensato di sentire il calore su di sé, nonostante la distanza. Poi aveva capito che non era il fuoco a bruciargli la pelle, ma la gratitudine, la tristezza, il desiderio e l’entusiasmo di baciare per la prima volta qualcuno che volesse essere baciato da lui… e poi, dopo, nella sua memoria, ogni cosa diventa confusa e rarefatta…”
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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 [Questa storia partecipa alla challenge “Prime Volte” indetta da Dylanation sul gruppo FB “Komorebi Community - Fanfiction Italia”]


 
“Tu le ali le hai di tuo. 
Non so di preciso come grandi. Ma le hai. (...) 
Tenta il volo. Non cadrai. 
E se cadrai, cadendo imparerai a volare.”
 
Leone Ginzburg 







Apre gli occhi su questo nuovo giorno, su questo nuovo anno, su questo nuovo Shouyou: è il ventuno giugno duemilasedici, oggi compie vent'anni. 
 
Il primo pensiero che fa è che, da quando ha memoria, non c’è mai stato un compleanno che non sia iniziato con un bacio di sua madre e la colazione a letto.
Lo pensa proprio in questo modo asciutto, senza tristezza, nostalgia, prendendolo come un dato di fatto.
 
È il mio compleanno e non mi sono svegliato con il bacio di mamma e la colazione a letto
 
Strano lanciare una bomba di questa portata e sentirsi così – neutrale? Indifferente? Tranquillo? – quando solo due giorni fa era uno straccetto piagnucoloso che si struggeva di malinconia gettato in un angolo della stanza.
Inspira profondamente intanto che si stiracchia arricciandosi in una curva vertiginosa, trattenendo aria, muscoli, pensieri, energia. 
Immobile, in bilico sul confine critico tra il dolore e il piacere, aspetta che passi qualche secondo e solo quando i polmoni sono sul punto di strapparsi, con un urlo selvatico e gutturale, rilascia ogni cosa e torna a vivere, abbandonandosi molle al caldo umido di questa domenica mattina. 
 
È assurdo che sia già domenica, le ultime trentasei ore sono state… incredibili: nel senso che ancora fatica a crederci, del resto gli è capitata una roba quasi impossibile, che nemmeno se si fosse sforzato di fantasticare sulla stranezza più strana del mondo sarebbe riuscito a immaginarla.
In pratica venerdì sera – nel giorno forse più infelice e difficile degli ultimi tre mesi – sul lungomare di Ipanema, a Rio de Janerio, a diciottomila chilometri di distanza da Sendai, Hinata Shouyou ha incontrato Oikawa Tooru. 
Proprio quell’Oikawa Tooru, l’attuale setter del San Juan di Buenos Aires, una volta Dai Osama dell’Aoba Johsai e, prima ancora, senpai di Kageyama ai tempi delle medie, l’unico di cui quel grandissimo baka abbia mai avuto paura.
E la cosa ancora più stupefacente è che, invece che salutarlo e andarsi a divertire per le strade di Rio con i suoi compagni di squadra, il Grande Re ha passato tutto il tempo libero che aveva a disposizione con lui: insieme hanno giocato a beach volley, insieme hanno chiacchierato, insieme hanno riso, insieme hanno mangiato e… beh, insomma, sono stati davvero bene, insieme.
 
Gorgoglia come un gatto mentre sbadiglia stropicciandosi gli occhi ancora appannati dal sonno; tra le palpebre socchiuse osserva il sole trasudare dalle tapparelle facendosi a righe bianchissime sulle lenzuola di Dragon Ball portate da Ōsaki, lo guarda rubare loro colore per proiettarlo sul soffitto che si tinge di un morbido riverbero aranciato. Sorride.
Adesso sì, che la stanza spoglia in cui ha trasferito tutto il suo mondo in scala ridotta – la felpa del Karasuno, una Mikasa firmata dai suoi vecchi compagni di squadra, dei manga, qualche foto e un poster motivazionale appeso sulla parete dietro al letto – sembra proprio sua, pregna del suo colore e del suo odore che, beh, in questo momento, non è esattamente gradevole, appura annusandosi, ghignando tra sé mentre cerca di ignorare il dito molesto di luce che gli picchietta la fronte come a dirgli: “Ehi, tu, bello, sarà pure il tuo compleanno, ma è proprio ora che ti alzi e ti butti sotto la doccia.” 
Shouyou decide comunque di crogiolarsi nella propria puzza per altri cinque minuti, quindi si volta su un fianco dandogli le spalle, allunga la mano sul comodino e afferra il cellulare. 
Sono le 9:45. In Giappone le 21:45. 
Ancora non smette di stupirsi di questo strano fenomeno chiamato tempo, sa solo che lo confonde, che ci sono giorni che sembrano non passare mai e altri che… un attimo fa era venerdì, ecco che è già domenica; che qui un compleanno è appena iniziato e lì, invece, sta già per finire. Assurdo. 
Controlla velocemente i messaggi che gli sono arrivati. 
Scorre, scorre, scorre. 
Il suo non c’è. 
 
Cosa mi aspettavo?! 
 
Riflettendoci, sarebbe stato strano se gli avesse scritto per fargli gli auguri, non è mai stato uno attento a queste cose nemmeno quando ancora si parlavano ed erano… cos’erano? …Amici? …Compagni di squadra? …Partner?! 
 
Inseparabili. Quando eravamo ancora inseparabili.
 
Sospira, abbandona il telefono, torna supino. Disperde i propri pensieri oscuri nell’arancione caldo e benevolo del soffitto, si concentra sui suoni esterni che si intrufolano in casa dalla finestra aperta – motorino che passa, voce maschile che canta su radio accesa, cane che abbaia, signora del terzo piano che chiama i figli che giocano a pallone sul marciapiede.
 
Chissenefrega, pensa. È una bella giornata, è domenica, è il suo compleanno… perché rovinarlo così? Pensa proprio:
 
Chissenefrega di Kageyama.
Fanculo Kageyama. 
Fanculo. Fottutissimo. Kageyama.
 
Ora si lava, si veste e corre in spiaggia a cercare qualcuno con cui giocare, oggi non ha nemmeno turni di lavoro, può gironzolare per tutti i campi da beach volley di Copacabana fino a notte a fonda. Un modo perfetto per festeggiare, no?!
«Fanculo Kageyama!» urla, sbattendo forte pugni e piedi sul materasso. 
Poi porta le braccia indietro, poggia i palmi delle mani sul lenzuolo a fianco alle orecchie e, in un unico movimento fluido, alza in sequenza le gambe, le natiche e la schiena spingendole oltre la propria testa, fino a sfiorare con la punta degli alluci la parete dietro di sé.
Rimane così qualche secondo, sentendosi sotto carica come un giocattolo a molla. Quando inizia a tremare, si solleva leggermente sui polsi e con un agile colpo di reni, si dà lo slancio per un salto che frusta l’aria e che termina in una posa plastica: in piedi sul letto, le gambe piegate e le braccia tese davanti agli occhi.
 
Per-fet-to.
 
Scaglia i pugni in cielo rimbalzando, poi, con gli occhi chiusi a immaginare il suo pubblico in delirio, cade in ginocchio, mimando ovazioni, alitando a bocca spalancata la voce della folla: Gwaaahh! Ce l’ha fattaaahhh! Il grande Hinata Shouyou ce l’ha fattaaaahh! Yeeeeeeeh! Fanculo Kageyamaaaaahh!
 
Ci prova ogni mattina, a ogni risveglio. Ormai è la sua piccola acrobazia superstizioso-compulsiva, una tradizione che ha iniziato da quando è qui a Rio e da questo – dal riuscire o non riuscire a finire il salto in piedi – dipende la sua felicità quotidiana: in un caso sarà una giornata wow, altrimenti una un po’ meh.
Ah, ovviamente è un segreto tra lui, queste quattro pareti, soffitto e pavimento. 
 
«Oh, ma che bravo! Possibile che con un talento del genere, i tuoi genitori non abbiano mai pensato a venderti al circo come scimmietta?!»
 
«…OCCAZZO!» Grida e per poco non cade dal letto dallo spavento.
 
Il Dai Osama è appoggiato contro lo stipite della porta, i capelli in disordine, gli occhi un po’ gonfi, braccia conserte, caviglie incrociate, scalzo e con indosso solo un sorriso sornione e un paio di boxer blu.
 
È di una bellezza vergognosa. 
 
Shouyou pensa proprio: è di una bellezza vergognosa e subito quella vergogna si fa vera e ingombrante. 
Si vergogna dei propri capelli, che adesso saranno più spettinati che mai; degli occhi, che sente cisposi, della probabile striscia di bava secca sul mento, della sua totale, puzzolente nudità e, in particolare, dell’erezione mattutina che viene coperta in fretta dalle mani. Perché cazzo è nudo?! 
 
Mentre con lo sguardo cerca senza successo le sue mutande tra le lenzuola, piega la testa in avanti accennando un timido inchino di saluto. 
«Che esagerato che sei! Faccio così paura, Chibi-chan?»
«…»
«…»
«N-no, ma… e-ecco… come… come mai sei qui, Oikawa-san?!»
 
Il viso perfetto per poco non viene ingoiato dagli occhi spalancati in un lampo di stupore. Subito dopo quella perfezione si accartoccia partendo dalla radice del naso, la bocca si fa una linea dritta e sdegnosa: un’espressione un po’ ridicola, ma comunque è ancora bello da far schifo, anche mentre finge platealmente di essere senza parole, quand’è invece evidente che le stia solo scegliendo con cura per essere più tagliente, più teatrale.
Infatti sbuffa, crolla con il mento sul petto e scuote la testa. Poi la alza, passando una mano tra i capelli, tirando indietro il ciuffo per mostrare occhi che non hanno ancora deciso se essere increduli, arrabbiati o divertiti. 
 
«Hinata, piccolo stronzo! Ti sei dimenticato di me?!»
«Dimenticato?! N-no… n-no…»
«No?! Mi hai appena chiesto perché sono qui! 
«Non non volevo dire che… dai! Come potrei dimenticarmi di te...?!»
«Stai scherzando col fuoco, piccoletto!» Con due passi è davanti a lui a scrutarlo dall’alto, i pugni sui fianchi e uno sguardo severo. 
Continua ad essere bello, anche se minaccioso. 
E Shouyou – seduto sui propri talloni, le mani a coppa sul pene, le ascelle che urlano, la vergogna che lo ricopre di un velo rosso fuoco dalla cima dei capelli alla punta dei piedi – si sente un misero, insulso essere umano inginocchiato davanti a una divinità furente.
«È che credevo… Oikawa-san, ehm, ero sicuro che… cioè, beh: tu, qui nella mia stanza… sembra una cosa che può succedere solo nella mia fantasia o in un sogno… no?!»
Il bel viso del Grande Re si distende, il sopracciglio sinistro sale a dispiegare l’espressione superba e aristocratica che è il suo biglietto da visita.
«Va bene, va bene, coglioncello, basta così. Per stavolta, ti perdono!» Ridacchia coprendosi la bocca e sospira, frivolo.
Un gesto lieve che se l’avesse fatto Shouyou sarebbe stato preso per il culo da qui fino al Cristo Redentore e ritorno. Invece lo fa Oikawa Tooru ed è pura magia.
Con due passi gli arriva davanti, si china su di lui, gli infila le dita tra le ciocche ribelli, un po’ accarezzando, un po’ tirando e cinguetta compiaciuto: «Sciocco, Chibi-chan!».
Shouyou sente rollare gli occhi all’indietro nel momento in cui i polpastrelli massaggiano la sua cute e a stento riesce a trattenere un gemito quando si allontanano, privandolo di quel piacere. La testa è uno dei suoi punti deboli, Kageyama l’ha addestrato bene: una tirata di capelli per ogni cazzata in campo, una grattatina per ogni ricezione ben fatta.
E sebbene sia passato più di un anno da quando lui l’ha toccato l’ultima volta, ancora oggi un semplice colpetto sulla testa richiama a Shouyou quella bella sensazione di felicità e appagamento.
È proprio un patetico coglione. 
Ma ora non può perdersi nell’autocommiserazione, non mentre Oikawa poggia un ginocchio e poi l’altro sul materasso, sprimaccia un cuscino, lo sistema sulla testiera e infine vi si appoggia con la schiena allungando le gambe, le braccia piegate e le mani intrecciate a sorreggere la nuca. Il tutto in unico movimento fluido ed elegante, come in quelle coreografie di ballerini russi che piacciono tanto a Yachi.
Shouyou si volta senza perderlo di vista e incastrandosi, cadendo, rialzandosi, si sistema ai suoi piedi, fronteggiandolo al lato opposto del letto, raccogliendo le ginocchia e avvolgendosi nel lenzuolo come fosse un mantello. E pensa quanto sia strano che invece che il Grande Re, sia il buffone ad indossarlo. 
«Scusami, Oikawa-san, non volevo offenderti,» mormora accennando di nuovo un inchino con la testa «ma…» 
Come dovrebbe continuare? 
…ma sono imbarazzato, nudo come un verme e non ho idea di come ci si comporti in una situazione del genere?! 
Per fortuna il Dai Osama lo mette a tacere con uno schiocco della lingua e un cenno noncurante della mano; poi, quasi annoiato, fa vagare occhi e pensieri nella stanza. E Shouyou li segue, facendosi accompagnare in un viaggio nella propria consapevolezza.
Intorno a loro è pieno di indizi delle cose successe: vestiti sparsi ovunque, Kleenex accartocciati sul pavimento, un flaconcino di olio solare finito, anzi, prosciugato e come un flash gli sovviene chiaro – chiarissimo! – il ricordo del suono agonizzante della plastica strizzata a morte dalle mani di Oikawa. 
Come una tartaruga incassa la testa tra le spalle, coprendosi con il lenzuolo e poggiando la fronte sulle ginocchia, cercando riparo dall’onda di violentissimo disagio. 
Ma per lui non c’è scampo. Il colpo di grazia arriva nel momento in cui, sotto l’abbraccio protettivo di Goku, Vegeta, Gohan e Piccolo, viene investito dal ricco sottobosco di effluvi mischiati al proprio sudore: la fragranza appassita di un dopobarba o un deodorante non suo, il profumo dolciastro di cocco sintetico dell’olio e, senza tanti giri di parole, l’inconfondibile odore pungente di sperma.
 
Invoca la morte. 
Possibilmente sul colpo, ma a questo punto andrebbe bene anche se fosse lenta e straziante: qualsiasi cosa, pur di fuggire da questo imbarazzo infernale.

«E quindi, conosci Lao Tsu.» 
«…Chi?!»
«Anche un viaggio di mille chilometri…» Oikawa indica il poster alle sue spalle «...inizia con un singolo passo» finiscono di recitare insieme.
 
Shouyou mette una risatina nervosa tra sé e il ragazzo in boxer blu seduto davanti a lui con la tipica espressione di chi se la sta godendo alla faccia sua. Poi ne mette una ancora più acuta e isterica tra l’altro sé stesso e l’altro Oikawa (quello senza boxer) che si fanno largo tra le reminiscenze di ieri sera. E che se la godevano entrambi. Parecchio.
 
Oddei.
Come. Cazzo. È potuto. Succedere. 
 
Fino a un certo punto è tutto piuttosto chiaro. Erano in spiaggia a chiacchierare dopo aver vinto l’ultima partita di beach volley contro i fratelli offrimiunabirra; era arrivata in fretta la mezzanotte, lui gli aveva detto: “Tanti auguri Chibi-chan, quanti anni compi, dodici?” e Shouyou aveva riso, felice di avere qualcuno al suo fianco in quel momento. Si ricorda di aver pensato che fosse una notte molto buia, tranne che per un falò lontano di cui aveva pensato di sentire il calore su di sé, nonostante la distanza. Poi aveva capito che non era il fuoco a bruciargli la pelle, ma la gratitudine, la tristezza, il desiderio e l’entusiasmo di baciare per la prima volta qualcuno che volesse essere baciato da lui… e poi, dopo, nella sua memoria, ogni cosa diventa confusa e rarefatta…
E adesso come fa a provare così tante emozioni, anche contrastanti tra loro?! È imbarazzatissimo, ma al tempo stesso il solo pensiero di aver fatto davvero tutto quello che ha fatto con Oikawa Tooru gonfia il suo ego come un palloncino. E non è l’unico a gonfiarsi: schiacciato tra il suo ventre e le cosce, qualcosa non accenna a volersi ridimensionare. Ti prego, Coso, collabora.
Forse parlare, parlare, parlare fino a stordirsi distogliendo l’attenzione da… insomma, quello… potrebbe aiutarlo a sopravvivere alla vergogna di questo risveglio.
«È… è una frase che mi diceva sempre Takeda sensei, al liceo» deglutisce un paio di volte a vuoto nel vano tentativo di irrorare la propria gola riarsa e continua: «quel poster me l’ha regalato lui prima che partissi!» Alla faccia interrogativa di Oikawa aggiunge in fretta: «…Ta-Takeda sensei! Il nostro coach, ti ricordi? Quello con gli occhiali…» 
Il Re alza le sopracciglia, stringendo appena le labbra e gli occhi; sbuffa dal naso, sorride e con una faccia impertinente fa spallucce. «No,» dice, scuotendo la testa, «scusa, non me lo ricordo proprio!» tira fuori la lingua e ride.
 
Quanta bellezza può esserci in un gesto così insignificante? 
 
Eppure, da qualche parte dentro di lui, quel movimento si impiglia per rimanere per sempre, per essere ricordato ogni benedetta volta che in futuro gli tornerà in mente il Dai Osama. Prima delle sue alzate formidabili, del suo gioco generoso e calcolato, dei suoi servizi flottanti… si riaffaccerà quella risatina e quella linguaccia stronzamente adorabile. 
Pensa proprio così:
 
Stronzamente adorabile.
 
E se anche “stronzamente” non esistesse, come immagina non esista, andrebbe creato solo per lui, per Oikawa Tooru.
 
Ma non deve distrarsi o si farà fagocitare e così, subito, Shouyou riprende a parlare: «È il mio mantra. Ci sono giorni che me lo ripeto, me lo ripeto, me lo ripeto… me lo ripeto talmente tante volte che le parole smettono di avere un senso. Ti capita mai? Diventano strane e vuote, tutte tranne “viaggio”. Viaggio mi rimane in testa. Sarà che non avevo mai viaggiato prima… sono andato solo ad Okinawa con i miei quando avevo quattro o cinque anni e nemmeno me lo ricordo! E sono stato qualche volta a Tokyo per i Nazionali e per i ritiri estivi, però non so se vale lo stesso. Fatto sta che mi sento un privilegiato, so di avere un’opportunità pazzesca e non devo sprecarla, ma il tempo scorre in una maniera strana, vero? Cioè ora stiamo chiacchierando nella mia stanza a Rio de Janeiro ed è mattina, ma intanto in Giappone è già sera, sono avanti quasi di un giorno! Cioè: un intero giorno in cui Kagey… ehm, in cui i miei rivali si sono già allenati, hanno dato il meglio… e io, come dire, rispetto a lui… ehm, loro… ecco, mentre loro lavoravano duro, io cosa ho fatto?!» Arrossisce violentemente al sorrisetto sardonico di Oikawa. 
«Oh, io lo so cosa hai fatto…» Merda! 
«Ehhhm… vabbè, insomma… mi… mi sembra di perdere tempo perfino quando dormo, ho il terrore di rimanere ancora più indietro di quanto non sia già. Il terrore che non lo… ehm, che non li raggiungerò mai… loro, dico, i miei rivali…!»
Ma che baka, quali rivali! Ce n’è solo uno e uno soltanto degno di questo nome e il Dai Osama lo sa benissimo. 
Ne hanno parlato parecchio ieri, prima, dopo e, se non ricorda male, potrebbe averlo accennato piagnucolando anche durante… le cose.
 
Oddei. Le cose. Rieccole.
 
Strizza gli occhi, batte la fronte sulle ginocchia e, rischiando l’auto soffocamento, si stringe ancora di più il lenzuolo intorno al collo nonostante faccia caldo, anzi, proprio perché fa sempre più caldo e gli odori che ha addosso si sono accesi e sono talmente forti, adesso, che è sicuro che se Pedro fosse in casa li sentirebbe attraverso le pareti fin dentro la sua stanza. 
Come se non bastasse, il tizietto laggiù gli continua a sbavare e a bussare contro la pancia in cerca di attenzioni… Oikawa se ne sarà già accorto oppure se ne accorgerà presto e sarà la sua fine: lo prenderà in giro e, in poche ore, la voce che Hinata Shouyou è solo un ridicolo, pervertito, sfigato senza speranza farà il giro del Giappone, proprio come il selfie dell’altro giorno. Che però almeno era fico. 
Una fitta di orrore improvvisa lo fulmina sul colpo.
«Ti prego, non raccontarlo a Kageyama!» mormora con un filo di voce e subito se ne pente.
Solleva la testa con gli occhi spalancati, timoroso, certo di trovarsi davanti un ghigno malvagio. 
Invece no. Sembra non averlo nemmeno sentito.
Il Dai Osama, ora, è una maschera di luce e ombra, seria e attenta; Shouyou pensa: il sole bacia i belli. Ora che un raggio si scioglie languido sulla sua guancia diafana rendendo l’occhio sinistro di un nocciola gorgogliante, spolverando oro sulla punta delle ciglia lunghissime, rivelando i riflessi corallo dei capelli castani; ora che, buio e denso, dalla sua metà oscura, scivola sul pavimento proiettando il profilo perfetto, Shouyou non riesce a smettere di stupirsi di quanto cazzo sia bello Oikawa Tooru.
Nel mezzo di questa meraviglia, il pulviscolo che danza lento, nel raggio di sole che lo sta accarezzando, si agita all’improvviso al suono di parole che si fanno visibili, come lame che fendono la luce.
 
«Come ti fa sentire passare il tuo compleanno lontano da casa, Hinata?» 
 
Il Grande Re ti colpisce quando e dove vuole nel punto più scoperto, proprio come i suoi servizi assassini. 
Shouyou deglutisce e batte le palpebre. Da quanto tempo le stava tenendo aperte? Si stropiccia gli occhi e si prende qualche secondo per rispondere.
«Non… non lo so. Sto bene. Credo.» Dice, infine. «Non so spiegarti. Sono un po’ triste, ma non lo sono. Continuo a pensare a tutti i compleanni che mi sono svegliato a casa, con mia madre e Natsu che mi saltavano sul letto cantando “Tanti auguri a te”, o a quando ho finto di dormire per non togliere loro il gusto di farmi la sorpresa. O, ancora, quella volta che dormivo davvero e mia sorella mi ha quasi dato fuoco ai capelli con una candelina accesa… e, vedi, mentre te ne parlo c’è questa specie di tristezza dolce… però non sono triste… triste. Non so se mi capisci… Sono un cane a esprimermi, scusa, Oikawa-san.»
«Invece ti capisco benissimo!» Ride una risata spenta. «Per quelli come noi, lontani da casa, ci sono alcuni pensieri più pericolosi di altri.» Per quelli come noi. Shouyou sente caldo nel petto. «Lo sai di cosa parlo, no, Chibi-chan?» Annuisce in fretta, lui continua. «Io ogni tanto mi ritrovo a farli volontariamente – quei pensieri, dico – come se mi puntassi una pistola dritto al cuore e sparassi per vedere se fa male. Il piacere masochista di essere al tempo stesso la mano che preme il grilletto e quella che consola».
Batte con la nuca sul muro dietro di sé un paio di volte, forse perdendosi nei suoi ragionamenti. 
Shouyou capisce che è un momento importante, ma non è sicuro di voler affrontare certi discorsi proprio oggi. 
Oikawa è in Argentina da quanto, quasi tre anni? La loro situazione è senza dubbio diversa, il Dai Osama gioca in una delle formazioni più forti della Liga Argentina, mentre lui la notte si guadagna da vivere consegnando pizze e il giorno lo passa in spiaggia a imparare a giocare a beach volley.
Tra tre anni però, se tutto va secondo i suoi piani, sarà già tornato in Giappone da almeno sei mesi e starà giocando in una squadra di V-League. È un sogno ambizioso, lo sa, ma ce la farà. Deve farcela. Deve arrivare sulla cima del mondo con Kageyama: come rivale o come alleato non ha importanza, è il loro patto, la loro promessa, la loro scommessa. Non può permettersi di vacillare o rallentare. Lui è già lì. 
[“Ti precedo”]
…Mi stai ancora aspettando?
 
Comunque, che oggi voglia affacciarsi o no, sa benissimo che il Grande Re rappresenta per lui una finestra panoramica orientata sul futuro e pensare che le insicurezze e le nostalgie che Shouyou prova adesso, a meno di cento giorni dal suo arrivo, saranno ancora presenti tra sei, dieci, diciotto mesi, un po’ lo spaventa.
È come se Oikawa gli stesse mostrando la parte in ombra del suo viso, della sua esperienza, dei suoi mille chilometri: l’oscurità necessaria per poter godere della luce.
 
«Sai, Hinata, alla fine è solo un modo tortuoso e un po’ violento per diventare grandi in fretta: quando premi il grilletto non cercare di schivare il colpo, vagli incontro. Le prime volte farà male, ma arriverà il giorno in cui il proiettile ti attraverserà da parte a parte senza toccare organi vitali. Allora ti stupirai di non sentire nessun dolore, nessuna tristezza, nessuna gola stretta, nessuna voglia di piangere: nulla.» 
 
Shouyou si accorge che non sta più parlando a lui, il suo sguardo lo oltrepassa; immagina che alle proprie spalle, in fondo alla stanza, il Grande Re abbia un fantasma da rassicurare, un se stesso più giovane o forse qualcuno distante, qualcuno che in questo momento sta andando a dormire dopo aver vissuto un altro giorno lontano da lui. 
 
Ma, aspetta, aspetta… questa storia è la mia o la tua?! 
 
Oikawa raccoglie al petto la gamba sinistra e la abbraccia come fosse uno scoglio in mare aperto e lui un naufrago in balìa delle onde, travolto dalla tempesta delle sue stesse parole. Poggia la fronte sul ginocchio e rimane così per qualche secondo, immobile. Shouyou lo guarda e si domanda quale pensiero lo abbia fatto sanguinare, ma decide di tacere. Invece, titubante, allunga una mano e strizza con gentilezza la caviglia destra al proprio fianco. Nessuna reazione. 
Stringe un’altra volta e chiede: «Stai bene Oikawa-san?»
«Mhm-mmmssì…» bofonchia sfregando la testa contro la gamba. 
«Chibi-chan…»
«Sì?»
«…Era un bel sogno?!» mormora e sbircia malizioso, da dietro il gomito.
«…Eh?» 
«Quello che pensavi di aver fatto! Il nostro sogno! Uffa, Chibi-chan, ma dormi in piedi? Dov’è finita tutta l’intraprendenza di ieri notte?» solleva la testa poggiando languido la guancia sul ginocchio e di nuovo scampanella quella risata stronzamente adorabile. 
Di nuovo Shouyou lo vede piantargli negli occhi lo sguardo che ieri, in spiaggia, lo ha fatto sentire coraggioso.
Di nuovo Shouyou sente caldo al centro del cuore, quando risuonano nella testa le sue parole di poco prima.
 
“Per quelli come noi, ci sono dei pensieri più pericolosi di altri”
 
E chissenefrega se questa cosa girerà tutto il Giappone: Oikawa Tooru è qui con lui e adesso è l’unico al mondo che possa capirlo. 
 
Mentre scatta tuffandosi in avanti, pensa: fanculo Kageyama e sta anche per dirlo, ma Oikawa lo blocca con il piede destro sul petto, senza scomporsi, come se fosse sempre stato pronto a farlo, come se già sapesse che era solo questione di tempo e che, prima o poi, Shouyou l’avrebbe fatto.
«Chibi-chan, cosa abbiamo detto sul saltare addosso alle persone?»
Frustrato, torna indietro, riprende il lenzuolo e se lo tira a coprire la schiena e la testa, con le braccia e gambe incrociate e il capo chino. 
 
È vero, gliel’ha detto ieri sera in spiaggia. 
Ma se pensa a tutta la sua vita finora, è così che è sempre stato, per rabbia o per felicità saltare è la sua cosa. Lui salta.  
E se invece quella volta in palestra, il giorno dei diplomi, avesse fatto come gli ha detto il Dai Osama? Se invece di assalire Kageyama si fosse avvicinato con dolcezza, se invece di prendersi quel bacio, che era sicuro che volesse anche lui, avesse aspettato ancora… chissà, magari, sarebbe andata diversamente, magari ades- 
 
Ansima forte quando il piede di Oikawa scivola dal proprio petto al sesso; Shouyou abbassa lo sguardo per vederlo accarezzare la sua eccitazione e poi scendere ancora un po’ a soppesare i testicoli con le dita. Affonda i denti nel labbro inferiore, chiude gli occhi e sbuffa dal naso quando si sente impastare dove è morbido, più vulnerabile, con una delicatezza e al tempo stesso una sicurezza che Shouyou si affida abbandonandosi completamente al piacere.
Ed è incredibile che fino a poche ore fa non esistesse nulla di tutto ciò nella sua testa, tra i suoi desideri: quelle che erano figure appena accennate, avvolte dalle nebbie nei boschi inesplorati delle sue fantasie sessuali, ora iniziano a prendere forma, ad avere contorni definiti; ora si stagliano contro la luce di un’alba tenue, in cui tutto è possibile, tutto è un potenziale nuovo gioco, in cui Oikawa, un po’ sovrano, un po’ maestro, lo conduce per mano.
 
«Ti piace? Ti piace il mio piede?»
«Oh-oh… s-sì, Oikawa-san!»
«E dove vorresti che ti toccasse?»
«Lì… dov’è adesso»
«Dove, Chibi-chan? Dimmelo!»
«Sul… sul coso e… più sotto…»
Oikawa gli dà un calcetto e Shouyou guaisce.
«Ti ho detto che ha un nome, usalo! Non hai otto anni!» sbuffa.
«Sì… scusa Oikawa-san! Lo… lo voglio s-sul cazzo e… voglio… voglio anche la tua mano»
«Meglio. Ma non sei nella posizione di avanzare richieste.»
Riprende a strusciargli il sesso con la pianta del piede, premendo contro il suo ventre.
Il lenzuolo gli scivola dalle spalle quando Shouyou si allunga all’indietro con la schiena, aggrappandosi con le mani al bordo del materasso per poter fare da contrappeso e spingersi a sua volta contro di lui. Ha il bisogno disperato di muovere le anche, di andargli incontro per aumentare il contatto, accelerare la frizione; getta indietro la testa e apre gli occhi sul soffitto che, ora che il sole ha scavallato il palazzo dall’altra parte della strada, è tornato di un bianco freddo, quasi azzurrino. 

Nella sua stanza, a Ōsaki, la luce non entrava mai direttamente, ma di rimbalzo dalle montagne e, a seconda della stagione, si tingeva di un colore diverso. 
Ad esempio era rosso quando le giornate si allungavano e, al ritorno dagli allenamenti, il tramonto si specchiava nell’ultima neve di marzo incendiando le pareti della stanza. 
Oppure era di un verde brillante a maggio, quando pioveva e le foglie degli alberi si ricoprivano di diamanti e lui, bagnato come un pulcino, appena entrato in camera, per prima cosa tirava fuori il telefono, faceva una foto al panorama dalla sua finestra e la mandava senza testo a Kageyama per fargli sapere che era arrivato a casa.
Giallo quando la brezza calda e appiccicosa di agosto gonfiava le tende dopo aver corso nell’erba secca e averne rubato il profumo e lui, sdraiato sul pavimento fresco, guardava per ore le partite di V-League sul cellulare con Kageyama affianco, le teste vicine, i capelli sudati, i respiri calmi, i cuori veloci, circondati da carte di ghiaccioli, dai canti esasperati delle cicale, aspettando che facesse meno caldo per tornare a giocare di fuori, insieme.
 
E non è possibile che proprio in questo momento gli venga da piangere!
Ecco che, in un attimo, è di nuovo lo straccetto piagnucoloso di qualche giorno fa che sente venire meno volontà, fede, determinazione e – merda! – anche la sua eccitazione.
Non adesso… non adesso!
Raddrizza la testa, scatta con la destra a toccarsi; subito arriva anche la sinistra ed entrambe avvolgono insieme il piede e quel che resta dell’erezione e, disperate e disordinate, iniziano a muoversi su e giù. Ma oramai questa camera è piena di fantasmi e di sfumature grigie, quello che sta succedendo non è più eccitante, non è più un’idea seducente sbucata dalla nebbia, è solo una cosa strana e imbarazzante… e che cazzo ci fa il setter del San Juan di Buenos Aires mezzo nudo e con il suo quarantasette di piede sul proprio coso, nella stanza che Shouyou ha affittato a Rio de Janeiro? 
 
Spinge via Oikawa e si lascia cadere su un fianco tirandosi il lenzuolo sulla testa per coprirsi.
«Chibi-chan?» 
Quando lo sente farsi più vicino, Shouyou invoca la protezione dei supersayan come quando la notte, da bambino, aveva paura degli yokai e si avvolgeva tra quelle stesse lenzuola.
«Chibi-chan? Tutto ok?!» una mano si posa delicata sulla sua spalla. «Quando ti ho detto di spararti al cuore e non evitare il colpo, non intendevo adesso, durante un inizio di qualcosa potenzialmente interessante!» Oikawa prova a ridere, ma senza convinzione. 
«Oi, ragazzino, non starai mica piangendo?!» la mano sale e scende sulla schiena. 
Vorrebbe rispondergli di no, ma sarebbe una bugia.
«Ehi, Hinata, su la testa!» Lo scuote un po’.
«Hinata!» gli dà un pizzicotto sul fianco e a Shouyou scappa un Ahia che diventa una risata perché Oikawa inizia a ficcargli le lunghe dita nelle costole. 
Dopo qualche minuto di risate e colluttazioni in cui il Grande Re ha la meglio, tra respiri affannati, Shouyou si solleva asciugandosi il viso; si prende qualche secondo per osservarlo sdraiato sul letto sfatto, i capelli in disordine, il sorriso aperto e sincero e pensa quanto sia stato fortunato a incontrare Oikawa Tooru. 
 
«Non dirò niente a nessuno, stai tranquillo, Chibi-chan, rimarrà il nostro piccolo segreto.»
«Anche la mia acrobazia?»
«Ah no, quella la racconterò a tutti!» Ridono entrambi.
Poi Shouyou gli si avvicina, chinandosi su di lui, serio. Si sente il cuore pieno, riconoscente. «Oikawa-san, posso baciarti?»
Lui arriccia il naso e lo allontana con una manata in faccia. «Per carità, puzzi da fare schifo!»
Ridono ancora, Shouyou si stupisce di quanto in fretta le sue ombre si siano disperse. 
Di nuovo lo pensa e stavolta lo dice: 
 
«Che fortuna averti incontrato, Oikawa-san. Grazie.» 
 
Solleva la testa dal profondo inchino in cui si profonde e gli sembra di intravedere un rossore imbarazzato sulle guance di Oikawa, ma non fa in tempo a verificarlo perché con un calcio il Dai Osama lo spinge per terra. Mentre Shouyou è sul pavimento a divincolarsi tra le lenzuola, lui si affaccia dal letto, in una gerarchia infine ripristinata – il sovrano in alto, il buffone in basso – e, con la sua solita espressione superba e stronzamente superiore, gli sorride benevolo.
«Quando riparti, Oikawa-san?»
«Domani pomeriggio. Ma il San Juan fa spesso amichevoli con la Botafogo o il Flamingo. Tornerò.» Si gratta il ponte del naso e si guarda le unghie. «E poi ho un amico qui a Rio. È ancora una pippa a giocare a beach volley, però è simpatico e la sua determinazione fa paura!»
 
Amico. 
 
«Grazie, Oikawa-san…» mormora Shouyou, sopraffatto da una specie di commozione.
«Oi, ragazzino, non montarti la testa, non torno mica per te!» I suoi occhi però sono bellissimi e dolci e Shouyou si sente felice. «Su, vatti a lavare e andiamo in spiaggia a cercare qualcuno con cui giocare. Voglio insegnarti il servizio col salto... facciamo crepare di invidia Tobio-chan!»

 

****
 

Nessuno mi toglierà dalla testa che Hinata e Oikawa, in seguito al loro incontro a Rio, e per tutta la permanenza di Shouyou in Brasile, complici i loro obiettivi comuni e un po’ di saudade, siano diventati grandi amici (con benefici). Questa storia fa parte di un head canon che sto sviluppando in una long che prima o poi porterò a termine e pubblicherò (ce la farò, sono lenta, ma inesorabile 😆), in cui Kageyama e Hinata non si parlano più dal giorno dei diplomi perché… 😬🤐 non posso dirlo, ma spero si capisca comunque qualcosa!

 Grazie di cuore a Orikunie che con stoica, kagehiniana sofferenza (e dimostrando di volermi tanto bene) ha letto per prima dandomi consigli preziosissimi, a Florence che ha fatto il tifo bullizzandomi 😆 e Musa07 che si è sorbita tutti i miei lamenti e che con il potere della pervy luna mi ha dato l’ok.
Poi c'è Drisinil che è sempre nei miei pensieri con l'Oikawa più commovente che io abbia mai letto.❤️
Buona lettura, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate ❤️

 

 
 
 
   
 
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