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Autore: whitemushroom    13/03/2024    0 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Intorno a lui si era formato un cerchio di persone. La testa continuava a ronzargli come se qualcuno avesse aperto un nido di calabroni dentro il suo cervello e avesse appiccato un incendio. L'unica nota positiva era che la sensazione di bruciore lungo la pelle si era attenuata, sostituita da una strana freschezza che partiva dai punti in cui un signore lo aveva afferrato e lo stava aiutando a sedersi sul pavimento.
“Va tutto bene, ragazzo. Respira piano”.
Njal si lasciò accompagnare a terra, e il pavimento del pronto soccorso fu il primo, serio, ancoraggio al mondo reale. Portò la testa all’indietro per prendere aria, e il capo gli venne appoggiato contro un muro. Nel momento in cui le dita lo toccarono all'altezza della nuca, la sensazione dello sciame impazzito si trasformò in un leggero ronzio ovattato.
Prima ancora che potesse mettere a fuoco chiunque lo stesse soccorrendo, la ressa di curiosi che si era formata si aprì per fare largo al poliziotto da cui era scappato. “Grazie al cielo lo avete fermato!”
“Credo si sia fermato da solo, agente. E credo anche che il ragazzo abbia bisogno di non fare troppi sforzi, adesso”.
La voce del suo soccorritore aveva un tono alto, delicato. C'era qualcosa di strano, ma il cervello di Njal era ancora così dolorante da non riuscire a mettere molto altro a fuoco. “Forse è il caso che chiami degli infermieri con una barella, agente Martinelli”.
“Ci conosciamo?”
“Beh, non proprio…”
Njal guardò il poliziotto, anche solo per capire di che umore fosse. Nonostante si sentisse uno schifo e gli stesse di nuovo risalendo il sangue in bocca, non era così stupido da non capire cosa avesse fatto. Se solo fosse riuscito a chiamare i suoi genitori…
Fece per prendere il telefono dalla tasca, ma la folla si aprì ed un paio di infermieri poggiarono una barella proprio davanti a lui. Valutò se alzarsi e tentare un'ultima corsa verso l'uscita, ma gli bastò il solo pensiero per fargli riprendere i conati. Qualunque cosa gli fosse successa, gli sembrava sempre meno un'intossicazione alimentare. Sbuffò, ma si lasciò caricare. La faccia del poliziotto non preannunciava assolutamente nulla di buono, anche se per fortuna oltre a lanciare occhiatacce a lui, parte della sua attenzione era senza dubbio captata dal nuovo venuto, che si era piazzato adesso alle sue spalle, dietro all'infermiere in retrovia. L'unica cosa che Njal era riuscito a mettere a fuoco erano i suoi lunghissimi capelli castani.
“Vi seguo, agente Martinelli. Mi hanno indicato di rivolgermi a lei per le varie pratiche. Così non le faccio perdere tempo”.
Impiegarono diverso tempo a tornare nella stanza che aveva abbandonato pochi minuti prima; l'unico ascensore grande abbastanza che li conducesse alla loro ala era stato preso d'assalto da altre barelle, e nell'attesa, fermo sotto le finestre del pronto soccorso e la puzza infinita di disinfettanti, sarebbe stato pronto a giurare che l'unica cosa in grado di placare il suo malessere fossero le dita del nuovo arrivato che ogni tanto avvicinava alla sua testa. Fu quasi un sollievo entrare nell'ascensore cigolante e essere rimessi a letto.
Ne approfittò dell’istante per guardare le notifiche di WhatsApp alla ricerca di un messaggio di Astrid, ma nulla.
Gli infermieri si parlarono tra loro in italiano, sembravano essere in accordo su qualcosa, poi appoggiarono una confezione di farmaci sul suo comodino, dissero due frasi agli altri due uomini e se ne andarono.
“Tutto è bene quel che finisce bene, giusto?”
Il nuovo arrivato si avvicinò alle persiane e le socchiuse, regalando alla stanza una leggera penombra. Si mise seduto sulla sedia accanto al suo letto, e a quel punto Njal riuscì a vederlo meglio. Gli avrebbe dato sì e no una trentina d’anni, e senza dubbio i capelli lunghissimi contribuivano alla confusione. Anche da seduto gli arrivavano oltre la vita, e per quanto ne tenesse la maggior parte legati in una coda ve ne erano altrettanti che gli ricadevano in maniera composta sulle spalle. I lineamenti avevano qualcosa di femminile, e sul naso faceva bella mostra un paio di occhiali rotondi, leggerissimi, con una cerchiatura dorata. Alle narici gli arrivò un profumo delicato.
L'agente Martinelli si sedette sul letto opposto. “Ammetto che non mi sarei mai aspettato di vederla in buona salute, signor…?”
“Hector” fece l'altro, rivolgendogli un sorriso. “Ammetto che nemmeno io mi sarei aspettato di stare così bene, ma ogni tanto un pizzico di fortuna aiuta. La lastra e la tac dicono che sto benissimo, mi hanno già lasciato i referti su CD”.
Il ragazzo realizzò solo in quel momento cosa lo avesse incuriosito della voce di quell'uomo: ripeteva ogni frase due volte, rivolgendosi a lui in inglese, e in italiano al signor Martinelli. Qualcosa di quel modo di esprimersi doveva aver tranquillizzato il poliziotto, perché in pochi minuti la sua faccia si era rilassata. “Quando l'ho vista portare via in autombulanza ho creduto il peggio. C'era sangue lungo tutti gli scogli, e i soccorsi erano… poco positivi, per così dire”.
“Grazie al cielo me la sono cavata con un paio di lividi. E devo ringraziare chi mi ha soccorso, sono stati davvero tempestivi. Ed ovviamente devo ringraziare anche lei per essersi disturbato per me, agente”.
Njal rabbrividì, e questa volta non per il malessere.
“A giudicare da come stanno le cose, mi sembri conciato peggio tu!”
Il nuovo arrivato per la prima volta gli si rivolse in modo diretto. Aveva un sorriso calmo, conciliante, non certo quello di un uomo che aveva appena passato un giorno al pronto soccorso. Njal provò a cercare quel viso nei propri ricordi nella speranza di ricordare gli eventi di quella maledetta serata, ma a parte la sera in spiaggia tutte le sue memorie sembravano essere trasformate in un puzzle dai pezzi sfusi.
Doveva aver fatto qualche espressione strana, perché Hector si protese in avanti. “Posso portarti qualcosa? Vado a prenderti dell'acqua, ragazzo?”
“No, grazie…”
L'agente Martinelli emise un sospiro rumoroso e si mise seduto sul letto vicino. Qualcuno doveva aver rimesso in ordine il punto dove Njal lo aveva spintonato. Il silenzio che ne venne dopo fu imbarazzante, ed il ragazzo si ritrovò a stringere i denti senza sapere chi dei due guardare.
E più continuava a chiedersi cosa stesse succedendo, più la sensazione di vomito e rabbia allo stato puro prendevano a mescolarsi all'imbocco dello stomaco.
“Signor Hector, suppongo che sia qui per la deposizione e la denuncia. Di norma la pratica sarebbe di passare per la centrale, ma considerati gli eventi e la tempistica…”
“Stia tranquillo, agente. Non voglio rubare altro tempo a nessuno. Grazie al cielo non mi sono fatto nulla, quindi direi che la cosa migliore sia chiuderla qui. Una denuncia è una cosa piuttosto grave, e il ragazzo…” lo guardò di nuovo con quel suo sorriso delicato “... mi sembra che abbia abbastanza problemi. Non aggiungiamone altri”.
Fece per avvicinare di nuovo una mano alla sua, ma si fermò, scrutandolo. Come a chiedergli il permesso.
L'attenzione di Njal per un momento fu catturata dal pendente che scendeva sul petto dell'uomo: una serie di cerchi concentrici dorati, su ciascuno dei quali vi era incastonata una piccola pietra. Una pietra singola, senza dubbio di un certo valore, si trovava al centro del gioiello e nonostante la scarsa illuminazione risaltava contro il maglioncino magenta del suo padrone.
Njal tornò a scrutare la mano di Hector, ma non si avvicinò e l'altro la ritrasse.
Se la cosa gli avesse dato dispiacere, Njal non riuscì a capirlo.
Il poliziotto sollevò il sopracciglio. “Ne è sicuro? Si tratta comunque di aggressione”.
“Non c'è problema. Sono stato fortunato, e siamo stati ancora più fortunati che abbia spinto me e non qualche signore anziano. Quindi direi che una denuncia è l'ultima cosa di cui tutti e tre abbiamo bisogno, cosa ne dite?”
Il signor Martinelli lo scrutò. Vi era un misto di dubbio e curiosità. Il ragazzo era pronto a giurare che stesse cercando segni di danno sul suo interlocutore. “Piuttosto, i tuoi genitori sanno che sei al pronto soccorso? Hai qualcuno che possa venirti a prendere?”
Njal riprese il telefono, contento che qualcuno si fosse posto il problema. Visto che il poliziotto non accennò a fermarlo sbloccò lo schermo. Non vi erano WhatsApp né di Astrid né dei suoi, e la connessione era inesistente. Aggiornò un paio di volte, ma era staccato dalla rete.
“Guarda, in questo posto non prende. Cioè, per più di metà di questa maledetta isola…” fece l'agente, guardando con tristezza il proprio telefono. “Alla centrale dobbiamo mettere tutti i cellulari su un solo davanzale o rimaniamo isolati…”
Hector andò alla finestra, puntando il proprio come una bacchetta da rabdomante, ma ebbe esito negativo. “Agente, forse potrebbe andare lei in cortile a contattare i signori Njaldsson? Giusto per tranquillizzarli. Credo che il ragazzo abbia capito che non è nei guai”
L'agente borbottò qualcosa nella sua lingua, ma fece un cenno di assenso. Il giovane fu più che contento di lasciargli i numeri dei suoi genitori, così come di non averlo tra i piedi per un po’.
Hector si alzò per aprire una bottiglietta d'acqua e passargliene un bicchiere. Si levò il trench per il caldo, poi bevve a sua volta. Prese a mettere in ordine i suoi effetti, piegandogli la sciarpa e mettendola sul comodino insieme alle chiavi.
Njal si schiarì la gola. “Senti… Scusa per questo casino. E… beh… grazie per la denuncia… è solo che…”
“Cosa è successo quella sera, Njal?”
La sua voce era sempre delicata, ma non gli sfuggí il tono fermo. Scandiva le parole con un inglese impeccabile, ben diverso da quello dell'agente Martinelli. “Eri fuori di te. E non eri ubriaco, so riconoscere quando si alza il gomito”.
“Speravo me lo dicesse qualcuno. Giuro che non lo so” disse. Evitò di dire a quel tipo quanto la cosa lo facesse incazzare. “L’ho già detto a quel poliziotto, non ho idea di cosa sia successo. E sono pure preoccupato per la mia ragazza, maledizione!”
L'altro gli versò un altro po’ d'acqua. Una mano gli andò al pendente, facendo scivolare la catenina tra le dita. L'altra se strinse tra le ginocchia. “Sei emerso da una strada laterale. Gridavi, ma non sono riuscito a capire cosa dicessi. Era chiaro che non capissi dove fossi. Ti toccavi il collo come se ti bruciasse o ti facesse male, poi hai iniziato a camminare verso il molo. La gente ti evitava, ma ho pensato che se fossi scivolato saresti potuto cadere sugli scogli o peggio” fece, recuperandogli il bicchiere dalle mani “Non ero sicuro che sapessi nuotare. Ho provato a prenderti da parte e farti sedere ma… Ti sei agitato, mi hai preso di peso e… eccoci qui! Lo ammetto, non immaginavo che avessi tutta quella forza in corpo. Beata gioventù!”
Njal lo osservò. Quell’Hector doveva essere poco più alto di lui, ma i vestiti tradivano un fisico ben poco sportivo e delle spalle sottili. Certo, gli risultava difficile l'idea di poter sollevare e scaraventare un uomo, ma il ricordo di aver atterrato l'agente di polizia era al contrario ben vivido. L'idea di aver preso di forza il suo interlocutore non gli parve in quel momento così irrealistica. L'altro si sedette stavolta sul bordo del suo letto, e piegò il collo per costringerlo a incrociare il suo sguardo.
Faceva molta attenzione a non toccarlo. “Ti va di raccontarmi cosa ricordi? Pensi che la tua ragazza sia nei guai?”
Annuì, continuando a fissare il cellulare ancora muto.
Iniziò raccontandogli del casino della festa patronale e di come lui e Astrid avessero deciso di allontanarsi. Poi gli raccontò dello strano signore con la mezza maschera sulla faccia e gli occhi vividi, e di come lo avesse allontanato come se fosse stato più leggero di una foglia. Gli disse che si stava avvicinando ad Astrid e di come avesse cercato di difenderla, e quando si accorse che il suo ultimo ricordo era solo l'acqua salata in bocca e la sensazione di svenire per poco non scaraventò il telefono a terra per la rabbia. Più cercava di scavare tra quelle scene e più lo stomaco gli si contorceva. Hector gli passò un fazzoletto, e Njal si accorse di aver preso di nuovo a sputare piccoli grumi di sangue.
Per tutta la durata del racconto l'uomo non aveva detto nulla. Lo aveva ascoltato senza perdere nemmeno mezza parola, ed aveva mantenuto un'espressione seria anche durante l'incontro sulla spiaggia.
Solo quando finí la narrazione, Hector lasciò la presa sul pendente. “In che diavolo di situazione sei finito…”
Si mordicchiò il labbro, senza nascondere un sospiro. “La tua ragazza potrebbe essere in un mare di guai”.
“Quindi mi credi”.
“Non avrei motivo di non farlo” fece.
Si alzò, guardò verso la finestra e scostò le tapparelle. Non vi era più la luce accecante di poco prima, e delle nuvole stavano coprendo il cortile e tutto il pronto soccorso. Un piccione si appoggiò sul davanzale, per nulla intimorito dalla presenza di Hector, e riprese il volo subito dopo. Njal lo vide tamburellare le dita contro il muro, immerso in chissà quale pensiero.
Stizzito, Njal rimise i piedi a terra. Si sentiva ancora nauseato e stanco, ma quella storia lo stava davvero facendo impazzire. Odiava stare male, odiava quando non gli prendeva il telefono e soprattutto odiava quei silenzi del cazzo. “Puoi darmi una mano? Guarda, non me ne frega niente di quel tizio, a me basta che Astrid stia bene. Se le ha fatto qualcosa di male…”
“La troveremo. Punto”.
Il suo sorriso vacillò. Così come l'espressione preoccupata e bonaria allo stesso tempo. Con le sopracciglia aggrottate e le unghie serrate sul davanzale, poteva esserci qualcosa di minaccioso. “Ad una sola condizione. Puoi rimandare tutte le domande a quando saremo lontani da qui?”
Njal non era sicuro di aver capito bene. Provò a replicare, ma fu interrotto dall'arrivo del poliziotto. “Ho provato a chiamare” esordì “C'è un punto vicino al parcheggio delle autombulanze dove prendeva il telefono. Non hanno risposto, ma ho lasciato un messaggio ufficiale ed anche un vocale. Così potranno chiamare il cellulare della polizia e li avviseremo”.
In effetti non era così strano. Probabilmente i suoi erano ancora a lavoro, e talvolta suo padre dimenticava il telefono in macchina. L'espressione dell'uomo era sollevata “Vedrai, Njal, senza denuncia le cose andranno in discesa. Ho un figlio che ha quasi la tua età, non immagini il sollievo nel sapere che non ci saranno ripercussioni serie. Ma sei stato fortunato, se solo…”
Hector lo fermò con un gesto, invitandolo a cessare la ramanzina. “Ha avuto una giornata pesante anche lei, agente. Le abbiamo creato fin troppi problemi”.
Frugò nelle tasche del trench, e ne estrasse un pacchetto di cioccolatini. Uno glielo appoggiò sul lato del letto ed uno lo avvicinò all'uomo in divisa. “Direi che abbiamo tutti bisogno di riposare”.
Avvicinò il cioccolatino nel palmo dell'altro, chiudendovi sopra le dita “Max”.
Martinelli emise un sonoro sbadiglio. La testa gli si piegò sul petto, poi la rialzò di scatto, come se si fosse appena appisolato e stesse cercando di svegliarsi. Hector gli scattò vicino, tenendogli il busto per impedirgli di cadere in avanti, poi lo adagiò sul letto libero. Il ragazzo fece per avvicinarsi ed aiutarlo, ma l'altro con un gesto gli fece cenno di non avvicinarsi. Nell'istante in cui la sua testa venne appoggiata su un cuscino, il poliziotto era caduto in un sonno profondo. Se non fosse stato per il respiro profondo, avrebbe potuto persino pensare che fosse svenuto.
Njal aprì bocca, solo per ritrovarsi tra le mani la sua sciarpa, le chiavi e tutti i suoi oggetti. Hector prese poi il telefono di Martinelli e lo fece sparire in una tasca interna. “Ricordi quella parte sul niente domande? Ecco. Come puoi vedere non è il momento adatto”.
Per un attimo si fermò a pensare a qualcosa, poi gli prese di mano la sciarpa e gliela mise intorno al collo con una strana espressione. “Andiamo a tirare fuori dai guai la tua ragazza”.
Stavolta non fece complimenti e lo tirò per il polso, facendolo uscire e chiudendosi la porta alle spalle. Al contatto con la pelle dell'altro, Njal ebbe la conferma che quel tocco era tutto, fuorché normale. La nausea si trasformò in un leggero fastidio, e le gambe gli tornarono salde, al massimo intorpidite come dopo un pomeriggio di allenamento. Deglutì a secco, ed il sangue non fece mostra di risalire.
Una delle pietruzze sul gioiello di Hector sembrava più vivida delle altre, di una tinta ambrata.
“Niente domande" mormorò tra sé, lasciandosi trascinare verso l'uscita.
  
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