Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Juliet8198    14/03/2024    0 recensioni
Quando Scarlett si presenta all'ospedale in veste di assistente sociale, non può credere al caos in cui tre semplici omega hanno gettato il personale medico. Ma quando la giovane riesce ad avvicinare i tre, è come se il mondo improvvisamente si rovesciasse.
Non è normale che i suoi pensieri vortichino costantemente attorno a loro.
E non è normale che loro siano terrorizzati dal mondo intero eccetto che... da lei.
La ricercano, la rincorrono, non sembrano capaci di allontanarsi da lei. E, quando finalmente permette loro di ricongiungersi con il branco che amavano tanto e da cui erano stati brutalmente separati, tutto inizia ad avere senso.
OMEGAVERSE AU
QUESTA STORIA NON FA PARTE DEL JU E NON È QUINDI IN ALCUN MODO COLLEGATA CON LE ALTRE STORIE GIÀ ESISTENTI.
Genere: Angst, Fluff, Omegaverse | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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(SUGGERIMENTO: ascoltate Love wins all da metà capitolo in poi. You’re welcome)

 

Che cos'è il tempo? 

 

Fino a un anno prima, per Namjoon era una misura empirica della realtà. Una perfetta, scientifica successione di secondi, minuti, ore, giorni. Un secondo era la perfetta durata di un battito di ciglia. Un'ora era la lunghezza di una sua lezione. Un giorno era una successione di luce e buio. Un mese era un terzo del trimestre che scandiva il suo ritmo di insegnamento. Un anno era... il tempo che spendeva con una classe. 

 

Poi, tutto era cambiato. 

 

Namjoon si era accorto solo allora che il tempo non era nulla della misura perfetta che pensava che fosse. Si era accorto di quale volubile, fragile e parziale creatura in realtà fosse. 

 

Per lui, che viveva la sua vita a un ritmo perfetto, un secondo divenne come un anno e un anno come un secondo. Sbatteva le ciglia e un mese passava senza che avesse la minima memoria di cosa vi fosse accaduto. Metteva piede in casa sua e i minuti si trascinavano come unghie su una lavagna, ticchettandogli nelle orecchie e riverberando, anche quando non c'era nessun orologio. 

 

Il tempo non era perfetto. Si contraeva e si allungava, come una molla. No, come un liquido non newtoniano. 

 

Imperfetto. 

 

Incomprensibile. 

 

Lo aveva congelato, lui insieme ad altre tre figure. Poteva essere seduto alla cattedra, con gli occhi a malapena sollevati a ripetere la stessa lezione che aveva già impartito a una classe diversa la mattina precedente, ma il mondo attorno a lui tornava all'instante in cui era rimasto congelato. E la cattedra spariva, facendo posto al tavolo rettangolare, lungo abbastanza per otto persone, la misura quasi perfetta per loro. 

 

Tempo e spazio. 

 

Entrambi, apparentemente così precisi. Entrambi, estremamente irreali. Lo spazio si frantumava, si plasmava, lo trasportava negli stessi luoghi. 

 

Quella maledetta cucina, la stanza più grande della loro casa perché Jin-hyung era stato così petulante nelle sue lamentele da convincere l'intero branco che fosse necessario. 

 

Perché "anche se non siamo più animali, mangiate quanto un branco di lupi!"

 

"E chi le sfama poi tutte le vostre maledette bocche?"

 

Tutti sapevano che non avrebbero avuto pace fino a che non lo avrebbero accontentato. Perciò lo fecero. Ed ecco apparire un mastodontico frigorifero a due sportelli, più alto di Namjoon di ben dieci centimetri e più largo delle spalle di cui Jin-hyung andava così stupidamente fiero. Ed ecco un ridicolo fornello a sei fuochi con piano a induzione, perché era più veloce da pulire. 

 

E Namjoon era seduto al tavolo che si trovava proprio nella cucina, perché Jin-hyung non voleva lo stress di dover trasferire il cibo da una stanza all'altra ogni singolo pasto. Dunque niente sala da pranzo, ma solo una grande, stupida cucina. E nelle orecchie di Namjoon doveva rimanere il ricordo delle centinaia di mattine passate nel silenzio, a scambiare grugniti e parole arrochite con Hoseok e Yoongi perché i più giovani non si svegliavano mai presto quanto loro. Si alzavano almeno un'ora dopo che tutti gli altri avevano lasciato la casa e si trascinavano lentamente a colazione con il sonno ancora appeso agli occhi. Era un inferno svegliarli e solo Jin-hyung ne aveva fatto un arte. 

 

Invece, Namjoon era incastrato in una singola mattina. Una mattina diversa dalle altre perché la cucina risuonava delle voci troppo eccitate dei più giovani. Era un insolito scenario, uno a cui avevano raramente assistito. Yoongi li osservava con uno strato di irritazione a coprire i suoi occhi felini, insieme al tenero affetto che provava nel vedere i tre corpi rincorrersi e abbracciarsi attorno a lui. Namjoon li guardava con un sorriso stanco sulle labbra e, a tratti, una risata divertita. 

 

Taehyung avrebbe fatto il suo primo tatuaggio. Normalmente, avrebbe speso la mattina a ciondolare pigramente fino a che non si fosse rinchiuso nel suo studio a sviluppare pellicole, sparendo per ore perché senza la luce del giorno non aveva alcun ricordo del passaggio del tempo e Jin sarebbe dovuto sfondare la porta con espressione furiosa e ricordargli di mangiare qualcosa. Ma quella mattina era sveglio e carico di energie assai prima del normale. Jungkook ci aveva messo mesi a convincerlo a fidarsi di lui. A Taehyung piaceva l'idea ma era terrorizzato dal dolore. Si era convinto solo quando Jimin aveva spontaneamente preso un giorno di permesso dal lavoro per accompagnarlo e fargli da supporto morale. 

 

Quella mattina lo studio era chiuso al pubblico, perciò sarebbero stati solo loro tre. Nessuno li avrebbe disturbati e Jungkook non crebbe dovuto interrompere il suo lavoro per fare consultazioni. E Taehyung avrebbe potuto frignare come un moccioso senza testimoni, aveva detto Yoongi. 

 

Non facevano che parlare, parlare, parlare. 

 

Voleva una tigre, no, voleva una macchina fotografica. Un sentiero di montagna. Un gatto grassoccio. Un elefante attorno ai nei che aveva sul braccio. Jungkook aveva sbottato al decimo cambio di idea e aveva deciso per lui. 

 

-Vedrai, sarà meglio di quanto pensi! 

 

Jimin aveva cercato di rassicurarlo con ampi sorrisi. I tatuaggi che possedeva sulla schiena e sullo sterno erano la testimonianza che si poteva sopravvivere all'esperienza, aveva enfatizzato più volte. Prima che uscissero di casa, Jin-hyung aveva svolazzato nervosamente attorno a loro come una madre apprensiva. Spingendo nelle loro mani i pranzi che aveva preparato svegliandosi prima di tutti, continuava a urlare raccomandazioni a Jungkook di non essere troppo malefico e di ricordare che Taehyung era pur sempre più grande e di non fare tardi e di disinfettare bene la ferita perché di certo lui non l'avrebbe medicato se qualcosa fosse andato storto. 

 

Hoseok era quasi caduto a terra dalle risate. 

 

Un casalingo che insegna a un tatuatore come prendersi cura di un tatuaggio era di certo una vista inedita. 

 

-Chiudete la porta a chiave quando siete dentro!

 

Era l'ultima frase che aveva urlato quando i ragazzi erano ormai entrati in macchina. Non sapeva neanche se l'avessero sentito. 

 

"Chiudete a chiave."

 

Il negozio di Hoseok e Jungkook era esteticamente intrigante, merito del consulenza artistica di Tae. La sua porta era parte di una grande vetrata che permetteva la vista su un muro costellato di immagini di tatuaggi e schizzi composti insieme in un ordine apparentemente casuale, oltre che mostrare il bancone della reception. Quando avevano disegnato la struttura, non avevano pensato a quanto fosse facile rompere quella grande vetrata.

 

Lo avevano scoperto. 

 

Con i cocci ai loro piedi, pupille spalancate e un negozio vuoto. 

 

-Professor Kim? 

 

Namjoon sbatté le palpebre. Gli era successo ancora? Quel viaggio attraverso lo spazio e il tempo che lo trascinava a proprio piacimento. Abbassò gli occhi. Una pila di test compilati stava sulla sua scrivania. Il materiale bianco, ruvido al tatto, annerito leggermente dove un tempo stava una foto del suo branco ma dove ormai c'era solo il vuoto gli suggerì che era nell'aula insegnanti. 

 

Non era ancora in classe?

 

Da quanto era finita la sua lezione? 

 

Sbatté ancora le palpebre perché l'immagine di quella mattina gli era rimasta appiccata nelle pupille. I tre volti sorridenti che salutavano mentre uscivano di casa. I battibecchi, le risate, gli spintoni scherzosi. 

 

-Chiedo scusa, mi ha chiesto qualcosa? 

 

La professoressa di matematica lo guardò per un istante come se fosse interdetta. 

 

-Oh, volevo chiederle solo se finiva qua. Noi stiamo andando via perciò nel caso può spegnere lei le luci e chiudere la porta. 

 

Namjoon riportò lo sguardo sulla pila di fogli sulla sua scrivania. Erano ancora intonsi. Aveva di nuovo passato un eternità a fissare un punto davanti a sé mentre fingeva di lavorare? Doveva ormai sembrare un pazzo ai suoi colleghi. 

 

Si guardò attorno. La stanza, in effetti, era ormai vuota. Non voleva stare in un luogo immerso nel silenzio più totale, completamente solo. 

 

Curioso. 

 

Fino a un anno prima amava così tanto i suoi momenti di solitudine... 

 

Non voleva stare lì. Avrebbe potuto prendere il mazzo di fogli e portarselo dietro per correggerli una volta arrivato a... 

 

Un lieve colpo al petto gli serrò le labbra. 

 

Forse, si sarebbe concentrato meglio se fosse rimasto in ufficio. Sì, lavorava sempre meglio in ufficio. Non aveva distrazioni. E poi doveva ancora cominciare. Non poteva tornare a casa con tutto quel lavoro. Avrebbe almeno dovuto iniziare qualcosa. 

 

Avrebbe... 

 

-Grazie, ci penso io- rispose infine, massaggiandosi gli occhi mentre faceva un gesto di assenso verso la professoressa. Per quanto tempo era rimasto in silenzio a fare le sue considerazioni? 

 

Ah... chi se ne importava. 

 

La professoressa era sparita dopo solo qualche occhiata dubbiosa. Avrebbe dovuto lavorare. Era rimasto lì per quel preciso motivo. Non era rimasto per nessun altro motivo. Per nessuno. 

 

Prese la penna. 

 

La punta incontrò la carta. 

 

Un tratto breve, incerto, comparve sul bianco che sotto la luce della sua lampada da scrivania diventava giallognolo. 

 

Prima o poi sarebbe dovuto tornare a casa. 

 

Ogni giorno, ogni volta si ritrovava in quell'ufficio. C'era un archivio da sistemare. Il computer da pulire. Nuovi compiti da prepare, lezioni da ripassare. I minuti scorrevano come gocce di miele, densi e appiccicosi. Un minuto in più. Dieci in più. 

 

Non era ancora ora. 

 

Aveva altro lavoro da fare. 

 

C'era sempre qualcosa da fare. 

 

E quando finiva, non aveva più niente che potesse trattenerlo. 

 

Quel piccolo colpo tornava. 

 

Quella leggerezza nella testa, quella breve ma terrificante sensazione di essere improvvisamente incapace di respirare. 

 

Durava solo un istante. 

 

Un istante, o un anno intero. 

 

Non poteva rimandare per sempre. Ogni sera, prima o poi, sarebbe dovuto tornare a casa. Ogni sera, sentiva per un istante il respiro sparire. 

 

Namjoon sbatté le palpebre. 

 

Le riaprì. 

 

Aveva delle chiavi in mano. Le chiavi della sua macchina, notò dal nome della marca stampato sopra. Quando si girò, la vide parcheggiata a pochi passi da lui, sotto la tettoia che avevano costruito nel retro di casa. 

 

Aveva almeno spento le luci dell'aula? 

 

Non aveva alcun ricordo di aver chiuso la porta dietro di sé. 

 

Molto probabilmente quando sarebbe arrivato la mattina seguente, avrebbe trovato il suo computer ancora acceso, sospeso in standby come molte altre volte. 

 

Fece tintinnare le chiavi strette nelle sue dita. Le osservò riflettere la luce dei primi lampioni nonostante il cielo fosse ancora leggermente illuminato dai residui del giorno. Deglutire era particolarmente difficile quella sera. Ma non poteva stare in piedi fermo davanti alla macchina per ore. 

 

Un altro battito di ciglia e le sue mani erano intente a levarsi le scarpe nell'ingresso. La porta era chiusa alle sue spalle perciò dovevano essersi accorti del suo arrivo, ma non ricordava se avessero detto alcuna frase nella sua direzione. 

 

-Min Yoongi, tu ti siederai a tavola e mangerai con il resto del tuo branco come è buona educazione fare! È una settimana che non passi nemmeno un pasto con noi! 

 

-Facciamo che... rifiuto l'offerta? 

 

Namjoon osservò i mocassini consumati che stavano accanto ai suoi piedi. Forse, avrebbe potuto reinfilarseli e fingere di non essere mai entrato. Ma le sue mani si allungarono per afferrare la pelle scolorita e riporli nel porta scarpe contro la parete. C'era molto più spazio. 

 

Mancavano le solite ciabatte da damerino che stavano sempre in basso a sinistra. E mancavano gli stivaletti neri lucidi con un leggero tacco sulla destra. Ma, soprattutto, mancavano le enormi trainer, grandi il doppio di un piede normale. Non che vestissero dei piedi enormi. Ma... il loro proprietario amava vestire alternativo. 

 

-Yoongi! 

 

-Sì, quello è il mio nome. 

 

-Vieni qua! Non ho finito di parlare con te! Non darmi le spalle mentre ti parlo! 

 

-Ma le mie spalle sono molto attraenti. 

 

-Min Yoongi, torna immediatamente in cucina o giuro che entro nel tuo dannatissimo studio e do fuoco a tutto quello che trovo. 

 

Oh... oh no. 

 

Namjoon sollevò lo sguardo per vedere una sagoma immobilizzarsi. 

 

No.

 

Non doveva toccare quel tasto. 

 

-Sai cosa, hyung? La tua cucina fa cagare. 

 

-Cosa hai detto? No, girati e prova a ripeterlo guardandomi in faccia se ne hai il coraggio! 

 

Namjoon lasciò che i suoi passi si trascinassero fino all'ingresso della grande, stupidamente grande cucina. I tre personaggi che vi stavano attorno non si voltarono per riconoscere la sua presenza e lui rimase ai confini del cono di luce che emanava da essa, immobile. 

 

-Devi essere anche stupido. Sei andato a scuola, hyung? 

 

-Yoongi, giuro su tutto ciò che c'è di buono a questo mondo che ti rifaccio la faccia a suon di schiaffi! 

 

-È evidente che non hai neppure fatto le elementari. Non sai contare? 

 

Un silenzio perplesso cadde sulla stanza. Hoseok, che osservava la scena come Namjoon, con le braccia incrociate appoggiato contro il muro, abbassò gli occhi sul tavolo tentando di trattenere una smorfia. Namjoon vide anche Jin abbassare lo sguardo, la rabbia furente che gli deformava i lineamenti sempre più sfumata in confusione e poi imbarazzo e infine... 

 

Distolse lo sguardo. 

 

-Sette piatti? Non mi sembra abbiamo ospiti a cena- la frase apparentemente pronunciata con naturalezza era inasprita da un tono affilato. Le labbra di Jin si schiusero un paio di volte prima che fosse in grado di emettere alcun suono. 

 

-I-io... abitudine.

 

Una risata asciutta, aspra rombò nell'aria. Namjoon vedeva la scena come se il suo corpo non fosse stato che legno e fili. Una marionetta, mentre i suoi occhi osservavano la cucina dall'alto, all'esterno del corpo. Come se fosse stato un topo nascosto in un buco nella parete. Lui non era dentro il suo guscio di legno. Lui era solo un osservatore, un passante che era capitato per caso. 

 

-Abitudine?- chiese una voce graffiante. Un cigolio fastidioso. Namjoon arricciò appena il naso quando il rumore gli raggiunse le orecchie. Le mani di Yoongi avevano afferrato i piatti. Li gettò con violenza nel lavello, facendoli cozzare rumorosamente l'uno con l'altro.

 

-È passato un cazzo di anno, è ora che le abitudini muoiano. 

 

-Yoongi... 

 

La voce di Jin aveva perso parte del mordente con cui aveva iniziato al conversazione. Yoongi, invece, guardò il soffitto con le braccia spalancate come un pazzo. 

 

-È passato un anno. Basta. Buttali via, questi stramaledetti piatti! Butta via i vestiti che continui a lavare e le stupide coperte da nido e gli stramaledetti peluche che non fanno che prendere polvere! 

 

-Yoongi, non puoi davvero parlare in questo modo. Non azzardarti a dire cose del genere...

 

-Perché? Eh? Quanto vuoi aspettare? Quanto? 

 

-Ragazzi, ora calmiamoci tutti. 

 

Erano le prime parole che sentiva pronunciare a Hoseok. Il Beta aveva sollevato le braccia, facendo saettare lo sguardo dall'uno all'altro.

 

-Stanne fuori, Hobi. 

 

-Smettila di essere volgare e parlare in questo modo a noi. 

 

-Vaffanculo. 

 

-Come hai detto? 

 

-Ho detto vaf-fan-

 

-Min Yoongi, sciacquati la bocca prima di parlare con il tuo hyung o vado a prendere il sapone! 

 

-Ah sì? Avanti, provaci... Beta. 

 

Un sonoro schiocco risuonò nella stanza. Namjoon spalancò gli occhi. Il primo movimento cosciente che compì da che aveva messo piede in quella casa. 

 

Yoongi si teneva la guancia con la mano. Vedeva il suo petto trarre respiri profondi mentre il suo viso era ancora voltato di profilo nella direzione in cui lo schiaffo lo aveva spinto. Con le pupille fisse, osservava spasmodicamente un punto nel pavimento. Jin-hyung aveva ancora la mano ferma a mezz'aria con il petto altrettanto sollevato dai respiri frenetici e occhi infuocati puntati sul minore.

 

-Namjoon, disciplina il tuo branco- pronunciò il Beta senza spostare lo sguardo da Yoongi. 

 

-Hyung, Namjoon è stanco per il suo lavoro- 

 

-Namjoon è il nostro capobranco! È suo compito gestire e comandare il branco! E a quanto pare è l'unico che ha autorità di dare ordini al grande Alpha qui presente!- urlò Jin in risposta alla debole replica di Hoseok.

 

Aveva ragione. 

 

Certo, Jin aveva ragione. 

 

Era suo compito intervenire. 

 

Era suo compito porre fine allo scontro. 

 

Uno scontro che si ripeteva ogni giorno. 

 

Ogni sera. 

 

Ogni settimana. 

 

Era suo compito. 

 

I suoi piedi avrebbero dovuto farsi avanti e la sua bocca avrebbe dovuto parlare. 

 

-Namjoon. 

 

-Lascia stare Joon, questa storia è tra me e te- emerse improvvisamente la voce bassa e ruvida della persona che aveva finalmente lasciato la presa sulla sua guancia rubiconda. 

 

-No, Namjoon ha il dovere di intervenire e fare il capobranco per una dannatissima volta! 

 

-Basta! Namjoon non si può accollare il peso di questo intero disastro che non ha più alcun senso chiamare branco! Che gran pezzo di branco, senza Omega! 

 

Namjoon strinse le labbra. Una vibrazione attirò la sua labile attenzione. Abbassando lo sguardo, si accorse che proveniva dalla sua tasca. 

 

-Namjoon, sto parlando con te. 

 

-E io sto parlando con te, hyung! 

 

Senza riflettere, estrasse il telefono dalla tasca. Non conosceva l'utente e il numero era piuttosto insolito ma non si soffermò troppo sui piccoli dettagli. 

 

-Namjoon, non vorrai davvero rispondere al telefono in questa situazione. 

 

L'Alpha deglutì. 

 

-Potrebbe essere il genitore di uno dei miei alunni- replicò rapidamente portandosi il telefono all'orecchio. 

 

-Namjoon, seriamente? 

 

-Jin-hyung, davvero, lascialo stare. 

 

Namjoon convinse la sua mente che poteva fare finta che le voci alle sue spalle non esistessero. Si voltò verso il salotto, allontanandosi di appena un passo dalla sua posizione iniziale. 

 

-Namjoon! 

 

-Pronto?- pronunciò con voce stanca e un sospiro trattenuto. 

 

-Pronto? Parlo con l'Alpha Kim Namjoon? 

 

Una voce femminile emerse dalla cornetta. Non poteva essere una madre. Nessuno si riferiva a lui con il suo secondo genere come forma di cordialità. In generale, era estremamente raro che qualcuno lo facesse a meno che non lavorava a stretto contatto con gli shifter o fosse shifter a sua volta. 

 

-Sono io, con chi parlo? 

 

-Namjoon, metti via quel telefono e parla con il tuo branco. 

 

-Il mio nome è Kim Scarlett del Centro protezione Omega. 

 

-Ah... centro protezione Omega. Certo- ripetè l'Alpha, massaggiandosi gli occhi con un sospiro. 

 

-Digli che li picchiavamo e li tenevano legati a un letto dalla mattina alla sera. Forse finalmente se la smetteranno di chiamare. 

 

-Yoongi maledizione basta! 

 

Namjoon sospirò ancora una volta. Non era la prima volta che il centro li chiamava. Avevano fatto indagini, interviste, sopralluoghi nella casa, perquisizioni...

 

Aveva perso il conto. 

 

Per assicurarsi che non se ne fossero andati di loro spontanea volontà a causa di abusi. 

 

Per escludere che fossero loro stessi ad essersi liberati dei propri Omega. 

 

Namjoon si inumidì la bocca. 

 

-Come posso aiutarla, signorina... 

 

Si era già dimenticato il nome, pensò stancamente.

 

-Scarlett. 

 

-Namjoon, non mi importa se è il Centro o il presidente o un missile terra aria. Spegni quel telefono! 

 

Scarlett. 

 

Il nome gli rotolò nella testa un po' più a lungo del previsto. 

 

-Signor Kim, devo chiederle per motivi di sicurezza dove si trova in questo momento. 

 

Namjoon aggrottò leggermente la fronte. 

 

-Sono... a casa. 

 

-Con il suo branco? 

 

Namjoon si voltò verso la cucina, scrutando le tre persone che la abitavano. 

 

-... sì. 

 

-Ottimo, quindi non è solo. 

 

La piega sulla sua fronte si approfondì ancora di più. 

 

-Signor Kim, le chiedo conferma del fatto che lei e il suo branco avete sporto denuncia per la scomparsa di tre Omega, Park Jimin, Kim Taehyung e Jeon Jungkook. 

 

-Namjoon, giuro su Dio... 

 

Questa volta, l'Alpha sollevò una mano davanti a sé. Il maggiore si ammutolì all'istante. Sentì anche gli sguardi degli altri due presenti calare rapidamente su di sé. 

 

-Sì, è corretto. 

 

Un breve silenzio fu l'unica risposta alla cornetta per qualche istante. La voce femminile finalmente riprese a parlare. 

 

-Signor Kim, le devo dare una notizia molto importante. 

 

Ah. 

 

Ecco cos'era. 

 

Il tempo era un buco nero. 

 

Un buco nero sotto i suoi piedi.

 

Un buco nero che lo portò direttamente alla sua tomba.

 

Per un anno, aveva tenuto il telefono in tasca e la mano su di esso. Di notte, lo teneva sotto il cuscino. La prima settimana perché aspettava l'arrivo della notizia che tutti attendevano con ansia. 

 

Tutto si sarebbe risolto. 

 

Tutto sarebbe tornato alla normalità. 

 

Doveva crederci con tutto il suo essere perché accettare l'altra eventualità era inconcepibile nella sua mente. 

 

Ma poi attendeva che arrivassero altre notizie. 

 

Non sapeva se preferiva ricevere quelle parole piuttosto che morire senza sentirle mai. Da una parte, c'era una definitiva condanna. Ma era anche un punto. Un finale. 

 

Dall'altra parte c'era speranza. Speranza che anche se fossero stati lontani forse, in qualche modo, potessero ancora essere... 

 

Ma era una speranza che consumava. Era un'onda che continuava a sommergerli a ogni giorno passato nella delusione. Li affogava come una crudele marea. 

 

Era arrivato il momento.

 

Quelle parole impronunciabili avrebbero raggiunto le sue orecchie. 

 

Il punto di una frase lunga un anno. 

 

Il gran finale. 

 

Ma Namjoon... si accorse solo allora di non essere pronto. 

 

La sua mano afferrò istintivamente lo schienale della sedia davanti a sé. Sentiva già le sue gambe cedere.

 

-Joon-ah? Che succede?

 

La voce di Jin lo raggiunse come il suono lontano del vento. Forse avrebbe potuto ritardare ancora per qualche istante. Avrebbe potuto illudersi del fatto che loro potessero ancora essere...

 

… potessero ancora essere... 

 

-Li abbiamo trovati, signor Kim. 

 

Nel cervello annebbiato di Namjoon, l'immagine di tre cadaveri senza volto apparve. La sua bocca si schiuse ma nessun suono uscì. 

 

-Sono qui al Centro, al sicuro. Sono sani e salvi. 

 

Il tempo si fermò. 

 

Quella capricciosa creatura bloccò il suo petto, gli congelò il corpo, gli ruppe il cervello. 

 

La sua voce non riusciva a uscire.

 

-Joon? Chi è? Che cosa sta dicendo? 

 

Namjoon sentiva un velo di sudore imperlargli la fronte.

 

-Che cosa... ha detto? 

 

Aveva sentito male.

 

La sua mente era marcia, doveva aver allucinato quelle parole. 

 

Le sue gambe erano al limite della loro resistenza. 

 

Un soffio di vento e lo avrebbero fatto crollare a terra. 

 

-Jimin, Taehyung e Jungkook sono stati salvati. Sono al sicuro e sono impazienti di parlare con voi. 

 

La sedia emise un fastidioso rumore gracchiante contro il pavimento.

 

Le mattonelle si fecero sempre più vicine.

 

Così vicine che finalmente sentì il loro freddo tocco. 

 

-Namjoon!

 

 

ANGOLO AUTRICE 

La prima parte di questo capitolo è stata scritta sette mesi fa, ben prima che questa intera storia venisse alla luce. Ho atteso pazientemente, mese dopo mese, di arrivare a questo momento e finalmente poterlo condividere con voi. Questa storia praticamente esiste per via di questo capitolo XD 

 

Devo ammettere di avere avuto un po’ di timore nel riprenderlo in mano dopo così tanto tempo, ma quando l’ho fatto le parole sono scivolate una dopo l’altra come se non aspettassero altro. In effetti ho pensato a questa scena per mesi. 

 

Spero davvero che abbia raggiunto le vostre aspettative. 

 

Anche il prossimo capitolo arriverà a distanza di una sola settimana. Ci vediamo al prossimo giovedì!

   
 
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