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Autore: EleWar    24/03/2024    8 recensioni
Cosa c'è di meglio di una nostalgica ballata dei primi anni '90 per descrivere uno spaccato di vita vissuta? Ascoltate con il cuore e leggete con la mente.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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ALTA MAREA
 
 
“Mai viaggio di ritorno mi è sembrato così lungo” borbottò fra sé l’uomo.
 
Aveva da poco concluso il suo incarico, un lavoro di routine come tante altre volte; era quindi risalito sulla sua microscopica utilitaria rossa, che aveva accolto il suo arrivo rombando piena di entusiasmo, non appena l’aveva messa in moto; e ora, quasi al termine di quella lunga nottata, finalmente aveva imboccato la strada del ritorno.
 
Era ancora buio, ma un sentore nell’aria tradiva l’approssimarsi del sorgere del sole: le stelle erano già scomparse e verso est un leggero baluginio, si rifletteva sull’acqua del mare.
Passandosi stancamente una mano fra i neri capelli, e poi giù sul mento virile, dove un principio di barba stava già affiorando, sospirò stirandosi sul sedile, cercando di mettersi comodo.
Non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, nemmeno con sé stesso, ma stava invecchiando, e il mestiere di sweeper gli stava presentando il conto.
 
Distrattamente diede l’ennesimo tiro alla sigaretta, e si disse che no, non era ancora giunto il suo momento, che non si sarebbe ritirato dalle scene, non di sua spontanea volontà, almeno, anche se ciò avrebbe significato che… No, non voleva pensare nemmeno a quello, non ora, non più.
Se prima non gli interessava di morire ammazzato, da qualcuno indubbiamente più bravo di lui, ora non poteva permettersi di tirare le cuoia, non adesso che c’era lei nella sua vita sgangherata.
Lei, il solo motivo per cui sopravviveva, anzi, si corresse mentalmente, per cui viveva, e glielo aveva pure detto quel giorno nella radura.
Era il solo motivo per cui ora stava tornando a casa, con un senso di urgenza, di smania, perché aveva bisogno di lei.
 
Schiacciò con più decisione il piede sull’acceleratore, anche se più veloce di così non poteva andare, e un’altra marcia da aggiungere non ce n’era.
 
Accese la radio.
 
“… amici ascoltatori… buon giorno…” gracchiò una voce maschile da una stazione captata al volo, e mal centrata, che l’uomo, armeggiando sulla manopola dell’autoradio, cercò subito di sintonizzare “…. canzone italiana di Antonello Venditti, ‘Alta marea’, buon ascolto!
 
Lo speaker aveva terminato il lancio davvero entusiasticamente, e Ryo, prima di farsi catturare dalle note accattivanti di un caldo sassofono, si chiese se la sua euforia fosse autentica, o una forzatura bella e buona.
Come poteva essere così su di giri, in quell’ora incerta in cui non è più notte ormai, ma nemmeno ancora giorno?
Quando la maggior parte della gente dorme ancora beatamente, nel calore del proprio letto, magari abbracciato a una donna stupenda; quando pochi, raminghi, nottambuli, non riescono a trovare la via di casa, come lui, in quel momento?
 
Un brivido freddo lo scosse fin nel profondo, e d’improvviso fu assalito da una potente ondata di solitudine. Complice quel giro di note malinconiche, ora più che mai si sentì fragile e indifeso, lontanissimo dalla sua Kaori che, anche lei sola nel grande appartamento, forse aspettava ansiosa il suo ritorno, oppure sognava di lui e stringeva invano il cuscino.
 
Ecco, si disse, in quel preciso istante lui avrebbe voluto essere lì con lei, nel tepore di un letto condiviso, stretto fra le sue braccia, con il viso affondato nei suoi morbidi capelli corti, a solleticargli il naso.
Avrebbe dovuto essere a casa, nella loro casa, e non a chilometri di distanza, a sognarla ad occhi aperti.
 
Autostrada deserta,
ai confini del mare,
sento il cuore più forte di questo motore.
 
Le prime parole della canzone, lo riscossero dai suoi tormentati pensieri; anche se non conosceva la lingua italiana, se la cavava benissimo con lo spagnolo, e per assonanza riusciva a capire il senso di quella ballata struggente; di colpo fu come se parlasse di lui.
 
Effettivamente stava guidando lungo la litoranea, e solo in quel momento si accorse di non aver incontrato altre automobili, in nessun senso di marcia, e non c’erano altri all’infuori di lui.
La lunga striscia di asfalto, che gli si snodava davanti, era quasi ipnotica, e se non fosse stato attento, avrebbe rischiato di addormentarsi, tanto era stanco, stanco ma allo stesso tempo stranamente agitato.
Il suo cuore batteva leggermente più forte del solito, forse perché era in qualche modo emozionato, felice di tornare a casa, felice di tornare da lei.
 
Si mise, letteralmente, in ascolto.
 
Sigarette mai spente,
sulla radio che parla,
io che guido seguendo le luci dell’alba.
 
Ryo si guardò fra le dita la sigaretta ormai smorta, e poi il portacenere della Mini, traboccante di cicche e mozziconi; spalancò gli occhi.
 
Lo so, lo sai, la mente vola,
fuori dal tempo e si ritrova sola,
senza più corpo, né prigioniera,
nasce l’aurora.
 
Ad est il sole si stava finalmente mostrando in tutta la sua potenza; sembrava uscire direttamente dall’acqua, e la sua luce tingeva il mondo nelle mille sfumature del rosso; la superficie oleosa dell’oceano, centuplicava l’effetto, e Ryo pur avendo visto l’aurora centinaia di migliaia di volte, nei posti più strani e inconsueti del mondo, in quel preciso momento fu sopraffatto da un’emozione unica: gli sembrava di assistervi per la prima volta.
La sua mente aveva preso a volare sulle note di quella ballata straniera, e provava una sensazione straniante: non gli pareva più di essere seduto al volante della sua fiammante Mini, ma un tutt’uno con il sole che stava nascendo, con il mondo che si stava svegliando; si sentiva pura essenza, libero, senza vincoli, leggero e in pace con sé stesso.
 
Ma fu un attimo, perché il ritornello della canzone, lo costrinse a seguirne il senso, mentre Antonello Venditti, con la sua calda voce vibrante, cantava:
 
Tu sei dentro di me,
come l’alta marea,
che scompare e riappare portandoti via.
Sei il mistero profondo,
la passione l’idea,
sei l’immensa paura che tu non sia mia.
 
“Dio, quanto ha ragione!” esclamò Ryo, già preso dall’armonia di quella canzone straniera, ma dal senso universale.
 
Kaori era dentro di lui, come l’alta marea, con quel suo moto ondoso e ammaliante, cui non sapeva resistere.
Scompariva quando lui la cacciava dalla sua mente, stordendosi con l’alcool, o andando a caccia di amori mercenari; quando s’imponeva di non pensare a lei, di non amarla come invece meritava, quando si negava anche solo il lusso di pensarla come la donna meravigliosa qual era.
Però poi ecco, a sorpresa, e con impeto, lei tornava a riempire il suo cuore, a inondarlo con il suo amore, a farlo sorridere con gratitudine, quando lui benediva Hideyuki per avergliela affidata, quando la ringraziava mentalmente di essere restata con lui, anche e soprattutto dopo aver scoperto il suo terribile passato, quando era semplicemente sé stessa, e lo amava per ciò che era.
 
Kaori era un mistero profondo che, ne era sicuro, non avrebbe capito mai fino in fondo; era lontana anni luce dalle bellezze svampite per cui lui perdeva la testa, eppure si era innamorato senza ritegno di lei; di una donna intelligente, caparbia, orgogliosa, ma anche dolce e passionale; e se sull’aspetto fisico non aveva nulla da invidiare alle donne affascinanti che era solito frequentare, sulla bellezza della sua anima, non c’era paragone con nessun’altra, perché era veramente unica, e inimitabile, una perla rara.
Nessuna reggeva il suo confronto.
Ed era un mistero anche come loro due, apparentemente agli antipodi, fossero finiti per avere una tale intesa, un affiatamento così sorprendente che, a volte, bastava solo un gesto, un accenno o una parola, per capirsi.
Era un mistero come Kaori continuasse ad amarlo, nonostante tutto.
Kaori era il più grande e il più bel mistero dell’universo.
 
Ma Kaori era anche la passione, la passione che metteva in tutto ciò che faceva, nella vita, che pur avendole tolto tanto, troppo, ancora, ne era convinta, aveva tanto da darle.
Kaori era la passione, la passione amorosa che lui non le permetteva di esternare, e che sfogava nei suoi eccessi di gelosia, era il suo innato senso di giustizia, la sua strabordante voglia di vivere.
Kaori era la passione che suscitava in lui, che Ryo aveva castrato in tutti quegli anni; era la sensualità innata che la pervadeva, era il desiderio che non lo faceva dormire, quando di notte fissava il soffitto immaginandola nell’altra stanza.
 
Kaori era l’idea, quell’idea birichina che gli faceva sognare un futuro accanto a lei, come amante, come compagna, come moglie e magari madre dei suoi figli.
Era l’idea che gli faceva dire “Perché no?” quando con il pensiero andava oltre i paletti che si era autoimposto, quando smetteva di pensare che fosse il temibile Ryo Saeba, lo spietato assassino, lo sweeper numero uno del Giappone, lo Stallone di Shinjuku, piuttosto che un semplice uomo innamorato, che vuole solo far felice la donna che ama.
Kaori era l’idea, l’idea di un domani diverso, radioso; l’idea di una seconda possibilità, di una redenzione, l’idea di un’anonima normalità.
Un’idea che poi si schiantava contro la paura di perderla, contro la paura che non fosse totalmente sua.
Perché Ryo temeva sopra ogni altra cosa che, prima o poi, sarebbe arrivato il momento in cui, a forza di aspettarlo, Kaori si sarebbe stancata, e avrebbe deciso di lasciarlo.
Ryo provava l’immensa paura che Kaori non fosse sua, che smettesse di amarlo come aveva fatto fino a quel momento, che il sentimento si esaurisse anno dopo anno, senza essere mai stato alimentato dalla speranza.
 
“Maledetta questa canzone!” imprecò Ryo dando un cazzotto al cruscotto, stronandolo.
 
Quel dannato cantante stava parlando di lui, gli stava rinfacciando i suoi errori, ma chi si credeva di essere quell’insulso italiano?
Con che diritto si permetteva di criticarlo, lui che viveva dall’altra parte del mondo, e che mangiava pizza e gelato tutto il giorno, e non sapeva nulla della vita dei bassifondi di una metropoli come Tokyo?
Mica era un figo da paura come Saeba?!
Uno sweeper, uno stallone, un seduttore seriale come Ryo Saeba?
Eppure Ryo non riusciva a smettere di ascoltarlo, di seguire il testo, pur non comprendendo tutte le parole, che, peraltro, Venditti scandiva benissimo.
Voleva sentire ancora, e ancora, e non si accorgeva dei chilometri che stava macinando.
 
Lo so, lo sai
il tempo vola,
ma quanta strada, per rivederti ancora,
per uno sguardo, per il mio orgoglio,
quanto ti voglio.
 
Ed era vero; il tempo vola, così com’erano volati quegli anni accanto a Kaori, da quando lei era entrata nella sua casa e nella sua vita, portando una ventata di ottimismo, di piacevole cambiamento.
Ma, se il tempo corre, poi finisce per metterti alle strette; non era forse giunto il momento che lui le aprisse il suo cuore?
Che le dicesse chiaramente che l’amava, che era innamorato di lei da una vita, e che voleva essere suo?
 
D’improvviso Ryo si sentì preda di un’urgenza senza pari, di una smania indicibile: voleva essere già a casa, voleva essere lì, da Kaori, e pur non sapendo ancora bene cosa le avrebbe detto, o cosa avrebbe fatto, non aveva importanza: voleva essere da lei, con lei.
Voleva rivederla, semplicemente, magari paludata in uno dei suoi soliti pigiamoni, spettinata, assonnata; voleva vederla con gli occhi gonfi di sonno, o scintillanti di sdegno, o, ancora, brillanti e pieni di amore, come quando tornava da lei, sano e salvo.
Voleva vederla, ma dannazione, quanto mancava ancora a Shinjuku?
Gli sembrava di star a guidare da un tempo immemorabile, da un’eternità, e non per la prima volta si ripeté che mai viaggio di ritorno gli era sembrato così lungo.
Rivederla ancora, rivederla ancora e ancora e ancora e ancora, per sempre.
Un suo sguardo… ma il mio orgoglio?
Si chiese Ryo.
Come sarebbe giunto a patti con il suo orgoglio?
Dopo che l’aveva avversata per tutto quel tempo, dopo che le aveva detto, ridetto e stradetto, che era l’unica che non trovasse attraente, che non era neanche una donna, ma nemmeno un uomo fatto e finito; che con lei non ci avrebbe provato mai e poi mai, che non l’eccitava minimamente?
Eppure…
Eppure quanto la voleva!
Quanto la desiderava!
In maniera totale, viscerale, fino a starci male.
Come avrebbe potuto presentarsi da lei e dirle, o farle capire, che moriva al solo pensiero di averla, che non riusciva più a sollazzarsi con nessuna, perché la sua immagine si sovrapponeva a chiunque, che il sesso non gli bastava più, poiché era diventato un mero atto meccanico, e lui, ora, voleva di più, Ryo voleva solo lei?
 
Orgoglio e desiderio.
 
Avrebbe dovuto fare una scelta, e sotto sotto sapeva già quale sarebbe stata quella giusta, ma adesso non era necessario pensarci; prima doveva tornare da Kaori!
 
Le parole della canzone avevano lasciato lo spazio alla sola musica; ancora quello stupendo sassofono in un ritmo scandito, e poi a sciogliersi in un perfetto accordo fra chitarra elettrica e pianoforte, in un crescendo che anticipava il ritornello, di una nota sopra:
 
Tu sei dentro di me,
come l’alta marea,
che riappare e scompare portandomi via,
sei il mistero profondo,
la passione l’idea,
sei l’immensa paura che tu non sia mia.
Lo so, lo sai,
il tempo vola,
ma quanta strada, per rivederti ancora,
per uno sguardo, per il mio orgoglio,
quanto ti voglio!
 
Ryo ormai conquistato dalla magia della canzone, non riusciva a pensare ad altro; ed era strano come il testo di una ballata in lingua straniera, riuscisse a parlargli così chiaramente, direttamente al cuore.
Forse perché l’amore usa un linguaggio universale, e in ogni angolo della terra, uomini e donne si ritrovano a provare gli stessi identici sentimenti.
 
…per dirti quanto ti voglio.
…per dirti quanto ti voglio.
…per dirti quanto ti voglio.
 
Continuava a cantare Venditti, come a cavalcare onde immaginare, di quella stessa alta marea che andava vagheggiando, e Ryo finì per canticchiare quelle parole, imparandole a memoria.
 
Per dirti quanto ti voglio.
Kaori, per dirti quanto ti voglio.
 
Sì, quella canzone pareva scritta per lui, per Ryo, e per Kaori, e non appena iniziò sfumare dagli altoparlanti della Mini, prima ancora che quello speaker entusiasta rompesse l’incanto con la sua voce odiosa, facendo un commento a caso, oppure lanciando un’altra qualsiasi canzone, o, peggio ancora, prima ancora che partisse un jingle di una pubblicità totalmente insulsa, Ryo spense con decisione l’autoradio.
E di colpo regnò il silenzio nell’abitacolo, rotto solamente dal leggero ronzio del motore.
 
Il sole era ormai sorto, e i forti colori dell’alba si erano già stemperati in una luce dolce e diffusa, che faceva risplendere quasi uniformemente il paesaggio; la strada si era andata via via popolando di altri automobilisti, sia per l’approssimarsi della città, sia perché, con l’avanzare delle ore, i primi pendolari si erano già messi in movimento.
Furgoni e camioncini avevano già iniziato il giro delle consegne, e la vita della metropoli stava riprendendo inevitabilmente il via.
 
Dopo aver gettato il mozzicone della sigaretta dal finestrino, ormai totalmente abbassato, vi appoggiò il braccio destro; e sorridendo fra sé, si disse che una delle prime cose che avrebbe fatto, una volta tornato a casa, sarebbe stata vuotare quel posacenere stracolmo di cicche, altrimenti quando sarebbe salita Kaori in macchina, lo avrebbe rimproverato per l’eccessiva negligenza.
Sorrise nuovamente.
Kaori, la sua coscienza, il suo grillo parlante.
Kaori, la sua vita.
 
Gli ultimi chilometri furono i più lunghi da percorrere, e a Ryo parvero eterni; ma non appena giunto in garage e spento il motore, fu preso da un attacco di tachicardia.
Si allarmò.
In fin dei conti, solo lui era a conoscenza della decisione presa, e cioè che era giunto il momento di dichiararsi a Kaori, lei non si aspettava nulla, e se lui avesse nuovamente cambiato idea, tergiversando con sé stesso, e rimandando la cosa, lei non l’avrebbe mai saputo, giusto?
E allora perché tutta quell’agitazione?
 
Si costrinse a salire le scale interne, e le gambe gli parvero pesanti come macigni da spostare; cercò di richiamare alla mente la bella sensazione provata prima, in macchina; per aiutarsi canticchiò pure la canzone:
 
“Com’è che faceva?” si chiese.
 
Giunto davanti alla porta d’ingresso, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
 
Tu sei dentro di me… come l’alta marea… che scompare e riappare portandomi via…” entrò ripetendosi “per dirti quanto ti voglio… per dirti quanto ti voglio…
 
Fatto un passo dentro casa, si accorse che dalla cucina provenivano dei rumori ben noti, e non poté non sorridere all’idea che Kaori fosse già sveglia, e intenta a preparare la colazione, anche e soprattutto per lui.
Rinfrancato, avanzò nell’appartamento, ma non fece in tempo ad andare oltre, che Kaori gli corse incontro, saltandogli al collo:
 
“Sei tornato finalmente!”
 
Per poco l’uomo non perse l’equilibrio, preso alla sprovvista da tanta veemenza.
 
“Sì…” riuscì solo a rispondere Ryo, il viso sprofondato nei capelli della ragazza, a inspirarne l’odore famigliare.
 
“Ho-ho avuto così tanta paura, Ryo. Ho avuto paura che tu… non saresti tornato.” le sfuggì un singhiozzo.
 
Parole del genere gliele aveva sentire ripetere un milione di volte, ma solo in quel momento comprese quanto effettivamente Kaori tenesse a lui, e quanto soffrisse immaginando il peggio.
Ryo non ci aveva pensato minimamente, eppure la sera prima gli sarebbe bastato farle una semplice telefonata, per rassicurarla.
 
“Perdonami… avrei dovuto chiamarti.” le disse stringendola più forte.
 
Però subito dopo Kaori fece per staccarsi, e guardandolo negli occhi gli disse:
 
“Mi sei mancato.” Ecco, l’aveva detto, perché fra i due era indubbiamente lei la più forte, e la più coraggiosa.
 
E lui si sentì un inetto, un idiota totale, ma si riprese in tempo, e prontamente rispose:
 
“Anche tu… tanto.” e dolcemente, le restituì lo sguardo.
 
Poi non ci fu più bisogno di aggiungere altro.
Perché Ryo finalmente la baciò, come non aveva fatto mai, con una tenerezza sconosciuta perfino a sé stesso, e seppure fu poco più di uno sfiorarsi di labbra, ci mise tutto il suo amore, mentre nella testa risuonava ancora la ballata straniera “…per uno sguardo, per il mio orgoglio….”.
 
Guardandola intensamente, a parole concluse il verso:
 
“Quanto ti voglio…”
 
Kaori sgranò gli occhi, stupita; era ancora piacevolmente frastornata dal bacio che si erano appena scambiati, e stentava a credere alle sue orecchie, poi però gli sorrise con amore, e recitò:
 
“Tu sei dentro di me, come l’alta marea… che scompare e riappare, portandomi via…, sei il  mistero profondo, la passione, l’idea… l’immensa paura che tu non sia mio…”
 
“Ma io sono tuo!” protestò Ryo, e il viso di Kaori s’illuminò come l’aurora, e come l’alta marea, lo avvolse dolcemente fra le sue braccia e lo baciò.
 
Ancora.
Ancora…
 
  
 
  
Nota della Pigiatasti a tradimento.
 
Ho sempre amato Antonello Venditti, e questa canzone era una delle mie preferite all’epoca.
E quando ho iniziato a pensare a Ryo e Kaori fuori dal manga originale, e cioè come attori principali di storie scritte da noi fans, non appena la risentivo, inevitabilmente m’immaginavo Ryo al volante della sua mini, sul far del giorno, tornare a casa da Kaori, pensando a lei.
Insomma ci vedevo lui come protagonista della canzone.
E questa idea mi ha frullato in testa per tanti anni, ma non mi decidevo mai a farci una fan fiction come, infine, ho fatto oggi.
Cercando in rete il testo scritto, mi sono pure imbattuta in un sito in cui ne spiegava addirittura il significato, e al di là delle evidenze, è stato illuminante: non ha fatto altro che confermare le mie sensazioni.
 
La canzone, per chi non la conoscesse, o la volesse risentire, la trovare al link di seguito https://www.youtube.com/watch?v=zyVj0d9yo20 e quella che vedete nel video è nientemeno che una semi-sconosciuta Angelina Jolie agli esordi (ci pensate che lei ha recitato per un video di Antonello Venditti??? ha davvero dell’incredibile!) e questa di Venditti è una cover di un’altra canzone e cioè https://www.youtube.com/watch?v=J9gKyRmic20 dei Crowded House - Don't Dream It's Over, che però ha tutt’altro significato.
 
Bene, detto ciò, vi ringrazio per essere arrivati fino a qui a leggere – che santa pazienza che ci vuole con me! – e vi saluto affettuosamente, come sempre.
Come vedete, ogni scusa è buona per pensare e per innamorarci con Ryo e Kaori.

Eleonora
 
 
   
 
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