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Autore: Neamh Moonstar    26/03/2024    1 recensioni
C'erano le stelle quella sera. Brillavano sfocate e deboli, nient'altro che puntini lontani che si sdoppiavano e mescolavano nel cielo rossastro. Sembravano diamanti dalle sfumature ambrate, ed erano tanto, troppo belle per essere vere.
Forse perché non sono stelle, idiota. Si rimproverò Angel, passandosi una mano sulla faccia e lasciandosi scappare un lamento. Sono solo i soliti neon.
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Huskerdust songfic
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Angel Dust, Husk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Yellow diamonds in the light

Now we're standing side by side

As your shadow crosses mine

What it takes to come alive


C'erano le stelle quella sera. Brillavano sfocate e deboli, nient'altro che puntini lontani che si sdoppiavano e mescolavano nel cielo rossastro. Sembravano diamanti dalle sfumature ambrate, ed erano tanto, troppo belle per essere vere.

Forse perché non sono stelle, idiota. Si rimproverò Angel, passandosi una mano sulla faccia e lasciandosi scappare un lamento. Sono solo i soliti neon.

Era per quello che si sballava fino al vomito dopo le giornate lavorative più drenanti, alla fine: per avere la breve e stupida illusione che quel posto maleodorante e monocolore potesse presentarsi un po' meno merdoso, di tanto in tanto. Peccato che fosse una temporanea bugia che amava raccontarsi per ignorare il dolore alle gambe, a tutte le braccia, alla schiena e al cuore.

Non era la prima volta che si ritrovava addossato al muro di un vicolo, soffocato dalle luci artificiali, con le lacrime agli occhi e la nausea che gli ballava nello stomaco. Non sarebbe stata l'ultima, per quanto stesse provando a fare in modo che fossero occasioni sempre meno frequenti.


Raccolse le ginocchia al petto. Alle sue spalle, oltre al muro, poteva ancora sentire la musica troppo alta del locale in cui si era infilato poco prima. Gli rimbombava nel cervello, costringendolo ad abbassare la testa per soffocare la sensazione. Certo, sempre meglio essere rintronato da quella che dal ricordo di tutti i corpi che gli erano strisciati addosso per tutta la mattinata, poi tutto il pomeriggio e persino buona parte della sera.

C'era stato un tempo in cui non gli sarebbe dispiaciuto, anzi: le ricordava addirittura piacevoli le prime volte. Sembravano giri sulle montagne russe dalla sensazione di brivido e adrenalina che gli lasciavano.

Più andava avanti, però, più i rapporti diventavano forzati, più sentiva il bisogno di fermarsi, più non riusciva a trarre che un piacere temporaneo dal suo lavoro; un piacere quasi istintivo e animalesco, destinato a finire lì: sull'asfalto sporco di un vicolo.


Sentì dei passi leggeri e soffocati fermarsi a pochi metri da lui, poi un sospiro.

Si disse che sarebbe stato meglio controllare chi fosse o si sarebbe ritrovato sbattuto contro un muro, alla mercé dell'ubriaco di turno. Peccato che non avesse le forze necessarie a muovere un dito, figurarsi fuggire.

Fortunatamente, non ce ne fu bisogno.

Il nuovo arrivato si avvicinò e scivolò contro il muro fino a sedersi al suo fianco. Era una presenza calda, quasi confortante, che odorava vagamente di tabacco e whisky.

    «Ho visto il tuo messaggio» affermò una voce profonda, roca e vagamente burbera.

Fu allora che il ragno si rese conto di avere ancora il cellulare in una mano. Doveva aver scritto in preda all'intontimento più totale.

    Ringraziò il suo sesto senso e, debolmente, si accasciò contro la spalla dell'altro. «Grazie, micio» mormorò, il volto ancora ben nascosto tra le braccia.

    Husk emise un basso: "mh", facendo calare un breve silenzio. «Questa giornata è finita com'è iniziata, vedo» commentò poi, il tono a metà tra il rassegnato e il dispiaciuto.

Angel si limitò ad annuire.

La quantità immane di chiamate che lo avevano buttato giù dal letto non erano state che il principio di un escalation sempre crescente di schifo. Non aveva fatto in tempo nemmeno a scambiare due chiacchiere con gli altri davanti ad una tazza di caffè - piccola routine che presto era diventata causa di buon umore; né era riuscito a salutarli prima di uscire alle prime ipotetiche luci di un'ipotetica alba. Aveva solo mandato un breve ma conciso messaggio all'unico che sapeva cosa aspettarsi.

    “Sto andando a lavoro. Sarà una lunga giornata, sai com'è. Ci vediamo sul tardi.” Aveva scritto, camminando velocemente e senza nemmeno guardare contro chi stesse andando a sbattere.

    La risposta gli era arrivata cinque minuti dopo, ma Angel l'aveva letta solo durante la sua breve pausa pranzo. “Lo stronzone ha fretta oggi.” Aveva commentato Husk prima di aggiungere: “Chiama se hai bisogno.”

Era stato quell'ultimo messaggio a spingerlo oltre il velo della disperazione, probabilmente. Sapere di avere quella possibilità era rincuorante. Sapere di avere qualcuno era rincuorante.


Dopo cinque minuti che parvero cinque ore, Angel si decise ad alzare la testa. La prima cosa che vide furono la sua ombra e quella dell'altro fondersi sotto le luci colorate che li attorniavano.

Si erano avvicinati molto nel corso degli ultimi mesi, tanto da mettere l'orgoglio da parte e condividere i rispettivi momenti di debolezza. Momenti come quello.

Si passò due mani sugli occhi, pensando che doveva sembrare proprio un disastro con l'eyeliner che gli colava lungo le guance e il tubino inzuppato di alcolici vari, lacrime e chissà cos'altro.

Non aveva avuto la forza di cambiarsi una volta finito il lungo turno. Aveva semplicemente raccattato le sue cose ed era volato fuori per allontanarsi il più possibile da Val e il suo regno del terrore.

Si sentiva in tutto e per tutto una puttanella abbandonata al lato della strada.

Sentiva ancor di più lo sguardo di Husk addosso, ma almeno quello non era bruciante come gli sguardi che riceveva per strada, a lavoro o, beh, praticamente ovunque tranne che all'Hotel.

Quelle iridi dorate che trovava segretamente bellissime non lo squadravano mai né con desiderio né disprezzo; semmai lo scandagliavano preoccupate, indagatrici, alla ricerca di un livido o una ferita da curare.

Anche stavolta, seppur con fatica, Angel incontrò il suo sguardo preferito per ritrovarlo così: in genuino pensiero.

    Sorrise tristemente ma sinceramente - anche perché l'altro era ormai diventato fin troppo bravo a capire quando sorrideva solo per fargli piacere. «Scusa se ti ho fatto venire fin qui» mormorò, passandosi subito due dita sugli occhi. Gli bruciavano da morire, e il mal di testa aveva ripreso a rimbombare imperterrito. «Sarei dovuto venire da te, ma-»

    Husk lo interruppe. «Te l'ho detto io di chiamare, no?» Affermò. Poi gli offrì una mano. «Sinceramente, sono felice di vedere che non ti sei autodistrutto nel frattempo.»

Ecco, quella era la cosa che ad Angel piaceva di più: la richiesta.

Nessuno gli chiedeva mai niente fuori da casa. Nessuno che volesse sapere come stesse o cosa volesse. Nessuno che durante il lavoro si preoccupasse che fosse o meno a suo agio prima di essere sbattuto su un materasso dietro l'altro.

Quel palmo rivolto verso di lui non era che in attesa del suo consenso, invece. Consenso che diede senza pensarci due volte.

Voleva essere preso e portato via da lì, tenuto in piedi da quel tocco sempre gentile che non lo stringeva né costringeva mai.

    «Non posso» disse, asciugandosi un'ultima lacrima. «Ho un obbiettivo da portare a termine, no?»

    L'altro gli sorrise, facendogli risalire un brivido lungo la spina dorsale - un brivido che nulla aveva a che fare con le droghe o i drink che ancora gli rimescolavano le budella. «Questo è quello che voglio sentire. Ora andiamo.»

Husk si alzò per primo, senza mai staccare la presa dalla sua mano. Aveva alzato un po' le ali, gettando un'ombra tra Angel e le luci che gli trapanavano la vista, come se sapesse.

No, idiota, si rimproverò di nuovo il ragno. Lo sa e basta: sa sempre di che cosa hai bisogno.

Quel pensiero lo aiutò a rimettersi in piedi. Le gambe gli tremavano, ma il braccio che l'altro avvolse delicatamente attorno alla sua vita fu abbastanza da tenerlo più o meno dritto.

    «Stai bene?» Gli chiese Husk prima di iniziare a muovere un passo.

    La verità era che la nausea minacciava di risalire ogni secondo più inarrestabile, spinta dal breve giramento di testa che rese il vicolo una specie di giostra. Angel tenne a bada entrambi con qualche respiro profondo e poi, semplicemente, annuì. «Sì, torniamo a casa.»


Si incamminarono lenti e cauti, stretti l'uno all'altro.

Husk continuava a guardarsi attorno quando si ritrovavano a passare attraverso qualche viottola più malfamata del normale, il che fece sciogliere qualcosa nell'animo di Angel.

    Ad un certo punto, questi si permise persino di scherzare. «Sai, mio piccolo cavaliere,» disse infatti, il tono di miele, «se mi prendessi e volassi via, arriveremmo prima e non dovresti preoccuparti di proteggerci dai delinquenti.» Condì la frase dando al suo salvatore una veloce e scherzosa grattatina sulla guancia. Fosse stato in condizioni migliori, il tutto sarebbe sembrato decisamente più simpatico e meno patetico.

    L'altro gli rivolse una smorfia. «Scordatelo. Mi vomiteresti addosso.»

    Con una mezza risata, Angel si portò una mano allo stomaco. «Puoi dirlo forte.»

    «Sappi che non appena vedo che stai per rimettere, mollo la presa.»

    «Non dirmi che mi lasceresti davvero cadere in mezzo alla strada così?» Sussultò il ragno, stando al gioco.

    «Certo. Senza pensarci due volte.»

Si ritrovarono a ridacchiare, attirando sguardi indiscreti che il gatto allontanò con occhiatacce ben piazzate, premendo l'altro contro il suo fianco.

E per quanto ogni millimetro del corpo di Angel lo stesse uccidendo, per quanto la strada verso l'Hotel sembrasse infinita, in quel momento il ragno si sentì più vivo che mai.


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It's the way I'm feeling I just can't deny

But I've gotta let it go

We found love in a hopeless place


Alla fine si ritrovò davvero a rimettere.

Rimase chino davanti al gabinetto del suo piccolo ma accogliente bagno per dei secondi che gli parvero infiniti. Dopodiché si aggrappò al lavandino e si rimise in piedi, una mano già occupata ad aprire l'acqua fredda.

    Dall'altro lato della porta arrivò un bussare leggero. «Tutto bene?» Chiese Husk senza alzare la voce.

Era tardi, il resto del gruppo dormiva ormai da ore, e loro erano reduci da una lunga e lenta camminata seguita da una lunga e lenta rampa di scale - perché cazzo non abbiamo costruito un' ascensore il mese scorso?!  Aveva pensato, aggrappandosi all'amico e al corrimano per non volare al piano inferiore.


Non era la prima volta che Angel lasciava entrare l'altro in camera sua. L'effettiva prima volta l'avevano passata sul suo letto, imbozzolati sotto una coperta, davanti ad un film che il ragno aveva fatto partire sul portatile.

Da lì era stato un continuo: "Vieni da me o vengo da te?" che sicuramente non  era passato inosservato, ma che nessuno, a parte Cherri, aveva ancora commentato.

La migliore amica di Angel continuava a dire che, di quel passo, lui e Husk sarebbero finiti sullo stesso letto, certo, ma non per guardare qualcosa o per chiacchierare.

Lui, ovviamente, negava un risvolto simile - spesso con una battutina -, quando, in realtà, una parte di sé stesso pareva sempre sfrigolare un po' all'idea.


    «È tutto ok, micio. Ti chiamo se ho bisogno, va bene?» Rispose, gettandosi l'acqua gelida sul viso.

Dall'altra parte arrivò un breve assenso, seguito da piccoli passi e leggeri grugniti.

L'essere a casa, circondato dalle familiari mura rosa della sua piccola dimora, faceva sentire Angel molto più a suo agio. Riuscì persino a non concentrarsi troppo sull'immagine disastrata che gli restituì lo specchio intanto che si lavava i denti, allontanando il saporaccio impastato di bile e alcool.

A ridargli gran parte del vigore fu il bagno caldo che iniziò a prepararsi intanto che Husk gli intimava di non annegare - “possibilmente”.

Alla fine, fu più difficile entrare in vasca con le gambe instabili che uscirne dopo che il calore aveva sciolto i muscoli. Dovette comunque poggiarsi ad una parete intanto che si infilava negli abiti morbidi e comodi che l'altro gli aveva gentilmente raccattato dall'armadio una volta entrati.

In fondo, Angel aveva passato nottate ben peggiori nel suo post-vita - anche se alcune nemmeno le ricordava del tutto. Nottate in cui aveva combattuto da solo contro postumi ben peggiori. Sapeva come comportarsi, sapeva cosa fare per non crollare sul pavimento. Una magra consolazione.

Quasi si sentì fiero nell'essere riuscito a cavarsela senza costringere Husk a fare avanti e indietro per aiutarlo. Si sentiva già abbastanza in debito nei suoi confronti, così come tutte le volte in cui il gatto gli aveva preparato da bere dopo il lavoro, o le volte in cui gli aveva disinfettato i graffi, o quelle in cui si era preso cura del suo maialino.

La cosa bella era che Husk le faceva sempre gratuitamente e senza - quasi mai - lamentarsi tutte quelle cose. Era come se fossero una conseguenza naturale del loro rapporto, e Angel non poteva che accettarle un po' per necessità e un po' perché era ormai arrivato ad una conclusione tanto ovvia quanto spaventosa.


Gettò il tubino direttamente nel cestino sotto al lavandino e rientrò in camera.

Era esausto.

Ringraziò il fatto che Val si fosse perlomeno degnato di dargli il giorno seguente libero. Tante cose si potevano dire del suo capo - che fosse uno stronzo, per esempio -, ma fortunatamente non che fosse completamente rincretinito.

Evitò di pensarci, sbucando fuori dal bagno e fermandosi per pochi secondi a fissare l'altro seduto sulla sponda del letto, sguardo stanco e artigli occupati a dare qualche grattatina sotto al mento del maialino demoniaco.

Era una cosa che il ragno aveva notato subito.

Di solito, la gente lo occupava tutto il suo letto. Il cliente tipo ci si buttava nel mezzo, trascinandolo con veemenza, magari strattonandolo per le braccia affinché fossero costretti ad avvinghiarsi.

La prima volta che Angel aveva invitato Husk sul suo letto, il gatto si era sempre mantenuto ai margini del materasso. Era come se oltre quel bordo ci fosse un confine invalicabile che non aveva intenzione di superare.

C'era voluto un po' per trascinarlo in mezzo alla miriade di cuscini che Angel aveva accatastato nei punti più comodi del materasso. Eppure, anche dopo aver avuto il permesso, Husk non aveva mai lasciato il bordo se non dopo richiesta del ragno  stesso.

Come al solito, attendeva il consenso.

    «Dovresti andare a dormire» disse Angel, affiancandolo e togliendogli delicatamente l'animaletto dalle braccia. «O finirai per crollare di faccia nel caffè domattina» scherzò poi, portando l'altro a sorridere.

Come sempre, quel sorrisetto gli scaldò lo stomaco.

    «Hai ragione» ammise Husk, stirandosi come solo un felino potrebbe stirarsi. «Non hai bisogno di nient'altro? Sicuro?»

Tutto quel riguardo era così dolce... Quasi stonava con quell'aspetto da vecchio burbero. Forse era per quello che ad Angel piaceva: era un contrasto divertente ma piacevole.

    «In effetti, una cosa ci sarebbe» rispose, poggiando il suo piccolo amico sul materasso.

Prima che Husk potesse chiedergli di cosa si trattasse, Angel lo avvolse con tutte e quattro le braccia, tirandolo a sé e stringendolo come se ne andasse della sua, chiamiamola, vita.


Non era la prima volta che si abbracciavano.

L'effettiva prima volta era avvenuta in un contesto simile, in cui il ragno era tornato a casa stanco, ferito e di cattivo umore. Era stata una serata più ardua delle altre, finita con uno schiaffo che continuò a bruciargli a lungo sulla guancia.

Era stato Husk a stringerlo, quella volta.

Fu strano.

Angel ci scherzò con Cherri nei giorni a venire, dicendo che si sa cosa si dice dei gatti, no? Puoi dimostrargli affetto solo quando dicono loro - o solo con gli occhi. Se sono loro a dimostrare affetto a te, è perché "ti hanno scelto", in un certo senso.

La sensazione che il ragno provò dentro a quell'abbraccio improvviso fu di iniziale sorpresa e improvviso vuoto, come se quell'unico gesto avesse portato via tutto, anche la negatività.

Vi si sciolse dentro e pianse, stringendo il pelo morbido e arruffato dell'altro tra le dita.


Anche stavolta gli salirono le lacrime agli occhi, ma non perché stesse male. Pianse perché sentì il solito brivido lungo la schiena e il solito calore salirgli dalla pancia alle guance, intanto che l'altro - con la solita, infinita delicatezza - ricambiava la stretta, passandogli una mano sulla schiena e avvolgendolo, al contempo, con le ali meravigliose che si ritrovava.

    «Sai, se non ti conoscessi,» aveva commentato Cherri una volta, «direi che ti stai innamorando.»

Cazzo, se mi sto innamorando, pensò Angel sciogliendosi anche stavolta in mezzo a quel contatto.

Non si era mai veramente innamorato da quando era arrivato all'Inferno. Il massimo che aveva avuto erano state cottarelle poi sfociate in relazioni di pochi mesi e poi sfociate nel nulla più assoluto.

Ma questo? Oh, questa era la sensazione più divina che avesse mai provato. La sensazione che proprio non poteva negare perché era lì sempre, costantemente.

Ogni volta che lo coglievano i brividi, ogni volta che gli si rimescolava lo stomaco, ogni volta che gli sfrigolavano le guance capiva che Husk era riuscito a toccare corde nel suo animo che nessuno avrebbe toccato mai.

Lui sapeva tutto e capiva al volo. Sapeva di che cosa avesse bisogno, sapeva cosa gli passava per la testa, e quando non lo capiva, sapeva esattamente cosa chiedere per arrivarci.

Condividevano gli stessi guai, le stesse merdosissime situazioni che avevano imparato a raccontarsi.

Tanto bastava a far volare Angel verso un tipo di Paradiso diverso rispetto a quello a cui stava puntando.


C'è solo un piccolissimo problema, gli ricordò la sua voce interiore. La parte spaventosa.


Si separarono senza fretta.

    «A posto?» Chiese Husk, una mano ancora ben ancorata al braccio di Angel in attesa dell'ennesima conferma.

    Questi annuì. «A posto» confermò, osservando l'altro mentre si alzava con uno sbadiglio - un tenerissimo sbadiglio.

    «D'accordo. Senti, fatti e facci un favore» rispose il gatto, una mano già sulla maniglia della porta. Aveva il volto serio, le pupille ridotte a due linee sottili. «Se lo stronzone ti richiama, ignoralo. Almeno per domani.»

Non era una richiesta totalmente scontata. C'erano delle volte in cui Angel non riusciva proprio a non ricadere nella stessa trappola ancora e ancora.

Val era una strana sottospecie di droga.

    Il ragno si fece scappare una mezza risata. «Te lo prometto.»


Già, Val. Val farebbe il culo ad entrambi se scoprisse di una possibile relazione. Lo sai, vero?

Se lo sapeva? Lo sapeva fin troppo bene. Ne era fin troppo convinto.

Quella falena troppo cresciuta odiava condividere i suoi giocattoli, e Angel era la sua bambolina preferita.

Un conto era convincerlo a farsi scivolare addosso qualche flirt casuale. Un altro era far sì che non si incazzasse all'idea di una relazione seria, palesemente diversa da quelle che in passato erano iniziate e finite a letto.

No, non poteva permettersi di infilare Husk in quella merda. Sarebbe potuto succedere di tutto, ed erano tutti scenari a cui il ragno non riusciva a dare un risvolto positivo.

Era per questo che teneva, per quanto potesse, i suoi sentimenti a bada. Era per questo che, puntualmente, si avvicinava sempre di più all'altro solo per poi lasciarlo andare.

Magari Husk provava le stesse cose per Angel ma, come sempre, lo sapeva. Sapeva che avevano trovato l'amore in un luogo senza speranza, intriso fino al midollo di disperazione.

Era per quello che Angel voleva dare una chance alla redenzione e, anche se il gatto ci credeva meno di lui - o faceva finta di crederci meno di lui -, portare Husk via con sé.


Shine a light through an open door

Love and life I will divide

Turn away 'cause I need you more

Feel the heartbeat in my mind



    A promessa fatta, il gatto aprì la porta. «Va bene. Buonanotte.»

    Angel venne brevemente investito dalla lieve luce del corridoio, la quale gli fece bruciare gli occhi per un secondo. La ignorò, osservando la sagoma dell'altro che spariva. «A domani» mormorò, restando infine solo nella penombra della sua stanza.

Faceva male l'idea che sarebbe andata così fintanto che non sarebbero stati entrambi, finalmente, liberi.

Ci sarebbe voluto tempo. Troppo tempo. E intanto, Angel continuava a sentire un vuoto ogni volta che la realizzazione lo colpiva.


Si buttò sul materasso, andando a stringere forte un cuscino. Avrebbe voluto alzarsi, traballare verso la porta e correre a ringraziare Husk come doveva. Sentiva di avere ancora bisogno di un abbraccio, una stretta sincera, due mani sulla schiena e due ali attorno alle braccia.

Ma non poteva. 

Ricorda cosa potrebbe succedere, si ricordò.


Chiuse gli occhi. Il battito del suo cuore prese a rimbombargli in testa come la musica del locale poche ore prima.

Per un attimo gli parve di essere ritornato in quel vicolo, ma l'odore dolce delle sue lenzuola ora misto a quello di tabacco e whisky lo fece rinsavire.


Sei a casa. Si disse.

Ma soprattutto, non sei solo.

   
 
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